Centro marginale

A cura di: Oscar Buonamano

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[...] Andare a Disney World per farsi di acido e vomitare su Topolino non è rivoluzionario: andare a Disney World perfettamente consapevoli di quanto ridicolo e negativo sia tutto ciò, e, malgrado ciò, divertirsi in modo innocente, quasi inconsapevole, persino psicotico, è un altro paio di maniche. Questo è ciò che Certeau descrive come «l’arte di stare in mezzo», e questa è la sola via per la vera libertà nella cultura d’oggi. Stiamo perciò in mezzo. Divertiamoci con Baywatch, le Camel, la rivista Wired, e persino con i libri in carta patinata sulla società dello spettacolo, ma non soccombiamo mai al loro fascino ammaliante [...]

Hermenaut, Popular Culture, 1995

Abitiamo il tempo della società della Conoscenza. I pensieri, le parole, le immagini, i suoni, si muovono nella rete in tempo reale. Le informazioni viaggiano in tempo reale. Muta il tempo della riflessione e si decostruisce e scompone il tempo del pensare.

Viviamo il tempo della velocità. Il tempo in cui tutto si produce e si consuma a ciclo continuo.

Viviamo il tempo dell’annullamento delle differenze. Il centro e la periferia, propriamente detti, forse non esistono più, sicuramente non esistono più se per centro intendiamo l’agorà e per periferia la provincia. Non esistono più le mura che dividono e delimitano lo spazio fisico tra ciò che è città e ciò che non lo è. Oggi tutto è città e tutto è campagna.

Viviamo altresì il tempo della riscoperta della natura. Il tempo della consapevolezza che la terra, il sole, il mare non sono beni di cui si potrà usufruire all’infinito e che anzi la loro durevolezza dipende in modo sempre più crescente e significativo dai nostri comportamenti, dalla nostra intelligenza. C’interroghiamo sul futuro della vita sulla terra e abbiamo coniugato termini nuovi per significare un uso consapevole delle risorse disponibili: chiamiamo tutto ciò sviluppo sostenibile. Il terzo millennio è iniziato perciò con la consapevolezza che la crescita e lo sviluppo economico devono essere armonicamente compatibili. Abitiamo il tempo in cui la sopraggiunta consapevolezza che le risorse sono “finite” e che la vita è fatta di sostanza e non solo di apparenza ci costringerà a recuperare il senso più profondo delle parole, dei gesti, dei comportamenti. Ci costringerà a non disperdere energie e risorse e a non considerare vecchio e inutilizzabile ciò che per superficialità, ignoranza o incapacità non comprendiamo e non conosciamo. L’uso attento e consapevole dei beni e delle risorse, il loro “riuso” diventano così temi della contemporaneità, il terreno dove esprimere e sperimentare nuovi modi di vivere. Governare questa complessità diviene pertanto la sfida che attende le nuove generazioni.

In quest’ottica le parole chiave della manifestazione di quest’anno, Scarti innanzitutto, Margine, Centro, e il luogo stesso scelto per la realizzazione degli eventi, l’ex mercato coperto di Apricena, assumono un significato particolare che ci pone alcuni interrogativi.

La prima questione che dobbiamo porci e proprio nell’etimologia delle parole: cosa dobbiamo considerare scarti? E ancora cos’è il margine? Un ex mercato coperto è uno scarto marginale?

Oggi utilizziamo un edificio abbandonato, in disuso, l’ex mercato coperto di Apricena come contenitore di eventi e manifestazioni artistiche e i suoi spazi ritornano alla vita, anzi forse accolgono la vita come mai è successo in passato. Quegli stessi spazi considerati ormai inutili o peggio ancora non considerati affatto assumono un ruolo nuovo che ci sorprende e ci interroga appunto. Il vecchio mercato coperto è uno scarto della società consumistica oppure è uno spazio della contemporaneità?

Abbiamo semplicemente spostato il nostro punto di osservazione e guardato con un nuovi occhi ciò che ci circonda per poter percepire uno spazio, un luogo in modo totalmente altro portando alla luce innumerevoli verità latenti. È bastato avere nuovi occhi per capire che quegli spazi adesso raccontano una storia, delle storie. Sta a noi saperle rintracciare, sta a noi avere voglia di ascoltare il nostro vedere.

E ancora la sua posizione, decentrata rispetto al cuore pulsante della città, marginale appunto, rappresenta un ostacolo alla sua fruizione? Ma qual è il cuore pulsante della città? Non è una nuova centralità un laboratorio d’arte contemporanea?

Il museo Guggenheim di Bilbao, opera dell’architetto americano Frank O. Gehry, non ha forse trasformato un’area marginale come l’ex zona industriale della città dapprima in una nuova centralità urbana e successivamente la stessa Bilbao in uno dei centri più importanti al mondo per l’arte contemporanea?

La domanda più appropriata che dobbiamo porci è perciò la seguente: qual è stato il centro della città nei giorni della manifestazione? Dov’era in quei giorni il cuore pulsante di Apricena, in una qualsiasi piazza cittadina o laddove attraverso l’arte si rappresentava la vita?

La scelta perciò di un luogo comunemente percepito come marginale e sicuramente non agibile, non adatto all’uso, nel senso più proprio del termine, ci ha fatto scoprire un luogo “fertile” per far nascere e successivamente contemplare l’opera d’arte. In questo senso possiamo parlare allora di centro marginale, dove per centro s’intende una centralità transeunte e per marginale una condizione anch’essa transitoria. Ovvero centro e margine nella condizione contemporanea sono funzione della posizione che scegliamo per osservare i fenomeni.

Tutto ciò, infine, mi fa tornare alla mente i versi di una canzone di Fabrizio De Andrè che cantava: Ama e ridi se amor risponde, piangi forte se non ti sente, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.


Theorèin - Ottobre 2007