IN MEMORIA DI OSCAR LUIGI SCALFARO

A cura di: Vito Sibilio

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E' scomparso Oscar Luigi Scalfaro. Il personaggio, ancora oggi capace di suscitare polemiche, è stato senz'altro uno dei più importanti della storia della Repubblica. A cadavere ancora caldo, e con una posizione politica molto libera, mi viene di fare alcune riflessioni.

Scalfaro ha attraversato i decenni del potere democristiano da notabile, ben radicato nel suo collegio novarese ma mai invischiato nella politica correntizia e nelle sue degenerazioni. Delfino di Scelba, avversario storico del centrosinistra e del compromesso storico, ha rappresentato meglio di tutti il moderatismo conservatore DC, ostile al comunismo e allo statalismo perchè formato nella dottrina sociale cattolica non ancora riveduta e corretta da Fanfani e Moro. Deputato dalla Costituente, come tutti quelli della sua generazione ha considerato la Carta costituzionale più come l'erlebnis, il vissuto fondativo della Repubblica, prima ancora che la sua legge fondamentale; il suo mastice, più dell'epopea, chiaroscurale, della Resistenza. In questi due elementi si comprende l'irriducibilità della sua opposizione al berlusconismo, specie in quella prima fase in cui sembrava che l'elettorato moderato dovesse per forza scegliere tra un'adesione acritica al bonapartismo di Arcore in salsa liberal e la dismissione indecorosa di ogni eredità politica democristiana e centrista. Col suo settennato, comunque lo si giudichi, Scalfaro ha dimostrato che si poteva essere moderati senza essere berlusconiani e riformatori senza sacrificare il dettato costituzionale. In questa maniera, l'uomo che, in seguito all'esito del referendum elettorale sulla preferenza unica, aveva decretato la fine della legislatura 1992-1994, in quella successiva mostrò come si dovesse mantenere ferma la costituzione formale dello Stato senza che quella materiale prendesse il sopravvento. Il che, in un momento in cui un partito-azienda sembrava doversi fondere con lo Stato stesso, non fu poco. Che lo si accetti o meno, ciò contribuì molto a far sì che quel partito fosse in seguito meno azienda e più movimento politico. La centralità del Parlamento trovò in lui un indefesso assertore e il cambio di maggioranza della Lega, in ossequio alla libertà di mandato degli eletti, gli apparve una conseguenza logica – anche se traumatica – in un sistema come il nostro. La storia repubblicana aveva già visto tanti mutamenti di maggioranza, solo che la continuità poliitica delle legislature e dei governi era stata data dalla persistenza della centralità della DC, mentre nel 1994 tutto si giocava sulla Lega; in quei frangenti, Berlusconi perse infatti l'occasione di avviare quelle riforme che in parte ancora oggi si attendono e che solo un governo sostenuto da ampie maggioranze poteva fare. Tuttavia il nome di Dini, fatto dal Cavaliere per la successione, fu ben speso dal presidente Scalfaro e fece sperimentare al Paese una costruttiva tregua la cui buona fama ha contribuito non poco oggi alla nascita del Governo Monti, che ha potuto però contare su di un atteggiamento molto diverso da parte di Berlusconi.

Ma Scalfaro non fu solo l'uomo del Governo tecnico. Fu anche il grande supplente della politica che fece argine nelle istituzioni allo strapotere della magistratura (a cui rinfacciò il tintinnar di manette innanzi agli inquisiti); fu il garante dello spirito legalitario innanzi alle tentazioni di colpi di spugna indifferenziati; fu il rappresentante di un presidenzialismo di fatto che s'innestò su di un parlamentarismo di diritto, quasi a dimostrarne l'esaurimento storico; fu il difensore di quel parlamentarismo, che a buon titolo considerava sempre migliore di un riformismo spesso avventuristico (e il referendum del 2006 mostrò che l'elettorato condivideva questa valutazione) ma nello stesso tempo il promotore di un dialogo costituente (con la famosa Bicamerale) che fino ad oggi rimane l'unico sforzo tentato in tale senso; fu infine colui che portò un post – comunista a Palazzo Chigi, Massimo d'Alema, attestando che gli eredi del PCI si erano ormai pienamente inseriti nella vita democratica del Paese.

Laico come De Gasperi – che aveva ironizzato sul fatto di non aver mai ricevuto gli Ordini sacri e che gli aveva profetizzato che avrebbe "regnato"- Scalfaro fu cattolico militante e coerente, di soda pietà, che senza clericalismi condusse, anche sul fronte considerato più secolarizzato nella nostra politica (quello del Centrosinistra), una coerente e vittoriosa battaglia prima contro l'abolizione della Legge 40 e poi contro i DI.CO. Chiamato in un famoso libro "Re della Repubblica", come Presidente ha tracciato le coordinate di un presenzialismo graduabile a cui si sono attenuti Ciampi e Napolitano, meno ciclotimico di quello di Cossiga, più trasparente di quello di Gronchi, meno pittoresco di quello di Pertini ma più fattivo e congruo di ognuno di questi. Dopo la fine del settennato – a cui avrebbe voluto, a mio avviso, che seguisse una proroga – ebbe la soddisfazione di vedere suo successore un uomo, Ciampi appunto, che lui stesso aveva introdotto nella politica attiva designandolo per Palazzo Chigi. Sponsor attivo di Prodi e acerrimo nemico degli escamotages giudiziari con cui il Centrodestra voleva risolvere le pastoie giudiziarie di Berlusconi (verso il quale gli rimase sempre la diffidenza, tutta cattolico-conservatrice, verso la militanza massonica e la carriera imprenditoriale), durante il periodo del suo laticlavio vitalizio Scalfaro fece politica attiva senza particolare rumore, subendo a volte un ostracismo massmediatico decretato da Berlusconi che forse ci ha privato di testimonianze vivide e vivaci sulla storia di sessant'anni di Repubblica. Ovviamente ognuno può valutare diversamente le ricadute storiche della sua azione politica (per esempio l'acquiescenza verso le intemperanze secessionistiche, invero tutte verbali, della Lega dal 1994 al 1996), ma obiettivamente, ora che il Presidente è scomparso, non si può non vedere dietro la sua azione, come in filigrana, il dispiegarsi di tutte le opzioni politiche che poi la Seconda Repubblica ha conosciuto, anticipate dalla stessa versatile strategia istituzionale del defunto. Per cui quest'uomo di altri tempi - la cui personale integrità non si è potuta scalfire nè con anacronistiche polemiche sulle condanne a morte che egli, legalmente, inflisse nei drammatici tempi del Dopoguerra ad alcuni militari della Guardia Nazionale Repubblicana di Salò, nè con le pilotate confidenze dei maneggioni e nostrani 007 colti con le mani nella marmellata – quest'uomo di tempra che seppe fronteggiare a viso aperto le campagne diffamatorie orchestrate contro il più alto Colle di Roma, scandendo con voce stentorea, ingentilita dall'erre moscia, il suo "Non ci sto", è forse da considerarsi, più di tanti rumorosi personaggi a lui coevi, il vero apripista della seconda fase della storia della Repubblica, il cui approdo, nebbioso, ancora non riusciamo a vedere. Anche per la scarsa disponibilità di politici di tempra come Oscar Luigi Scalfaro.


Theorèin - Febbraio 2012