RIFLESSIONI SUL FONDAMENTALISMO ISLAMICO
IN RELAZIONE AL CASO DI BENEDETTO XVI

A cura di: Vito Sibilio

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Stiamo assistendo con sconcerto al dilagare di un’ondata di fondamentalismo sanguinario e guerrafondaio, che sta spazzando il mondo musulmano, zittendo le sue componenti più avvedute ed equilibrate e cercando di compattare in un solo fronte jihadista tutti i fedeli, additando loro un nuovo nemico religioso, papa Benedetto XVI, le cui parole sono state sistematicamente travisate e fraintese, e a cui non si perdona di aver anche solo menzionato i pareri negativi di Manuele II Comneno sul Profeta, sebbene egli non li condividesse. Alcune puntualizzazioni urgono, a mio avviso, nell’assordante silenzio che ha circondato il Pontefice, che in queste giornate vive il suo Gethsemani.

La prima cosa che va puntualizzata è che, in una società globalizzata, quel discorso tanto esecrato quanto sconosciuto, ha avuto il merito di ricordare a tutto il pianeta che la guerra santa è irrazionale, e che l’irrazionale è contro il volere divino, artefice dell’ordine razionale. Papa Ratzinger, forse con meno consapevolezza di quanto si creda – perché se avesse previsto le conseguenze del suo discorso, avrebbe taciuto – ha rotto l’omertoso silenzio che circonda i punti più controversi della dottrina coranica e – senza polemizzare direttamente con essi – ne ha denunziato l’inadeguatezza proprio da un punto di vista umano. La guerra non può essere santa, indipendentemente dalla ratio teologica che la sostiene, e dalla religione che la predica. L’Islam non è sotto processo, ma non può essere escluso. Questo chiaramente appare blasfemo agli occhi dei fondamentalisti, ma in realtà corrisponde all’esigenza più autentica dello stesso Islam. Esso, infatti, dovrà necessariamente aggiornare e acquietare la sua dottrina sulla Jihad – alla quale non potrà mai rinunciare del tutto perché pur sempre custodita nel Corano – interpretandola in modo meno bellicoso – come del resto accadeva fino a qualche decennio fa – e più spirituale – essendo essa una lotta contro il male, da compiersi anzitutto dentro se stessi. Se l’Islam non sarà capace di cogliere lo spunto ad un tempo mistico e razionalista che gli viene dalla cultura occidentale, cristiana ed illuminista ad un tempo – capace una volta tanto di legare in una sintesi positiva questi due elementi – perderà l’occasione offertagli dalla Storia di riproporsi come religione universale, e quindi adatta a tutti, anche a quei popoli che non vogliono ripiombare nella barbarie. Dobbiamo allora considerare il Papa come un maestro irenico, di tutte le fedi? Niente di più errato. Benedetto XVI rappresenta l’ala sana della teologia post-conciliare, che non si è lasciata sedurre dal miraggio para-massonico dell’unificazione delle fedi, ma che ha mantenuto alta la bandiera dell’identità, concependo il dialogo interreligioso per quello che è, ossia uno strumento – e non un fine – di relazione umana. Joseph Ratzinger mirava semplicemente a ragionare su un elemento di etica, condivisibile da tutti, proprio perché fondato sulla razionalità, e quindi utile a tutti. La congiura antiislamica lamentata dall’Imam sciita iraniano, l’ahiatollah Kamenhei, non ha certo in Benedetto XVI il suo anello mancante, e se l’illustre capo spirituale, che ha lamentato l’ignoranza del Pontefice in campo coranico, avesse ascoltato tutte le allocuzioni tenute dallo stesso Papa in terra tedesca, avrebbe notato con quanta partecipazione quest’ultimo ha rivendicato l’identità della fede cristiana e il valore della fenomenologia religiosa in genere dinanzi alla marea montante del secolarismo.

La seconda cosa è più che altro una stigmatizzazione. Il discorso del Papa ha una forte matrice illuministica, oserei dire quasi kantiana, sebbene abbia seguito un conciso metodo scolastico. Nonostante ciò, il mondo occidentale e l’Europa in testa, figli della cultura dei Lumi, non hanno speso una parola per il Papa, né di difesa né di mediazione, credendo che, trincerandosi nell’afasia, possano scampare dalla vendetta dei fanatici. Ma non hanno capito che questi non cercano altro che pretesti per attaccare anche loro, accomunandoli tutti in un unico, rovente disprezzo, che crescerà per questa vile acquiescenza. E non hanno capito che il silenzio attorno a un Papa che parla della pace e della religione alla luce della ragione è il silenzio attorno ai principi costitutivi della nostra convivenza umana – nazionale e internazionale- ossia attorno a dei principi laici, evidentemente molto più cari a Benedetto XVI che a quello delle ciniche cancellerie delle grandi potenze. Particolarmente vergognoso il contegno del Governo italiano, incapace di misurarsi con la portata internazionale e storica della crisi, racchiuso nella meschina volontà di non lasciarsi irretire da polemiche che finirebbero per avere risvolti interni alla propria maggioranza, nicodemicamente intento a trame diplomatiche di cui non vi è traccia alla luce del sole. Dinanzi al nemico jihadista – chiamiamolo come esso vuole essere chiamato, invece che spregiativamente terrorista – che concepisce l’Occidente come una umma in cui convivono Stato e Chiesa, proiettando su di noi le proprie categorie mentali, e che quindi, minacciando Roma, vuole consapevolmente minacciare anche l’Italia, e nonostante i due brutali assassini di italiani all’estero, l’Esecutivo in carica non ha inoltrato alcuna protesta, non ha chiesto garanzie per gli Italiani residenti ai Governi dei Paesi squassati dalle proteste, non ha chiesto a quelle autorità di non soffiare sul fuoco della contestazione, perché ciò può avere ricadute sulla sicurezza della nostra nazione, producendo attentati. E se pure ha fatto qualcosa del genere, lo ha fatto talmente in sordina, da mostrare di avere più a cuore la benevolenza di Paesi aggressivi e di moltitudini oggettivamente fanatiche che il morale del popolo italiano, obiettivamente disorientato dallo stolido ottimismo ostentato da certi politici o dal loro stupefatto sconcerto, inane e vuoto di iniziative concrete. Il silenzio delle nazioni UE e NATO, legate all’Italia, nazione oggetto di aggressione verbale, è altrettanto demoralizzante: la dialettica di una politica dei diritti per i diritti si ritorce contro chi la fa senza tutelare quelli collettivi della sicurezza e del rispetto reciproco, che proprio nello Stato trovano di solito il loro difensore, per cui abbiamo dovuto assistere alla infame processione islamica in Londra verso l’abbazia cattolica di Westminster, culminata con la richiesta della condanna a morte del Pontefice, tollerata in nome di una schizofrenica concezione della libertà di parola, che toglie la voce a chi dovrebbe difendersi e la dà a chi offende. Non c’è da meravigliarsi se il fanatismo islamico non ci concede reciprocità, e brucia in effige il Santo Padre e la bandiera vaticana: siamo noi stessi che non la vogliamo, incapaci di denunziare un fatto elementare, e cioè che le turme fanatizzate si stanno comportando in modo peggiore da quello da esse presuntivamente addebitato al Papa. E la sequela delle violenze, tetro rosario di morte, che già da tempo viene sgranato, senza alcun pretesto papale, continuerà nel silenzio dei media, per i quali non è politically correct denunziare i massacri se fatti sui cristiani: già alcune esecuzioni capitali di cristiani si preparano, con coincidenza illuminante, in Indonesia. L’Occidente, dopo aver abiurato la difesa del Cristianesimo, ha lasciato cadere anche quella dei diritti umani. E il contegno del Capo dell’Esecutivo italiano è stato sintomatico dello stato della classe politica internazionale: ha lanciato la proposta di togliere l’embargo militare alla Cina, bestia nera di Amnesty International, nei giorni in cui molte nazioni musulmane si candidavano a posti prestigiosi nella classifica degli orrori incendiando chiese e minacciando cristiani. L’Occidente sembra fingere di non sapere che quelle manifestazioni, pur nel loro fanatismo, sono il mezzo di pressione intimidatoria che, in una società globalizzata, può servire a spaventarlo. Basta mostrare contegno e fermezza e l’arma si spunta da sé: in effetti più in là certi Stati non possono andare. Pensate cosa succederebbe all’Iran se l’Italia troncasse i rapporti economici, o se la Germania lo facesse con la Turchia; o cosa succederebbe a Mubarak e a Musharraf se gli USA togliessero loro l’appoggio militare, o se buttassero fuori dalla SEATO l’Indonesia o la Malesia. Sarebbe la crisi economica e la fine di certi potentati, spesso a favore di quei gruppi jihadisti che essi cercano di utilizzare come l’apprendista stregone. A queste condizioni, basterebbe alzare un po’ la voce per mantenere la tranquillità mondiale, perché l’Occidente e le nazioni musulmane sono molto più legate di quanto non sembri. Ma solo i musulmani l’hanno capito fino in fondo. E l’affondo di Kamenhei sulla congiura sionista, americana e cattolica è molto più politica di quanto non sembri: serve a compattare il fronte islamico e a rivendicare la leadership revanchista agli Sciiti, di cui egli è guida, oscurando di colpo le forti differenze politico-religiose dei vari gruppi musulmani. E’ il sogno della lotta globale panislamica, di cui i cittadini musulmani occidentali dovrebbero essere la quinta colonna, e i cristiani dei loro Stati le prime vittime, nel quadro di un repulisti non etnico, ma religioso.

Deliri, si dirà. Ma va ricordato che anche il delirio (contro gli Ebrei, contro i Kulaki, per amore del potere) è forza motrice della storia, e che l’esercito del terrore corrisponde bene alle caratteristiche sottese all’appello del Capo sciita. Una volta messo in moto il meccanismo, neanche l’influente ahiatollah potrebbe fermarlo.

E l’esito si è visto subito: all’intento iraniano di creare il fronte anticristiano, si è contrapposta la manovra di G.W.Bush di legare, sia pure con fair play, le sorti della sua politica alla difesa del Pontefice, in un discorso in cui, dopo aver dato credito ai chiarimenti ratzingeriani, ha attaccato Teheran e ha parlato dell’Iraq, nel cui ventre molle si annidano i terroristi che hanno minacciato Roma. In fondo, è una buona occasione per l’Amministrazione americana che ha tanto conteso con papa Wojtyla per la Guerra nel Golfo, e che ora può cercare di arruolare nella sua battaglia una Chiesa Cattolica senza sponda. Può cercare, ma non è detto che ci riesca. L’offensiva diplomatica della Santa Sede, a suon di chiarimenti dei Nunzi Apostolici, unita al timore di vedere il Cristianesimo veramente e non surrettiziamente schierato a crociata con una potenza il cui arsenale può distruggere tutto il mondo islamico, ha già indotto Ahmadineajead a formulare una parziale autocritica.

La terza è una conseguenza di quanto detto: nonostante l’elogio ratzingeriano del copioso patrimonio spirituale dei musulmani, noi ci troviamo improvvisamente in guerra, perché la fatwa di Al-Qaeda (sunnita) ha già colpito Roma. Ci si può rifiutare di dichiarare le guerre, ma quando si viene attaccati, bisogna difendersi. L’intellighenzia occidentale, da El Pais al New York Times a Repubblica, ha creduto di poter liquidare tutto come un’errore di strategia del Papato, a cui, nell’era Ratzinger, andrebbe addebitata una minore volontà di dialogo, spostato ad un campo più culturale che religioso. Così Marco Politi a Primo Piano su RaiTre. Evidentemente il laicismo imperante vorrebbe l’irenismo religioso come contravveleno al terrorismo, e ridurre al minimo le differenze dogmatiche per promuovere un’asettica e astratta etica della convivenza. La minaccia che Kamenhei vede per l’Islam, quindi, non abita in Piazza San Pietro, ma in ben altri luoghi, ed è tale pure per il Cattolicesimo. Male non sarebbe se certi intellettuali si rendessero conto che, se per caso Ratzinger avesse citato il giudizio negativo di un terzo su Buddha o Confucio, non sarebbe stato ammazzato nessuno. Il problema non è nell’emittente del messaggio, ma nel ricevente. E stiamo pur certi che questo ricevente disprezza il laicismo più del Cristianesimo, e riserverebbe sorte peggiore a uno Zapatero o a un Blair, per la loro politica familiare, che al cardinale Ruini – l’unico personaggio politico che si è mosso con fermezza e dignità. La cultura dominante non è attrezzata per la sfida globale: considera queste dispute un pettegolezzo di monaci come Leone X considerava la disputa di Lutero. Il risultato lo conosciamo, ma forse oggi la posta è più alta.

E’ possibile proseguire il dialogo? Esso è certo un valore, ma non è sempre praticabile, anche perché per dialogare bisogna essere in due. Certo continueranno i dialoghi, ma ormai il solco è segnato, e la propaganda ha diffuso l’idea del Papa – genio malvagio, anche attraverso raffigurazioni sgradevoli che mettono in caricatura il suo fisico, e che lo decorano con la svastica, richiamo alle sue origini tedesche ma anche tentativo di fare dei musulmani, a posteriori, le vittime di Hitler al posto degli Ebrei, e non, come a volte fu, dei suoi alleati. Fino a che l’Islam non si smarcherà dall’estremismo parlare sarà sostanzialmente inutile. Si continuerà a farlo (e la Santa Sede, preoccupata delle minoranze cattoliche nel mondo islamico, sarà la prima), ma i nodi concettuali rimarrano irrisolti, e torneranno al pettine, e non certo per le scelte di Ratzinger. El Pais potrà pure deridere la Chiesa pacifista per il suo passato pieno di guerre, dimentico del fanatismo tradizionale del suo popolo che le combattè tutte e che si formò nella guerra contro i Mori, ma le questioni sono altre. E’ l’ambigua alleanza tra le democrazie e i Wahabiti sauditi, che t’ammazzano se porti al collo il Crocifisso; è l’interdipendenza economica tra Stati che si disprezzano; è la mancanza di tolleranza verso i non musulmani in spregio spesso alla stessa legge coranica nei paesi islamici; è la discriminazione delle donne; è la clonazione in Occidente di certe violenze all’interno delle comunità islamiche; è l’illusione che il terrorismo sia un fatto marginale; è la rimozione delle differenze etiche perché si ha paura di affrontarle. E’ necessario mostrare fermezza e dignità, cominciando finalmente a smettere di illudersi che la strada dell’integrazione globale sia semplice e facile: le famose regole, che sono dettate dalla ragione elogiata dal Papa, devono essere finalmente pretese sia a livello nazionale che internazionale. Se non ci sarà questo, e se l’Occidente, che è ancora bene o male la testa del mondo, vorrà omettere questo dovere per una vile neutralità immemore di qualsiasi legge morale e umanitaria, l’avanzata della violenza, imbaldanzita dalla debolezza, sarà una cavalcata nel deserto, senza ostacoli, disseminatrice di morte, e speriamo non tra i ruderi di San Pietro, simbolo di una cristianità ormai avvizzita e di una umanità ferita a morte.


Theorèin - Ottobre 2006