RIFLESSIONI SULL'ARTE

A cura di: Carlo Bascelli
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Acqua calda e acqua fredda.
Ho visto ultimamente una serie di mostre che nascono come tentativi di forzare l’opinione pubblica ad accettare una visione del mondo senza possibilità di ulteriori modifiche.
Sono, questi, tentativi di “normalizzare” l’inquietudine interiore, la disarmonia delle parti di un’opera, la logica di possibilità di senso, portando a rendere accettabile uno stato di ansia, di paura e di vacuità della vita, aspetti che assolutamente NON SONO fondamentali per l’uomo, né vivibili, né accettabili, mai.
Nessun uomo accetta l’inquietudine a meno che non vive già in un inferno.
Come si può accettare l’opinione di un artista che ti dice: queste sono le cose, il mondo è sempre cattivo, tutto segue una parabola discendente, pensa solo a vivere il momento presente… esiste solo la paura, l’ansia… che ti permette di creare.
Ma io credo che di questa “ansia creativa” non sappiamo realmente che farcene, né artisti né il pubblico che osserva.

A questo proposito è quasi automatico pensare alla televisione.

Accendo su i canali internazionali, vedo i titoli che propongono (alla stessa ora del giorno, quasi nello stesso momento, anche sui cosiddetti “canali culturali”):

armi di distruzione di massa nella seconda guerra mondiale
come creare da soli un missile
costruzione di mega strutture
mega machines (ad esempio una motosega gigante che tritura 10 alberi in 5 minuti)
come costruire prototipi di occhiali a raggi x
come vengono fabbricate le armi nucleari
le fobie (eccellente documentario tra l’altro)
ennesimo documentario sul Colosseo
gli animali velenosi della terra
le catastrofi naturali del pianeta
come costruirsi un bunker in caso di guerra(!)
e qui viene alla mente il film “Così parlò Bellavista” con la scena della casa-bunker.

Insomma, come dire: tiriamoci addosso tutte le sfighe del pianeta.
Perché il messaggio è: se non ti informi sei spacciato.
E così sarebbe un messaggio positivo se non fosse che dopo un’ora di queste “terribilità” ti prende un’ansia di metterti al riparo, di sfuggire da possibili accidenti, di arrestare la vita tra mille infinite paure.

Il risultato è che la mente non pensa più alla vita ma alla morte, alle possibilità della paura, al dramma. Se il dramma è presente, anche inconsciamente nella testa, la visione è condizionata per sempre, almeno fino all’accaduto. Ma quando avviene l’accadimento, il concreto segno negativo, di qualunque entità, finisce solo col rafforzare la paura stessa.

Se ci mettiamo al riparo dalle paure che immaginiamo solamente non stiamo più vivendo, ma vegetiamo, scompariamo.
Non si vive quando il cuore batte più forte ma quando esso è veramente sereno.
Abbeverarsi alla serenità, alla disposizione positiva verso il “qualunque” che verrà, è questo che fa vivere veramente. E in questo l’arte può fare tanto, grazie al semplice colore, alla linea, alla luce.


Theorèin - Agosto 2008