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Ho visto ultimamente una serie di mostre che nascono come tentativi di forzare l’opinione pubblica ad accettare una visione del mondo senza possibilità di ulteriori modifiche.
Sono, questi, tentativi di “normalizzare” l’inquietudine interiore, la disarmonia delle parti di un’opera, la logica di possibilità di senso, portando a rendere accettabile uno stato di ansia, di paura e di vacuità della vita, aspetti che assolutamente NON SONO fondamentali per l’uomo, né vivibili, né accettabili, mai. Nessun uomo accetta l’inquietudine a meno che non vive già in un inferno. Come si può accettare l’opinione di un artista che ti dice: queste sono le cose, il mondo è sempre cattivo, tutto segue una parabola discendente, pensa solo a vivere il momento presente… esiste solo la paura, l’ansia… che ti permette di creare. Ma io credo che di questa “ansia creativa” non sappiamo realmente che farcene, né artisti né il pubblico che osserva. A questo proposito è quasi automatico pensare alla televisione. Accendo su i canali internazionali, vedo i titoli che propongono (alla stessa ora del giorno, quasi nello stesso momento, anche sui cosiddetti “canali culturali”): armi di distruzione di massa nella seconda guerra mondiale
Insomma, come dire: tiriamoci addosso tutte le sfighe del pianeta.
Il risultato è che la mente non pensa più alla vita ma alla morte, alle possibilità della paura, al dramma. Se il dramma è presente, anche inconsciamente nella testa, la visione è condizionata per sempre, almeno fino all’accaduto. Ma quando avviene l’accadimento, il concreto segno negativo, di qualunque entità, finisce solo col rafforzare la paura stessa. Se ci mettiamo al riparo dalle paure che immaginiamo solamente non stiamo più vivendo, ma vegetiamo, scompariamo.
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