Il 1998 è stato un anno importantissimo per fare il punto della situazione su uno degli artisti fondamentali del Rinascimento italiano: Lorenzo Lotto.
Da questa data gli studi e la bibliografia riguardo questo straordinario artista si è notevolmente arricchita, permettendo di approfondire in particolar modo, la sua cultura alchemica ed "ermetica".
L'opera di questo artista, oscurata dal successo e dagli splendori di Tiziano, Michelangelo o Raffaello, (ma anche dall'apparato encomiastico e retorico che da subito ha da subito circondato questi straordinari artisti ) è stata riscoperta in tempi piuttosto recenti nelle sue novità, nelle sue stranezze e nella sua straordinaria qualità e sostanza intellettuale, religiosa e speculativa.
Durante la sua vita Lotto seguì un percorso unico e originalissimo che dopo averlo portato ai massimi successi della sua professione (fu il primo pittore veneto a lavorare nei Palazzi Vaticani dal 1509 al 1511 ca.) lo allontanò da essi. Ciò accadde certamente non per imperizia ma a causa delle originalissime scelte formali e implicitamente etiche e dialettiche rispetto alla pittura dell'ufficialità romana e papalina. Trovò una sua dimensione e riconoscimento nelle ricche provincie bergamasche, marchigiane, trevigiane, provò se stesso a Venezia, ma finì per essere considerato un "sorpassato" nell'arte, quanto un insuperato nell'esperienza religiosa, dall'irridente lettera di un tronfio Pietro Aretino nell'aprile del 1548. Finì i suoi giorni come Oblato nella Santa Casa di Loreto, impegnandosi pare sia come precettore di giovani scapestrati, che come pittore di insegne e naturalmente come artista inarrivabile in una sconvolgente "Presentazione al Tempio" tuttora conservata nel Museo della Santa Casa.
Lotto è tra l'altro, il pittore meglio conosciuto dalla critica anche dal punto di vista umano e personale in quanto si sono conservati di lui numerosi documenti, lettere, testamenti, libri contabili (a metà tra regesti e diari) attraverso i quali è stato possibile studiare aspetti psicologici e intimi dell'artista, singolare anche dal punto della vicenda biografica .
La possibilità di indagare così a fondo nella sua intimità e nella sua psicologia è stata di enorme importanza per gli studiosi , ma ha anche costituito talvolta un limite per la comprensione della sostanza della sua pittura: si è considerato Lotto in base a ciò che egli disse di se in lettere e documenti, privilegiando quegli aspetti particolari cari alla sensibilità romantica che lo rendevano assimilabile al cliché dell'artista "genio incompreso", ribelle, turbolento, introverso.
Eppure niente del genere si può propriamente dire della sua arte: Lotto era un artista così come lo si deve intendere nel Cinquecento, legato alle committenze e alle loro necessità: il "mestiere" della pittura aveva delle sue regole e delle sue necessità e ne l'arte era concepita come modo di esprimere se stessi. L'originalità di Lorenzo Lotto è stata quella di indirizzare la sua produzione artistica su ambienti che tollerassero una certa libertà di soluzioni che andava di pari passo con la sua necessità di discutere per via di pittura, i grandi temi dell'arte figurativa del tempo.
Non solo, ancora romanticamente a partire da alcuni suoi scritti, si è creata l'immagine di un uomo insicuro, "balbettante", umiliato, rissoso, quasi banderuola nelle circostanze degli affetti e delle relazioni umane. Ma questo modo univocamente patetico di leggere la sua vicenda umana è totalmente in contrasto rispetto a quello che mostrano le sue scelte artistiche: precise, chiare, senza compromessi, libere e soprattutto coscienti, progettate, meditate, permeate di una religiosità autentica, vissuta (a detta degli stessi contemporanei), e per di più moderna, dialogante, serena anche in un periodo travagliato e drammatico come quello degli anni in cui ha vissuto. Certamente Lotto è una personalità problematica ma credo che a giudicare da ciò che ha fatto, non gli sia mai mancata la personalità, l'indipendenza, la decisione, la coerenza con una sua formazione spirituale di grande caratura e niente affatto vuota.
Come la critica continua a rilevare, i dipinti del Lotto hanno una tale personalità, una tale autonomia di scelte, pur rimanendo nella tradizione, da indicare che in lui dicotomia tra le regole del mestiere e la capacità speculativa personale sui temi e sui ritratti realizzati, non esiste. Se mai i suoi scritti hanno registrato alcuni momenti di abbattimento, ma mai delle reali sconfitte o delle abdicazioni alla sua coerenza intellettuale.
Penso che ciascun essere umano vada riconosciuto tanto per quello che dice di se quanto per quello che poi realmente compie: negare questo a Lorenzo Lotto, separando il suo dipingere dal suo scrivere , significa non saper più collocare la sua somma arte nel giusto ruolo che le spetta: specchio umanissimo, spirituale e autentico che svela le vacuità della retorica presumente della cultura di successo. Significherebbe fare di Lotto non l'eccezionale pittore che fu, ma solo una voce bizzarra e solitaria, come faceva comodo e come fa comodo ai vecchi e nuovi "aretini".
L'opera di Lotto va studiata attraverso una comparazione più attenta e meno romantica tra il suo essere interiore e la sua attività come artista: le conquiste e le scelte della sua pittura sono un contrappunto necessario alla valutazione delle sue dichiarazioni personali .
Il risultato della pittura lottesca sicuramente fino all'ultima partenza per le Marche, nel 1549 segue delle scelte ben meditate e non mi sembra di cogliere casualità nel suo operare. Lotto ha piena coscienza anche delle conseguenza delle sue scelte, ma tiene fede fino in fondo ad un suo modo di concepire la professione e l'attività di artista E basterebbe a conferma di ciò, indagare nelle opere "bergamasche", in particolare quelle collegabili alla sua cultura ermetica e alchemica.
Lotto andrebbe sempre considerato tra questi due "specchi": l'evolversi della sua pittura è segno inevitabile della personalità problematica che emerge dagli scritti, e la sua pittura è critica attiva all'arte dell'ufficialità ma meno che mai le sue scelte espressive possono essere dette indecise. Al contrario, ciascuno dei suoi momenti figurativi è segno di lucidi atteggiamenti critici verso tanta pittura ufficiale del tempo: fino al 1508 è rigetto meditato e studiato del giorgionismo in nome dell'esattezza nordica di Durer, dopo il 1512 del raffaellismo, ignoranza ostentata del michelangiolismo, dialettica sottile con la moralistica retorica tizianesca in un duello a distanza tra due concezioni diversissime della "persona" ; è scardinamento sistematico e costante della vuota retorica formale del Manierismo pur nell'uso di una impaginazione aperta e dinamica delle composizioni pittoriche.
A questo proposito è illuminante la sua straordinaria ritrattistica, talmente "dentro" l'essere della persona, da fare del ritratto non la "rappresentazione" di un ruolo sociale (al quale era costretta la ritrattistica ufficiale e celebrativa desiderata dagli spesso tronfi committenti del pur umanissimo Tiziano) ma un "racconto" dell'esistenza.
La dimensione narrativa, il "percorso" nell'immagine e nel dipinto è una caratteristica sostanziale dell'arte lottesca: le recenti indagini critiche sulla sua ritrattistica hanno evidenziato come Lotto costruisse attraverso sottili riferimenti figurativi, nel ritratto, la spiegazione della "storia" del personaggio, dei suoi sentimenti, delle sue aspettative, delle sue scelte; altrettanto accade nelle "tarsie" del Duomo di Bergamo, o nelle grandi pale marchigiane di Cingoli, Jesi e nell'incredibile "Crocifissione" di Monte S.Giusto .
Rivoluzionari gli scomparti di predella della pur retorica "Pala Martinengo", nuovissima la ritrattistica del periodo bergamasco, vero specchio di una società, travolgente la potenza narrativa degli affreschi con le Storie di S.Barbara a Trescore Balneario un "unicum" della pittura rinascimentale, o quella del Polittico di S.Lucia a Jesi: gesti, emozioni, personaggi, anima, ambienti, culture, scelte etiche e ascetiche evocate con una potenza di sintesi talmente originale da stravolgere i canoni iconografici e farsi accettare agli stupiti committenti della provincia, gli unici che potessero comprendere questa pittura perché il loro occhio non era stato ancora anestetizzato dalle necessità retoriche e ideologiche della pittura "importante".
Realizza nelle Marche capolavori incommensurabili, che da soli svelano l'inganno di un arte come quella della "maniera" che guardava più a se stessa e alle funzioni di propaganda ideologica che alla sostanza spirituale di ciò che rappresentava, capolavori che fanno impallidire di sconcerto per il vuoto che si tocca nei balletti composti di un Raffaello, o nelle cerebralità solipsistiche michelangiolesche: "L'Annunciazione" di Recanati, "la Crocifissione" di Monte S. Giusto " La Pala del Rosario" di Cingoli solo per accennare ad alcuni brani straordinari per sostanza spirituale, novità formale, invenzione esecuzione.
La medesimezza umana del Lotto con ciò che dipinge e realizza é tale da non nascondere niente di ciò che è veramente umano: la stessa ironia, un sorriso leggero e corrosivo di ogni retorica aleggia in dipinti ufficiali e importanti quali la celeberrima "Elemosina di S.Antonino" nei SS.Giovanni e Paolo a Venezia, ricca di istanze sociali, di riflessioni ironiche sulla burocratizzazione della carità.
Qual'è dunque la verità sull'uomo - Lotto? E' possibile stabilirla? Non so, ma certamente è possibile superare la dicotomia che esiste tra ciò che ha fatto e ciò che sembra aver detto di se con uno studio più attento di alcune sue scelte esistenziali e artistiche e di alcuni suoi brani famosi che, letti appunto a partire da ciò che Lotto ha fatto, acquistano talvolta una piega ironica se non sarcastica che tiene conto tanto dei suoi limiti e delle sue incertezza, quanto dell'avventatezza e degli egoismi degli altri.
Come segnalava lo Zampetti le lettere di Lotto ai committenti dei disegni delle Tarsie per il Coro del duomo di Bergamo (altro capolavoro unico della storia dell'arte) vanno lette non semplicemente per quello che dicono, ma per quello che sottintendono e questo dovrebbe essere evidente in una personalità così competente e esperta nei "metalinguaggi" alchemici ed ermetici: in un caso citato proprio da Zampetti, la necessità del pittore di ricevere il denaro non lo porta ad implorare servilmente, ma ad un atteggiamento deciso, quasi sprezzante e certamente sicuro di se.
Ancora in una lettera ai committenti bergamaschi citata da Zampetti ci dimostra come possano essere lette "ambiguamente" le parole di Lorenzo: apparentemente sono una sottomissione ossequiente ad un rimprovero dei committenti, ossequiente al punto tale da quasi "rinunciare" alla propria intelligenza e al proprio metodo di lavoro. Ma questa esagerata sottomissione, se letta da un altro punto di vista fa emergere un sarcasmo e un ironia elegantissimi che dicono in sostanza che è molto più opportuno dichiararsi in errore, quali che siano le conseguenze, quando sono in molti a dichiarare la stessa "fesseria"; e quanto più Lorenzo calca la mano sulle sue incertezze, tanto più appaiono ridicoli gli errori degli altri .
Molti dei punti chiave dell'arte lottesca cominciano ad essere più chiari: si va rivelando come un artista dal sottile acume speculativo, orientato a discutere per via di pittura i grandi temi dell'arte figurativa del tempo, sia dal punto di vista della "forma" che dei contenuti: la sostanza religiosa del suo operare è oggetto da anni di vivaci discussioni sulla sua reale o supposta ortodossia ; la dimensione "narrativa", illustrativa appare costantemente sottesa anche alla sua ritrattistica: si tratta ben inteso di un "narrare per immagini" che è molto più di un "visibile parlare" iconologico inteso come traduzione in immagini di significati letterari: è una sintesi di azione, relazioni e simboli che richiede la capacità di percorrere il dipinto nel suo specifico essere, nella sua particolare relazione con committenze, avvenimenti, critica e personalità dell'artista stesso.
Il lavoro filologico importantissimo che la critica va oggi costituendo, rende possibile tentare ciò che Augusto Gentili auspicava in conclusione di un suo memorabile volume , una storia totale del Lotto che parta dal suo modo di vivere la pittura come professione, individuando in essa la "minima misura di intervento modificatore" che egli riesce sempre ad inserire e che sovverte in molti casi la necessità celebrativa della committenza attraverso, io direi, una voluta e ironica ambiguità in grado di dire comunque la verità: questa è l'irrinunciabile coerenza che ha segnato la sua sfortuna come pittore nel proprio tempo, ma anche la sua totale originalità di artista.
Theorèin -
Anno 2003