|
|
Siamo alla fine?
|
… in questo mese di maggio nella città di Pescara si sta intensificando una campagna di operazioni culturali nel campo delle attività artistiche davvero interessante. Sia ben chiaro che non ci permettiamo di discutere la validità e lo spessore di senso che viene proposto attraverso una lussuosa “rivista / oggetto” di cultura figurativa e un convegno (pieno di nomi famosi) al museo vittoria Colonna su una (per la verità, non meglio specificata) “No limits art”. Queste operazioni congiunte, preannunciate da alcune interviste comparse su giornali locali a ben affermati ed influenti galleristi, offrono molti spunti di riflessione, prima di tutto perché in entrambe le iniziative possiamo constatare dei comuni denominatori: il “critico” di riferimento e il coinvolgimento economico degli stessi sponsor (Comune e Provincia di Pescara, più aggregati). Si tratta di una concentrazione di energie economiche e mediatiche impossibile a qualsiasi altro operatore che non sia già stato santificato nella sua importanza dalla “comunicazione”, cioè da quei circuiti artistici “maggioritari” in grado di determinare, per via di ripetizione e presenza, la rilevanza di una personalità o di una espressione, rispetto alle altre. Le considerazioni che nascono sono varie, alcune positive altre meno: tra quelle positive sottolineiamo forse la possibile risoluzione della annosa e un po’ penosa vicenda del Vittoria Colonna che grazie a questo dispiego di energie e di interessi, forse vedrà la nomina di un curatore noto, per gestire una struttura che davvero potrebbe fare molto per la cultura artistica e per la notorietà mediatica di Pescara. Il curatore in questione è molto attivo nel nord italia e ben correlato con circuiti galleristici ed espositivi molto influenti e fattivi . Sempre in positivo, si prospetta un inserimento della città nel grande circuito espositivo della ricerca artistica anche se (meno positivamente) c’è da dire che in Italia questo circuito mostra poche condizioni di variabilità. In sostanza si possono notare mostre e rassegne sempre di stessi artisti che, detto francamente, non avrebbero bisogno di provare se stessi e verificare la loro ricaduta culturale, economica e commerciale in Abruzzo. Quindi c’è l’opportunità di un grande rilancio di eclatanti iniziative artistiche in regione, ma vale la pena di riflettere un po’ più nella sostanza e nelle conseguenze di ciò che sta accadendo … e veniamo quindi alle note meno positive e dal mio punto di vista, in fondo, preoccupanti. Che tipo di “cultura” si propone in queste iniziative ? Una cultura maggioritaria, fatta di cose che in realtà non avrebbero bisogno di consacrazioni particolari, anche perché spesso sono ben conosciute da chi lavora e opera già nel settore. Quale tipo di pubblico ( o di supporter) si può coinvolgere con questo tipo di operazioni ? Quello mediamente informato, meno autonomo e più dipendente dalla comunicazione … quindi sicuramente un pubblico più vasto ma certamente, meno critico e riflessivo, che ambisce a parlare del “già noto” poiché è il “noto” che certifica l’appartenenza al contesto “notabile”. Per altro la possibilità di allargare il pubblico e di ottenere visibilità grazie alla notorietà, risulta una operazione molto interessante per una Amministrazione pubblica che potrà contare quindi su una rilevanza mediatica maggiore poiché potrà più facilmente essere inserita nella “agenda” della comunicazione nazionale. In definitiva l’operazione culturalmente parlando, si prospetta come una ripetizione del noto, una proposta “ad usum provinciae” di ciò che è già consolidato come “rilevante” dalla cultura maggioritaria. “cui prodest”? La lista può essere lunga: innanzitutto a chi a vario titolo, ambisce ad inserirsi nelle aree “di rilevanza” mediatica; in sostanza, è un tentativo locale di inserirsi nelle leve decisionali di chi gestisce la comunicazione adeguandosi ai suoi principali contenuti. Vantaggi ne trae anche chi ha già questo potere e lo vuol consolidare con l’inserirsi in un territorio fin’ora non toccato; indubbi vantaggi vanno anche a chi gestisce commercialmente determinate produzioni artistiche e ha bisogno della “sponda istituzionale” (museo o fondazione) per far crescere la valutazione e la considerazione di ciò che possiede e propone presso nuovi potenziali collezionisti. Dunque la prospettiva culturale è quella di una ulteriore affermazione della solita cultura omologante e d’importazione, una operazione di “globalizzazione” che renderà il mercato e gli interessi abruzzesi più omogenei ad altre aree e ad altri contesti. In sé significa (positivamente) una uscita dal provincialismo e dal localismo, ma (negativamente) una assimilazione al già noto, un impedimento pratico per qualsiasi altra ricerca di identità. In sostanza, si potrebbe assistere ad una caduta nel “nuovo provincialismo”, quella mentalità che fa considerare notevole e degno di visibilità solo ciò che viene stabilito da chi è in grado di gestire e influenzare la comunicazione. Ma al di là della valutazione che ovviamente resta per ora una ipotesi, anche se estremamente probabile viste esperienze precedenti, la prospettiva più triste credo sia un’altra. Una simile operazione congiunta richiede un impegno di risorse economiche forte, in grado di assorbire buona parte di un bilancio per attività culturali di una Provincia o di un Comune, sicuramente non in grado di contare su risorse pari a quelle delle grandi concentrazioni urbane e imprenditoriali del Centro – Nord. Il che significa che per tutte le altre iniziative che sorgeranno a livello locale, per tutte le nuove proposte di giovani o per tutti gli altri operatori culturali, il “piatto” si ridurrà in modo considerevole. Ciò potrebbe essere un bene, al momento in cui si arriverà ad evitare quegli interventi a pioggia che hanno portato ad operazioni dall’altrettanto discutibile risvolto culturale, ma allo stesso tempo potranno essere penalizzate anche tutte quelle iniziative che miravano a sviluppare una ricerca sull’identità dei luoghi e delle esperienze, a partire dal territorio. Credo che complessivamente diminuiranno notevolmente le possibilità per i giovani di iniziare le proprie esperienze espositive e di ricerca con l’aiuto di strutture e risorse locali; essi saranno sempre più costretti a tentare esperienze “alternative” o verso “l’altrove”, passando attraverso la selezione delle gallerie e le regole mercantili che esse comportano: maggiore omologazione, minore autonomia creativa. Potrebbero ulteriormente diminuire le già risicatissime occasioni e risorse per studiosi e curatori indipendenti, perché non potranno reggere una tale concorrenza soprattutto mediatica. Diciamo dunque che in Abruzzo con questa operazione si corre il rischio dell’arrivo degli “ipermercati” della cultura artistica, di un invasione di prodotto “global” destinato a sbaragliare ciò che localmente si è prodotto grazie alla sua capacità di fornire servizi e attirare risorse. Del resto tutto ciò è già avvenuto con le grandi manifestazioni estive (concerti e spettacoli) che impiegano copiosissime risorse per diffondere il già noto, sottraendo implicitamente le risorse per le produzioni autonome e locali, anche di grande caratura e dignità. Certamente per queste mie considerazioni sarà facile accusarmi di una “invidia” di fondo, secondo il ben noto proverbio del “chi disprezza, compera”. Lascio ognuno pensare ciò che vuole permettendo così di risolvere la propria coscienza di fronte al problema dell’aver contribuito a mettere in moto un progetto di potenziale sparizione di identità e di risorse. Purtroppo la promozione culturale si fa con la disponibilità economica e mediatica e gli enti pubblici che dispongono di queste risorse, richiedono in cambio del loro impegno, la maggiore visibilità possibile e non certo la validità oggettiva di un risultato culturale. La visibilità si ottiene facilmente entrando nel grande giro della sovraesposizione e della correlazione al “famoso”.non certo nel riscoprire la dignità della propria autonomia. A sostegno delle mie, certamente inutili considerazioni, rimando ad alcune indicazioni bibliografiche per spiegare che il problema che pongo non è una invenzione biliosa di un provinciale frustrato ma una tematica profondamente dibattuta e sviscerata da alcuni dei migliori studiosi italiani di estetica e di fenomeni culturali. Fortunatamente sono loro stessi a suggerirci anche le vie di uscita al colonialismo dei “media” e di chi li gestisce. Indico per brevità solo due strade: la costruzione degli spazi no-profit, diffusissimi nei paesi del Nord Europa e preferiti dagli artisti europei poiché garantiscono scelte “culturali” e non promozionali; l’uso dei nuovi media e della capacità che hanno di costruire una comunicazione e una esperienza d’arte e di pubblico realmente interattiva e alternativa. Dovremo dunque cominciare a lavorare perché l’esperienza culturale delle (per ora) minoranze mediatiche sopravviva e trovi nuove risorse e nuovi spazi, prima di tutto etici. Innanzitutto mettendo insieme le forze e le conoscenze di tutti coloro che credono che il rapporto con la cultura internazionale non passi attraverso l’omologazione a ciò che i media ci dicono che essa sia, ma attraverso un confronto reale e paritetico di risultati scientificamente sensati. Per approfondimenti sulle tematiche affrontate si veda: AA.VV, Estetiche della globalizzazione, a cura di A.Bonito Oliva e A. M. Nassisi, Manifestolibri, Roma, 2000. F. POLI, Il sistema dell’arte contemporanea, Laterza, Roma – Bari, 1999. M. PERNIOLA, Contro la comunicazione, Einaudi Vele, Torino, 2004 AA.VV., Creazione contemporanea: Arte, società, e territorio tra pubblico e privato, Sassella Editore, Roma, 2004. In particolare i saggi di Trimarchi, Sacco, Detheridge, Dal Bozzolo, Baldi, Annechiarico. AA.VV., Agalma. Rivista di studi culturali e di estetica, 9, Meltemi Editore, Roma, Marzo 2005; in particolare i saggi di Perniola, Carmagnola, Terrosi (!!!) A. TRIMARCO, La post storia. Il sistema dell’arte, Editori Riuniti, Roma, 2005 |