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Consorterie, conferme e le grandi prospettive della Provincia.
In relazione a
Panorama Abruzzo, FlashArt anno XXXIX, n° 257, Aprile – maggio 2006; pp. 80 -
91AntefattoDevo dire che quando ho saputo della pubblicazione di Panorama Abruzzo, (grazie ad un’artista che ha voluto citarmi), ci sono rimasto un po’male: un ampio dossier sulle attività artistiche in Abruzzo sulla rivista di arte contemporanea più importante d’Italia, anzi, d’Europa, e senza che nessuno dell’”ambiente” me ne avesse fatto almeno cenno. Beh certo, non è che qualcuno debba rendere conto a me di una cosa del genere, per carità! Del resto, in termini di “potere” effettivo di determinare successi o finanziamenti nel mondo dell’arte, non sono nessuno, non ho “santi in paradiso”, non sono frequentatore interessato dei “circuiti giusti” … però è anche vero che negli ultimi sei anni mi è capitato di scrivere il maggior numero di pubblicazioni riguardo l’arte contemporanea in Abruzzo e riguardo il movimento culturale che c’è intorno alle arti visive nelle diverse realtà locali. Diciamo che mi sento un innocuo “studioso” che per via di valutazioni culturali, ha persino la pretesa di strappare di dosso l’etichetta regionalistica all’esperienza artistica dell’area “centro adriatica”, come ho cercato di fare con più decisione in un saggio pubblicato nel 2003 (1). Solo l’anno scorso poi ho organizzato, con mezzi economici ridicoli e sacrifici personali, l’unica mostra pubblica di giovani artisti indipendenti, alcuni dei quali presenti anche nel dossier (2). In questi anni poi, ho lavorato un po’ con tutti gli operatori locali, con tutte le Amministrazioni pubbliche (Provinciali e Regionali) e ho realizzato (tra l’altro) sempre nel 2003, l’unico convegno nato e concepito in Regione (e l’unico testimoniato con la pubblicazione di “atti”) sull’arte contemporanea, invitando e promovendo quasi tutti coloro che poi ho ritrovato in questo dossier (3). Un po’ ho “rosicato”, non lo nego, perché mi è sembrato ingiusto aver cercato di fare tanto per la cultura artistica nata (e che nasce) in Regione, per scoprire che in realtà, di questo approccio e di questo modo di lavorare non glie ne frega a nessuno, persino a persone che stimo e continuo a stimare. Dall’esperienza ne traggo una serie di considerazioni conseguenti, mi si creda, senza livori ne risentimenti: se evidentemente, l’approccio “culturale” alle vicende artistiche non consente di comparire in quel dossier, (che dal suo punto di vista, prometteva una “… panoramica reale sui migliori operatori del territorio d’Abruzzo”) se ne deve dedurre che in un senso più generale e autonomo, l’approccio “culturale”, alle problematiche non è sufficiente per essere considerati tra “i migliori operatori”. In sostanza ciò che conta per essere considerati non è la qualità del lavoro o della proposta culturale offerta autonomamente “in quanto tale”, ma piuttosto, l’essere agganciati ad un’area relazionale che ha il potere di rendersi rilevante nel sistema della comunicazione; per essere lì agganciati poi, bisogna sottostare alle ritualità amicali o scambiste previste nel determinato contesto. Non essendo nella mia natura, è facile in conseguenza, essere dimenticati o ignorati. Analisi di una comunicazione pubblicitaria Comunque, leggendo l’articolo in questione mi sono rasserenato: pensavo che il dossier (e la mostra collateralmente allestita) fosse stato concepito come una operazione “culturale”, mentre invece alla lettura e all’analisi, risulta essere una operazione di marketing, sostanzialmente provinciale ( ma questo termine non ha alcun livore risentito), che con qualche soldo di enti locali di supporto, serve per farsi un po’ di pubblicità su una rivista a ciò predisposta. Anche il “privato” ne partecipa con le sue pubblicità di vini “artistici” beuysiani, con i prodotti alimentari della zona, con alcune sue banche, qualche spot di ente pubblico e con alcune sue gallerie d’arte. Mi si creda, queste considerazioni non hanno nulla di intenzionalmente sarcastico: questo tipo di “dossier” corrisponde ad una delle modalità attraverso cui funziona il marketing italiano attuale sull’arte, ed è una strategia di posizionamento che mira ad una serie di effetti e risultati: innanzitutto, quello di costituire e rafforzare legami di un gruppo consortile in funzione più del mercato locale che di un suo approccio al mercato nazionale. Altri effetti a caduta sono: il generare una parziale attenzione in altri circuiti sulle proprie attività e su alcuni operatori che hanno intenzione di allargare il proprio raggio d’azione, di acquisire credibilità specifica per i collezionisti o gli eventuali investitori pubblici, per assicurarsi migliorate “quotazioni”; dal punto di vista della “rivista” ospitante, si realizzano ulteriori contatti per future raccolte pubblicitarie, si alimenta nel contesto locale la propria posizione di “enunciatore”. (4) Veniamo poi all’immagine che si presenta di questa “realtà” locale: quella che segue è la fotografia dell’Abruzzo in arte secondo l’articolo, ma oltre ad essere una “fotografia” appare anche una “dichiarazione” di intenti e di “progetto”. Infatti, dalla condensazione dei dati e delle valutazioni espresse possiamo leggere nell’articolo un preciso progetto di marketing culturale che si va delineando, che richiede dall’amministratore pubblico certe condizioni e garanzie. In cambio offre visibilità mediatica e credibilità culturale adatta a dialogare e a relazionarsi con un sistema “italiano”. 1) tutto è centrato su Pescara, altrove non c’è altro, o meglio, a Pescara ci sarebbero le realtà più attive, dinamiche e professionali disponibili; nel resto della regione, il nulla. 2) Gallerie: in Abruzzo ne esisterebbero degne di nota solo cinque. Tra esse quattro sono a Pescara e una a Teramo. Delle quattro pescaresi, due sono quelle “trainanti” che dagli anni Settanta e Ottanta si spartiscono il target di collezionisti locali facoltosi, con i soliti pezzi del mercato nazionale dell’Arte Povera e dintorni. Delle altre gallerie, una ha aperto solo tre anni fa e si occupa anch’essa di target medio alto, con gli stessi artisti delle altre e due. Un’altra ha aperto solo un paio di anni fa e ha realizzato solo due mostre di artisti, presenti in altre gallerie romane, la terza di rilievo, la sta organizzando adesso. La galleria teramana sembra essere l’unica voce originale fuori dal coro poiché si occupa di un settore della giovane figurazione che le altre non occupano stabilmente, viene però citata a margine di una intervista. 3) Esistono solo due riviste, la prima è un’alter ego della più importante rivista italiana, solo che è evidentemente molto più povera di mezzi, (non è dunque concorrenziale) sia nella realizzazione che nella distribuzione: esperienza coraggiosissima e “utopica” che vive sostanzialmente in relazione al collezionismo di centri fieristici “minoritari”, pur essendo presente in qualche kermesse nazionale. L’altra “rivista” nata da un paio d’anni è in realtà un lussuosissimo oggetto d’arte molto apprezzato nel circuito degli architetti / designer, decisamente un po’ povera di testi, ma ricchissima di “alto design”. Entrambe vengono citate quasi “a margine”. 4) Esistono solo due critici curatori, che comunque, come si evince dal testo stesso, non si occupano affatto dell’Abruzzo. L’unica abruzzese che compare nel dossier è la giovane collaboratrice di quella che compare come l’unica struttura esistente deputata alla promozione e alla “formazione” artistica: un museo laboratorio. Tutti gli altri “curators” che hanno scritto sul dossier stesso, non operano sul territorio e riferiscono le stesse notizie prese evidentemente da analoga fonte. 5) Di artisti degni di nota ce ne sarebbero solo 24, (oltre una serie di “mostri sacri” dei quali non è spiegato il tipo di rapporto o di legame con il territorio(5)) molti nei cataloghi di almeno tre delle gallerie promotrici del dossier stesso. Gli altri nomi appartengono alla cerchia del museo laboratorio oppure sono (alcuni) dei precedenti collaboratori di una delle suddette gallerie. 6) Si fanno concorsi per opere pubbliche aperte a tutti, con chiare regole e commissioni giudicatrici, vinte dagli artisti gestiti da queste gallerie, che sono tutti maestri “storicizzati”. 7) Altri dati desumibili dalle interviste: per alcuni, i rapporti con le istituzioni sono buoni, basati sull’indubbia qualità dei propri lavori, per altri, le istituzioni sono “miopi e “ritardatarie” per la promozione culturale; dagli amministratori ci si aspetta sostegno totale e incondizionato per le iniziative proposte da queste gallerie postulata la loro assoluta qualità; si desidera che gli amministratori smettano di occuparsi delle “glorie storiche”, non finanzino più i premi locali e concentrino i finanziamenti in chi già opera a buoni livelli: fare diversamente implica un aumento di frammentazioni localistiche. Solo l’Università di Architettura fa progetti con alcuni artisti delle dette gallerie; l’Amministrazione pubblica non sblocca la situazione di alcuni spazi espositivi utili che possono interessare a far tornare a lavorare in zona, almeno il più giovane tra i due unici curatori citati. Non è difficile tradurre l’intenzionalità comunicativa di questo tipo di considerazioni: il gruppo, il “consorzio” in questione tende ad accreditarsi come il principale gestore e mediatore degli interventi e della gestione “artistica” di un sistema regionale, celebrando la propria autorevolezza e lasciando intravedere agli Amministratori pubblici, la possibilità relazionali e mediatiche che il proprio sistema di contatti, offre. Si tratta dunque di una operazione di marketing credibile e motivata, necessaria per assumere posizione “dominante” e dare sicurezza al proprio investire ed operare. Il progetto è effettivamente credibile ed “autorevole” in diverse sue parti perché mette in moto un sistema “di potere” efficiente e con ottime potenzialità. Sono queste, mi si permetta, valutazioni assolutamente “tecniche” riguardo l’operare di un mercato “libero” che si struttura in base alle forze economiche, relazionali e progettuali che un determinato “gruppo” riesce a radunare. La “comunicazione” che il gruppo elabora, ha come referente soprattutto gli amministratori locali e si pone in maniera credibile provenendo da una cassa di risonanza nazionale che ha conquistato una propria autorevolezza di “enunciatore”. Il messaggio inviato, nella sua essenziale decodificazione, suona più o meno così: noi possiamo assicurare all’Amministratore visibilità, risonanza, notorietà e inserimento in un circuito gratificante a condizione che ci venga data l’opportunità di gestire in forma semiprivata, secondo le nostre strategie, i principali riferimenti “culturali” della città economicamente e comunicativamente più vivace della Regione. Si può fare questo, concentrando il sostegno economico verso i referenti che indichiamo e che coprono tutti i settori, dal reperimento di giovani artisti alla commercializzazione ed esposizione di nomi “di grido”: ciò può avvenire affidando ad una persona che noi indichiamo, la gestione di un autorevole spazio pubblico. Ciò che la comunicazione non dice Dal momento che per la “comunicazione d’impresa”, tutto ciò che non entra nella finalizzazione del proprio progetto, viene ignorato, vuoi per interessi specifici, vuoi per relazione amicale o di convenienza, per provare la credibilità e la ricaduta reale del progetto stesso, bisogna andare a verificare ciò che la comunicazione realmente omette: il confronto con “ciò che manca” appare molto utile per ipotizzare cosa si verificherebbe se il progetto prima illustrato riuscisse ad avere successo, e per fare ciò occorre affidarsi ad una mappatura dei “fenomeni” che si esprimono sul territorio, ad una valutazione delle loro implicazioni, la loro specifica “progettualità” e ricaduta sul pubblico. Innanzitutto, per una corretta analisi dei fenomeni culturali, va superata la tentazione di valutare un “fenomeno” in base alla sua comunicabilità nel sistema dell’informazione: ciò può facilmente esser fatto riflettendo anche soltanto sui criteri intrinseci che selezionano l’informazione. (6) Non esistendo nella specifica “comunicazione”, autorevole per l’autorevolezza del “medium” che la propone, il “resto” è implicitamente considerato “non rilevante, “qualitativamente scarso” o inessenziale (dettaglio) rispetto a ciò che invece viene “mostrato” attraverso “l’autorevole” rivista. Viene implicitamente espresso un giudizio di valore tanto sulla qualità della propria come dell’altrui proposta. Al contrario, una possibile riflessione della validità, o quanto meno, sulla complessità di “senso” di una proposta avviene affidandosi agli “studi culturali”, nel senso che essi sono impostati non sull’interesse materiale di una loro collocazione sul “banco di vendita”, ma sul loro “manifestarsi in quanto tali”, in quanto fenomeni di senso. Significa che la riflessione condotta in prospettiva culturale è l’unico parametro per dare la sensatezza di una scelta e, nella misura in cui lo studio culturale è corretto, sarà buona e possibile guida tanto alla valutazione che alla costruzione di un progetto. L’obiettivo del nostro ragionare è dunque quello di ipotizzare che, senza la partecipazione di un effettivo studio culturale, qualsiasi progetto anche di marketing non può che esprimere la parzialità di una visione e di un’area di interessi e ogni qual volta un tale progetto riesca a realizzarsi, significherebbe implicitamente la condanna a perdere altre esperienze culturali; sarebbe come alterare la “biodiversità” degli stessi sistemi sociali e culturali, distruggendo elementi preziosi e comunque autentici della fenomenologia della “creatività”. Proviamo allora a confrontare elencandole, solo alcune delle cose che mancano nel dossier in questione; tutte cose che, secondo l’occhiello della rivista sarebbero “dettagli” che possono sfuggire al vaglio “serio” (7) con cui il dossier viene proposto. In questa specifica circostanza, l’aver studiato ormai dal 1999 ad oggi il sistema locale e le sue evoluzioni ed essendone stato spesso coinvolto a discreti livelli di responsabilità, mi permette, di mostrare una visione del panorama dal punto di vista degli “studi culturali”, quindi una visione più “realistica” e meno “reificata”. Gli studi culturali sono alla base di un qualsiasi progetto di marketing , nella fase di identificazione del “posizionamento” e della ricerca (8). Non si può vendere un “prodotto culturale” se non se ne stabilisce almeno orientativamente la sua “necessità” di essere apprezzato. Resta da chiarire se un progetto si costituisca in base alla realtà della ricerca o alle finalità delle intenzioni di mercatizzazione del prodotto. Il problema resta nel fatto di stabilire se la dimensione culturale di un fatto venga valutata in base agli interessi specifici di chi realizza il progetto o se il progetto si realizzi in base ai dati neutrali degli studi culturali: a seconda delle due prese di posizione, il progetto di marketing può essere “costruttivo” di una “biodiversità” della cultura o tendenzialmente distruttivo dell’identità della stessa. Veniamo dunque alla situazione locale: esistono dunque sul territorio abruzzese, altre situazioni, altre progettualità che “fanno” ugualmente, pubblico e cultura rispetto al gruppo che ha presentato il suo “progetto”. Come è possibile stabilire e decidere se esse siano “giuste” o “sbagliate”, se sono rappresentative di un contesto e di una “cultura” ? Perché preferire un progetto “selettivo” rispetto ad un altro, ma soprattutto, perché ignorarle? (9) 1) Esiste in Regione, il “secondo (storicamente parlando) “premio italiano per l’arte contemporanea” (Premio Michetti) nel quale hanno lavorato (e lavorano) tutti i più importanti critici italiani degli ultimi trent’anni. Oggi é un po’ bistrattato e umiliato tanto da difficili rapporti con le amministrazioni locali che dalla “comunicazione maggioritaria”, orientata dal “consorzio” che ne ha perso il potere di gestione nelle elezioni amministrative precedenti del 2001. Fino a quella data, il Premio, legato all’operatività e al know – how delle due principali gallerie di Pescara era ritenuto valido strumento della promozione “culturale"(10). 2) A L’Aquila esiste l’Accademia di Belle Arti e anche il Muspac (Museo Sperimentale di arte contemporanea) dalla ricchissima storia espositiva e dalla collezione qualitativamente indiscutibile. Quest’ultimo, situato negli spazi della ex Accademia, raccoglie e forma giovani artisti attraverso numerose mostre e iniziative post laurea. Giovani artisti espongono in compagnia di maestri dell’arte concettuale italiana e internazionale, da Kosuth a Mauri (http://h1.ath.cx/muvi/sistema/muspac/info.php) Sempre a L’Aquila opera da anni anche un critico d’arte, Antonio Gasbarrini che lavora a livello internazionale (Madrid, Parigi ecc.) e ha curato innumerevoli pubblicazioni di alta qualità e ricerca in campo sperimentale, attraverso una sua casa editrice che pubblica una rivista d’arte e letteratura distribuita nelle maggiori facoltà universitarie umanistiche del mondo (Berenice, Angelus Novus Edizioni www.angelusnovus.it/index.htm) 3) A Giulianova esiste il Museo Dello Splendore che ha realizzato mostre importantissime di numerosi maestri dell’arte contemporanea (cito a memoria, Rainer, Sassu, Carrol ) e conta su una collezione d’arte contemporanea di notevolissima caratura. Curatori costanti sono Carlo Fabrizio Carli e E. Di Martino. 4) Ad Isola Del Gran Sasso, c’è il Museo Stauros di Arte Sacra Contemporanea, centro studi e centro espositivo di assoluto riferimento nel settore. 5) A Teramo, opera il Museo d’Arte e Pinacoteca Civica che ha realizzato numerose mostre interessantissime, anche storiche, sull’arte contemporanea. Esistono nella città anche due gallerie che trattano artisti dell’area figurativa che vivono con un loro mercato e sono presenti anche in rassegne e fiere espositive nazionali. 6) Castelbasso in Provincia di Teramo: splendido borgo che ha visto tra le più belle e originali mostre di maestri dell’arte contemporanea italiana e internazionale. 7) Ad Ortona, oltre ad un bellissimo centro espositivo curato fino a qualche tempo fa da E. Di Martino (mostre di M. Rotella e altri maestri del dopoguerra) Museo di Palazzo Farnese (bellissimo palazzo della seconda metà del Cinquecento), opera (o ha operato fino a tempi recentissimi) una curatrice coraggiosissima e fino a qualche tempo fa, collaboratrice della più importante rivista d’arte contemporanea italiana, Adriana Di Martino. 8) A Roma operano numerosissimi artisti di origine abruzzese che continuano ad avere un rapporto di scambio con il territorio, e che hanno costituito il progetto dell’Ice Badile Studio. Artisti che operano sul mercato e nelle gallerie romane con numerosi collezionisti. 9) Non posso fare elenchi di artisti di origine abruzzese, ancora legati al territorio, attivi sui mercati italiani e internazionali, ( di età variabile tra i 30 e i 45 anni) senza rischiare di escludere involontariamente qualcuno o di sbagliarmi (ma ne conterei a memoria almeno una cinquantina) (11) . 10) A Vasto, come a Sulmona continuano ad esistere dei “Premi d’arte” ovviamente discutibili, ma che comunque continuano ad avere pubblico e riscontri, ampi finanziamenti e curatori di indubbio prestigio nazionale. 11) A Penne si sta cercando coinvolgendo Istituzioni e imprese private (Brioni Roman Style) di costituire un Museo d’arte Contemporanea visto che è stata donata alla città una delle più belle collezioni di arte contemporanea presenti sull’area adriatica. 12) A Chieti opera una piccola galleria “Ronnie Artecontemporanea” che cura mostre e rassegne di artisti emergenti in Regione. Ne cura anche la diffusione in “fiere” e rassegne d’arte a Bologna e a Bari. 13) A Pescara c’è un circuito espositivo alternativo che ruota intorno al locale “Ecoteca” che presenta gli artisti giovani più interessanti del panorama locale e italiano. Esso è gestito e curato da un docente di psicologia, studioso delle intelligenze artificiali, docente all’università di Copenhaghen, Luigi Pagliarini (www.ecoteca.it). Ecoteca cura e organizza (anche con la collaborazione del Museo Laboratorio) il PEAM (Pescara Art Electronic Meeting) che raccoglie ogni anno artisti informatici internazionali. Mostre curate da un giovane curatore pescarese operante a New York e in Italia che si chiama Marco Antonimi. Recentemente, Antonini, in collaborazione con il sottoscritto ha realizzato una rassegna di video artisti emergenti e affermati provenienti dal Giappone, (con il patrocinio dell’Istituto di Cultura Giapponese di Roma) in collaborazione con gallerie newyorkesi e giapponesi. La rassegna è stata presentata nello Spoltore Ensamble nel 2005 e ripresa e nel progetto della Regione Emilia Romagna nell’anno culturale dedicato da questa Regione, al Giappone. 14) Viene pubblicata a Lanciano una straordinaria “fanzine” italiana dal titolo “Defrag” che tratta gli aspetti della cultura “hip hop”, con eccezionali personaggi della “street – culture” italiana e internazionale. Writing, ad altissimo livello realizzato da numerose e ben strutturate “crew” anche locali, che hanno già espresso numerosi interessantissimi artisti che lavorano per gallerie italiane e in rassegne nazionali di settore. 15) Nell’area Aquilana al ridosso con Molise e Campania opera da anni un artista curatore (L. Alviani) che realizza numerose mostre di livello internazionale, la più importante delle quali è sicuramente “Rose’s choice” dedicata alla creatività femminile, con artiste provenienti da tutto il mondo. 16) Non ci sono mai stati da 6 anni a questa parte, concorsi pubblici conosciuti, aperti a tutti gli artisti in ambito locale. Si segnalano sulla stampa locale alcune realizzazioni di opere di artisti in città, seguite da forti polemiche per l’oscurità burocratica che ha accompagnato determinate decisioni. Non so se tutto ciò sia irrilevante. Personalmente, a quanto mi è dato di sapere, non riesco a trovare in Italia un area distante dai centri maggioritari che abbia questa varietà, intensità di situazioni e rapporti. Dunque appare abbastanza chiaro che tipo di situazione estremamente varia e ricca possa essere taciuta da una comunicazione “orientata”, sicuramente qualcosa in più del “dettaglio”. La situazione analizzata offre numerose considerazioni e diverse conferme soprattutto alle riflessioni riguardo l’attuale dialettica “centro – periferie” (12) e riguardo la possibilità di operare iniziative culturali sul territorio ( cfr. ( Il) Potere (di) fa(re)l’arte. (13)). Conclusioni polemiche Eccomi così a registrare dopo la lettura di questo “dossier” l’ennesima condanna al provincialismo che gli operatori locali si “autoprocurano” attraverso le pagine della “più importante rivista nazionale (anzi, europea)”: siamo un gruppo forte, che deve promuovere il proprio bussines e le proprie attività; ci siamo accordati per accreditarci a vicenda, comparendo sulla rivista famosa, facendoci ratificare da qualcuno più famoso che opera “fuori”; nelle nostre operazioni facciamo anche “cultura”, ma tendenzialmente importiamo quella dei modelli maggioritari ai quali dobbiamo riferirci per avere una visibilità; facciamo parlare della situazione locale persone che non la conoscono e che si basano sulle informazioni che noi forniamo in modo che non si conoscano chiaramente le altre iniziative, al di là se siano valide o meno. Tutto ciò che non appartiene al nostro circuito può essere considerato episodico, marginale o comunque provinciale, del resto con il nostro sistema di relazioni, anche al di là della nostra autorevolezza, siamo in grado di muovere una operazione di fundrising e di comunicazione nazionale che ci accrediti in primo luogo, sul territorio. Con i crediti reali e immaginali acquisiti e autocertificati, miriamo ad ottenere uno spazio pubblico istituzionale per poter ospitare mostre a pagamento e quelle degli artisti delle nostre gallerie, in modo tale che le loro quotazioni salgano. Ci leghiamo a strutture che formano giovani artisti e giovani critici stimolati dalle possibilità che gli offriamo per costruire un “vivaio” di riferimento che possiamo indirizzare e guidare attraverso i nostri canali: il loro successo eventuale all’interno dei sistemi maggioritari, tirerà potenzialmente anche il nostro. Non so se queste conclusioni siano corrette, ma mi sembrano più o meno plausibili e probabili. Da un punto di vista culturale generale, in questo caso non “essenziale” alla tipologia di situazione messa in moto, mi viene da pensare se mai si riuscirà a capire che il modo per uscire da questa corsa ad handicap, da quella che io chiamo una “guerra tra poveri”, potenzialmente distruttiva delle tante belle energie che spontaneamente nascono, sia quello di costruire un più vasto sistema integrato, costruito su chiare metodologie e studi culturali fondati su “coscienza e rispetto” degli operatori e così mettere in rete risorse, possibilità, idee, senza ignorarsi ma lavorando per “principi culturali”, distinguendosi per capacità culturali e non per la capacità di gestire il “mercato” delle relazioni e degli interessi. Capiremo mai che offrire maggiore rilievo all’approccio teorico / culturale potrebbe offrire sul medio termine, anche un notevole ritorno in “immagine” e in economia? Che potrebbe metterci nella posizione di riorientare la comunicazione e ridare credibilità teorica all’esperienza locale e che attraverso di essa, possa essere possibile andare sui mercati grazie alla forza della propria identità? Non so se questo mio sfogo può contribuire a migliorare la cosa: sarò giudicato come il solito erudito locale che “rosica” appunto, perché non è stato citato. No, adesso no, e nonostante le critiche fatte più per “onor del vero” stimo molto il lavoro che la “consorteria” in questione svolge. Mi piacerebbe solo un po’ più di onestà intellettuale e di rispetto. Conclusioni culturali La situazione fin qui descritta, propone delle belle prospettive di studio: con l’esempio fatto credo sia possibile dimostrare che il marketing dell’arte non è in se stesso, “anticulturale”. Marketing, sistemi dell’arte ecc., non sono buoni o cattivi in se stessi, ma può considerarsi corretta o scorretta la prospettiva, l’orizzonte entro cui i sistemi si progettano, si strutturano e si attuano. Nel nostro caso non si discute della qualità della proposta che il “consorzio” in questione ha organizzato, quanto sulla ricaduta che un progetto parziale e “self – oriented” può avere sulla “diversità culturale” ricchissima di un territorio. Si pone dunque la questione che a monte del progetto di marketing, soprattutto quando esso si applichi a fenomeni culturali, non possono agire principi “selettivi” definiti in base agli interessi economici parziali o ristretti, che a loro volta determinano tra le righe giudizi “qualitativi in atto” sull’operato o sull’esistente circostante. Un progetto di marketing va a posizionarsi efficacemente in base all’intelligenza della sua relazione con gli altri, aumentando la “diversità” culturale, non fagocitandola o distruggendola; l’operazione dovrebbe cioè avere successo per la sua intrinseca capacità di proporsi nella qualità della sua proposta e dei suoi presupposti culturali. Ma ciò può darsi soprattutto approfondendo e confrontando la validità dei suoi principi e della sua proposta culturale, in grado di convogliare attorno a sé un interesse, in grado di definire la validità intrinseca della sua specifica autonomia, in grado di “comunicare” valori significativi e “sensati”, autorevoli per la validità della ricerca, non per la posizione più o meno dominante nella comunicazione o nel mercato. Ben vengano dunque “consorzi” e attività di marketing culturale, ma a patto che essi presentino progetti giustificati da studi culturali, che se sono tali, saranno implicitamente rispettosi delle identità, così come dei limiti propri e degli altri. Non per questo meno efficaci sul mercato. Altra considerazione che mi riprometto di sviluppare è il ruolo che in tutto ciò potrebbe avere l’Amministrazione Pubblica. Essa potrebbe essere il naturale committente di operazioni “autonome” cioè dettate dalla prospettiva culturale e non dagli interessi ristretti di consorteria; Le istituzioni potrebbero ciclicamente assegnare fondi e spazi espositivi a poll di studiosi ed operatori (gallerie comprese) del settore che si impegnano a realizzare monitoraggi, mostre e pubblicazioni secondo i loro specifici interessi culturali, per poi ciclicamente affidare la stessa responsabilità a gruppi differenti. Si potrebbe tentare l’esperienza degli spazi espositivi “no – profit”. Mi riprometto di lavorarci su. (1) A.ZIMARINO, Identità dell’Arte in Abruzzo, Tracce Ed., Pescara, 2003 (2) Occhi Nuovi. Giovani artisti Italiani – The Evening Traveling. Animazioni, sogni e visioni dal Giappone contemporaneo, a cura di A.Zimarino, S. Panerai, M. Antonimi, Spoltore Ensemble 2005, Spoltore Giugno 2005. (3) Insight: uno sguardo nel tempo presente, (volume + catalogo CdRom) Atti del convegno 4 –5 aprile 2003, a cura di A. Zimarino, Provincia di Pescara – Brandolini, 2003. (4) A. FOGLIO, Il marketing dell’arte, FrancoAngeli, Milano, 2005, pp. 182; 196; 335; 372 – 374. (5) Vicende, testimonianze e contesto di una esperienza Italiana: Il Liceo Artistico “G. Misticoni”, Interviste e apparati storico-critici a cura di A. Zimarino, Provincia di Pescara – Mancini ed., 2004. (6) Identificati nei loro dettagli dagli studiosi norvegesi J. Galtung e M. Holmboe Ruge; La struttura delle notizie dall’estero,in: Il giornalismo come professione, a cura di P.Baldi, Il Saggiatore, Milano, 1980, pp. 113 – 133.: cfr. M. WOLF, Teoria delle comunicazioni di massa, Bompiani, Milano, 1995, pp.242 (7) Ma in realtà, assolutamente non garantito se non dall’accettazione convenzionale dell’autorità della rivista stessa. (8) FOGLIO, Il marketing dell’arte cit., pp. 141 – 178; 191 – 206. (9) Ovviamente solo gli studi culturali, condotti con metodologia e logica chiara potrebbero provare eventualmente e dirimere situazioni e proposte. (NDR) Per le verifiche della validità delle notizie indicate è sufficiente una ricerca sui principali motori di ricerca del web. (10) Nel 2001, proprio nell’ultima fase di quel periodo, con Angela Vettese vi ho lavorato (unico critico abruzzese ad averlo mai fatto) presentando “i giovani artisti” operanti in Abruzzo” A. ZIMARINO, “Abruzzo: la generazione di nessuno” in “Adriatico le due sponde”, 52° Premio Michetti, a cura di A. Vettese, Charta, Milano 2001, pp.62 – 67. (11) A.A.V.V., “900: Artisti e Arte in Abruzzo” a cura di A. Gasbarrini e A. Zimarino, Provincia Di Pescara, Ed. Scientifiche GF, Pescara 2002 in part. L’attività artistica al passaggio del millennio (I): fino al Duemila, p.p.184 – 187; L’attività artistica al passaggio del millennio (II): percorsi nel secolo che viene, pp. 193 – 215; Altri linguaggi, altri segnali: la scuola del fumetto (1980 – 2000); “writing” e Areosol art, pp.245 – 255. (12) In formato elettronico nel mio Le Implicazioni delle distanze, su www.theorein.it nel capitolo “nuove centralità e nuovi provincialismi” ma anche in altra forma in: ZIMARINO, Identità dell’arte in Abruzzo cit., pp. 15 – 31. (13) Sempre in www.theorein.it nella sezione Articoli |
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