|
|
Stand-by land A cura dell’Ufficio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Pescara Dal 10 a 25 Ottobre - Museo Vittoria Colonna Pescara
Marco Appicciafuoco – Igor Cascella
con la partecipazione di Franco Speroni – Antonio Zimarino
Non sono tempi facili per la vita artistica e culturale in Abruzzo, tanto per ragioni oggettive (terremoto e ricostruzione, postumi della crisi politica ecc.) che per le solite debolezze strutturali del suo “sistema” dell’arte, ma pur nelle difficoltà contestuali sta apparendo una certa volontà di “cambiare modello” per tentare di superare la condizione sostanzialmente provinciale entro cui ci si dibatte e di superare i soggettivismi (altrettanto provinciali a volte) di molti influenti operatori.
In questo quadro si colloca la mostra che presentiamo e che abbiamo sostenuto attraverso una operazione non tanto di ideazione, quanto di riflessione culturale e di curatela generale.
La mostra “Stand – By Land” (Marco Appicciafuoco – Igor Cascella) è stata “prodotta” dall’Ufficio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Pescara, nell’ambito di un più vasto progetto denominato “Kinemarte”, teso a rivitalizzare e riqualificare l’attività del Museo Vittoria Colonna. Il progetto ha destato il nostro interesse in quanto appare uno dei primissimi progetti d’arte contemporanea della nostra Regione di cui io abbia notizia, che nasce all’interno di una Amministrazione Pubblica, con operatori dell’amministrazione pubblica, con l’obiettivo di realizzare una offerta culturale coordinata, selezionata e omogenea.
La novità della proposta è quella, inedita o quasi nella nostra regione, di iniziare a proporre una “politica culturale” coordinata da scelte definite e da una progettualità chiara, non subordinata ad interessi e relazioni saltuarie e occasionali, non limitata ad iniziative “spot” circoscritte nel tempo e commissionate o acquistate conto terzi. Si è ovviamente agli inizi del progetto ma le buone idee e le buone intenzioni sembrano esserci: si tratta di vedere se riusciranno a superare gli ostacoli che via via molti cercheranno di porre all’operazione che, se riuscisse a decollare davvero, potrebbe portare ad un cambiamento di modalità di “produrre cultura” sul nostro territorio.
Veniamo invece nello specifico dalla mostra: sostanzialmente si tratta di due “personali” di artisti con percorsi ed esperienze differenti che finiscono per trovarsi su una serie di temi comuni e condivisi, anche se declinati in orizzonti concettuali differenti. Marco Appicciafuoco è sicuramente un artista molto “colto” e profondo conoscitore dei linguaggi contemporanei che lavora spesso su una contrapposizione di materiali e di linguaggi che rappresentano le dicotomie, ma anche le costanti necessità di relazione tra opposti. Materia primaria è la ceramica che mostra costantemente tutta la sua solida materialità e organicità: essa si combina con elementi visivamente più “sintetici” e riflettenti quali vetri e metalli o addirittura, impalpabili e immateriali come può esserlo la luce. Si potrebbe dire forse che l’elemento che porta ad unificare visivamente queste opere sia proprio la luce in quanto è il suo modo di incidere e riflettere, di aprire spazi o di racchiuderli, che riesce a rendere l’identità dei materiali e a completare il gioco metaforico sottile che queste espressioni contengono. La luce riverbera diversamente sulle superfici, così come le delinea, le identifica e le scompone quando essa nasce dal di dentro le opere. Fin qui ci teniamo su un piano essenzialmente formale ma se ragioniamo sull’elemento metaforico che il linguaggio della materia suggerisce, le opere di Appicciafuoco riservano notevoli sorprese e una notevole “densità” concettuale. I materiali e le loro relazioni sembrano dare corpo ai nostri dualismi fondamentali, terra/aria razionalità/emotività sensazione/percezione tutti elementi che se pur opponibili, sono comunque parti della nostra dimensione psicologica e percettiva. La stessa Natura che abitiamo è fatta dei suoi elementi originali terra, materia, forma organica ma anche degli elementi che la l’attività intellettuale speculativa e logica dell’uomo è riuiscita a creare lavorando con ragione e tecnica sugli elementi dati dalla Natura stessa. Ne viene che quando Marco abbina la materia sorda alla luce, ma densa e viva di una ceramica (sempre dentro la metafora, realizzata e formata attraverso il fuoco della “cottura” delle paste originaire), con lame di luce e vetro azzurro, che la taglia, la scompone e la destruttura, non si limita a rappresentare un contrasto di forme, ma un contrasto nell’Essere della persona e nella sua relazione con Natura. Il problema della dualità tra sfera logica progettuale e quella istintiva vitale è inevitabile, può essere drammatico o meno ma la condizione rappresentata è una condizione essenziale della natura umana. Fin qui si può dire, facciamo facile psicologismo ma quando poi veniamo a conoscere dallo stesso artista che alcuni di questi lavori sono ispirati a problemi ecologici reali, come ad esempio quello della perforazione delle montagne per fini di “comunicazione” stradale, operazione “logica” e funzionale, che mette a rischio le falde acquifere secolari che sono state il motivo di vita di generazioni che hanno abitato i paesi di montagna e le vall, facilmente ci rendiamo conto che pur partendo da casi reali la questione si trasforma in un problema di approccio all’esistenza e alla relazione che scegliamo di avere di fronte all’esistente; diventa appunto un problema di mentalità e coscienza. Altre volte il gioco tra materia primaria sorda e materia viva, riflettente alla luce, genera formazioni organiche estremamente vive e vitali, con cromatismi poco accentuati o percorsi da zone di colore contrastante, tali da ricordare alcune pitture “informali” rese materia scultorea concreta e viva dalla sapiente combinazione di effetti riflettenti o assorbenti la luce. E’ come se l’artista gareggiasse con gli effetti che una luce naturale realizza sulla realtà, per restituire il suo amore fondamentale per la naturalità essenziale che contiene e armonizza in se tutti gli aspetti. Resta sempre presente, insieme a questo sapore profondo, un “taglio” logico, antitetico alla dimensione organica o nella delineazione della forma o dato dall’inserimento di un materiale inatteso o di un segno. Alcune opere più recenti spingono oltre il linguaggio dicotomico fondamentale: c’è una spinta decisa ad una ricomposizione e ad un riequilibrio delle dicotomie logico/naturali. Delle forme “organiche” che rievocano le piante cactacee, costruite in forme primordiali vagamente geometrizzanti, lasciano scaturire dal loro interno delle luci sintetiche (blu / verdi) che ne sottolineano le forme e che le rimodellano internamente: simbolicamente una “vittoria” della naturalità sulla logica razionale inglobata dalle forme naturali? Non mi sembra: piuttosto mi suggeriscono l’idea che ci sia una interiorizzazione della dimensione logica e che sia proprio questa che riesca a ridare una luce differente ad una preesistente armonia naturale. Non è affatto secondario che in queste installazioni ultime, Appicciafuoco si serva dell’energia scaturita dai pannelli solari per alimentare la luce interna che anima e ridefinisce le forme organiche delle sue strutture. E’ quasi come se fosse finalmente riuscito a completare un cerchio ideale, a superare una dicotomia esistenziale scoprendo che è la natura stessa capace di restituire l’energia, il senso e la “nuova funzionalità” della logica costruttiva e razionale che a sua volta ridelinea le forme e le suggestioni della natura stessa. Nella Natura è possibile un equilibrio una “ecologia” che è tanto dell’ambiente quanto della “mente” e che forse la soluzione alla “dicotomia” esistenziale sia quella di rivolgere alla Natura anche la nostra intelligenza logica perché in fondo, anch’essa vi appartiene. Per Igor Cascella il gioco della riflessione e dell’espressione è condotto in un universo di forme e di materiali già elaborati e modificati dall’Uomo e non su elementi “primari”. L’interesse dell’artista sta nella elaborazione, riflessione e ricomposizione di materiali “culturali” che il nostro vivere produce ma poi abbandona all’obsolescenza. Il gioco straniante che Igor conduce è quello di riassemblare, riassociare e quindi risemantizzare elementi poveri, ordinariamente scartabili, ritrovati già come frammenti di altro, secondari e demodé. Altre volte appaiono elementi più “nobili” e significativi nella loro identità, accostati e riassemblati tra loro per contrasto o per procedimento paratattico. Non mancano opere più tradizionali, tendenti ad una figurazione onirica e sognante, in genere con richiami ad una sorta di “art – brut”surreale. In altri casi, attraverso una grafica lineare e segnica tenta di costruire e riassemblare storie, immagini e parole attraverso legami formali più che attraverso assunti ed elementi concettuali di un discorso. Le immagini appaiono spesso legate l’una all’altra dalla proliferazione naturale del segno, del colore e della disposizione. In sostanza le composizioni spesso si costruiscono per logiche proprie della forma, quasi a significare una intenzionale de – concettualizzazione che vede la ricerca concentrarsi più che sul pensiero che la ordina, sul legame visuale che può scaturire dalla loro interazione. In altri casi, è invece la concettualità ad ordinare il senso ma, al contrario di quanto spesso accade nel concettualismo, essa cerca sempre chiari legami con la forma o con il nome dell’oggetto – significante. Il senso metaforico di questa ricerca si gioca tutto nel contesto di una cultura disgregata e dissociante, che nel suo affrettarsi a proporre “novità”, finisce per produrre “obsolescenza”, ovvero oggetti significanti inutili, che perdonono progressivamente di senso. Affannosamente e con una evidente ansia ironica dissolvente, e per questo drammatica, Igor cerca di ricucire analogie, di costruire porzioni di significati possibili, di ridisegnare una logica in ciò che non ha senso, recuperando ciò che è scarto casuale dell’attività umana. Ma spesso il gioco della ricomposizione non fa altro che risottolineare il “non senso”, il leggero trasmigrare tra serio e faceto, l’impossibilità di approdare a nulla che non sia gioco perché le cose hanno perso la credibilità in se stesse. La ricerca è conseguentemente disordinata perché è disordinato l’enorme numero di cose che ci rotolano davanti che chiedono una restituzione di senso. Le ricomposizioni o le operazioni di montaggio e smontaggio delle cose non mirano comunque a recuperare il senso originario delle cose e tanto meno ricomporlo in una struttura d’ordine e di riconoscibilità: la manipolazione spinge verso ricombinazioni argute, concettistiche e inattese, attraverso ricomposizioni formali lievemente o decisamenti stridenti rispetto al buon senso e all’equilibrio, proprio perché questo è l’unico modo di raccontare e dare forma alla contraddizione costante di ciò che socialmente e esistenzialmente siamo. Se la ricerca di Appicciafuoco si concentra sui materiali naturali primari, quella di Cascella affronta il mare magnum dei “materiali culturali”: suggestioni verbali e distorsioni formali, fotografie e pietre, legni e video, pennarelli e incisioni, granito e scrittura, oggetti e maschere rituali, disegni a matita e scultura. Elementi dissociati, parole sconnesse che purtroppo a volte vengono ridipinte di supponenza dalla contemporaneità dell’arte, fatto che Igor Cascella sembra a volte voler denunciare, salvo poi accorgersi che anche la “denuncia” è stata svuotata di senso. Per cui resta talvolta solo un sorriso amaro. Quale filo tiene insieme le due esperienze? E’ il titolo della mostra a suggerircelo: “Stand-by Land” che potremmo tradurre tanto come “un paesaggio, una terra sospesa” quanto come “ stai di fronte al paesaggio/alla terra”: è il richiamo e l’intenzione da parte dei due artisti di prendersi la responsabilità di indagare e riflettere sul proprio mondo. Marco Appicciafuoco analizzando strutture esistenziali primarie attraverso una enorme sensibilità tanto all’ambiente/natura che alla coscienza/logica che l’Uomo dovrebbe avere della propria “techné”. Igor Cascella, ricombinando i materiali culturali che la società e l’arte producono, per tentare di ridargli un senso, o per lo meno di svelare il costante non senso della cultura che esprimiamo.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
| |