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1) Metodologia formalistica
Essa nasce dalle teorie del "Puro Visibilismo" espresse da K. Fiedler e da A. Riegl. Nell'analisi di un dipinto ad esempio, si cercherà di mettere da parte il soggetto e i contenuti affettivi e si constata il contrapporsi dei volumi solidi con i vuoti di fondo, la disposizione delle figure, la curvatura delle linee e il loro accordo o disaccordo con quelle del paesaggi, il rilievo ottenuto con il chiaroscuro etc. Queste sono le qualità formali che risulteranno comuni anche ad altre opere dello stesso periodo e più o meno sviluppate in periodi posteriori o anteriori. Si comunica con dei modi formali tipici dell'artista non tanto il soggetto, quanto un qualcosa di più generale e profondo, una concezione dello spazio, del mondo, restituita dalle forme in quanto esse hanno un loro proprio contenuto significativo. Al di là di cosa effettivamente un'opera rappresenti, sta il significato universale condensato nell'opera attraverso questi segni universali che sono il mezzo che sintetizza il valore universale dell'opera d'arte. Questi segni si interscambiano tra artisti e quindi tra culture ma alcuni di essi, risulteranno caratteristici di uno stesso ambito culturale. Esistono, secondo il Wolfflin i sistemi di segni riducibili a categorie: lineare e pittorico, superficie e profondità, forma chiusa o aperta, molteplicità e unità etc. In questa dialettica sostanzialmente arbitraria, si vuole rappresentare la più ampia tra le varie direzione dell'arte: rappresentazione e espressione, classico e non classico, la cultura mediterranea e la nordica. Da una parte la rappresentazione, distinta, parallela e equilibrata tra ciò che viene rappresentato e colui che rappresenta, tra il mondo come oggetto e l'uomo come soggetto, dall'altra c'é indistinzione e immedesimazione del dinamismo della vita in quello del cosmo. Riegl sosterrà che le stesse simbologie implicite nella morfologia dell'ornamentazione riflettono una intuizione dello spazio e del tempo, diversa a seconda del gruppo etnico e dipendente dal tipo di esperienza vissuta. Fiedler va contro l'eccesso di contenutismo dell'Idealismo e afferma che l'arte non è poesia muta ma linguaggio di forme e colori. In sostanza si parte dal principio Kantiano della distinzione tra come si fruisce un'opera e cosa essa in realtà sia, cioè tra il sentimento individuale e la rappresentazione oggettiva. L'arte è la soglia sulla quale si fonda l'idea e la sua rappresentazione, l'intuizione e l'espressione. Riegl scrive una Storia dell'Arte come Storia Universale. Le sue analisi sull' "Industria artistica tardo romana" lo porta alla rivalutazione di un periodo trascurato dell'arte. Il principio che anima l'attività artistica è la "volontà dell'arte" o anche lo "Spirito del popolo" cioè la capacità di un artista o di un periodo culturale, di esprimere idee attraverso il linguaggio artistico. Non esiste quindi un popolo che fa arte poco importante e se l'arte è un linguaggio espressivo, non è concepibile affermare che un linguaggio sia più o meno bello di un altro. Wollflin è invece il teorizzatore delle "categorie" (vedi sopra). In tempi più recenti, continuatori di questa impostazione sono stati in Italia, dapprima Matteo Marangoni e successivamente Carlo Ludovico Ragghianti, che tuttavia hanno aperto la loro indagine in modo ampio anche ad aspetti di ricostruzione tecnologica e virtuale. … nella sua possibile applicazione Da un punto di vista dell’approccio pratico, questa metodologia risulta tutto sommato indispensabile perché è quella che maggiormente attiene alle caratteristiche della “forma” artistica. Diciamo che senza una adeguata valutazione degli aspetti formali non ci può essere una comprensione corretta dell’opera pertanto è fondamentale imparare a distinguere le specificità, l’originalità, le omogeneità della forma. Le categorie wolflinniane pur schematizzando a tratti eccessivamente, sono strumenti utilissimi per comprendere la specificità della scelta organizzativa dell’autore, tuttavia se esse storicamente possono ben funzionare per la scultura, la pittura o i “media” tradizionali, non sono così efficaci per le espressioni artistiche contemporanee. Le “installazioni, le performance, gli enviroements richiedono valutazioni più ampie, che coinvolgono lo spazio, il gesto, la relazione cromatica o lineare tra gli oggetti, le relazioni linguistiche tra segni o parole, luci o materiali; insomma, nell’arte contemporanea, le relazioni visive istituibili aumentano in interazioni, complessità, rimandi. Tuttavia la lunga vicenda dell’indagine storico artistica ha mostrato come sia in fondo limitativo, considerare le categorie e le relazioni formali in se stesse cioè solo in quanto forme. Chiaramente certe scelte organizzative della rappresentazione o certe scelte luministiche e cromatiche possono essere veicolo di “metafore”, rappresentare di per sé, scelte estetiche o culturali, ma è altrettanto vero che le disposizioni formali hanno una funzione di legame e di relazione con “la figura” cioè con l’iconografia e con i valori culturali di cui essa è portatrice. Le relazioni formali sono pertanto preziosissimi elementi per far interagire tra loro le immagini e quindi ampliare le loro possibilità metaforiche. Nei dipinti e nelle opere, anche in quelle contemporanee, va attentamente valutato come certe immagini vengono poste in relazione reciproca, se effettivamente lo sono e quindi va analizzata la possibile metafora generata dai rimandi o dagli accostamenti. In determinate epoche o anche in determinati autori, potrà prevalere il ruolo dell’iconografia oppure quello del “segno”, della categoria formale e compiere questa valutazione mette già su una buona strada di indagine. Va comunque ricordato che le due dimensioni non vanno mai scisse tra loro, anche se una può prevalere sull’altra. Semplicemente sono scelte espressive diverse, dovute anche alla funzione specifica che la singola opera intendeva assolvere. I rimandi e le relazioni formali sono importantissimi anche nell’analisi del “video” o della fotografia dell’arte contemporanea: anche il video indugia su certe caratteristiche della “presa visiva” o su certi segni e sistemi di relazioni tra le immagini. La video art pertanto va vista non tanto in relazione di ciò che racconta o sembra raccontare ma anche nel suo essere “quadro in movimento”, cioè nella sua specificità di relazione tra forme, suoni, immagini. Resta il fatto che l’analisi formale sta alla base della percezione dell’opera in quanto è la struttura di relazioni disposta dall’artista a indicare percorsi, luoghi, tempi (anche attraverso scatti, discrasie, incongruenze) della visione e della percezione. Buona regola pertanto rallentare per le opere i tempi di osservazione, indugiare sui segni e vedere dove vengono posti gli accenti cromatici, i nodi di segno, i cambiamenti di piani spaziali ecc. L’opera di metaforizzazione non può che scaturire successivamente a quest’approccio ed è guidata unicamente da esso. Dove non c’è organizzazione formale (organizzazione dello spazio, della luce, del “vuoto” del “pieno” ecc.) o scelta specifica di trattamento di segno, di superficie, uso specifico di certo materiale ecc.) l’opera risulta limitata e tendenzialmente “illustrativa” tende cioè a porre il suo valore solo nell’iconografia che rappresenta. Lì dove c’è eccesso di attenzione alle forme, ai materiali e alla loro organizzazione, può esserci una carenza di senso, può mancare cioè la “finalità” del lavoro sulla materia spazio e luce, al punto da penalizzare la percezione stessa del lavoro. Va comunque ricordato che nell’arte contemporanea i termini “iconografie” “immagini” non implicano necessariamente la riproduzione di elementi e oggetti realistici o la traduzione di concetti “verbali” e letterari, ma anche la simbolizzazione di specifici elementi formali (luce, forma geometrica o fluida o aperta ecc.)
Theorèin - Marzo 2003 |