Alla fine dell'Ottocento, nascono altre teorie della visione ad esempio quella dell'Empatia, ovvero dell' immedesimazione.
Il soggetto contemplante avverte una simpatia tra gli oggetti esterni e il proprio sentimento, ma sostanzialmente esiste una empatia positiva in quanto dà la qualità estetica e una negativa: il "brutto", ciò accade nella misura in cui l'artista identifica o meno la sua sensibilità con la natura.
Ma si pretendeva di applicare una sorta di "romanticismo atemporale" in maniera meccanica(Vischer, Lipps).
Con la Psicologia della Formatività: (Wertheimer, Von Ehrenfels) cambia l'approccio, superando il concetto ottocentesco di empatia: ogni conoscenza realmente tale implica una percezione strutturata, non si esaminano dati percettivi particolari, ma l'esperienza visiva è organizzata e globale (la sensazione non è distinta dalla percezione).
Da queste idee sulla Formatività, muove il metodo della "Psicologia della visione" (Rudolf Arnheim) = secondo il suo metodo analitico, lo spettatore non è passivo, ma partecipa alla creatività dell'opera con una "presa di coscienza della verità".
Il giudizio visivo nasce nell'atto stesso del vedere: quindi conoscere i movimenti psicologici e le componenti del processo visivo che partecipa alla creazione come alla fruizione dell'opera, chiarisce anche il meccanismo di pensiero dell'autore.
Attraverso delle categorie analitiche (equilibrio, configurazione, forma, sviluppo, spazio luce, colore, movimento, tensione, espressione) si consente l'approccio abbastanza articolato dell'opera non soltanto da un punto di vista visivo ma con una specie di sintesi psico - mentale.
E' l'esigenza di costituire un metodo scientifico che spieghi oggettivamente ogni tipo di opera, una sorta di scienza interdisciplinare perché si muove dal principio che l'arte è comunicazione e che si affida al linguaggio.
In questo senso la psicologia della visione trova diversi addentellati con alcuni aspetti della metodologia strutturalista.