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LA CONDIZIONE POSTMODERNA
Vivendo nel postmoderno
Qual è la condizione del sapere nelle società più sviluppate nell’attuale epoca definita postmoderna? Jean-Francois Lyotard nell’introduzione al libro
La condizione postmoderna così definisce il termine:
Molti ritengono che il post-moderno rappresenti più la crisi della modernità che non una nuova epoca.
Abbiamo già parlato, dei molti autori che con grande consapevolezza annunciavano la "fine dell’epoca moderna" registrando un nichilismo crescente occidentale e manifestando tutto il loro "pessimismo sulla civiltà" (Kulturpessimismus).
Seguendo questa tesi, la morte della modernità dovrebbe portare ad un dopo, e in tal senso la post-modernità dovrebbe rappresentare la consapevolezza di una fine e l’attesa di un principio.
In termini nietzschiani potremmo parlare di un’epoca che si pone tra la compiuta "morte di Dio" e l’attesa "nascita dell’oltreuomo".
Lo storico Arnold J.Toynbee delimita l’epoca "moderna" fra il 1475 e il 1875; in quest’anno comincia l’epoca "postmoderna", caratterizzata dalla interdipendenza mondiale delle nazioni.
In realtà, il postmoderno è ancora interno al moderno, del quale costituisce non già un "oltre" o un "contro", ma solo una variante debole. Il postmoderno non è il superamento del moderno ma il suo esito nichilistico.
Nichilismo significa, così come lo ha inteso Nietzsche, la situazione nella quale l’uomo rotola via dal centro verso la X, ma nichilismo è anche quello definito da Heidegger: "Il processo nel quale, alla fine, dell’essere come tale "non ne è più nulla". La morte della coscienza storica segna anche la morte dell’uomo. Nietzsche pone per la prima volta il problema dell’epigonismo, cioè dell’eccesso di coscienza storica, che attanaglia l’uomo del XIX secolo e gli impedisce di produrre vera novità storica.
Il postmoderno ha il compito di far uscire l’uomo dalla gabbia d’acciaio della filosofia della storia e dal suo sistema triadico di antichità, medioevo ed evo moderno. Questo distacco lo dovrebbe proiettare verso una quarta epoca. In realtà secondo Peter Koslowski:
"Il postmoderno sta impedendo ciò che doveva in realtà verificarsi dopo il fallimento dell’attesa di un processo di avvicinamento storico-filosofico dell’utopismo all’età moderna: la fine".
Fin quando non si può definitivamente porre la parola fine alla modernità non ci si può mai considerare entrati nell’epoca postmoderna; pertanto i segnali che finora stiamo registrando sono tutti indirizzati alla proclamazione di una svolta che deve tuttavia ancora completare la sua azione. In definitiva possiamo dire con il Koslowski che:
"Stiamo vivendo in quell’epoca che annuncia il passaggio dal moderno al postmoderno ma che la disputa nel tracciare il confine non riguarda tanto questa constatazione quando la domanda se il moderno abbia trovato il suo compimento o se la sua completa realizzazione possa essere
tralasciata a causa di un progetto più importante".
Nell’occuparci della condizione moderna abbiamo visto che il prodotto artistico, e quello culturale in genere, non è esente dalle regole di mercato; esso deve risultare gradevole, aproblematico, in una sola parola: vendibile.
Con l’avvento del postmoderno, aumentano le esigenze del mercato dell’industria culturale, e si affermano progressivamente dei sottoprodotti che si suole definire kitsch.
E’ tuttavia nell’ambito dell’architettura che le modificazioni si sono rese più visibili. Qui il postmoderno si presenta sotto forma di populismo estetico; caratteristica fondamentale è la cancellazione del confine tra la cultura alta e la cosiddetta cultura di massa o commerciale. Scrive Fredric Jameson:
"Il postmoderno ha subito il fascino di questo paesaggio "degradato" di kitsch e scarti, di serial televisivi e cultura da Reader’s Digest, di pubblicità e motel, di show televisivi, film hollywoodiani di serie B e della cosiddetta paraletturatura con i suoi paperback da aeroporto, divisi nelle categorie del gotico o del romanzo rosa, della biografia romanzata e del giallo, della fantascienza e della fantasy: materiali che nei prodotti postmoderni non vengono semplicemente "citati", come sarebbe potuto accadere in Joyce o in Mahler, ma incorporati in tutta la loro sostanza".
La condizione postmoderna può sintetizzarsi in una foto scattata a Los Angeles che ritrae una facciata dell'hotel Bonaventure, costruito nella downtown della metropoli statunitense dall'architetto e imprenditore John Portman.
Questo edificio rappresenta l'emblema del concetto di postmoderno ed ha attirato intorno a sè attenzioni degli studiosi in materia, fra i quali citiamo Fredric Jameson, che così sintetizza la sua presenza:
"Soddisfa pienamente la pretesa che avanza:è un edificio popolare frequentato con entusiasmo tanto dagli abitanti della città che dai
turisti".
Più avanti prosegue:
"Credo che il Bonaventure, insieme a un certo numero di edificio tipicamente postmoderni, come il Beaubourg a Parigi o l'Eaton Centre a Toronto,
aspiri ad essere uno spazio totale, un mondo completo, una specie d città in miniatura (e vorrei aggiungere che a questo nuovo spazio totale corrisponde una nuova pratica collettiva, una nuova maniera di spostarsi e di riunirsi degli individui, qualcosa come una specie di iperfolla nuova e storicamente originale)".
In edifici di questo genere domina l'elemento vetro che, avvolgendo totalmente le facciate,sembra voler segnare una rottura con il mondo esterno, respingendo con i suoi riflessi tutto ciò ad esso estraneo.
C'è un rifiuto della città "tradizionale" in toto: con i suoi mercatini, le sue piazze, i suoi monumenti, i suoi giardini, le sue luci, le sue case non uniformi.
Tutte le cose che da sempre hanno animato la vita della comunità e ne hanno costituito un riferimento,
vengono convogliate e condensate in questi nuovi spazi, che aspirano a comprenderle tutte.
Si tratta di un concetto tipicamente americano, che tuttavia sta entrando con forza nelle abitudini e stili di vita dei cittadini europei.
Il vecchio continente mostra di dimenticare il suo grande bagaglio storico e sembra subire passivamente l'imposizione
indiretta di questo stile. Come tuttavia scrive Baudrillard nel suo libro America: "L’America non è né un sogno, né una realtà, è una iperrealtà. Ed è una iperrealtà perché è una utopia vissuta fin dall’inizio come realizzata.
Qui, tutto è reale, pragmatico, e tutto lascia perplessi. (...) In realtà, qui non si perdono, come io speravo, le distanze nei confronti dell’Europa, non si ricava una prospettiva diversa. Quando ci si volta indietro, l’Europa è semplicemente scomparsa".
In un recente viaggio a Minneapolis, nel Minnesota, l’incontro con alcuni amici italiani trasferitisi per ragioni di lavoro, è stato alquanto significante.
E’ stato sorprendente notare come essi, pur dotati di un elevato spessore culturale, abbiano assorbito velocemente, e forse involontariamente, la mentalità americana. Il maggior tempo dedicato alla visita in città è stato speso per il Mall of America, il più grande discount della nazione.
Dentro questa città nella città, l’Europeo, al primo impatto, avverte un senso di nausea provocato dalle troppe luci che provengono da ogni direzione, così come dai richiami musicali dei vari box e dal muoversi confuso della grande folla. Il cittadino americano possiede invece i giusti anticorpi, in quanto l’idea del big (del grande) è un connotato genetico acquisito dalla nascita.
La passeggiata a piedi nelle città degli Stati Uniti è impossibile ed inutile. Qui non siamo a Parigi, Praga, Roma, dove qualsiasi strada percorriamo, troviamo delle tracce storiche ed artistiche. In un continente "senza storia", le strade non debbono ricordare nulla, pertanto è sufficiente numerarle.
La camminata al chiaro di luna qui è una riproduzione da studios. Tutta la vita sembra una grossa finzione. Tutto sembra assomigliare alla storia dell'ignaro Truman Burbank, protagonista del film
The Truman show.
In questo film si raccontano le vicende di un uomo la cui vita è un ininterrotto show in tv, il quale non immagina che la tranquilla cittadina in cui vive è un gigantesco palcoscenico controllato da un visionario produttore/regista/creatore, e che le persone che vi vivono e lavorano sono attori di Hollywood e che persino sua moglie è un’artista sotto contratto.
La foto in basso, ritrae un particolare di una piazza, estremamente pulita e "razionale", così cara agli illuministi settecenteschi. Potrebbe trattarsi di un comunissimo crocevia di stile moderno, se non fosse situato ad un'altezza corrispondente a quella di un terzo piano di un fabbricato.
Il piano stradale scorre in basso e non deve essere disturbato da pedoni o biciclette. La città, quella che noi tradizionalmente intendiamo fatta di uomini, vive all’interno dei grattacieli che circondano la downtown. Non occorre uscire fuori, nel loro interno vi sono uffici, banche, negozi, ristoranti e quant’altro occorre.
Qui non bisogna camminare con le proprie gambe, basta seguire le scale mobili e veloci ascensori che ci si ritrova dappertutto.
Al nuovo concetto urbanistico di città e alla nuova visione architettonica degli spazi corrisponde anche un mutamento del corpo. Proprio in questo contesto nasce il paradosso. Ad un corpo a cui si chiede di farsi arredo di questi spazi postmoderni, a cui si impedisce ogni minimo sforzo,
chiedendogli semplicemente di "stare" al posto assegnatogli, come un qualsiasi altro componente (sia esso una cascata artificiale, o panchina, o insegna), fa riscontro la cura maniacale e salutista a cui deve essere sottoposto durante il tempo libero.
Quando il sensore elettronico chiude l’ultima porta, gli allarmi sono tutti inseriti e la downtown diventa una città di fantasmi, lo jogger infila le cuffiette degli altoparlanti nelle orecchie, alza il volume del suo walkman e inizia a correre, chiuso nel sacrificio solitario della sua energia. "Il miraggio del corpo negli Stati Uniti è ovunque grandissimo. E’ il solo oggetto sul quale concentrarsi, non già come fonte di piacere, ma come oggetto di smodate attenzioni, nella continua ossessione della decadenza e della prestazione, segno e anticipazione della morte, alla quale nessuno sa più dare altro senso se non quello della sua perpetua prevenzione. Il corpo è vezzeggiato, coccolato, nella certezza perversa della sua inutilità, nella certezza totale della sua
non-risurrezione".
Se il marxismo parla di alienazione del corpo buttato nella catena di montaggio industriale a produrre beni, oggi possiamo parlare di alienazione del corpo nel consumare quei beni prodotti, come ci conferma Umberto Galimberti:
"Il nichilismo si annida proprio là dove l’uomo pensa di averlo definitivamente bandito, si annida nel possesso delle cose oggettivate dalla scienza e utilizzate dalla tecnica".
Lo statunitense Joseph Coates, uomo d’affari di successo, che ha grande esperienza sia di tecnologia che di management, in un convegno della World Future Society ha presentato una relazione dal titolo
"Ten Dark Clouds on the Horizon", dieci nubi all’orizzonte, in cui mette in guardia contro il generico ottimismo che accompagna lo sviluppo tecnologico. Dice Coates:
"Ci troviamo a vivere in una fase di transizione che non ha precedenti dalla rivoluzione industriale, nella quale le opportunità sono talmente
abbondanti che non si può non vedere la potenzialità di uno straordinario progresso per l’intero mondo. Abbiamo di fronte "rivoluzioni benefiche" che investono la nostra vita nelle aree dell’energia, della Information Technology, della genetica, dei materiali.
L’atteggiamento verso l’ambiente si trasformerà radicalmente e assisteremo infine all’emergere delle tecnologie cerebrali. Queste rivoluzioni senz’altro giustificano un fondamentale ottimismo sul futuro del genere umano. Tuttavia, non dovremmo consentirci di essere così sopraffatti dall’ottimismo da ignorare le "nubi"
all’orizzonte, di non vedere la possibilità che di fronte a noi si trovino difficoltà importanti.Se non dovessimo affrontare queste difficoltà in modo tempestivo potremmo vanificare tutti i benefici in chiave di progresso di queste rivoluzioni".
Nasce dunque l’esigenza di apprendere e imparare a controllare l’influenza della negatività che l’avanzamento tecnologico inevitabilmente si porta con sé.
In questo ultimo decennio, nelle nazioni sviluppate, all’incremento di prosperità è corrisposta un’attenzione crescente agli elementi negativi, alle inadeguatezze, ai fallimenti, alle difficoltà connesse con esso.
Una sorta di paura sistematica ha rimpiazzato il passato entusiasmo verso il progresso tecnologico. La scienza sta perdendo nel postmoderno il suo ruolo costituente l’immagine del mondo; i suoi paradigmi, come il meccanicismo universale o l’evoluzionismo, vengono sempre più posti in questione dalle stesse scienze della natura nella loro pretesa totalizzante. Il processo scientifico viene corroborato da paradigmi concorrenziali che si annidano nel proprio interno come ad esempio quello espresso dal movimento New Age oggi molto in voga.
Fritjof Capra nel libro Il punto di svolta dedica un capitolo al lato oscuro della crescita. Egli sottolinea il venir meno di quel senso di integrità e di equilibrio fra le varie componenti del nostro organismo e fra l’organismo e il suo ambiente. Scrive: "La tecnologia umana sta gravemente disgregando e sconvolgendo i processi ecologici che sostengono il nostro ambiente naturale e che sono la base stessa della nostra esistenza".
E’ dello stesso parere Konrad Lorenz che nel libro Gli otto peccati capitali della nostra civiltà
scrive: "Tutti i vantaggi che l’uomo ha ricavato da una conoscenza sempre più approfondita della natura che lo circonda, i progressi della tecnologia, delle scienze chimiche e mediche, tutto ciò che sembrerebbe destinato a lenire le sofferenze umane, tende invece, per un terribile paradosso, a favorire la rovina dell’umanità".
Tuttavia è un buon segnale che, almeno dal punto di vista teorico, stiamo prendendo coscienza dell’insieme delle cause e degli effetti che la rivoluzione attuale sta portando con sè, dopo lunghi decenni in cui l’unico credo professato è stato quello dell’esaltazione incondizionata del progresso.
A questa presa di coscienza dobbiamo far seguire l'azione pratica. Un nuovo Rinascimento si può costruire a partire da una nuova visione della realtà fondata sulla consapevolezza dell’essenziale interrelazione e interdipendenza di tutti i fenomeni: fisici, biologici, psicologici, sociali e culturali.
Theorèin - Dicembre 2002 |