Ad ogni grande rivoluzione in questi campi è seguita una corrispondente trasformazione dell’ambiente urbano.
La città tuttavia non è solo un ambiente di vita e di lavoro. Le linee telefoniche, le reti postali, i ponti radio, gli edifici, le strade, l'arredo urbano, i rapporti tra gli spazi, costituiscono dei veri e propri canali comunicativi: sono mezzi che mettono in relazione le persone e la città che è essenzialmente un grande sistema di comunicazione.
Oggi possiamo parlare della presenza contemporanea di due mondi, di due tipi di "rete", quella dei trasporti e quella delle telecomunicazioni.
Entrambe hanno come obiettivo rendere possibili e aumentare le relazioni e gli scambi tra le persone. La prima in una dimensione reale, la seconda in una dimensione più astratta e immateriale.
Le nuove tecnologie dell'informazione stanno rivoluzionando non solo il nostro modo di vivere e di lavorare ma soprattutto il nostro modo di comunicare.
Questi cambiamenti investono direttamente la città cambiandone la struttura e ridisegnandone le future linee di sviluppo.
La città industriale sta lasciando il posto alla città digitale, ossia ad una città basata sulla circolazione di dati binari, una "città dei bit " come l’ha definita in un suo recente saggio l’architetto statunitense William Mitchell:
"La città dei bit è una città nella quale le interazioni non avvengono unicamente faccia a faccia ma anche elettronicamente, una città dove le transazioni commerciali avvengono elettronicamente, dove anche una buona parte delle interazioni sociali avviene elettronicamente, dove la cultura è supportata dall'elettronica; e allo stesso modo tutto ciò avviene anche fisicamente. Una cosa non sostituisce l'altra, ma i due mondi lavorano congiuntamente: il mondo fisico e quello elettronico".
Secondo Mitchell, pur convivendo i due mondi, alla città "tradizionale" si sovrappone sempre più la città digitale.
Dobbiamo quindi abituarci ad una serie di cambiamenti profondi che implicano una ridefinizione dello spazio di vita cittadino.
Il lavoro necessario a realizzare questo nuovo scenario è già iniziato da qualche anno, da quando cioè alcune comunità locali hanno iniziato a fare il loro ingresso nel mondo della telematica creando le prime reti locali e centri telematici al servizio del cittadino.
Nasce il concetto di rete civica che può essere intesa come spazio di discussione del cittadino, come opportunità per gli enti locali per
offrire veri e propri servizi e come presentazione della città al mondo.
Un'ulteriore definizione di questo termine è città digitale che,
invece, si riferisce alla capacità dei cittadini di entrare in tutti gli
aspetti della rete.
Questa definizione rimanda all’immagine dei cavi che arrivano a tutti
gli edifici della città.
Oggi, almeno in Italia, l’elemento di maggior ostacolo allo sviluppo
della telematica civica è di ordine culturale.
Il canale trasmissivo, il cavo attraverso il quale viene trasferita
l'informazione, non viene ancora considerato come una sorta di risorsa
pubblica della comunità, al pari dell’acqua, dell’aria o del verde
pubblico.
In altri paesi europei la "fibra scura" - cioè una fibra
ancora priva di una utilizzazione definita - è considerata a tutti gli
effetti un bene pubblico. Un bene che viene affittato a chiunque lo
richieda: un gestore di telefonia, una rete televisiva, o la stessa città.
Pur con ritardo, la crescita e la diffusione delle reti civiche su
tutto il territorio nazionale è oramai un dato di fatto.
Gran parte del merito deve essere attribuito all’iniziativa delle singole amministrazioni locali pur carenti di una programmazione definita.
Per sopperire a questa lacuna nel 1993 si è voluto coordinare tutte queste esperienze creando a Roma l’AIPA, l’Autorità per
l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, il cui progetto ha rappresentato il primo passo per lo sviluppo delle rete unitaria della Pubblica Amministrazione.
La connessione in rete porta indubbiamente molti vantaggi, ma non bisogna attribuire alle informazioni che vi circolano valori di verità assoluti.
Nel settore delle automazioni industriali di cui mi occupo, sappiamo che non basta costruire un sistema ad anello chiuso per essere certi di
avere un controllo preciso e sicuro di un determinato ciclo di lavorazione. Quando inviamo delle informazioni (in questo caso si tratta
di impulsi elettrici) in un determinato campo e riceviamo dei segnali di
ritorno (feedback), abbiamo bisogno continuamente che l’insieme dei dati
elaborati venga confrontato con dei valori da noi stabiliti in partenza, e
qualora i risultati non soddisfino tali obiettivi, occorre apportare delle
correzioni, al fine di raggiungere i risultati prefissati.
Lo stesso criterio credo si debba seguire in un discorso più ampio che
riguarda le reti di connessione in generale. Per accedere ad Internet in
modo corretto, ad esempio, è necessario conoscere l’oggetto della
propria ricerca, altrimenti la navigazione rischia di trasformarsi in un
gioco, mentre penso ci sia di meglio che stare seduti per ore davanti ad
un monitor.
Quindi il problema principale nel rapportarsi con i media è stato, e
rimarrà, difatti un problema di educazione di base delle persone.
Oggi disponiamo di centinaia di canali televisivi ma se guardiamo alla
qualità dei contenuti ci accorgiamo che c’è un’orribile ripetitività.
Pur rilevando questa grande disponibilità, ci sono pochi network
economicamente capaci di produrre informazioni e notizie di buona qualità.
A mio avviso due sono i rischi più alti che stiamo correndo con
l’ingresso su larga scala delle nuove tecnologie dell’informazione: il
primo è che sta scomparendo l’iniziativa di apprendere più
approfonditamente o di interpretare in maniera autonoma le nozioni. Che
cosa sto cercando e che cosa voglio ottenere? E’ questa la prima domanda
che dobbiamo porre a noi stessi prima di collegarci in rete.
Il secondo rischio è che di fronte al trasferimento su di un piano
astratto e virtuale delle nostre esperienze e del nostro interagire a
distanza con il mondo e con la società, c’è la minaccia incombente
della perdita totale della realtà.
Sono molti a sostenere che l’impatto delle nuove tecnologie e della
realtà virtuale potrebbe assumere un’importanza considerevole al punto
da farci perdere i nostri punti di riferimento nello spazio reale.
Nel libro The Image of City (L’immagine della città)
Kevin Lynch definisce la città postmoderna alienata:
"Uno spazio in cui la gente non riesce a
tracciare una mappa (mentale) né a stabilire la propria posizione o a
farsi un quadro della totalità urbana in cui si trova".
Nell'affrontare il tema della nascita della città moderna è stato
evidenziato una tendenza all’uniformità del paesaggio urbano che, oltre
a dipendere dai molteplici fattori sociologici, culturali, e non ultimi
produttivi, è connessa alla caratteristica propria della società
industriale e cioè quella di annullare il localismo.
Già nel 1908 August Endell individuava la metropoli come un città
dove le strade non hanno un proprio carattere. Le piazze sono spazi vuoti,
senza misura e senza forza. Gli edifici non si adattano alle strade: sono
imponenti eppure non impressionano. Tra strada e casa quindi non c’è
relazione.
La perdita dei connotati classici della città ha subìto forti
accelerazioni nel postmodernismo e nella forte crescita del processo di
digitalizzazione del contesto urbano. Oggi si parla della tendenza a
vivere in dei "nonluoghi". Scrive Franco Purini:
"I nonluoghi non sono il contrario dei luoghi,
segnalano semplicemente la loro assenza. Essi non sono entità negative,
ma sistemi forti... L’architettura contemporanea, pur avendo prodotto
questi sistemi, non ha ancora elaborato sistemi convincenti per il loro
riconoscimento e la loro interpretazione".
Il nonluogo non è solo un prodotto della città contemporanea: come
abbiamo spiegato precedentemente, fin dall’Ottocento si è vista
progredire sempre più la cultura della città senza luoghi; si è passati
attraverso un percorso che via via ha ridotto i valori urbani a valori
economici, e i significati a significati funzionali.
L’urbanistica moderna e contemporanea ha teso a uniformare gli spazi
o nonluoghi.
In un contesto del genere ecco riecheggiare in maniera preponderante
l’annuncio della sconfitta della civiltà, la morte dell’interiorità,
la perdita totale della sensibilità.
L’esterno distrugge ogni interno, acusticamente e visivamente, di
giorno e di notte giacchè la nozione di tempo e di spazio vengono
annullati.
Non c’è più alcun bisogno di uscire dalle nostre case, non c’è
più il bisogno di andare in alcun luogo, perché ogni luogo viene a noi.