DALL'ATOMO AL BIT:
Come e perchè di un mutamento socioculturale e filosofico
A cura di: Mario Della Penna
Entra nella sezione FILOSOFIA

Se vuoi comunicare con Mario Della Penna: mariodellapenna@theorein.it
X Lezione

LA CONDIZIONE POSTMODERNA
Dall'homo sapiens all'homo ludens

 


L’uomo è per natura un animale che comunica ossia che trasmette un messaggio per mezzo di segni adeguati.

Nella storia occidentale si sono susseguiti quattro tipi antropologici:

  1. l’homo sapiens;
  2. l’homo religiosus;
  3. l’homo faber;
  4. l’attuale homo ludens.

Di questi quattro tipi, il primo, ossia l’uomo delle civiltà greca e romana, considera la comunicazione come trasmissione di una verità scoperta dalla ragione; scritto e orale si contrappongono come dòxa ed epistème, o, se si preferisce, come il mezzo e il fine.

C’è l’affermazione di un primato della comunicazione orale sia nel primo che nel secondo uomo, ma nel religiosus assume un fondamento nuovo, in quanto interviene il "maestro interiore" che illumina la verità e consente la comunicazione.

Il processo cambia radicalmente con l’avvento del terzo uomo: il "borghese".

La sua, è una cultura grafica, che trova nel libro stampato il suo strumento privilegiato; in questo periodo assistiamo alla nascita del cosiddetto uomo di Gutenberg il quale compie un passaggio dal sonoro al visivo alfabetico.

I grandi fenomeni culturali, come il Rinascimento, la Riforma e la Rivoluzione scientifica, non sarebbero neppure pensabili senza l’uso della stampa.

La rivoluzione telematica ha ormai reso inattuale il terzo uomo e ne ha prodotto un quarto: l’uomo postalfabetico.

Questo passaggio poteva avvenire solo attraverso una rivoluzione "mediale" perché i mezzi di comunicazione non sono semplici strumenti neutrali ma sono in grado di modificare profondamente il modo di comunicare e soprattutto gli stessi contenuti della comunicazione.

Il quarto uomo è un uomo totalmente plasmato dai media elettrici.

Marshall McLuhan distingue questi ultimi in caldi e freddi. Sono caldi quei media che ipertrofizzano un solo canale percettivo, come fa la radio con l’udito, e pertanto non lasciano al pubblico molto spazio da colmare o completare comportando perciò una limitata partecipazione; al contrario i media freddi, la televisione per prima, implicano un alto grado di partecipazione o di completamento. Il quarto uomo si serve soprattutto di quest’ultimi.

La "mutazione antropologica" in atto comporta un cambio di statuto del sapere nel momento in cui le società entrano nell’età detta postindustriale e le culture nell’età detta postmoderna.

La data di inizio di questa evoluzione può risalire alla fine degli anni Cinquanta del Novecento. In tale periodo si sviluppa in Europa, sulla quale grava la pesante ipoteca politico-economica degli Stati Uniti, quel tipo di "società" o di "civiltà" nella quale ancora viviamo.

Si tratta di quella "società industriale nella fase di capitalismo avanzato" o di quella "civiltà di massa" le cui caratteristiche vanno dal consumismo, con la creazione di bisogni fittizi ma omologhi al sistema, ai persuasori occulti, che attraverso una serie di canali di comunicazione trasformano l’uomo in consumatore eterodiretto, dall’omogeneizzazione del gusto collettivo alla mercificazione di qualsiasi tipo di "valori".

E’ in una situazione del genere che si diffonde la cultura del patchwork, del collage.

Il passaggio da una cultura moderna ad un’altra "post-moderna" si è verificato, in Italia, negli anni Ottanta del secolo appena trascorso.

Lo studioso Paolo Dell’Aquila ne distingue due fasi così riassunte:

"Nel primo periodo si manifesta una chiusura autoreferenziale del sistema culturale, che causa una spettacolarizzazione delle azioni sociali (...) Ne consegue un effetto di de-realizzazione del reale (...) Dal reale si passa all’iperreale, alla simulazione assoluta, alla reduplicazione infinita dei segni (...) Il post-moderno è allora il trionfo delle mode, più che della moda. Con il quarto uomo si è assistito ad un proliferare di look diversi, di maschere sociali cangianti.

Poi continua:

Nel secondo periodo del post-moderno (gli anni Novanta) il codice culturale si complessifica. Alla secolarizzazione radicale, alla fabulazione del mondo si congiunge una riscoperta del mito, dell’etica. Il disincanto si accoppia con il reincanto del mondo, come ha compreso il pensiero debole. In questa ottica la cultura, in quanto insieme di valori, di oggettivazioni intersoggettive poste in fluttuazione viene dominata da un doppio movimento, un double bind, tra la ripresa del mito e la sua secolarizzazione, fra l’adesione alla tradizione ed il suo sovvertimento".

Secondo Daniel Bell le caratteristiche precipue delle società post-industriali si fondano sul passaggio dalla produzione di beni all’economia di servizi.

Sotto questo aspetto la data di nascita della società post-industriale si può fissare nel 1956 quando negli Stati Uniti gli impiegati nel settore terziario divengono la maggioranza.

La società post-industriale sarà sempre più caratterizzata dall’importanza dell’informazione divenuta la merce soft predominante e catalizzatrice dei mutamenti socio-culturali.

Appare all’orizzonte il pericolo che il flusso informativo diventi sempre più artificiale e basato su codici "freddi", impersonali, manipolabili solo da una ristretta comunità di tecnici.

Di tale parere è lo scrittore e critico delle comunicazioni di massa Neil Postman che così vede l’attuale situazione di tecnopolio:

"Si è spezzato il legame tra informazione e finalità umana: l’informazione è totalmente indiscriminata, non è diretta ad alcuno in particolare, è quanto mai voluminosa e veloce e non ha alcun rapporto con qualsiasi teoria, significato od obiettivo".

Nella prima fase del post-moderno il quarto uomo, con la sua società della istantaneità, ha prodotto un sistema culturale altamente instabile e fluttuante, ove i messaggi si accavallano, si disperdono, vengono spettacolarizzati e perdono sempre più di senso.

Non sono più gli status tradizionali a determinare l’appartenenza sociale, ma solo l’inserirsi in alcune delle numerose reti di socialità. La seconda fase del post-moderno, che si sta delineando oggi, offre uno scenario parzialmente diverso.

Secondo G. Lipovetsky si può parlare di una società post-moralista, ovverosia di una società che diventa sempre più una società della regolazione, in grado di mitigare gli eccessi precedenti.

La look generation è costretta a riconvertirsi ed a diventare più stabile.

In Italia, il decennio 1980-1990, ha segnato la fine della cosiddetta "prima repubblica" con delle drammatiche ripercussioni nella vita sociale e culturale.

La paralisi politico amministrativa che si è generata ha spento tutto quel movimento apparente di grande ottimismo che aveva regnato.

Il paventato nuovo boom economico si è scoperto essere figlio di madre corruzione, e presto ci si è dovuti svegliare da un sogno più grande di noi, con l'immediata necessità di dover rimettere in ordine i conti dello Stato, pena l'esclusione dello stesso dall’orbita europea primaria.

Nel nostro paese quindi, più che poter rivendicare una capacità rinnovatrice legata ad un processo di crescita intellettuale, si può parlare di un cambiamento dettato dalle circostanze.

Il grave degrado finanziario ha messo in evidenza una serie di crisi strutturali di diversi apparati e che ha avuto una forte ripercussione in particolare nel welfare.

Il processo non ha risparmiato, con diverse sfumature, il resto del continente europeo; ovunque si è reso necessario ridurre gli sprechi e ricercare un maggiore equilibrio a causa della drammatica crisi sia di integrazione sistemica sia di integrazione sociale.

Questa ondata revisionista statale si è propagata fino a raggiungere il singolo individuo.

Il consumatore è stato costretto a cambiare atteggiamento, dovendo assumere una maggiore capacità di autoregolazione, di selezione nel flusso degli eventi e delle esperienze.

Quantitativo e qualitativo si alleano fra loro nel binomio high tech/soft touch.

Nascono così delle tendenze al de-consumo, alla autolimitaizone degli sprechi.

F. Morace nel 1990 ipotizza un'ecologia del consumo, che si affianchi all'ecologia della mente (G. Bateson 1976), all'ecologia dei segni (U. Volli 1988), all'ecologia dell'artificiale (E. Manzini 1990).

Gli oggetti diventano mezzi per raggiungere un maggiore equilibrio con l'ambiente culturale che ci circonda.

Ecco riacquistare forza, il problema ecologico, figlio del secondo principio fondamentale della termodinamica, di cui ci abbiamo parlato affrontando i mutamenti in fisica nell'epoca moderna e che prova la finitezza delle energie e la fragilità delle strutture naturali.

Lo sviluppo, dall'industrialismo al postindustrialismo, è in relazione quindi con l'esauribilità delle energie e delle risorse.


Theorèin - Febbraio 2003