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Platone scrive il Fedone fra il 387 e il 367 a.C. (suo ventennio più fruttuoso) in esso si legge che l’intendimento di coloro che si occupano di filosofia, consiste nel curarsi di nient’altro se non di "morire e di essere morti".
Si tratta di una frase, come accade spesso negli scritti platonici, che Platone fa dire a Socrate (per questo si parla di posizione platonico-socratica).
Filosofia in questo caso, significa curarsi di tutto ciò che presuppone il corpo o morto o progressivamente "obliato" da parte dell’anima.
Il nascere e il morire non ha nulla a che vedere con la ricerca della filosofia, che punta alla verità, e la verità non è morire o essere morto.
L’anima è qualcosa che preesiste, e che nella nascita entra nel nostro corpo e quando esso muore, sopravvive ed entra in altri corpi.
Chi fa filosofia deve attivare l’anima che è qualcosa di permanente.
Condizione fondamentale affinché quest’anima avanzi nella via della verità, è che essa deve necessariamente abolire, dimenticare il corpo nel quale è entrata.
Non c’è quindi via migliore per l’anima, se non quella di liberarsi del corpo per entrare nella verità.
Se è vero che la filosofia presocratica non si sa bene di cosa parli, la filosofia platonica escluderà tutto ciò che è natura per arrivare alla verità, perché la filosofia non può occuparsi dell'acqua, della terra, dell’aria e del fuoco, nè tanto meno del corpo.
Di quest’ultimo ne parlerà la scienza ma ancor prima la letteratura.
Nasce infatti la scrittura letteraria a cui compete trattare tutte le cose che vengono escluse dalla filosofia platonica e socratica.
I problemi di odio e amore ad esempio non si troveranno in filosofia ma nelle opere letterarie.
Il platonismo prevale come dottrina e questi temi vengono esclusi dalla filosofia.
Verso metà dell'Ottocento, con l’avvento del Romanticismo, si tenterà di riorganizzare questo sapere.
Leopardi fu l’unico a collegare la letteratura alla filosofia (ragionamento antiplatonico in quanto per quest’ultimo o si era filosofi o si era letterati).
La ricomposizione del livello scrittorio e compositivo è operato da Dante Alighieri. Non è vero che
La Divina Commedia è un’opera filosofica nel senso che ha unito filosofia e poesia tradizionale, perchè l’invocare le muse, la scrittura in versi, il possedere un titolo ecc., fanno intravedere uno stampo letterario e non filosofico (che è ricerca del vero).
Quando Dante vuol fare filosofia tradizionale, scrive Il Convivio (stesso titolo di un’opera di Platone).
Nella Repubblica di Platone si legge il seguente passo:
«Una volta assistetti a un dialogo - dice Cefalo - tra il poeta Sofocle e un tale che gli domandava: - Come ti vanno, Sofocle, le cose d’amore? Sei ancora capace di rapporti rapporti intimi con una donna? - E quegli: - Zitto, amico, - rispose - son proprio contento di essermene liberato, come da un padrone rabbioso e intrattabile. Ottima mi sembrò allora quella risposta, e non meno buona mi sembra anche adesso, perché nella vecchiaia simili istinti s’aquietano, s’avvera integralmente il detto di Sofocle, è una liberazione da molti e pazzi padroni». Mai Sofocle si sentì così libero come in vecchiaia. Libero e non preda di pazzi padroni. Il corpo è quindi vicino alla verità in vecchiaia e mai sarà più vicino dopo la morte. Nella Repubblica Platone caccia i poeti mitologici perchè allontanano la mitologia dalla verità. Il filosofo quindi non si occupa di problemi legati a necessità corporee. La tragedia non prevederà mai di parlare del mangiare e del bere e giammai la filosofia perché sono problemi legati al corpo. Il filosofo cerca di prendere distanza da tutto ciò che può allontanare l’anima dal corpo. Diderot filosofo epicureo dice: "noi nasciamo nella polvere e torniamo polvere con la morte"
Theorèin - Maggio 2002 |