Il linguaggio mistico diventa sempre più astratto finendo per annullarsi nel silenzio, ovvero spogliarsi sempre più delle parole.Lo stesso si può dire della matematica la cui operazione, secondo Giovanni Vailati, consiste "nello spogliare o vuotare quanto più può di ogni significato i segni e le parole di cui si serve". Assistiamo dunque ad una fusione dei due linguaggi, come osserva sempre Vailati; in pratica come la moderna macchina presuppone l'antica "anima", così il moderno discorso matematico presuppone l'antico discorso mistico. Si legge in Confessioni VII, 17 di Agostino: «Non avevo stabilità nel gioire del mio Dio: appena ero estasiato dalla tua bellezza e tosto ne ero strappato dal mio peso e mi lasciavo travolgere piangendo dalle cose di quaggiù: ed era il peso delle abitudini dei sensi [...] Il corpo preda della corruzione appesantisce l’anima, e il vivere terra terra deprime lo spirito che va disperdendosi in mille pensieri [...] Gradatamente, dal corpo passai all'anima che sente per mezzo del corpo, e più su, a quell'interiore facoltà a cui i sensi trasmettono le impressioni esterne - percezioni raggiungibili anche dagli animali -; e di qui ancora più sù, alla forza raziocinante, cui appartiene il potere di trarre un giudizio da ciò che è fornito dai sensi: potere che riconoscendosi in me soggetto a mutazione, si elevò fino all’intelligenza di se
stesso».
Questo processo si spiega con l'ambizione di raggiungere un punto di riferimento, un ancoraggio.
L'astrazione platonica che ritroviamo in Agostino porta alla glorificazione. L’intelletto quando più è astratto tanto più è vicino a Dio.
Questo Dio a cui ci avviciniamo può essere immaginato dall'intelletto come espressione di quella memoria da cui l'intelletto stesso non può prescindere. E’ l'arte che ci dice come l'intelletto più astratto può immaginarsi Dio e avvicinarsi a lui (Michelangelo, Raffaello).
Per quanto ci si astragga dalla propria sensorialità, la nostra immaginazione è sempre legata ai sensi; se ad esempio pensiamo a Dio non possiamo far altro che immaginarlo con sembianze umane. Sempre dalle Confessioni nel libro VII cap.10 si legge: «Entrai in me, e con l'occhio della mia anima, quale che si fosse, al di là della mia mente, vidi la immutabile luce: non questa comune e visibile ai nostri sensi, o una più intensa, ma della stessa natura, come se risplendesse molto, molto più chiara e si estendesse dilagante per tutto lo spazio. No, non quella; altra cosa, ben diversa da tutte le altre. E non stesa sulla mia mente come olio su acqua o come cielo sulla terra, ma essa al di sopra avendomi creato, ed io al di sotto, come sua creatura. Chi conosce la verità la conosce, e chi la conosce, conosce l’eternità: la conosce l’Amore!» Quando Kant pensa alla ragion pura non c'è dubbio che pensi a qualcosa di laico che permane.
Agostino chiarisce che vede qualcosa di più, oltre la luce; qualcosa di ineffabile d’indicibile. Si legge in Dante Alighieri: «Tanto più sono nella corsa involto, tanto più sono distante dalla verità».
Theorèin - Settembre 2002 |