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VI Lezione

Nel momento in cui si affievolisce la religione nel mondo moderno, nel mondo borghese, l’astrazione tipica agostiniana passa dalla religione al mondo dell’arte. Sicché l’arte diventa per il borghese la nuova religione.

Una serie di ragionamenti, una serie di teologizzazioni, passano dal campo della religione a quello dell’arte. L’arrivo al silenzio passa ad esempio dall'astrazione religiosa alla pratica artistica e alla teoria dell’arte del periodo borghese.

Anche questa idea dell'immaginazione che deve essere sempre più acutizzata per riuscire ad astrarsi da tutto ciò ch’è carnalità, corpo, passa dalla religione all’arte. Siamo nel 1840 quando Gerard de Nerval scrive Il califfo dell’hascish; in un passo descrive l’effetto della droga.

«Si, rispose Yusuf con entusiasmo, i bevitori d’acqua conoscono solo l’apparenza grossolana e materiale delle cose. L’ebbrezza, offuscando gli occhi del corpo, dà luce a quelli dell’anima; lo spirito si libera al corpo, suo pesante carceriere, e fugge come un prigioniero il cui guardiano s'è addormentato lasciando la chiave sulla porta. Erra libero e felice nello spazio e nella luce, chiacchiera familiarmente con i geni che incontra, e questi lo rapiscono con rivelazioni improvvise e meravigliose. Attraversa con un facile colpo d’ala atmosfere pervase di indicibile felicità, in un minuto che sembra eterno, tanto le sensazioni s'inseguono rapide. C’è un sogno che mi torna incessantemente, sempre lo stesso e sempre diverso: quando mi ritiro sulla mia canga, (barca del Nilo N.d.R.) barcollante sotto lo splendore delle visioni, e chiudo le palpebre su questa inconsumabile cascata di granate, di carbonchi, di smeraldi, di rubini che creano lo sfondo su cui l’hashish disegna le sue meravigliose fantasie, ... come emergendo dal seno dell’infinito una figura celeste mi appare, più bella di tutte le creazioni dei poeti, e mi sorride con dolcezza penetrante, e discende dai cieli per venire fino a me. E’ un angelo, una peri? (mitologia araba N.d.R.)Non so. Mi siede accanto nella barca, ed ecco, il legno grezzo mutato all’istante in madreperla galleggiare su un fiume d’argento, spinto da una brezza carica di profumi».

Troviamo in questo brano il processo del mistico in Agostino. C’è l’apparenza delle cose che è materiale e grossolana; ci sono gli occhi del corpo che offuscandosi danno luce a quelli dell’anima; c'è lo spirito che si libera dal corpo suo carceriere quando questo si distrae; ci sono i geni che esso incontra nello spazio dove si aggira alato e velocissimo (passo sui demoni di Tertulliano, i simulacri di Lucrezio, astrazione di Agostino e i mistici come Teresa d'Avila).

Teresa ha tre momenti che vanno presi da Libro de su vida, dove la visione diventa sempre meno dicibile. Comincia da una visione molto corposa nel capitolo VII:

1.«Un'altra volta che stavo con la stessa persona, vedemmo venire verso di noi (e lo videro anche altre persone che stavano lì) un animale simile a un grosso rospo, che avanzava assai più agile di quanto non facciano tali bestie [...]».

2.«Mentre un giorno mi trovavo con una persona che avevo appena conosciuta, il Signore volle farmi intendere che quelle amicizie non mi convenivano, e mettermi in guardia e illuminarmi sulla mia gran cecità. Mi apparve dinanzi Cristo, che con molta severità mi fece capire quanto ne fosse addolorato: lo vidi con gli occhi dell’anima, ma più chiaramente di quanto avrei potuto vederlo con quelli del corpo, e mi rimase così impresso, che ormai sono trascorsi ventisei anni, eppure mi sembra ancora di vederlo».

3.«Mentre un giorno, nella festa del glorioso San Pietro, mi trovavo in orazione, vidi accanto a me, o per meglio dire sentii che Cristo mi stava vicino, e che, a mio parere, era Lui che mi parlava, anche se non vedevo nulla né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima. Ignorando nel modo più assoluto che si potessero avere simili visioni, non facevo altro che piangere, benché bastasse una sua parola rassicurante per lasciarmi, secondo il solito, calma, felice e priva di timori. Mi pareva che Gesù Cristo non mi si dipartisse mai dal fianco; ma, non essendo una visione immaginaria, non capivo in che forma ci stesse... Tutta turbata, corsi subito a parlarne al confessore, e lui mi domandò in che forma lo vedessi. Gli risposi che non lo vedevo affatto...».

Si giunge ad uno stato in cui è impossibile una descrizione, si arriva ad una intellettualizzazione, ad una forma di indicibilità, con l’uso delle parole.

A seguito di quando si sta dicendo, il passo che ci conduce ai concetti di significante e significato è breve. Dal linguaggio di parole si deve salire ad un linguaggio diverso. Questo mondo oramai distaccato dai sensi deve avere qualche forma di dicibilità. C’è un passo di sant’Agostino molto chiarificante nel quale parla della memoria:

«La memoria contiene altresì i rapporti e le numerosissime leggi della aritmetica e della geometria, nessuna delle quali è stata impressa dai sensi esterni, non essendo affatto colorate o sonore o odorose, non sapide, non tangibili».

Il numero tre, ad esempio, non esiste in natura; esiste invece l’albero, la quale figura arriva a noi dalla sensorialità e pertanto riusciamo ad esprimerlo con parole, ma il numero tre arriva a partire da un’astrazione del corpo. La memoria, dice Agostino, tiene in sè anche i rapporti fra le cose, tra i numeri, e le figure geometriche.

«Quando se ne discute, percepisco il suono delle parole che le esprimono, ma il suono è una cosa, il concetto che è espresso un’altra. Il suono differisce se parlo in greco o in latino, ma i concetti non sono greci, né latini, né di un’altra lingua. Vidi linee sottilissime come fili di ragnatele tracciati da artefici; ma le linee geometriche sono ben diverse dalle immagini di quelle che l’occhio corporale mi ha fatto conoscere: uno le conosce dentro di sé, senza bisogno di pensare ad un oggetto qualsiasi».

Astraendoci sempre di più, arriviamo a concretizzare l’immaginario, il massimo dell’intellettualizzazione. 

La macchina più raffinata è il frutto di una raffinatezza sempre maggiore della nostra astrazione che, anziché finire in uno stadio di misticismo assoluto, cioè di quiete assoluta, si traduce invece in una sorta di iper-produzione concreta di macchine e beni meccanici, che hanno una ricaduta enorme sulla nostra stessa sensibilità che viene modificata dalla macchina stessa.

Quanto più ci si allontana dal corpo, tanto più incidiamo su questo corpo. 


Theorèin - Ottobre 2002