L’ideologia del corpo cinico-stoico troverà un punto determinante di trasmissione in Seneca ed in particolare nell’opera De providentia che segnerà il passaggio da un cinismo pagano ad uno cristiano. «Perché stupirsi se
dio prova duramente gli spiriti generosi? (Generosus
= genus = classe, nobiltà N.d.R.). Provare
la virtù non è mai facile.
(Virtus = miscela fra virtù di tipo platonico e virtù di tipo
militare N.d.R.). La
fortuna ci frusta? Ci strazia? Sopportiamola. Non è una crudeltà ma un
combattimento e più spesso lo sosterremo, più forti saremo. La parte più
vigorosa del corpo è quella che l’esercizio ha allenato frequentemente.
Dobbiamo offrirci ai colpi della fortuna perch'essa ci renda resistenti
contro se stessa: a poco a poco ci farà come lei e la continuità del
pericolo ce ne procurerà il disprezzo. (Da
questa affermazione nascono degli slogan novecenteschi: il pericolo è il
mio mestiere; vivere pericolosamente, cercare il pericolo anche quando non
ci fosse N.d.R.). Così
il fisico dei marinai diventa duro a sopportare il mare e le mani dei
contadini rotte alla fatica. E’ con la sopportazione che l’animo giunge
a non pensar più alla sopportazione dei mali».
Questa frase attraverserà tutta la modernità. La condizione di
civilizzazione sopprimendo le occasioni di dolore, fa si che un nuovo male
subentri, cioè la paura del male stesso.
Seneca sostiene che solo con il richiamare il dolore in atto ci possiamo
liberare del dolore stesso. Ritroviamo questo concetto in sant’Agostino,
in Montaigne, in De Maistre, in Rousseau, in Nietzsche. Nel libro IV Seneca scrive un passo sui Germani, citazione che risale a
Tacito (la Germania) il quale parlando all’aristocrazia romana del tempo
dice: attenzione, voi state smarrendo le ragioni per le quali siete
aristocratici, facendo fare la guerra agli altri. Dovreste essere voi a fare
la guerra, perché questo giustifica la vostra classe; viceversa vi state
indebolendo; allora guardate chi imitare e cita i Germanici. Seneca fa
dei Germanici degli stoici a cui fare riferimento. «I suoi effetti [della sopportazione] li conoscerai in noi se pensi quanto debbano alla loro attività alcuni popoli privi di risorse e resi forti dal bisogno. Considera tutte le nazioni che segnano i confini della pace di Roma, voglio dire i Germani e tutte le tribù nomadi che s’incontrano intorno all'Istro (Danubio N.d.R.). Grava su di esse un inverno continuo, un cielo cupo: la terra sterile provvede uno scarso cibo: si riparano dalla pioggia sotto un tetto di paglia e frasche, corrono sopra laghi ghiacciati, vanno a caccia di bestie feroci per nutrirsi. Ti sembrano infelici? Un modo di vivere che l’abitudine ha reso naturale non è infelice, perché a poco a poco diventano un piacere quelle cose che all’inizio furono una necessità. Non hanno casa né dimora se non quella che la stanchezza impone di giorno in giorno: il loro nutrimento è grossolano e se lo devono procurare con fatica, il clima è tremendo, nudi i corpi: quel che a te sembra una sventura è la vita di tante popolazioni. Perché ti stupisce se gli uomini dabbene sono colpiti al fine di essere fortificati? [...]».
Theorèin - Aprile 2003 |