Vi è un possibile rapporto tra certe posizioni di Antistene, ed altri personaggi succeduti nei vari secoli, a dimostrazione di una continuità di certe prese di posizioni.
Una in modo particolare è chiarificatrice: la risposta che diede a Platone, che parlava male di lui, in cui sostanzialmente dice: io sono un re
e gli insulti della gente non mi interessano perché è tipico dei re essere
insultati anche quando si comportano bene.
Questo rapporto può arrivare, attraversando i secoli, fino alle
posizioni assunte da Charles Baudelaire, il quale in una circostanza
afferma, che il poeta pur emarginato dalla metropoli borghese, ride di
questa emarginazione, come ridono degli insulti i nobili, perché il poeta
è un principe.
Ritroviamo quindi, l’esatta espressione di Antistene, e cioè quella di un
sentimento di appartenenza ad un ceto superiore. Nel sonetto Don Giovanni agli
inferi Baudelaire non a caso cita Antistene: "Quando Don Juan scese
all’onda sotterranea, pagò l’obolo a Caronte, e un mendicante triste,
dall’occhio fiero come Antistene, afferrò i remi con braccio vendicatore
e forte".
C’è una sorta di consapevolezza di derivare da Antistene, dalle stesse
provocazioni nei confronti della società civile, nei confronti della città.
Come questo pezzo, sicuramente vi sono altri accenni ad Antistene,
nell’opera di Baudelaire.
Sordidezza civica (la laidezza di Diogene) è una provocazione evidente
nei confronti della civilitas che costituisce la città. Si tratta di una
tematica che attraversa tutto il filone del cristianesimo e arriva depurato
a Francesco d'Assisi.
Un esempio di figura cristiana, in tal senso, è quella di Simeone il
Semplice. Vissuto all’epoca di Giustiniano (482-565) abbiamo una sua
biografia tracciata da un certo Leonzio di Neapolis di Cipro il quale scrive
nel VII secolo: "Nella città di Edessa così avvenne l’ingresso (Simeone era un anacoreta, quindi rifiutava la città in toto ed in modo particolare il lusso. L'atto di isolarsi tuttavia poteva non produrre l'effetto provocatorio desiderato, in quanto con il tempo, la stessa città lo avrebbe dimenticato. Ecco che decide di abbandonare il proprio rifugio nel deserto per tornare altrimenti la sua azione sarebbe stata neutralizzata N.d.R.). L’eccelso, trovato nell'immondezzaio fuori dalle mura un cane morto, si tolse la cinghia di corda attorcigliata e, legatala ai piedi del cane, se lo trascinò dietro correndo e così entrò per la porta dov'era una scuola di fanciulli, i quali vedendolo, cominciarono a gridare: "Uh, l’abate scemo!" E gli corsero dietro dandogli ceffoni (C'è da evidenziare questo elemento dei bambini perché lo ritroveremo nei Fioretti di S.Francesco N.d.R.). Il giorno dopo, che era domenica, egli prese delle noci ed entrato in chiesa all’inizio dell’ufficio divino lanciò le noci spegnendo le candele. Quando corsero a cacciarlo salì sull’ambone e bersagliò con le noci le donne. E quando con parecchia fatica lo ebbero cacciato buttò in terra i panchetti dei venditori di focacce, i quali lo punirono ammazzandolo di botte. Quando si vide così conciato, si disse: "Povero Simeone, davvero non resisti neanche un'ora in mano di costoro" (sottolineando l’aspetto stoico N.d.R.). E per disposizione di Dio un venditore di bibite, non sapendo che simulava la stupidaggine, gli dice: "Signor abate invece d'andare girellando, perché non ti fermi a vendere i lupini?" Ed egli rispose: "D’accordo". E dedicò un giorno a quel lavoro. Il santo, meravigliosamente, quando compiva qualcosa di eccezionale, curava di lasciare il vicinato, affinché la cosa fatta fosse sepolta nell’oblio. Si studiava di commettere qualcosa di paradossale con cui nascondere quanto avesse fatto rettamente[...](ritroviamo l’elemento evangelico: non sappia la destra cosa ha fatto la sinistra N.d.R.). Era come senza corpo e non curava l’indecenza, né quella umana, né quella di natura. Spesso, volendo liberare il ventre, senza arrossire, sedeva in un luogo del foro in vista di tutti e lo faceva affinché si convincessero della sua pazzia. Infatti, munito della virtù dello Spirito Santo che lui dimorava, superava l’incendio del diavolo senza rimanerne neanche ferito [...] (Non era impudenza, ma santità). Il santo era anche solito frequentare le case dei ricchi e scherzare e talvolta simulava perfino di sbaciucchiarne le serve [...] (Diogene andando nella casa del ricco sputò per terra, e quando gli fu impedito, sputò in faccia al padrone di casa, quindi frequentazione non evitazione. Non vogliono allontanarsi, ma vogliono sottrarre lo spettacolo della loro pazzia o miserabilità a chi tale li rende N.d.R.). Ad un tale punto di purezza e impassibilità era giunto il Beato che spesso ballava e conduceva le danze, tenendosi un'attrice per parte, e in mezzo alla plebe, giocando. E talvolta donnette spudorate gli mettevano le mani sul grembo e lo colpivano e lo schiaffeggiavano o solleticavano. Il vecchio, come oro puro, non era contaminato da tali cose. Avvenne, secondo disse, che ebbe ardore e battaglia nell’eremo e allora pregò Dio e il grande Nicono che lo levassero dalla guerra della fornicazione e vide una volta quell’uomo illustre che veniva verso di lui e gli diceva: "Come stai fratello?" Ed egli rispose: "Se non mi aiuti, male, la carne mi colpisce, non so perché". Rise il mirabile Nicono, come disse Simeone, e prese acqua dal santo Giordano e gliela buttò sotto l’ombelico facendo il segno della croce veneranda e dicendo: "Ecco, sei diventato sano". Da allora, giurava, né sognando, né vegliando, sentì più l’ardore corporeo [...] Ma non è possibile che il discorso rappresenti l'immagine degli atti [di Simeone]. Ora fingeva di zoppicare, ora di ballare, ora di essere trascinato ai sedili, ora pestava il piede a uno che correva facendolo cadere; talvolta al sorgere della luna si voltolava sulla terra e la picchiava col calcagno e con la pianta dei piedi; talaltro simulava di parlare a vanvera, dicendo che questa fra tutte le figure era la più conveniente a coloro che fingono la pazzia a causa di Cristo [...]". Sono tutti elementi giullareschi.
Questo di Leonzio di Neapolis è un testo che fa da tramite tra cinismo antico e cinismo moderno; tra Diogene e Antistene e il francescanesimo e l’ala francescana del cristianesimo. La tematica centrale resta però l’atteggiamento nei confronti della città e dei ceti che la compongono. Il contrasto fra questi ceti e il cinismo e il francescanesimo è radicale.
Diogene, Simeone, Francesco d'Assisi paradossalmente saranno molto più organici nei secoli ad un assetto aristocratico che ad un assetto cittadino. Una prova di questo c’è lo fornisce un estimatore moderno del cinismo: Friedrich Nietzsche.
Sul cinismo e su tutta questa tradizione ha una pagina significativa; apprezza Antistene, Diogene, perché l’opposizione che egli ha in mente contro la borghesia del mercato, delle metropoli, delle masse, del capitalismo, è una opposizione anticapitalistica di tipo nobiliare-aristocratico.
Nietzsche si oppone a tutti i valori borghesi in nome dell’intera valoristica aristocratico-guerriero; è in questo senso che apprezza i cinici, i quali rappresentano dei suoi alleati tradizionali, perché di fatti egli è contro la metropoli, contro la massa, la città, contro la civiltà "borghese". Dei cinici Nietzsche dice:
"Il cinico conosce la correlazione fra i dolori accresciuti e più forti dell’uomo di cultura superiore e l’abbondanza dei bisogni".
Il cinico è quello che comprende questa correlazione, fra l’accrescimento dei bisogni, l’accrescimento dei beni e l’accrescimento del dolore. Sono solo le punte avanzate che oggi dovrebbero diventare ciniche.
Nietzsche non propone una cura cinica a tutta la società, ma soltanto a quelli di cultura superiore, alle avanguardie, perché dovranno aprire la strada all’uomo futuro, a questa utopia, a questo rinnovamento antropologico della società.
Anche la cultura di sinistra ha un momento simile nella figura di Lenin che assumerà la stessa posizione quando si dovrà costruire un uomo nuovo costruendo prima il partito, che dovrà essere l’avanguardia di questo uomo nuovo, quindi uomini che pensano, come quelli illuminati di Nietzsche: un partito di filosofi. A differenza di Lenin, Nietzsche ha una versione aristocratica e non proletarizzante, ma sono due facce dello stesso attacco alla civilitas. Nietzsche prosegue sul cinico:
"Egli comprende cioè che la moltitudine di opinioni sul bello, il conveniente, l’opportuno e il piacevole, dove far zampillare sorgenti altrettanto ricche di godimento che di dolore".
La società delle città non risolve la crescita del dolore fisico ed intellettuale. Il cinico si avvede di questo, ma non è una forma di regressione, è un tentativo di rattrappire lo spessore ideologico che ci fa così contenti e analogamente così dolenti nei confronti del passato.
Theorèin - Maggio 2003 |