Un'opera introduttiva della mentalità moderna, sempre nell’interno dell’universo religioso, è l’Elogio della pazzia del 1508 di Erasmo da Rotterdam. Dal punto di vista formale è un trattato di tipo satirico. Erasmo è un personaggio centrale del tardo umanesimo; è un personaggio che all’interno del cattolicesimo fa da ponte con la Riforma protestante. A proposito del corpo Erasmo fa parlare la Pazzia in prima persona e dice che tutto ciò che nella vita e nella storia si sviluppa, non è opera della saggezza, ma è opera della Pazzia. Il corpo, che fino a questo momento è stato deprezzato e disprezzato in base ad una tradizione platonica e cristiana, non solo viene messo in primo piano, ma vengono messi in primo piano quegli aspetti che sono stati in genere più disprezzati, e in particolare il sesso. Nel capitolo XI si dice: "Di grazia, forse il capo, il volto, il petto, la mano, l’orecchio, membra considerate oneste, son quelle che generano gli dèi e gli uomini? Io credo di no. E' invece quella parte del corpo che non ha un briciolo d'intelligenza, e tanto è ridicola che a nominarla tutti ridono. E' lei la sacra fonte cui tutte le creature attingono la vita, sicuramente di più che la famosa quaterna di Pitagora".
Erasmo rivaluta, in termini in qualche modo seri, quelle parti del corpo, che essendo preposte alla generazione, sono state per secoli fonti di risa e di scherno. C’è un attacco, nel capitolo XXX, deciso, chiaro e diretto, contro gli stoici: "Il doppiamente stoico Seneca dice che il sapiente è assolutamente sgombro da ogni passione. Ma il risultato è che egli annulla sinanche la persona umana e si fabbrica piuttosto una specie di nuova dignità che non è mai esistita in alcun luogo e mai esisterà; anzi per parlare più chiaro non un uomo Seneca si finge, ma una statua di marmo senz’anima e del tutto priva di ogni umano sentimento".
Questo attacco è diretto contro lo stoicismo e contemporaneamente contro l’aristocrazia di sangue. Per la sua stoccata Erasmo usa lo stesso argomento di Aristippo il Cirenaico. "E' chiaro che i pazzi più frenetici sono proprio coloro i quali siano alfine afferrati per intero dall'ardore della cristiana pietà: ne è segno manifesto lo sciupìo che fanno dei loro beni, il nessun conto delle offese, la rassegnazione agli inganni, e il non distinguere fra amici e nemici; non basta, che costoro aborriscono i piaceri, si rimpinzano di digiuni, di veglie, di pianti, di fatiche, di oltraggi, hanno la vita a noia e bramano unicamente la morte, insomma sembrano del tutto sordi ad ogni umano sentimento, come se il loro animo non vivesse nel loro corpo, ma in tutt'altro luogo. Ordunque, che altro è questo se non pazzia? " Nel capitolo XXIII tocca ed esalta un’altra topica della tradizione epicurea e cita con lode il fatto che Demostene
"memore del consiglio di Archiloco appena scorse i nemici gettò via lo scudo e si diede alla fuga".
Nel Platonismo c’è una sorta di doppia morale in Socrate; una per i filosofi e una per la gente comune. Parrebbe che nel capitolo XLV Erasmo bollasse una sapienza di questo genere e fa dire alla Pazzia: "Vi pare che esista qualche differenza tra quelli che, come si legge in Platone, stanno nella loro caverna e il saggio che ne è uscito? Gli uni guardano con meraviglia le ombre e le immagini dei diversi oggetti, ma senza nutrire alcun desiderio, e sono perfettamente soddisfatti; il saggio invece vede le cose come sono, ma non c’è differenza".
Si afferma in sostanza, che non c’è differenza fra la verità attinta dall’anima del filosofo, e il suo riflesso ancora impaludata nel corpo, della gente comune.
Theorèin -
Settembre 2003
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