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PRIMA DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO
«Per ciò che riguarda i pensieri che avevo di molte altre cose fuori di me, come del cielo, della terra, della luce, del calore e di mille altre, non ero molto in pena di sapere donde venissero, per il fatto che, non ravvisando in esse nulla che mi sembrasse renderle superiori a me, potevo credere che, se erano vere, erano delle dipendenze della mia natura, in quanto esso aveva qualche perfezione; e che lo erano, io le ripetevo dal nulla, vale a dire che esse erano in me per quel tanto ch'io ero imperfetto. Ma non poteva esser lo stesso dell'idea di un essere più perfetto del mio; perché, che venisse dal nulla, era cosa manifestamente impossibile. E poiché non vi è meno ripugnanza che il più perfetto sia una conseguenza ed una dipendenza del meno perfetto, di quel che dal nulla proceda qualche cosa, non potevo neppure averla ricevuta da me stesso: di maniera che restava che essa fosse stata messa in me da una natura che fosse veramente più perfetta di quel ch'io non fossi e che anzi avesse in sé tutte le perfezioni delle quali potevo avere qualche idea, vale a dire, per spiegarmi in una parola, che fosse Dio».
SECONDA DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI DIO
«Dal momento che conoscevo alcune perfezioni che io non avevo, non ero il solo essere che esistesse ma che era necessario che ve ne fosse qualche altro più perfetto, dal quale io dipendessi e da cui io avessi acquisito tutto ciò che avevo. Perché, se fossi stato solo e indipendente da chiunque altro, in maniera che avessi avuto da me stesso tutto quel poco in cui partecipavo dell'essere perfetto, avrei potuto avere da me, per la stessa ragione, tutto il di più che sapevo mancarmi, e così essere io stesso infinito, eterno, immutevole, onnisciente, onnipotente, e infine avere tutte le perfezioni che potevo rilevare in Dio».
(...)
«E, certo, non si deve trovare strano che Dio, creandomi, abbia messo in me questa idea, (dell'essere perfetto) perché fosse come il sigillo dell'operaio impressa sulla sua opera. Ma da ciò solo che Dio mi ha creato, è assai credibile ch'egli m'abbia in qualche modo prodotto a sua immagine e somiglianza, e che io concepisca questa rassomiglianza (nella quale l'idea di Dio si trova contenuta) per mezzo della stessa facoltà con la quale concepisco me stesso: cioè che quando io rifletto su me, non solamente conosca di essere una cosa imperfetta, incompleta e dipendente da altri, che tende e che aspira senza posa a qualche cosa di migliore e di più grande che io non sia, ma conosca anche, in pari tempo, che colui, dal quale dipendo, possiede in sé tutte le grandi cose alle quali aspiro, e di cui trovo in me le idee; e che le possiede, non indefinitamente e solo in potenza, ma ne goda in effetti, attualmente ed infinitamente, e quindi che è Dio. E tutta la forza dell'argomento, di cui qui ho fatto uso per provare l'esistenza di Dio, consiste in ciò, che io riconosco che non sarebbe possibile che la mia natura fosse tale quale è, cioè che avessi in me l'idea di un Dio, se Dio non esistesse veramente; quello stesso Dio, dico, l'idea del quale è in me: che possiede cioè tutte quelle alte perfezioni, di cui il nostro spirito può bene avere qualche idea, senza pertanto comprenderle tutte; che non è soggetto a niun difetto; che non ha nessuna di quelle cose che indicano qualche imperfezione. Donde risulta con abbastanza evidenza che esso non può essere ingannatore, poiché la luce naturale c'insegna che l'inganno dipende necessariamente da qualche difetto. Ma, prima che io esamini questo più accuratamente, e che passi alla considerazione delle altre verità che se ne possono raccogliere, mi sembra molto a proposito fermarmi qualche tempo alla contemplazione di questo Dio perfettissimo, di ponderare a mio agio i suoi meravigliosi attribuiti, di considerare, ammirare e adorare l'incomparabile beltà di questa immensa luce, almeno tanto quanto potrà permettermelo la forza del mio spirito, che ne resta in certo modo
abbagliato».
E continua:
«Dirò solamente in generale che tutto quel che dicono gli atei per impugnare l'esistenza di Dio dipende sempre, o dal fingere in Dio affezioni umane, o dall'aver attribuito ai nostri spiriti tanta forza e saggezza da farci presumere di determinare e comprendere ciò che Dio può e deve fare; di guisa che tutto quello che essi dicono non ci darà nessuna difficoltà purché soltanto ci ricordiamo che dobbiamo considerare i nostri spiriti come cose finite e limitate, e Dio come un essere infinito e
incomprensibile».
Tra il pretendere di dire tutto e il non dire niente su Dio, c'è la via dell'uomo come diceva Platone. Dopo la seconda dimostrazione dell'esistenza di Dio Cartesio prosegue:
«Seguendo, poi, i ragionamenti che ho fatto, per conoscere la natura di Dio, quanto la mia ne era capace, non avevo che da considerare, di tutte le cose di cui trovavo in me qualche idea, se fosse perfezione o no il possederle, ed ero sicuro che nessuna di quelle che denotavano imperfezione era in lui, ma che tutte le altre vi erano: vedevo che il dubbio, l'incostanza, la tristezza, e simili cose non potevano esservi, visto che sarei stato io stesso ben felice d'esserne esente. Oltre a ciò, avevo delle idee di molte cose sensibili e corporee; ma poiché avevo già conosciuto molto chiaramente che in me la natura intelligente è distinta dalla corporea, considerando che ogni composizione attesta una dipendenza, e che la dipendenza è manifestamente un difetto, ne inferivo che non poteva essere una perfezione in Dio l'essere composto di quelle due nature, e che perciò Dio non lo era: ma che, se c'erano dei corpi nel mondo o delle intelligenze, o altre nature che non sono del tutto perfette, il loro essere doveva dipendere dalla sua potenza, in modo che esse non potessero sussistere senza di lui un solo momento».
Chi è questo Dio? Cartesio ci dice che non possiamo conoscerlo esaustivamente però possiamo capirne alcune sue caratteristiche. Intanto è più facile procedere da ciò che non è, che da ciò che è, come del resto opera la scienza. Cominciamo man mano a scartare le ipotesi negative, per tentativi ed errori (Popper) e questa è la nostra condizione. |