QUINTA MEDITAZIONE
DELL'ESISTENZA DELLE COSE MATERIALI E DI NUOVO DI DIO E DELLA SUA ESISTENZA
Descartes utilizza per i suoi scopi la vericità divina dimostrata nella terza e nella quarta meditazione. L'analisi del pezzo di cera aveva già mostrato che quel che si conosce chiaramente e distintamente nella materia sono le caratteristiche geometrico-matematiche. Ora occorre fare un ulteriore passo in avanti, ed utilizzando la vericità divina è possibile assicurare che ciò che è conosciuto come l'essenza delle cose materiali lo è in effetti.
Difatti in questa quinta meditazione si parla appunto delle cose materiali, ma poi si ripropone la terza via, quella più vicina ad Anselmo cosiddetta prova ontologica. Il problema è vedere se possiamo superare i dubbi in relazione anche alla conoscenze delle cose materiali:
«Prima che esamini se tali cose esistano fuori di me, io debbo considerarne le idee, in quanto esse sono nel mio pensiero, e vedere quali sono quelle distinte, e quali quelle confuse. [...] Io immagino distintamente la quantità continua, e cioè la estensione in lunghezza, larghezza e profondità. [...]
Ed io non solo conosco queste cose con distinzione quando le considero in generale, ma anche concepisco un'infinità di particolarità riguardanti i numeri, le figure, i movimenti e simili, le verità delle quali si fa manifesta con tanta evidenza, e s'accorda così bene con la mia natura, che quando io comincio a scoprirle. Mi sembra di non comprendere nulla di nuovo, ma, piuttosto, di ricordare ciò che sapevo già prima».
(37)
L'analisi dell'essenza delle cose materiali è, in realtà, un'analisi della natura della matematica e della geometria. La matematica è l'esempio per eccellenza di conoscenza chiara e distinta, ed è costituita esclusivamente di idee innate. Si porta ad esempio la figura del triangolo:
«Sebbene non ci sia, forse, una tale figura fuori del mio pensiero, non per ciò, tuttavia, cessa di esservi una certa natura, o forma, o essenza determinata di questa figura, la quale è immutabile ed eterna, né io l'ho inventata, né dipende dal mio spirito in alcun modo; come appar chiaro dal fatto che si possono dimostrare diverse proprietà di questo triangolo».
(38)
Cartesio si fa un obbiezione:
«Forse, questa idea del triangolo è venuta nel mio spirito per mezzo dei miei sensi perché ho veduto qualche volta corpi di figura triangolare; infatti non si può avere il minimo sospetto che mai mi siano cadute sotto i sensi, e tuttavia posso dimostrare diverse proprietà riguardanti la loro natura; le quali, debbono essere tutte vere, poiché le concepisco chiaramente. E pertanto esse sono qualcosa, e non un puro nulla: perché è evidentissimo che tutto ciò che è vero, è qualche cosa; ed io ho già ampiamente dimostrato sopra che tutte le cose che io conosco chiaramente e distintamente sono vere. Ed anche se non l'avessi dimostrato, tuttavia la natura del mio spirito è tale che non mi saprei trattenere dallo stimarle vere fintantoché le concepisco chiaramente e distintamente».
(39)
Da questo riconoscimento dice Cartesio non posso trarre un argomento ed un prova dimostrativa dell'esistenza di Dio? La quinta Meditazione difatti riserba una sorpresa. Accanto all'analisi dell'essenza delle cose materiali, essa riapre il capitolo delle dimostrazioni dell'esistenza di Dio, impostando una nuova prova, la prova a priori, che Kant chiamerà ontologica. Questa prova è assai semplice: utilizza come premessa maggiore la definizione di Dio (come ente perfettissimo), come premessa minore la definizione di esistenza (l'esistenza è una perfezione), e ne deduce quindi che Dio esiste, dal momento che chi negasse l'esistenza di Dio ne contraddirebbe la definizione e cadrebbe così in contraddizione. Così Descartes si avvia a rispondere:
«E' certo che io trovo in me la sua idea, cioè l'idea di un essere sovranamente perfetto. E non conosco meno chiaramente e distintamente che l'esistenza appartiene alla sua natura. L'esistenza di Dio deve mantenere nel mio spirito almeno lo stesso grado di certezza che ho attribuito fin qui a tutte le verità matematiche che non riguardano se non i numeri e le figure. Essendomi abituato in tutte le altre cose da fare distinzione fra l'esistenza e l'essenza, io mi convinco facilmente che l'esistenza può essere separata dall'essenza di Dio, e che così si può concepire Dio come non esistente attualmente. Ma, tuttavia, quando vi penso con maggiore attenzione, trovo manifestamente che l'esistenza non può essere separata dall'essenza di Dio più di quel che dall'essenza di un triangolo rettilineo l'equivalenza dei suoi tra angoli a due retti, oppure dall'idea d'una montagna l'idea d'una vallata; di modo che non vi è minor ripugnanza (logica) a concepire un Dio, al quale manchi l'esistenza, che a concepire una montagna che non abbia vallata».(40)
Sorge un'altra obbiezione:
«Ma benché, in effetti, io non possa concepire un Dio senza esistenza più che una montagna senza vallata, tuttavia, come dal solo fatto che concepisco una montagna con una vallata non segue che esista qualche montagna nel mondo, così anche, sebbene io concepisca Dio con l'esistenza, sembra che non ne segua, per questo, che un Dio esista: perché il mio pensiero non impone nessuna necessità alle cose; e come non dipende se non da me l'immaginare un cavallo alato, sebbene non ce ne sia nessuno che abbia le ali, così potrei forse attribuire l'esistenza a Dio, sebbene non ci sia nessun Dio che esista».
(41)
«Eppure, viceversa, proprio qui un sofisma è nascosto sotto l'apparenza di questa obbiezione: perché dal fatto che io non posso concepire una montagna senza vallata, non segue che vi siano al mondo montagne o vallate, ma solamente che la montagna e la vallata, sia che esitano, sia che non esistano, non si possono in nessun modo separare l'una dall'altra; mentre per il solo fatto che io non posso concepire Dio senza esistenza, segue che l'esistenza è inseparabile da lui, e, pertanto, che egli esiste veramente: e non perché esso imponga alle cose alcuna necessità; ma, al contrario, perché la necessità della cosa stessa, cioè dell'esistenza di Dio, determina il mio pensiero a concepirlo in tal maniera. Poiché non è in mio arbitrio concepire un Dio senza esistenza, come è in mio arbitrio immaginare un cavallo senza ali o con le ali».(42)
Cartesio risponde:
«E non si deve dire, qui, che è necessario che io riconosca che Dio esiste, sol perché avevo supposto in precedenza che egli possedesse ogni perfezione, e tale è l'esistenza». (43)
Di fronte ad una nuova prova dell'esistenza di Dio sorgono spontanee due domande: perchè Descartes ha ritenuto necessario fornire una nuova dimostrazione dell'esistenza di Dio, e perchè questa nuova dimostrazione è stata collocata in questo luogo. La prima ragione è da ricercare nella struttura della nuova prova, che è costituita in analogia stretta con la struttura dei teoremi della matematica, ossia come la scienza che si occupa delle essenze delle cose materiali.
Aristotele aveva portato la matematica e la geometria come branche del sapere nelle quali è possibile la conoscenza scientifica perfetta ossia che assume come premessa la causa del demonstrandum. La causa a cui pensa Aristotele è la causa formale, proprio perchè questo tipo di dimostrazione assume come premessa la definizione dei demonstrandum. Il sillogismo, che assume come premessa la causa, è dai latini chiamato a priori, perchè assume come premessa ciò che precede, e quindi la dimostrazione dell'esistenza di Dio, è una dimostrazione a priori, al contrario delle prove presenti nella terza Meditazione che erano prove a posteriori.
La seconda ragione è che secondo Descartes, la sua validità dipende dal fatto che l'idea di Dio, come le idee delle figure geometriche, sia una idea innata, ossia indipendente dal pensiero. La prova cartesiana della quinta Meditazione, infatti richiama alla mente la prova che san'Anselmo aveva elaborato nel Proslogion.
Costruendo la prova a priori in stretta analogia con le dimostrazioni della matematica, Descartes ha ottenuto un primo importante risultato: un matematico che condivida la teoria cartesiana della matematica non può essere ateo. Ma la quinta Meditazione non è un saggio apologetico, Descartes è interessato a impostare, grazie all'analogia tra i teoremi della matematica e dimostrazione dell'esistenza di Dio, un passaggio più impegnativo, ovvero il tentativo di mostrare al matematico che, senza l'accettazione dell'esistenza di Dio, la sua matematica non può aspirare a quello statuto di scienza e di certezza perfetta che invece egli le attribuisce, ovvero che una opzione epistemologica basata sull'autogaranzia della scienza è insostenibile.
Descartes viene accusato di essere caduto in un circolo vizioso dimostrando l'esistenza di Dio e garantendo con essa le idee chiare e distinte; difatti Dio è chiamato a garantire le idee chiare e distinte, ma la dimostrazione della sua esistenza è compiuta attraverso idee chiare e distinte.
A questa obiezione Descartes ha risposto distinguendo tra la certezza assoluta degli assiomi e la certezza delle dimostrazioni che se ne ricavano, quest'ultima limitata al tempo nel quale la dimostrazione è effettuata e presente allo sguardo della mente.
(37) CARTESIO: Opere filosofiche 2. Meditazioni metafisiche. Obbiezioni e risposte, Laterza, Bari, pp.59-60
(38) Ibidem, p.60
(39) Ibidem, pp.60-61
(40) Ibidem, p.61
(41) Ibidem, p.62
(42) Ibidem, p.62
(43) Ibidem, p.62
Theorèin - Dicembre 2004 |