IL MIDOLLO DEL LEONE
A cura di: Francesco Massinelli
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1. Afferrato da uno spavento d'orgoglioso riserbo

Tom basso, medio, alto: in successione; charleston e rullante all'unisono mentre i piatti vibrano. La cassa, la gran cassa, alla jam session si rompe, vive lo smacco in televisione, cappuccino. Manipoli alle prese con la costituente lottano invano contro il diritto concesso dal potere umano, una concezione statalista che si autolegittima. Esce un'enciclica, intervistano la diva del momento. Nel mio fraseggio non c'è relax a tutto volume, incappo in sciagure, sto tra le mie rovine con la codardia discorde nelle recondite ragioni mie. Sorseggio il caldo e fisso l'aperitivo. Strilli teoreticamente scusabili s'odono in giro, quasi alla scoperta del roaming internazionale primo. Ma azalee, orchidee, camelie e dalie sono tutte moscie, vanno annaffiate e curate, sul terrazzino. Sono così belli i tempi di pace, lo stare in salute, che dal male ci si ravvede tardi; e, sul giornale non si vede rispetto se chi milita la pace non ha la malizia della milizia che non soggiace. Io che sono stato nella garitta intirizzito, aspettando l'ordine per indossare la divisa invernale, dico l'imbarazzo di scattar sull'attenti battendo il tacco, come si fa in teatro per l'applauso, il disagio. Se penso alla caserma, al mio mentore per la libera uscita, ricordo ogni irta irritazione condivisa, l'uso della bugia per far valer la forza frequentata dalla truppa, lo sbraco che stucca. Ma la sveglia della vigilia d'una guerra che elimina la violenza anche se non suonerà va caricata, ed io, ancora io, devo dare una svolta alla mia vita, senza mettermi a brucare l'erba, di questo o quel prato. È lancinante considerare quanto ci metto da solo a sfuggir dai patii di questa bettola, in cui salgo e scendo, ascendo e scialo, girando al tondo. Un vocio festoso che poi s'impietosirà s'oppone al mito del forte che l'esclude, che dice: "si dia da fare, ci si metta d'impegno"; valutando in joule, a priorità onorifica, su gingilli ferventi. Non discettano su lapsi, su circostanziate cose, Srilankesi e Bangladeshi, Lettoni, e Lituani, si prendono un aperitivo, fanno colazione, tra macedonie e parmigiane, passandosi agoni fritti. Dall'altra sponda del bar si rispondono e non raccontano a rovescio una storia che capisco bene; la sottile motricità dell'inoccupato cronico, la prontezza ad accettare ogni mestiere. Mi accomuna a loro il disagio della mia normalità. Mi accomuna più di quanto sembra a chi, rappacificato nell'ostracismo e ricco d'intimi gaudi, squarta conigli senza ostilità per queste creature, avvezzo alla furberia, edotto dal beccheggio. Anche se in questo bar non è possibile dirsi quello che si spera di sentire, per via di lingue diverse, lingue forse scottate dal cibo troppo caldo, si stima un privilegio l'essere qui. La creaturalità non rinchiude sempre gli esseri in oasi di spilorcerie, ingannate da un docetismo gnostico e cinico, oltre l'alveo di quell'indiviso edificio di passi scritturistici che non viene considerato nella messa che partecipiamo. Quelli che con me in questo bar fanno i clienti non ridono se cade il povero. Vanno dove si loca una casa con un ricco disgraziato. Si rifanno da una fracassa di cazzotti indeducibili avuta dalle finanziarie, dall'economia, dalla vita, come possono. Così come riesco a far io. Io, che per non conferire con tutti quelli che per trovarmi un lavoro serio volevano una mancia non frequento più certi circuiti, li capisco. Le cavolate che ho fatto non mi identificano, non mi perseguitano coi loro elementi aneddotici. Ho una rispettabilità che la società non premia, una correttezza definita idealistica. Mi sento vicino a questi fratelli d'aperitivo perché sto tra il progresso e il sottosviluppo, nell'assistenza domiciliare, ingiusto e difeso, quasi come loro. Mi difendo dalle soverchie tracotanti di chi aiuto con gli strumenti delle helping professions che studio. Consiglieri, fiancheggiatori e killer sono per me i colleghi collusi con quella braveria che nocque. Ogni mia attività lavorativa privata ha per socio lo stato al 65%, che prende e non rende. All'inaugurazione dell'Autostrada del Sole, Chiusi 1964, non c'ero io e non c'erano loro. La risibile escalation nostra, col rigor del giure, non cullava iattanza o tracce di malefatte. Non s'individua, adesso che siamo qui, colpiti da una inflazione che confisca, che ci infragilisce, dalla mancanza di possibilità che ci stende, quali fulminee sintesi di reminescenze spontanee soggiacciono dietro al boom economico che ci ha portato a questo progresso. Le nostre scontate deprivazioni affettive, il vivere appiattiti sul benessere, gli ansiosi fenomeni, i comportamenti aggressivi, i problemi di depressione, la difficoltà di relazione, nascondiamo. Il buffo buffet finale della nostra mattinata è un cocktail da una caraffa, piccole paste da dessert e creck sbriciolati alla sequela di un vol-au-vent di pasta sfoglia. Il dire "scontrino" alla cassiera non ci consola. Scontrino. L'esiziale invitante portata di un confetto racchiuso in una confezione floreale ci rende più bello il pagare. Afferrato da uno spavento d'orgoglioso riserbo penso, poi pago il conto contento.

Theorèin - Anno 2004