IL MIDOLLO DEL LEONE
A cura di: Francesco Massinelli
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3. Dal canto dei calci
Viluppo d'un bambino che andava alla dottrina

Tutte le confidenze che andrò tra poco a narrare, inaugurano nuove voglie di riservatezza. Queste sarebbero accadute molti anni dopo la mia frequenza al catechismo dei fanciulli. Al tempo avevo già memoria del fatto che non ero solo al mondo. Erano i mesi di novembre degli ultimi anni '70. Uscivo che c'era il sole, stavo a lezione, rientravo che annottava. Ricordo la luce rossa, dei lumini a commemorare i defunti di casa. Quando alcuni anni fa, schivando il botta e risposta della replica più seria, guardai per aria la finanziaria della mia opinione aggiustata, con l'indice per ritrovare il nuovo di chi mi amò non poco, m'apparve in tutta la sua chiarezza il fatto che per non essere troppo severi con se stessi c'è sempre bisogno di relazionarsi con una degna persona, capace di seguirti e di aiutarti. All'irriducibile alterigia vista da chi giunse a temerne l'effetto è dura contrapporre in futuro un far pace spontaneo, parlo di baci e di abbracci. Ad ogni litigata è bene far seguire immediatamente una riconciliazione. Anni 90. Inurbato in un'atavica botta porgevo me stesso in resta d'un dunque adunco dal sorriso grifagno incurante d'ogni sbaglio. Non lo dico per snobbery o per piglio originale ma possedevo taluni aspetti d'umore capaci di mattanza sleale. Personalità dotate ho domato indomito un giorno, con psicofisica fatica, portandole all'arresto all'uopo acciuffato capzioso. Ho saputo concretizzare, principalmente in erba, le mie care e rigide idee di pulizia fresca. Ho fatto diverse piazze pulite in sleali e proibitive salive. Con carichi di rancore rinforzato dai disservizi degli anni precedenti ho creato i presupposti per i servizi futuri tra problemi e decessi. A certi fallimenti vivi preferivo sempre un successo morto e mi chiedevo qual era l'amore a durare un'ora al secondo. Con un piccolo lavoro, io mini missionario, ero solito dire "se leggero non m'incavolo". Ero desolante senza frange rifrante, avevo un'autonomia di pensiero contestabile ma spiazzante. Evidenziavo i miei limiti e le mie contraddizioni portando quel crescente imbarazzo che a non tutti piace. Anni 80. Il paese in cui vivevo era relativamente piccolo. Conoscevo quasi tutti e con le persone che frequentavo ottimi rapporti cercavo. Non amavo comunque far parte dei vari gruppetti d'amici, non nella massa m'identificavo per una tendenza forte all'anticonformismo in generale andato. Il problema di trascurare le amicizie mi portò solitudini fittizie, l'interesse con mancanza per attualità e politica, era tutto in una spilla, non brillante, in lega ibrida. Eppure, uscire di giorno, non evitare la gente, non era ancora un mio problema: si avvertiva sempre. Buttarmi, provarci, consigliarmi, vivere il paese era un mio impegno di realtà cortese. Anni 90. La cosa per me più importante era stare al servizio dei ragazzi che adoravo alla grande, la cosa in realtà più triste era che non accettavo il ritrovarmi dove stavo a far conquiste. Ero collaborativo come colle stantie, ingrate e integrate a fungere, nel velleitario brontolar mezzo scontento di alcuni familiari dei ragazzi da cui andavo contento. Con questi ragazzi poi, avevo un buon rapporto, per migliorarlo cercavo di essere presente ai loro momenti forti. Nella mia realtà, la realtà dei ragazzi entrava, io ponte tra le due realtà diverse, agivo opposto come il genuflesso di sempre. Ma una volta, facendo il giro per delle case, nessun ragazzo venne con me all'uscita. Feci il pieno delle assenze e mi ritrovai d'attendibilità formale priva. Anni 90 ancora. Nel tentennamento del team che mi vide crescer da piccolino creai infatti un casino, sgomitando come un indomito sul suo comodino. Volontario in associazione nota la voglia d'ascoltare interruppi. Ero un idealista ampliante la portata dell'impostazione polemica da me innescata. Lì si rifletteva la mia attendibilità, lì sapevo creare l'intimità valorizzante ogni proposta ma, ragionando in maniera complessiva, sbagliando a mettere gli altri prima di me, tendevo a fidarmi solo dei nuovi arrivi, assumendo comportamenti schivi. Per numero d'impegni lasciati, per incontri strutturati malino, avviluppato nell'inconcludenza, ero lo sgomento tra il quotidiano e l'intimo, del mal capitato a tiro mio d'allora in quel soppesare funesto. Anno 2001. Quando in una griglia scrivevo di quanto mi sarebbe piaciuto essere da li ad alcuni anni in avanti ancora bello e pimpante tra i tanti del tentennamento del team con me che non facevano per me, certo non intuivo del tutto che, agendo in comune, confusi, allusi e illusi, il vissuto altrui per me preso in conto proprio. Che lo assolutizzai in malo modo, che finii per essere il contrario del mediatore che ero stato o fui in epoche remote, non proprio putride, lo intuii quando subliminali emersero per me i bassi appetiti, nel raro uso dei principi attivi. Dal canto dei calci presi e dati, anche camuffati, ai tentennamenti del team ampliati, entro a cui spietati scrupoli strapazzavano gli ottusi modi, discorsivi ma descrittivi, per buttar fuori dal team i percepiti nemici, sopravviveva sempre una reazione euforica ai fatti tragici, lì vissuti e scontati nei momenti piazzati. Quasi 2002. Giustificate disaffezioni in contrasto col momento, nella superiorità totale dell'altrui disimpegno, subisco oggi come ho subito un tempo. Oscillo quindi a ponderare me in quel paese, me in quel tentennamento del team palese, me col decanto di quei calci senza pretese, quando vado coi miei disturbi al catechismo per gli adulti. Non oscillo al canto dei calci presi e dati, di cui non so contare i traumatizzati, ai molti rapporti effettivamente peggiorati, se sono serviti al bene dei possibili amici andati. Io, che non sono mai stato un militante della vigilanza forte, che ho solo inciampato più che mai per le mie storte, mi affido al condottiero della storia, con un certo rigore morale, tentando d'ignorare la voce che troppo sovrasta le mie attitudini. Stretto sulla tabula rasa della mia bontà morale grama e arida, dal canto dei calci non prendo la carica.

Theorèin - Aprile 2004