IL MIDOLLO DEL LEONE
A cura di: Francesco Massinelli
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4. Fette di salamino nel blues

Vivendo questo istante come l'ultimo tutto il mio silenzioso penare assume le midolla della festa. Sono un insegnante stressato che è andato in malattia; il mio soprannome è Schiccherino. Mi piace bere vino se non mi si avventa. Se fossi un poliziotto stressato sarei in servizio; se avessi il segreto militare non rilascerei interviste. La mia scuola di supplizio espande le allure tipiche di chi professa vita di perfezione. Rientrando in casa dopo un incidente, in cui poteva succedere di tutto ma non è successo niente, ho visto l'ultima puntata di uno sceneggiato televisivo sul palinsesto del romanzo di un mio amico. Poi, cambiando canale, ho visto un infiltrato, arrestato, che non si è mai abituato alla complessità del sicuritarismo. Un infiltrato donna, di nome Atte. Quelli della pubblica sicurezza l'hanno presa sempre in castagna per cose da poco, facendola diventare un argomento di verbale. Quando era piccola ed andavo ad assisterla la vedevo come una persona mia, come una che mi era stata affidata. La sua famiglia mi considerava come sua proprietà e pretendeva di gestirmi. Quando vinsi un concorso scolastico la salutai restando fedele al proposito di tenermi sempre un po' in contatto con lei più che con i suoi. Ci avrei giurato di rivederla incasinata. Occupandomi della merenda, tra me e l'ascoltare quel che dicono di lei al notiziario sul G8, c'è solo il salame e la pace. Adesso cercarla al telefono è più difficile. Mi fa effetto pensare che mangiavamo una pizza insieme 10 giorni fa. Spento il televisore, pensando all'incidente evitato, sono triste lo stesso, per via di lei. E da fuori entra in casa il blues. Le languide snocciolature da ribelle, largite con irresistibile ed inarrestabile orgoglio, non le sono cessate a seguito della fama infamante che quei picchiatori che si coprono a vicenda le hanno addossato in ogni zona di protesta. Il G8 per lei è un'offesa grande per il debole che non partecipa alla democratizzazione imperante. Per me, da lontano, il G8 non è niente di veramente importante. Mi sembra il corto circuito devastante, sul fazioso fare ameno e dialogante, in cui si arraffazzonano eccessi colposi di legittime difese. Ma non sono un autarchico anarchico, di destra o di sinistra; sono uno che usa il buon senso del buon padre di famiglia. Non lancerei mai lacrimogeni senza vie di fuga ma sparerei alle gambe davanti a delle forme collettive di resistenza irriguardose. Sono vicino umanamente ad ogni politico ma non gli do mai un consenso per farlo restare impunito. So che il G8 è un vertice caro, il cui costo non vale la fatica spesa per ratificare in pubblico tante cose già decise. Io che spesso sospendo un diritto per avere un compenso capisco la scelta politica di sospendere un diritto costituzionale per un servizio di sicurezza ritenuto superiore. Capisco il differire un diritto di 24 ore, l'inquinamento come forma di terrorismo. Non amo le fesserie di chi non riesce ad esprimere dissenso per bene, la promozione data al violento. Sono la persona che ha dato ad Atte gli strumenti per leggere e scrivere ma non per andare via radio a spiegare il concetto che non si può accogliere in uno stato solo chi può lavorare perché si viola un diritto umano, perché si da dignità ad una persona solo per un aspetto di utilità. La corsa alla compartecipazione del benessere è per me come una via di perfezione ma per Atte è migliaia di scalini che ti si frantumano sotto, che non finiscono mai: una scala mobile accesa in discesa che non si rompe mai. Dovreste amarla per capire che non è il pericolo con cui la identificano. È così piccola che per non sfigurare tiene il sellino della bici alto e tocca con le punte. Sa cucinare solo le stiacciate, brucia tutti gli altri tipi di pietanza. Con il mio stato patrimoniale posso fare ben poco per lei. Proprio stamani mi sono svegliato costatando quasi finiti i miei risparmi, ripensando ai miei cari che si sono trovati nella stessa situazione. Guardando tutte le suppellettili da rivendere ho capito di aver speso troppo per mantenere figure professionali vincolate da contratti cui non potevo che aderire. Ho diretto la mia ricchezza verso spese obbligate, diretto dalla società dei consumi. Ho pagato per parcheggi e non ho parcheggiato, ho bevuto bibite che non ho desiderato. Atte non svolge come me un lavoro che la indebita, che le da lo status di uno che lavorando al massimo va in pareggio. Atte è sempre stata ricca. Chi stamattina alle poste si sottomise sul posto ad una interpellazione è un po' figura di Atte. Io, scampato dall'incidente, sosto lontano dagli alveari nucleari. Ho fatto tanto da giovane ma adesso non posso far di più. Con l'odore di legna appena sistemata faccio contente le narici.

Theorèin - Maggio 2004