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Cara Mustiola, che negli studi del TG 5 ed 1 di occupi di monitoria, ciao. Chi ti scrive è Osvaldo. Ricordi? Ti dicevo sempre "Tu rientra, che io riesco". Ricordi? Ed infatti anche adesso è così. Tutta la mia avventura è riconoscibilissima in una vecchia mia scivolata, ad una festa paesana, giù dall'albero della cuccagna. Ricordo ancora il cucù della sveglia posta in alto, in premio, che scemava. La mia scontentezza per non averla afferrata. Ma soprattutto ricordo te, bellissima e attraente ma con le mani orrende a far da deterrente. Ti invio questi scritti prima di farti avere la mia dichiarazione di partenza, in modo che, parlando con il direttore del tuo telegiornale, tu abbia un motivo per preferire, agli altri che desiderano uno spazio nella sua rubrica, me. Nel tentativo di ritrovare un opera non schedata esposta alla Biennale di Venezia del 1924, intitolata Primavera umbra (del 1923), sperduta nei magazzini del museo di Atene, potresti ottenere gli stessi risultati di Gerardo Dottori, l'autore. Sia tu che lui avreste provato a rintracciarla: invano. Per questo ti dico che conviene sempre rivolgersi a me. Sono un detective, un esploratore, professionalmente affidabile, anche se la mia vita emotiva è una frana. Ritrovo quello che gli altri perdono e si perdono perché ritrovo le cose e le appunto. Assumo pose in linea serpentinata per caricare di tensione espressiva la mia faccia davanti alla telecamera; il pubblico si ricorda sempre di me, lo sai. Sono uscito incolume da tante avventure e so che state cercando un personaggio valido da riproporre in modo nuovo, per la prossima stagione televisiva.
Quanto al tuo gorgoglio d'orgoglio, señor che attrae e distrae se non lo si considera, posso dire che ne ho calcolato i tempi di fuoriuscita. Pur di darti questa missiva a mano e fermarti al momento giusto mi sono esposto come un albero sulla sagoma limite di una via stretta. Il frenetico andirivieni della messa in onda nella TV generalista lo conosco. Conosco i suoi ed i tuoi difetti, mademoiselle, ma non voglio irritarti fino a veder le tue racchie orecchie racchiudersi per non sostenere un nuovo round con la mia insistenza. Sulla sabbia la mia calligrafia, è infatti brusca, tirata via. Ma quando te la presento stampata così, con tutti i suoi eccessi di sottintesi eccessivi, diventa carina e fruibile. Scorre fluida come un bikini nel kerosene: inzuppato, dimenticato, slacciato, strano. Ridato alla mia vecchia fiamma: nuova, vera, calda, alta e bluastra. Ho fatto affari vendendo libri di avventure sportive, ho inaugurato di recente una sala che proietta cinema d'alta montagna, non blatero articolazioni disassate come palazzi fuori asse per spillar soldi a kedivè e maragià che hanno investito fortune dalle nostre parti in città. Non sono più sicuro di quel che sembro, ma il lavoro che spinge a far così, che ti pedona se ti scorge scoraggiata, che ostenta contento sempre un partenariato per te paradigmaticamente perfetto, mi trova disobbediente, disorganizzato, nel disturbo dato dalla mia resistenza attiva, inascoltato. Roma e Milano non sono per me lontano. Quando mi si cerca arrivo subito. Se giro per le strade di Perugia è però risaputo che non son sempre riconosciuto. Vicino a dove abito mi interesso solo di esperienza. Scorgo gli avamposti di casolari di campagna e piccole parrocchie del secolo scorso in abbondanza. Non mi spingo indietro di 200 anni, m'interessano al massimo i bisnonni penisolani e non i trisavoli fossilizzati. Affermo sinceramente che se appaio d'un coraggio indicibile per quel che ritrovo dove vado a finire ho sempre dentro me la paura che con il piacere, il dolore, la rabbia, si mutua. E la sentimentalità che si mutua mi fa professionalmente affidabile. Il mio primo successo televisivo, se ben ricordi, è nato dal presentare il filmino amatoriale di una gita, ad una piccola emittente locale. Ero stato con pedule da escursionismo a fare un giretto su per la vecchia ferrovia Spoleto-Norcia. Giù per pendenze fino al 46 per mille, in continui tornanti, gallerie elicoidali, in viadotti alti fino a 60 metri. Avevo ripreso l'allargamento della sede stradale e l'interramento dei tubi dell'acquedotto a compromettere il tracciato ferroviario originario. Avevo reso l'idea delle 19 gallerie, dei 24 ponti, dei 51 km con 4 coppie di corse, delle 14 stazioni, del potenziale ecologico dell'opera passata. Quel percorso parzialmente intatto, da fare sopra la presenza del classico pietrisco e attorno alla naturalezza di una natura quasi pura, più della gita, comunicò a tutti un'emozione scalpitante. Non sapevo che il giorno di partenza dell'ultimo convoglio (dalla linea, non smantellata e privata dei controlli, priva di furti e ruberie di vario genere), l'attenzione ai treni frenava gli slanci di chi proseguiva a piedi. Verso intemperie nordiche, senza dir che partii, io contrastai chi mi trattenne. Parte del mio successo è dato comunque dalla bellezza. Che sono bello è un fatto vero, trasmesso ancorpiù quando vado in televisione satellitare. Cravatta in kevlar (un materiale composito leggero le cui fibre sono anelastiche e in un intreccio casuale tale da abbassare le possibilità di fratture grandi di dimensione) e un Cd vicino (con registrato il volo di una civetta, senza fruscii di turbolenza aerodinamica generati da piccoli mulinelli al vertice dell'ala, senza rumori prodotti dall'attrito delle penne che scivolano una sull'altra) sono piccoli miei vezzi a sottolineare il mio primato proverbiale. Cravatta e Cd non sono quanto mi distingue da tutti gli altri esploratori del no-limits che nei mass-media si mostrano a te e al mondo, con il loro bisogno di un nuovo ingaggio pronto. Ci sono moltissime differenze tra me e loro. Una ad esempio è che io mi ritrovo dove vado, attaccato e affezionato alla mia guida. Vado ispirato. Tocco i pensieri. Non padroneggio le reazioni elettrolitiche dei metalli. Non mi faccio avanti con una mina di grafite ben dura con cui passo a segnare un foglio di lega d'alluminio non protetto da ossidi di alcun tipo. La sfida che mi attende in ogni esplorazione che faccio non è nei minuti interessi localistici che presento al pubblico se taccio. Un pubblico che va messo in guardia dall'attribuire agli animali sentimenti umani unanimi è servito da me. La mia guida, alfiere della forza di carattere per antonomasia, vive nella mondializzazione dell'economia capitalistica, in una società neoliberista, senza un pubblico. Si protende in un indicibile ed incedibile sforzo per una produzione e consumo a ciclo corto nell'agricoltura attuale: quella di casa sua. A seguito di una schisi facciale o di un teleorbitismo, dagli anni in cui ci si guarda per capire come gli altri ci vedono, è uscito preferendo il non cambiare la sua deformità facciale, assumendo un velo. Da dietro quel velo, il suo battito d'occhi non ricorda il suono di un registratore di cassa, non misura tutto con il prodotto interno lordo. Ti da udienza con la tempestività, l'affidabilità, la reperibilità, di chi usa la sofferenza per dare amore. Un amore più dolce delle arnie in un colle. Quanto a me, in tutta la mia carriera posso vantare una sola destituzione. Come sempre si era creata sulla mia persona una aspettativa altissima. Il documentario del viaggio che presentai in quell'occasione televisiva era però ripreso da dietro un cannocchiale e tutto il paesaggio era un tremolio. Coi sensi ad 1.72 metri d'altezza, tra il Giordano e il Gange, non filmando il Tevere, esplorando l'azione di portare a consapevolezza quel che avviene di sommerso, della supervisione che ti porta a localizzare la parte del corpo dove meglio si esprime la comunicazione, feci un danno intervistando un ragazzo nazi-comunista allo sbando, costantemente con me durante il viaggio. Spiegate le grinze di ogni mio ragionamento tra le pieghe del suo pensiero, parlando di lui tra quelli che danno esempio a danno altrui, detti riscontro al pubblico del mio non apparir rispettoso e serio. Lo mossi come si sarebbero voluti muovere tutti, via da me, fluidi come legni induriti dal catrame. Lo mossi con l'acre odore d'una palla di crisantemo andata a male. Non tenni un comportamento distinto. Nel poderoso ponderare da presentatore sul piedistallo o buco da altrui raptus voluto, facendo le mie manfrine, presentai smorfioso il volto facendo teatro all'audience della sua immagine immancabilmente immatura ed irremovibile. Presentando in televisione i risvolti della sua comunicazione corporea albergavo in lui un compenetramento incauto di vissuto e finzione creativa, un controtipo proscritto di silhouette non gradita. Soffriva nel vedere le smorfie del volto suo rifatte a verso dal volto mio, quel mio farlo apparire da poverino che sapeva di meschino. Non aveva mai avuto nessuno acronimo tale da identificarlo differentemente abile, pur nel gap della predestinazione subita in quella trasmissione scalfita da ogni mia sortita. Ma ci si sentì. Cara Mustiola, chi mi volle nel programma non mi richiamò mai più, nonostante facevo registrare ascolti altissimi. Disse che era stata un'indecenza umiliare in pubblico quel ragazzo ottuso, ferirlo con i risolini mentre si scusava di come era per colpa di quanto aveva fisicamente sofferto, rifargli il verso mentre diceva "mi arrendo, mi arrendo" per far finire l'inquadratura al più presto. Mi pagò e rimase tuttavia convinto che la mia difficoltà di relazione con le più svariate creature portava a brutture che non si camuffano mai in avventure. Un commento su quanto mostrai di maldestro non era per loro più giustificabile dalla difficoltà di controllare il tremolio che si venne a creare usando lenti troppo potenti per centrare un logo o una immagine. Tra quei sfollati fautori di compiti che nella deregolamentazione amputano poteri a valanga, nutriti da illusione e fissazione, fissati alle idee con la modalità di chi fissa franchigie, mi ritrovai col desiderio di riscatto a ripartir da sottozero per ritornare al pubblico. Nella sfera del diritto che fa diventare mercantile un servizio pubblico, che non vuole far diventare un bisogno vitale un diritto umano, dentro la mercificazione di banche multilaterali, fui coscientizzato e mi beccai la pleurite. Da allora ho imparato che non sempre le persone desiderano ritrovare quello che si perdono, io per primo. Ho imparato che la fama si segue ovunque e ritorna come un circolo chiuso: come tante isobare disegnate sulle carte meteorologiche a congiungere punti aventi uguale pressione, come le linee di livello delle carte geografiche che uniscono luoghi alla stessa altezza. Basta seguire la regola di mostrarsi per quello che si è graditi. Ora però inizio una formula di saluto, poi ti farò arrivare la dichiarazione di partenza mia. Mai da solo mi darò uno stato d'essere. Se ambirò a darmi forse un pò di tono, nelle atmosfere pesanti o il frastuono, dovrò far di tutto per non frastornare incomprensibile a chi dice "Psi pisi p, psicologo". Tranquillizzerò dal perquirere attuale chi non fa caso alla morte che si ferma davanti alla morte di un giusto, chi non si scioglie come sale dato in ambiente sciapo, chi rifiuta d'esser creato per morire per l'altro pur d'affermarsi scaltro. A chi non coglie un primato tra la vivacità della cultura classica greco-romana restituita all'occidente dall'oriente non dirò bravo. Farò sapere che la fama non sempre sfama, che stanca, che qualche volta anche a me manca. L'alzata dalla panca, in cui si trasmette dalla schiena all'anca la stirata proverbiale, posso solo migliorare. Cara Mustiola, ti voglio intanto dire che in barca a vela sarò per il prossimo periodo impegnato a costeggiare il mar Mediterraneo. Dovrò ritrovare quelle che risultano amicizie mancate, quelle fughe come le mie tentate. La capacità di rinunciare alle cose più superflue d'adesso ben si esprimerà sul mio pollice verso, in stallo come un aereo per la bassa velocità, pendulo. Quando avrai la mia dichiarazione di partenza saprai sempre quindi il mio finale. Saprai che alla fine del costeggiare sentirò quell'avventura consunta anche senza averla finalmente per mia. Sappi comunque che l'approvazione che cerco nel colloquio con te, o con il tuo direttore, l'ho già concordata con la mia guida, preventivamente. Potrete comprare quanto vi documenterò ma solo a scatola chiusa, basandovi sulla reputazione buona che posseggo, che non mi ha fatto mai cadere in discredito davanti a voi. L'approvazione potrà cambiare i minuti interessi localistici che presenterò ma chissà con quale uscita. Alla fine di ogni mia spedizione, di ogni mia esplorazione, la mia direzione non sarà mai la ricerca del nuovo ma la voglia di schivare il passato; sia chiaro. L'omissione sottaciuta che per te e per lui sconficco è che manco d'amore e s'avverte, sempre, ma non mi do per sconfitto. Con un'attesa di felicità dentro vado contento. La mia vita emotiva, lo sai da sempre, è ben più di una frana; ma la televisione non lo farà trasparire. Solo chi mi conosce potrà avanzar dei dubbi. Quel che il pubblico può dire di me, quindi, quando ritorno in luoghi nuovi coi problemi di relazioni vecchie, quando al pensiero d'incontrar qualcuna delle ex divento come un gatto spinto verso il pericolo, sarà un segreto da plico. Che non mi desolo è il solo fatto univoco. Ai miei pensieri fitti come insegne di più rimorchi che occludono la visuale per uscire dal traffico bruto ad imbuto assocerò un fard che mi farà venir meno lucido. Visto che mi copro, mi scanso, mi scuso e temo il confluire verso me degli amici del passato, carico, di tutte le persone amate ma salutate male, nel notiziario mi presenterò dirompente come un rampollo non ancora sposato, felice perso nel rock più rocambolesco. Solo però se mi sarà concesso. Quel che il pubblico potrà dire di me, vedendomi, a cercare un riparo come posso, troppo scoperto ed esposto ma lucido, a zig zag per farmi largo, quasi alambardando, sfidando l'intraprendibile ignoto dei giri normali e quotidiani tra il voler fare una cosa e la necessità che questa accada, sarà futile, inutile. Ne ciò sarà tutto. Sappi Mustiola che anche adesso, se m'incontrano per forza, amici e vecchie ex, non mi escludono. Come un sandwich nel meridiano di Greenwich mi salutano. Nel loro continuare a campare ci sanno fare. Ed io, che tra gli eletti e i reprobi valgo anche affetto da soggezione, anche come l'intimidito che ha subito intimidazione, non ho timore di apparire in televisione e rifallire come un insignificante signore. TVB, umdb. Ciao! Osvaldo Theorèin - Settembre 2004 |