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Quando giro il caffè, sempre corretto con cenere di sigaretta, m’assale una comodità frenante nell’affezione al farmaco preso. Farmaco mai preso per essere sempre ardente di una passionalità in cui son sempre indifeso, anche con l’erotismo più acceso. Sono un moderno accompagnatore di donne che evita di degradarsi mettendo in mano ad ogni accompagnata l’animale giusto. Proprio perché della salute non me ne frego affetto per il farmaco dimostro serio, che a scagliarlo con uno sputo verso l’alto io rinuncio e cedo: sfido a non crederlo, tutti lo vedono. La scelta di avere a che fare con le persone e con il loro miglioramento mi è sempre piaciuta particolarmente poiché ad essa è attribuito il difficile calcolo di attribuzione di merito nel risultato ottenuto. Non mi piace essere giudicato per il risultato. Posso realmente dire di aver fatto il possibile per creare le condizioni tali da venir spodestato dal più bravo di me ad occupare il mio posto di lavoro, anche in tempi di disoccupazione, ma sono ancora al mio posto. Posso dire che questo lavoro mi è stato presentato da uno che non sta mai fermo in un ruolo, che fila ad imbastire una relazione dopo l’altra. I miei capi lo conoscono e lo criticano ma non hanno ancora capito che io sono come lui. Non hanno ancora capito che i più bravi trovano sempre lavoro e che è meglio non licenziare i meno bravi, che si licenziano i meglio per dare una chance ai peggio. Ma discutere con superiori come i miei capi, che si concedono al mio aiuto e sostegno praticamente non rimborsato, con l’estro della creatività in flessibilità d’orario, è troppo per me. È roba da prova di forza. E chi me lo fa fare di pormi in quel tipo di atteggiamento che poi mi porta ad una specie di vittoria che non vale la pena dell’energia spesa nel venire a capo della storia dell’azienda che le donne accontenta? Non essendo formalizzati i progetti con le utenti, non essendo questi condivisi con altre figure professionali, una mia difficoltà è valorizzare la mia professionalità in questa relazione d’aiuto. Un indicatore della mia grande disponibilità è visibile nel fatto che se in passato andavo a cercare e non aspettavo di venir cercato adesso mi rendo prontamente disponibile. Sto al setaccio dell’oltraggio, visto che di meretricio son tacciato da chi non sa come lavoro e dove vado, ostaggio di un fatto che stringe qualcosa di significativo nel diventare da gigolo in gilè a Chianciano ad amico. Amico di quelle sgraziate portate al giorno in cui la loro affettività sta nella miglior linea della libidine femminile. Rispondenti alle mie aspettative non son le chiacchiere con le amiche frivole, che mi esprimono il desiderio di uscire, di farsi accompagnare in vari posti, fruendo dei benefici di spese di trasporto senza cacciare fuori un soldo. Il mio lavoro di assistenza per loro già prevede gratis il raccordo tra gigolo diversi, la modulazione del ruolo con le clienti più esigenti negli interventi, la relazione e i progetti. Nell’aiuto compiti io non ho mai sbagliato, anche se i servizi istituiti con sostegno scolastico non faccio. Svendendomi, tra i tavolinetti delle zone-pausa di quei corsi dove loro passano molte ore, mi son convinto che questa mia sorta di lavoro nell’abiezione non è peggio dell’obiezione di coscienza fuori dalla prigione, non è peggio per scorrettezza a quello che un volontario in ferma prolungata può fare in tempi di pace assicurata. Questo perché dove mi viene richiesta una prestazione che mi sembra un male io mi pongo in pet-terapy e ci lascio un animale. La rispettabilità mia, in questo giro in cui sono capitato, viene da un amico che mi ci ha introdotto e lasciato. Tanti anni fa, da scapolo, lui si stupì di un fidanzato che come segno d’amicizia gli avrebbe concesso di baciar sulla bocca la sua ragazza lì appresso, proprio lì nell’ingresso da cui lui stava uscendo accaldato. Ancor oggi, non più scapolo ma felicemente coniugato, ingrato per quell’attestato di devoto ossequio, non imparte la propiziatrice salutatina come faceva allora con quel tipo, estendendola a che gli pareva, ma conserva la sua bella figura nel rispetto sociale. Fila imbastendo e conservando quel suo operato a renderlo mitizzabile e raro. Io interpreto la sua resistenza di filo da imbastire, di allora, a non averla baciata facendolo forse soffrire, come scelta giusta (e apprezzata) per non averla trattata come donna degna di essere assaggiata. Interpreto quella sua resistenza come la mancanza di goffaggine derivata dai costumi di galanteria che al tempo aveva addosso e che ancora non si è tolto. È un onesto che cammina a testa alta, non riduce a salsa insulsa ingredienti di valore, non latra come un bravo idolatra. È in fin dei conti un pover’uomo che ha una vita domestica intensa e una mente in riverenza. Per una volta in cui non ha baciato si da una ragione che non lo vede culturalmente ingoffito, anche se non si da pace di quel giorno lontano, in cui per l’emozione ha scordato il cappotto. E mai più recuperato. Va via oggi filato nel suo imbastire disfatto ne più, ne meno, come allora. Mi ha introdotto e lasciato ad accudire donne sole, dandomi la possibilità di non addentrarmi in maniere schifose, con una strumentazione che salva la pelle. Mi ha dato il consiglio della pet-terapy, della terapia dell’animale come un farmaco da far ingoiare. E anche se mi scansa m’insegna ancora tanto visto che regalando animaletti evito gli atti personalissimi che mi snaturerebbero. Grazie a lui sono ancora a posto con me stesso, con una buona compagnia dentro. Theorèin - Ottobre 2005 |