Storie da spiaggia e da ombrellone [4 e ultima puntata]
Le prime luci dell’alba colsero Jordi di sorpresa e assonnato. Si era addormentato da poco e per questo quella luce gli procurò una fitta agli occhi. Non ebbe nemmeno il tempo di svegliarsi del tutto che Giancarlo gli allungò un biglietto piegato in quattro.
a j. r.
so che a quest’ora mi stai cercando.
“Ma dov’è?” chiese rivolgendosi a Giancarlo.
“Chi?” gli risponde questi mentre è alle prese con i rifiuti lasciati in spiaggia nella notte appena trascorsa.
“Ma Rossella, chi altrimenti?” gli ribatte Jordi.
“L’ho vista andare verso nord, mi ha detto che passava da Nino”, e dopo aver risposto monta sul piccolo trattore per ripulire la spiaggia e farla trovare pronta ai primi bagnanti che già sono sulla battigia.
Il passo di Jordi questa mattina è più spedito del solito perché il carretto è ormai quasi vuoto e i suoi libri sono ormai saldamente nelle mani di altri e nuovi lettori.
Quando arriva all’Ippocampo c’è già parecchia gente che lo accoglie con un lungo e caloroso applauso.
“Come mai a quest’ora?” gli chiede Angelo, il marito di Rita che porta tutte le mattine il nipotino a respirare lo iodio al mare.
“Domani parto e ho qualche altro libro da regalare. Oggi sarà una giornata difficile”, e dopo aver detto ciò si siede sotto la palma di Roberto e Gabriella e comincia a cercare fogli nella sua agenda. Nonostante l’ora c’è già un buon numero di persone attorno a lui e man mano che passano i minuti la gente aumenta.
“Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo per pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla. Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro i confini del tuo impero.”
“Mi rimetto in viaggio e di viaggi voglio parlare con voi, oggi.” E lascia volare via il foglio del libro dal quale ha appena finito di leggere le parole di Marco Polo a Kublai Kan.
“Ma cosa cerchi nei tuoi viaggi?” Gli fa Massimo, amico di vecchia data di Nino e antico frequentatore dell’Ippocampo.
“Cerco risposte”. E mentre si piega sul carretto per scegliere i libri da regalare agli astanti, Nino gli porge un biglietto identico a quello che gli aveva dato, poco prima, Giancarlo.
a j. r.
so che a quest’ora mi stai cercando. Ancora.
Prende al volo la Corona che Nino gli ha portato e con il carrello sempre più leggero prosegue in direzione nord, non prima di aver lasciato ad Angelo un altro foglio da leggere.
"Si il bosco non c’era. Mancava la dolce umidità e il canto segreto dei boschi. I boschi sono i segreti di un paesaggio.
Questo è un paesaggio senza segreti. Ah, come capisco che qui crescano i razionalisti mentre altrove prosperano i mistici. Il vento, il famoso, celebrato e temuto mistral, è pieno di irruenza e non si lascia ostacolare da nulla. Altrove i boschi arrestano i venti , li avvolgono, li placano, come fanno le madri con i propri figli grandi, forti e selvaggi.”
Il sole è ormai alto nel cielo e picchia forte questa mattina. La spiaggia pullula di turisti. In molti riconoscono Jordi che attraversa la riviera di Pescara e lo salutano, gli chiedono di fermarsi ma lui prosegue dritto per la sua strada. Come un automa. Sa, dove si dovrà fermare.
Quando arriva alle 4 Vele è Alessandra che lo accoglie. Jordi è accaldato e suda perciò quando gli portano la Corona, ghiacciata e con il limone, e sempre Alessandra che gli chiede di sorseggiarla. Ma prim’ancora che riesca a bere un solo sorso di birra, Roberta, l’ex di Roberto che adesso sta con un altro Roberto, gli fa arrivare il biglietto che sta aspettando.
a j. r.
so che a quest’ora mi stai cercando. Ancora di più.
Jordi mette il biglietto in tasca insieme con gli altri e comincia a cercare un foglio da leggere.
“Fu in quel periodo che Arkady sentì parlare del dedalo di sentieri invisibili, che coprono tutta l’Australia, e che gli europei chiamano «Piste del Sogno» o «Vie dei Canti», e gli aborigeni «Orme degli Antenati» o «Via della Legge». I miti aborigeni sulla creazione narrano di leggendarie creature totemiche che nel Tempo del Sogno avevano percorso in lungo e in largo il continente cantando il nome di ogni cosa in cui s’imbattevano - uccelli, animali, piante, rocce, pozzi -, e col loro canto avevano fatto esistere il mondo…I bianchi, cominciò, commettevano comunemente l’errore di pensare che gli aborigeni, non essendo stanziali, non avessero nessun sistema che regolasse il possesso della terra. Era una sciocchezza. La verità era che gli aborigeni non potevano immaginare il territorio come un pezzo di terra circondato da frontiere, ma piuttosto come un reticolato di «vie» o «percorsi».”
“Un reticolo di vie e di persorsi, oggi si direbbe una rete. Oppure una scacchiera dove sono già disegnate tutte le mosse, e tocca a noi decidere dove e come muovere”, la voce di Carlo arriva chiara alle orecchie di tutti. Carlo è sempre il più bravo e le sue letture, sono letture importanti.
“Bruce Chatwin è il viaggio, il viaggiare”, gli fa eco Roberta con il suo accento che tradisce la provenienza barese.
“E lo sapevo che qui avevo si andava a nozze con questi libri” rispose con un sorriso largo Jordi. E mentre la discussione avviata da Carlo e Roberta prende quota, Jordi lascia i cinque libri sul bancone del bar, un altro foglio da leggere e si avvia verso Istria.
“Il cielo si allargava viepiù verso lo zenith; nuvole immense si delinearono all’improvviso grazie a un amalgama di fili di seta grigi finemente accostati, dalle tonalità più trasparenti fino alle sfumature più fuligginose…La diafana immagine evocava un paesaggio d’Oriente. Sotto un cielo puro si stendeva un giardino splendido, pieno di fiori affascinanti. Al centro di una vasca di marmo, un getto d’acqua zampillante da un tubo di giada disegnava con grazia con curva slanciata.”
Anche Gigi s’incammina con lui verso Istria, deve raggiungere Isabella che lo aspetta con la macchina stracarica per andare a Manfredonia, è tempo di vacanze per tutti.
A Istria sono tutti in acqua e nessuno si accorge dell’arrivo di Jordi. Nessuno tranne Chiara che lo aspetta con la Corona ghiacciata in una mano e il biglietto di Rossella nell’altra.
a j. r.
so che a quest’ora mi stai cercando. Ancora di più. Sempre di più.
Jordi ingurgita la Corona in un sol colpo e prosegue il suo viaggio non senza aver lasciato i cinque libri a Chiara, che nel frattempo ha fatto già sparire quello che terrà per lei, e l’ennesimo foglio da leggere.
“Ho ritrovato le città bianche così come le avevo viste in sogno. Soltanto chi ritrova i sogni dell’infanzia può tornare bambino. Io non avevo osato speralo. Infatti l’infanzia giaceva irrimediabilmente lontana dietro le mie spalle, separata da un incendio di dimensioni mondiali, da un mondo in fiamme. Essa stessa non era più un sogno.”
Quando Jordi arriva al Barracuda è pomeriggio inoltrato e capisce dal numero dei presenti che l’attesa per lui, oggi, è tanta.
“Gerusalemme però non è soltanto pittoresca e trasandata, come tante città orientali. Se c’è sporcizia, sono assenti invece mattoni e gesso, muri scoloriti e sgretolati. Le costruzioni sono tutte di una pietra biancastra granulosa, ma pura e luminosa, che al tocco del sole assume tutte le sfumature dell’oro rossiccio…Le manifestazioni della fede, le lamentazioni di ebrei e cristiani, la devozione dei musulmani per la Roccia sacra non hanno avvolto con alcun mistero il genius loci. Quello spirito è un’emanazione imperiosa, che suscita l’omaggio superstizioso e ne è magari alimentato, ma che esiste indipendentemente da esso.”
“Il genius loci, finalmente” esclama Fabrizio, gran disegnatore e fan sfegatato di Aldo Rossi e, soprattutto, amante della bella vita.
“Il genius loci e la città sono sempre presenti nei tuoi discorsi, nelle tue letture. Perché?” gli chiede Roberto, la prima persona che Jordi ha conosciuto quando arrivò a Pescara, in una bella mattina di novembre.
“Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”
“Io cerco risposte e le città spesso offrono, a chi sa dove orientare lo sguardo, risposte che ti permettono di conoscere meglio gli uomini che le abitano e che le vivono”, gli risponde Jordi.
Sono tante adesso le domande che risuonano nell’aria. La discussione è partita. Ancora una volta Jordi è riuscito a creare la giusta atmosfera, il clima giusto per discutere.
“È il tempo e l’ora per andare e congedarsi” pensa Jordi.
Si avvia verso il banco del bar dove lascia gli ultimi cinque libri di questa estate. Adesso il carretto è completamente vuoto. Non ci sono più fogli strappati direttamente dai libri nell'agenda di pelle nera. Non c’è più nulla da leggere per questa estate.
Daniela gli porge l’ennesima Corona, forse l’ultima di questa estate adriatica e con la Corona, una lettera. Non un biglietto come quelli precedenti ma una lettera.
Jordi osserva per un po’ quella lettera poi si decide, bacia Marta, prende la lettera e la Corona e si dirige verso il mare.
Ormai è buio. La luna è lontana e alta nel cielo. Jordi procede con passo lento e sguardo basso. L’acqua ormai gli lambisce i piedi. Anche l’ultima Corona è andata così come la fetta di limone che gli ha rinfrescato per un attimo la bocca e i denti. Si ferma, si siede e si massaggia le tempie, allunga le gambe, sistema i bermuda e comincia a leggere.
a j. r.
so che a quest’ora mi stai cercando già da un po’.
Ti vedo trascinare il carretto ormai quasi vuoto e che fai la spola da uno stabilimento all’altro. Lo so perché continuo a sentire quello che fai, continuo a sentire quello che pensi. Così come continuo a vederti con questi occhi che ti guardano con il cuore.
“Stai per compiere ottantadue anni. Sei rimpicciolita di sei centimetri, non pesi che quarantacinque chili e sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai. Porto di nuovo in fondo al petto un vuoto divorante che solo il calore del tuo corpo contro il mio riempie.”
Una storia d’amore così dovrebbero viverla tutti, almeno una volta nella vita. Un coinvolgimento totale che parte dalla testa e ti attraversa e poi ritorna indietro e ti riattraversa. Ti si aprono voragini e vuoti quando incontri l’amore che t’invade in queste forme, soprattutto, se ti lasci invadere in queste forme. E non conta l’epilogo, la meta da raggiungere, conta il viaggiare in questa storia. Contano i continui cambiamenti di umore. Conta il numero di farfalle che è nella tua testa, nel tuo corpo. Contano le farfalle che si fermano in fondo allo stomaco. Conta tutto questo. Poi c’è anche altro, la fisicità, il fare le cose insieme, ma conta soprattutto quello che senti. Come conta l’attimo in cui dentro di te stai cambiando e sai che questo cambiamento nasce da un altro da te. È influenzato da un altro da te. Perché un altro da te è in te in quel momento. Si chiama amore. È l’amore.
Quante vite può contenere una vita, Jordi? E dopo averle contenute quante ne può vivere?
E quanti di quelli che siamo, riusciamo a far vivere in queste vite?
Ho solo sfiorato il tuo mondo, la tua vita, le tue malinconie. E anche se sono stata sola in questo viaggiare è stato bello.
E, soprattutto, rifarei quel viaggio.
“Tuttavia senti. L’ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all’estremità della spina dorsale. Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco. Da lì, da quell’ossicino, l’uomo verrà ricreato al momento della resurrezione dei morti. Così per un certo periodo ho fatto un piccolo gioco: cercavo di indovinare quale fosse il luz delle persone che conoscevo. Voglio dire, quale fosse l’ultima cosa che sarebbe rimasta di loro, impossibile da distruggere e dalla quale sarebbero stati ricreati. Ovviamente ho cercato anche il mio, ma nessuna parte soddisfaceva tutte le condizioni. Allora ho smesso di cercarlo. L’ho dichiarato disperso finché l’ho visto nel cortile della scuola. Subito quell’idea si è risvegliata in me e con lei è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trova dentro di me, bensì in un’altra persona.”
Adesso ci vorrà tanta pioggia. E dopo la pioggia ancora altra pioggia. E solo dopo, forse, sarà di nuovo l’arcobaleno.
È tempo di saluti e di riprendere il mio viaggiare con chi vuol condividere questo viaggiare.
Buon viaggio anche a te, Jordi.
p.s.: non strappo mai le pagine direttamente dai libri come fai tu. Anche perché se mai un giorno dovessimo rincontrarci a Itaca e fermare così per un po’ il nostro viaggiare, e avremo voglia di rileggere alcune di queste pagine insieme, avremo nuove pagine da strappare.
[fine]