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In questa nuova proposta espositiva Carlo Volpicella cerca d i guidarci in un percorso sensibile la cui lontana origine speculativa filosofica, ci invita a recuperare quella condizione che la lingua greca chiama scholč e la latina otium, che indicava quel felice stato di libertą esteriore ed interiore che consentiva di potersi dedicare alla contemplazione.

Oggi, pił che mai, che siamo abituati a misurare il valore di un uomo dalla mole e dal successo delle sue attivitą professionali, dalla sua incidenza nel mondo degli affari, dal potere e dalla ricchezza che il suo lavoro gli dą, quel che per l'uomo antico era un'esperienza di libertą, rischia di essere una fuga.

In realtą fuggire non significa sottrarsi al duro gioco e alle regole che la nostra vita contemporanea ci impone, significa invece saper trovare la forza per posare lo sguardo della nostra intelligenza, su di una realtą che diviene vorticosa sotto l'impulso dell'opera dell'uomo, dove i fattori artificiali predominano su quelli naturali, e che una specie di vertigine, appunto, attira verso orizzonti illimitati nel tempo e nello spazio.

In questo magma confuso dobbiamo saperci immergere fino in fondo; quando in mare si resta in superficie, difatti, si č sballottati dalle onde, ma se ci si immerge profondamente, tutto diventa calma e silenzio.

Appare indispensabile, in primo luogo, ritrovare la capacitą di fare calma dentro di sč.

Nel ritmo frenetico delle nostre metropoli questo č diventato estremamente difficile.

Una fretta nevrotica domina la nostra vita.

E' come se fossimo sempre in ritardo a un appuntamento che in fondo non esiste.

Fare calma significa, innanzitutto, non lasciarsi risucchiare dagli stimoli esterni e riprendere in mano la propria vita, imparando a controllare i propri pensieri e i propri stati d'animo.

Questa calma esige il silenzio.

Fare silenzio significa, in prima istanza, riuscire a interrompere il flusso di parole (spesso a vuoto) in cui siamo immersi.

In secondo luogo č necessario riscoprire quella "buona solitudine" per ritrovare se stessi, poichč nessuno č pił isolato dell'uomo che vaga nelle nostre metropoli, confuso nella folla.

Solo gli uomini che hanno sperimentato questa solitudine possono realmente incontrarsi, perchč avendo accettato di essere se stessi, hanno qualcosa da dirsi e, avendo fatto la pace col proprio destino, hanno imparato ad accogliere in pace anche l'altro.

Questo č quello che ci pare di cogliere nelle parole e nelle immagini di Carlo Volpicella; il suo č un volo di ricognizione a quota variabile, come dicono i piloti, con passaggi a volo radente e improvvise, vertiginose cabrate, che ha per oggetto un territorio artistico vario e articolato, dove le forme e i colori, il tratto esile e l'improvviso segno nervoso, vanno a costruire una progressiva nullificazione della realtą, presa e condotta fino al silenzio degli abissi, di ungarettiana memoria, per poi farla riemergere purificata, esplosiva e ricca di valori positivi.

Mario Della Penna

 

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