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Capitolo 4
I viaggi tedeschi in Abruzzo
Sì,questi uomini
Furrer |
"E' una terra inospitale, selvaggia e pericolosa; nei boschi è facile incontrare orsi o banditi, i paesi sono spesso sporchi e fatti a forma di pollai".
Questo è quello che emerge dagli scarsi e spesso frammentari resoconti di viaggio attraverso l'Abruzzo da parte dei viaggiatori tedeschi. Questa terra è stata sempre poco visitata, ma sembra essere conosciuta molto bene, almeno sulla carta, e proprio per questo accuratamente evitata. I più famosi, dal Winckelmann al Goethe, dallo Herder allo Heine, hanno solo lambito i suoi confini e solo nell'Ottocento ci fu un flusso di viaggiatori tedeschi dalle nostre parti. Tra i primi viaggiatori del Settecento vi è Adam E. Ebert, che sotto lo pseudonimo di Aulus Apronius scrisse una Reisebeschreibung, una descrizione di viaggio, in cui narra le visite alla città di Sulmona e L'Aquila che aveva attraversato nel 1723, nel corso del viaggio da Napoli a Loreto. Come già detto sono molto più numerose le pubblicazioni che descrivono gli Abruzzi nel secolo successivo: ricordiamo lo storico Friedrich Heinrich Von der Hagen, il quale, nell'opera Briefe in die Heimat us Deutschland, der Schweiz und Italien (Lettere a casa dalla Germania, la Svizzera e l'Italia) del 1819, narra di un suo viaggio da Roma a Tagliacozzo, con racconti e descrizioni dei paesi viciniori. Una breve descrizione degli Abruzzi compare anche in una lettera che il poeta Wilhelm Waiblinger (1804-1826), grande amico di uno dei più famosi e geniali poeti dell'epoca Johann Christian Friedrich Holderlin (Lauffen 1770, Tubinga 1843), scrisse ai propri genitori: Roma, lì 1 maggio 1828 "Le tre settimane in cui ero in viaggio appartengono incontestabilmente alle più belle della mia vita. In compagnia di giovani uomini di cultura altamente raffinata, i quali hanno soggiornato per anni a Parigi e mi sono diventati in tutto cari amici,
intraprendemmo il difficile viaggio nella selvaggia regione montuosa dell'Abruzzo. verso la più alta montagna nevosa d'Italia, la Velina, al lago di Fucino, verso Alba Longa e Tagliacozzo, noi vedemmo l'enorme opera dell'imperatore Claudio, la condotta d'acqua, che egli fece correre per 25000
palmi attraverso la montagna, ed ancora mille cose interessanti. Quelle regioni sono selvagge ed aspre e tuttavia illuminate dai più dolci colori italiani. Il lago è una suggestiva pianura d'acqua, piena di paesi e città sulle sponde
violette, ed anche così limpido come io giammai ne vidi nella stessa Italia. Tra quelle cime montuose, dove si inoltrano solo pochi viaggiatori, poichè è faticoso ed estremamente pericoloso a causa dei rapinatori, venimmo visti come meraviglie marine; l'intera popolazione ci veniva dietro, e noi mangiavamo
sempre davanti alla metà del paese. Spesso non trovammo nemmeno un boccone di cibo cattivo, in Avezzano però, un paesetto sul lago, venimmo accolti così
bene in una casa privata, che rimanemmo quattro giorni, in questa natura che affascina in maniera esaltante, e solo con dolore ci separammo da questi luoghi
ameni, ai quali ci incatenavamo le nostre belle locandiere. I nomi Clorinda, Gemma e Palmira mi rimarranno sempre come un amichevole ricordo di una regione, che secondo l'opinione della gente è abitata solo da banditi abruzzesi. Giungemmo sui monti da scalare in tre ore e sguazzammo nella neve alte tre scarpe, mentre sul lato soleggiato della terribile montagna fiorivano milioni di giacinti e roselline".(1)
Come abbiamo già ripetutamente
detto il clima culturale del Romanticismo favorì l'afflusso di viaggiatori
tedeschi in Abruzzo, soprattutto di storiografi e storici dell'arte come Ernst
Forster (1800-1855), il quale scrisse uno Handbuch fur Reisende in Italien,
ossia un Manuale per viaggiatori in Italia, nell'anno 1840. L'opera è
suddivisa per itinerari ed in quello Da Ancona verso Napoli attraverso Foggia,
vengono citate L'Aquila, Teramo, Atri, Pescara (Ferrovia: Pescara (posta, nulla
di particolare), un luogo fortificato ma malsano, alla foce del Pescara con
1450 abitanti. La vecchia strada conduce da qui, attraverso Chieti, verso
Popoli, posta, con pittoresche rovine di un castello, alcune chiese antiche, ed
il palazzo Cantelmo del XV secolo ) e quindi Sulmona. Nel capitolo Roma ed i
suoi dintorni parla ancora dell'Aquila e di Chieti. Un'opera
molto curata dal punto di vista storico-artistico è quella di Heinrich Schulz
(1808-1855). Lo Schulz, era uno storico d'arte, scrisse Denkmaler der Kunst
des Mittelalters in Unteritalien, Monumenti dell'arte del Medioevo in
Italia meridionale, frutto dei suoi viaggi attraverso la nostra penisola e che
fu pubblicato postumo nel 1860 in tre volumi con un volume separato di tavole.
Nel secondo di questi tratta dei monumenti dell'Abruzzo (San Clemente a
Casauria, San Liberatore a Maiella, Santa Maria Arabona, San Tommaso) e delle
bellezze artistiche di Bussi, Sulmona e Popoli; sulla descrizione di queste
bellezze artistiche ci soffermeremo più avanti.(2) Possiamo
sicuramente considerare un'opera di letteratura odeporica il libro Pittoreskes
Italien, Italia pittoresca, di Carl Ludwig Frommel (1789-1863), uomo colto
ed appassionato d'arte, che nella sezione Oberitalien della sua opera,
dedicata all'Italia settentrionale, descrive l'Abruzzo nel quinto capitolo dal
titolo Viaggio da Ancona a Napoli attraverso l'Appennino: "In
un certo qual modo funge da ricompensa per lo spettacolo di una natura povera e
per la miseria, conseguenza dell'indolenza e della sporcizia nei paesucoli e
nei borghi da noi incontrati, la naturale bellezza della stirpe degli abitanti
di questa regione abbandonata, la quale ha conservato in maniera molto fedele i
costumi e gli abiti del Medioevo italiano". Quindi
descrive la maestosità delle montagne abruzzesi, del Gran Sasso di 8255 piedi,
del Velino 7866 e Sibilla 7000; di L'Aquila con le sue 50 chiese ornate di
belle pitture; una bella impressione non deve aver fornito l'alta Val Pescara,
se il Frommel si esprime nel seguente modo: "Popoli,
situata all'incrocio della strada dall'Aquila e da Pescara, così come da
Ascoli, Teramo e Città di Penne verso Sulmona, è un luogo sporco, sprofondato
tra le montagne ed attraversato da un fiume proveniente dalla foresta. Il
castello del vecchio duca di Popoli, alleato di Carlo d'Angiò, si innalza
ancora sopra la cima della montagna". Il
viaggio, e la descrizione, proseguono soffermandosi su Sulmona, la patria di
Ovidio, e S.Spirito del Morrone; più innanzi l'autore non tralascia di dire la
sua sul brigantaggio, la caratteristica principale della regione: "Sulla
strada per Castel di Sangro, in una caratteristica e pittoresca gola, si trova
Rocca-Valloscura. L'intera regione, con le sue abitazioni di contadini
costruite come roccaforti e le sue gole inospitali, villaggi abbandonati,
ruscelletti impetuosi, è come un grande accampamento del brigantaggio. Questo
aveva qui in passato anche la sua sede principale ed in questa regione vivevano
un tempo i Pacchione e Sciarra (3),
che si resero famosi per la loro generosità nei confronti dell'Ariosto o del
Tasso e che la popolazione celebra come eroi. Oggi
i Fra Diavolo (4)
sono diventati abbastanza rari, così come altri ricordi di epoche passate in
Italia: ma sono rimaste le sembianze brigantesche dei paesucoli e dei borghi, e
la fisionomia da briganti della popolazione. A tal riguardo è da notare che
l'Italiano non ha alcuna predisposizione ad essere ladro, in quanto un solo
sguardo efficace confonde subito i suoi piani approssimativi ed in quanto tra
la popolazione il brigante viene ammirato, mentre il ladro disprezzato. La
stessa legislazione sembra essere influenzata da questo atteggiamento del
popolo e del paese, la quale, mentre spesso perdona il brigante e lo eleva
perfino ad autorità governativa, punisce rigidamente il ladro con la galera.
Il coraggio personale impressiona l'Italiano maggiormente, e questa
particolarità protegge al contempo il viaggiatore coraggioso e tutela dal
furto, che in Italia, grosse città escluse, è così poco conosciuto che,
nello Stato della Chiesa, in Sicilia ed in Calabria, proprio in mezzo agli
alloggi dei briganti, le buone serrature sono un qualcosa di sconosciuto. Non
vogliamo in nessun modo lodare particolarmente questa inclinazione e
propensione, ma esse sono caratteristiche ed appartengono alla completa
immagine dell'Italia e degli Italiani".(5) Il
viaggio attraverso l'Abruzzo prosegue verso Castel di Sangro, situata in un
"zona amena" e famosa per i suoi tappeti e per la fabbrica di carte
da gioco. Una
breve descrizione dell'Abruzzo è contenuta anche nell'opera di Franz von Loher
(1818-1892) Silizen und Neapel (1864), in cui l'autore descrive
molto brevemente a pagina 331 la regione. Uno dei pochi grandi tedeschi che
visitò l'Abruzzo fu il Gregorovius del quale abbiamo già tradotto un breve
passo tratto da Eine Pfingstwoche in den Abruzzen, Una settimana di
Pentecoste in Abruzzo, e del quale citeremo più avanti un altro brano. Grande
conoscitore del nostro Meridione ed in parte anche dell'Abruzzo fu Woldemar
Kaden. Nato a Dresda il 1838 e morto a Monaco nel 1909, il Kaden insegnò
lingua e storia della letteratura tedesca a Napoli dal 1867 al 1873; nel 1874
furono pubblicate a Stoccarda le sue Wandertage in Italien, Giorni di
gite in Italia, in cui il VII capitolo è intitolato In den Bergen Sammiums,
Tra le montagne del Sannio; l'autore parla di Castel di Sangro, Roccaraso ed il
piano di Cinquemiglia, rocca Valloscura (Roccapia), Pettorano e Sulmona,
inoltre narra una graziosa favola di pastori. In un'altra opera, Italien -
eine Sommerfahrt nach Suden, Italia - un viaggio estivo verso il Sud,
pubblicata a Bloogau nel 1881 ed arricchita con disegni e illustrazioni, il
Kaden parla ancora brevemente degli Abruzzi nel capitolo Auf dem Weg nach
Suden, In cammino verso il Sud: "Là
i monti degli Abruzzi! Belli, bellissimi, ma solo in pochi sceglieranno l'erto
cammino, l'aspra porta di queste montagne per entrare nella pace del paradiso
napoletano". (6) Più
avanti lo stesso Kaden nota come il muro di rocce delle montagne abruzzesi
formi una sorta di divisione tra il Nord ed il Sud della penisola; quindi cita
i monti e le città d'Abruzzo, sedi di popoli come i Marsi ed i Piceni, i
Marruccini ed i Peligni, che si guadagnarono il rispetto dei Romani. Ancora
un Abruzzo inesplorato e selvaggio è quello che emerge nei resoconti di
viaggio di Friedrich Noack, giornalista a Colonia ed a Roma, il quale pubblicò
nel 1900 a Stoccarda il suo Italiennisches Skizzenbuch, Libro di schizzi
d'Italia, frutto di viaggi intrapresi dal 1896 al 1899 per la penisola.
L'Abruzzo è oggetto di descrizione in tre capitoli del secondo volume, Gli
Abruzzi e la valle del Liri, Nel territorio dei Marsi e Nel cuore degli Abruzzi.
Quest'ultimo capitolo è particolarmente interessante perchè mostra come la
zona di Scanno fosse ancora del tutto sconosciuta fino alla fine del XIX
secolo; il 31 ottobre del 1897 infatti il Noak intraprende un'escursione verso
Scanno, posto di cui aveva avuto delle notizie solo orali, visto che era
ignorato o quasi dalle guide turistiche del tempo. Curioso è l'equipaggiamento
che gli "arditi" si procurarono prima di intraprendere il viaggio:
polvere contro gli insetti, indumenti pesanti e poco denaro (era risaputo che
in Abruzzo si viveva con poco). Il viaggio fu fatto in treno, quindi l'autore
racconta del pernottamento ad Avezzano e delle meraviglie paesaggistiche della
valle del Sagittario. Dell'opera
del Vom Rath parleremo più avanti, traducendo un brano che descrive un viaggio
attraverso l'alta Val Pescara. Un'opera
senza dubbio importante per ricostruire anche la storia dell'interesse
suscitato dall'Abruzzo è quella del botanico Ernst Furrer. Questi fu in
Abruzzo ben sei volte, ed il suo interesse che inizialmente era attratto solo
dalla vegetazione appenninica, si soffermò in seguito alla descrizione dei
luoghi e delle bellezze naturalistiche soprattutto della regione montuosa
dell'Abruzzo. Il Furrer non disdegnò tuttavia di descrivere anche il popolo
abruzzese: "L'Abruzzese
è un uomo buono e fidato, diligente in tutto ed assolutamente di poche
pretese. La sua vita spirituale si svolge all'interno di un piccolo ambito. non
pensa oltre il domani, ma si muove in avanti sulla strada di ieri e prende
tutto come viene. Non conosce la ricerca di nuove strade e nemmeno la rivolta
contro il destino, il quale poco lo distoglie per tutto il corso della vita
dalla quotidiana monotonia. (...) Colui che viaggia per la regione e non si
affida esclusivamente ai collegamenti viari ed a quelle anime obbligate a
servire negli alberghi, colui che piuttosto - come facevo io - ha contatti con
la popolazione e non può ricorrere ad essa, questo impara a valutare
l'ospitalità, la sincerità e la compiacente e premurosa natura come alte
virtù. Esse devono essere lodate negli Abruzzesi al primo posto". Non
tace il Furrer anche alcuni connotati caratteriali che sono il contraltare
dell'ospitalità testè lodata, come la litigiosità ed il facile ricorso alle
mani per dirimere le più semplici questioni: "Invece
delle decisioni del tribunale gli si confà meglio appianare le liti con i
pugni. Soprattutto la povertà e la variabilità della natura di montagna
offrono occasionalmente motivo per ogni genere di attriti. Se in una estate
secca si esauriscono le sorgenti ed il prato ingiallisce ed i greggi sono
affamati ed assetati, allora il pastore preferisce spingere gli armenti più
avanti, sul terreno della comunità confinante, dove c'è ancora qualcosa da
brucare. Quindi inizia la lite". Il
passo seguente tratteggia un piccolo quadro di vita paesana che prende vita
sotto i nostri occhi e riporta la memoria ai racconti dei vecchi sulla vita
passata:
"Chiesa e famiglia sono i
due mondi in cui scorre la vita degli Abruzzesi. Come deve essere per natura,
uomo e donna portano il fardello della vita in egual misura. Ognuno di giorno
corre dietro al suo lavoro, e la sera unisce tutti i componenti per un'allegra
chiacchierata davanti casa. Appartiene alle cose più festose in questa terra,
il vagare la sera del dì festa per i vicoli scuri di un paese, quando giovani
e vecchi si radunano attorno alle porte della casa e riportano in equilibrio
con risa, scherzi e canti la pesantezza della giornata. La donna è, contrariamente
alle relazioni negli stati pieni di cosiddetta civiltà, non ancora sradicata
dalla sua naturale posizione all'interno della famiglia. La moglie è mezzo
pane, dice un proverbio abruzzese. Lei nutre i figli al proprio seno, accende
il fuoco e prepara il pasto, fila e tesse, imbianca e colora, e prende su di
sè volontariamente o costretta anche parti di ciò che, per come mi sembra,
dovrebbe essere mansione dell'uomo: lei pascola il bestiame e taglia nel bosco
la legna, che porta a casa con grossi carichi sulla testa". (7) Ma come viene visto l'Abruzzo
oggi? Per rispondere vediamo come appare la regione dalle indicazioni di una
guida turistico-artistica, pubblicata nel 1990. La presentazione dell'Abruzzo e
palesemente figlia dei giudizi e pregiudizi citati, rimanendo legata dunque ad
una descrizione romantica che poco concorda, a parer nostro, con la realtà
economica e sociale dei nostri giorni: "Gli Abruzzi sono ancora
un pezzo d'Italia sconosciuta, ed in realtà dalla sua arte, cresciuta e
rimasta per lo più in loco, si esprime una necessità elementare, se si vuole
ancora arcaica, che ha prodotto chiese e castelli monumentali, storie
enigmatiche, forme sbalorditive, favole fantastiche e cicli semplici ed
avvincenti - un cosmo artistico pieno di ruvida religiosità, superstiziose
immaginazioni e taciturne stramberie. Nella
cultura degli Abruzzi hanno operato insieme, attraverso i secoli, monaci,
contadini e pastori. (...) Isolamento e solitudine rimangono dunque su ogni
piano una caratteristica essenziale della vita abruzzese. Già dal punto di
vista geografico i centri più importanti si trovano, nella frastagliata zona
montuosa dell'Appennino, isolati dai centri culturali del Nord-Italia e dalla
stessa Roma o Napoli. Inoltre l'essere solitari ed isolati rappresenta spesso
la peculiarità dell'animo. (...) Nella più totale solitudine si esercitano
infine i mestieri classici degli Abruzzi: quello (scomparso) del carbonaio,
quello del contadino e del pastore. (...) L'agricoltura, soprattutto nella zona
montuosa, è quasi scomparsa e viene gestita in ogni caso per il solo
autoapprovvigionamento. Le paghe sono troppo basse e per lo più irregolari,
mancano grossi macchinari e le pianure sulle quali questi possono venir
utilizzati vantaggiosamente, ed infine mancano vie di comunicazione che
sarebbero indispensabili per una veloce distribuzione". Una
descrizione ancora in parte veritiera forse, ma che a noi sembra ancora
ancorata a vecchi clichès, che l'effettiva realtà economica e sociale
abruzzese ha da tempo superato. (8)
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(1) WILHELM WAIBLINGER, in Deitsche Briefe aus Italien von Wincklmann bis Gregorovius, a cura di E. Haufe, Leipzig 1965, p.265. (2) Un'opera strettamente collegata a quella dello Schulz è Italian sculptors (Londra 1868), o Les sculpteurs italiens (Parigi 1868) dell'americano Charles Callhan Perkins (1826-1883). Il Perkins infatti ripercorse i viaggi dello storico dell'arte tedesco, così visitò San Clemente e Santa Maria Arabona, Atri e Sulmona, sempre descrivendo esclusivamente le bellezze artistiche. (3) Marco Sciarra fu un famoso brigante del Cinquecento, entrato nella leggenda come "ladro gentiluomo", che aveva rivendicazioni sociali ed anarcoidi, e che sarebbe stato protagonista di un famoso incontro con Torquato Tasso, dimostrando nei confronti del poeta sentimenti di profondo rispetto; ecco come ci narra questo incontro il Furrer: "Un giorno che egli, povero e misero, cavalcava per gli Abruzzi, si imbattè nelle bande del capo brigante Marco Sciarra. Quindi questo gli si gettò ai piedi ed avrebbe gridato: -Grande genio d'Italia, principi ed invidiosi ti perseguitano, io, Marco Sciarra, ti rendo onore -, e lo pregò di trascorrere almeno una notte nel suo covo, dove lo colmò di manifestazioni d'affetto" (E. Furrer, cit., p.108). Molte sono le leggende che descrivono Sciarra magnanimo e persino generoso nei confronti di giovani sposi e di povera gente. Il capo brigante morì nel 1593, assassinato da un compagno traditore. (4) Fra Diavolo era il soprannome di Michele Pezza duca di Cassano, brigante oppositore delle truppe francesi nel 1799 e negli anni successivi. (5) CARL LUDWIG FROMMEL, Pittoreskes Italien, Lipsia 1840, p.252. E' senza alcun dubbio sorprendente come la descrizione fatta dal tedesco sul carattere del brigantaggio abruzzese ed il rifacimento ai briganti Pacchione e Sciarra, autori di gentilezze nei confronti dell'ariosto e del Tasso, combaci perfettamente con quella fatta precedentemente dal già citato bibliotecario di corte francese Valery, una somiglianza che ci sembra prossima ad un vero e proprio plagio. (6) WOLDERMAR KADEN, Italien eine Sommerfahrt nach Suden, Bloogau 1881, p.233 (7) ERNST FURRER, Die Abruzzen, cit., pp.46/47 (8) ROGER WILLEMSEN, Du mont Kunst Reisefuhrer. Die Abruzzen, Koln 1990, pp.8/9 |
Theorèin - Maggio
2003