L'ALTA VAL PESCARA NELL'OTTOCENTO 
dai resoconti dei viaggiatori tedeschi

A cura di: Virgilio Cesarone
Entra nella sezione LETTERATURA

Se vuoi comunicare con Virgilio Cesarone: virgilio.cesarone@ateno.unile.it

Capitolo 6 (C.5 parte II)

I viaggi tedeschi nell'alta Val Pescara

Ferdinand Gregorovius

 

UNA SETTIMANA DI PENTECOSTE NEGLI ABRUZZI

Ferdinand Gregorovius (Neidenburg 19.1.1821 - Munchen 1.5.1891) venne in Italia nel 1852, ed amò il nostro paese come una seconda patria. Inizialmente si affermò come giornalista e scrittore, componendo opere politico-satiriche, romanzi, poemi epici e drammi, quindi divenne un Kulturhistoriker, uno storico della cultura. Molto famosa in questa ambito è la sua ricostruzione storico-artistica di Roma nel medioevo (Geschichte vom Stadt Rom, 8 voll. 1859-1872), ma interessanti sono anche i diari romani (Rom - Tagebucher 1892) per la curata ricostruzione di paesaggi storici.

Il brano qui riportato è tratto dall'opera Wanderjahre in Italien (Anni di gite in Italia), scritta in 5 volumi tra il 1870 ed il 1882 (la traduzione è fatta su di un'edizione pubblicata a Freiburg in Breisgau, p.99 e segg.) e narra di una vacanza che il Gregorovius si concede nella settimana di Pentecoste del 1871. Tra le sue piacevoli descrizioni dei luoghi visitati emergono spesso delle indicazioni storiche con riferimenti al passato ma anche al cruento presente (l'insurrezione dei Comunardi a Parigi). L'Abruzzo che viene fuori da queste pagine combacia quasi con l'iconografia turistica di tanti depliants comtemporanei, che continuano a presentare - a dispetto degli anni che passano - l'immagine dell'Abruzzo "forte e gentile". [1]

Dopo aver lavorato duro durante l'inverno, volevamo (l'amico Lindemann ed io) approfittare della settimana di Pentecoste, trascorrendo nei selvaggi ed ancora così poco visitati Abruzzi. Noi volevamo vedere Rieti, Aquila ed il Gran Sasso d'Italia, scendere per la montagna di Popoli verso il lago Fucino, conoscere le locali opere idriche dei Torlonia, festeggiare la gloriosa resurrezione dell'impero tedesco sul campo di battaglia dell'ultimo Hohenstaufen, [2] e quindi tirare attraverso Tagliacozzo a casa verso Roma per la via Valeria. Abbiamo visto questa maestosa terra, Paradiso indescrivibile, nel fiorito splendore del maggio pieno di sole. (...)

Si viaggia in piccole carrozze postali di tipo molto primitivo che non si differenziano in niente da quelle usate in Sabina o nella campagna romana. La strada è eccellente; si sale per montagne e valli, attraverso affascinanti paesaggi montuosi, nella costante visuale del Gran Sasso, a ridosso di piccole fortificazioni pittoresche con castelli diroccati, come Poggio Picenza, Barisciano, Castel Nuovo, Ritegna, Navelli, continuamente nei pressi dello scrosciante Aterno. Tra Colle Petro e Popoli superammo un alto passo di montagna. Quando si raggiunge la sua altezza, si scorge giù la ricca e fiorita valle di Sulmona. essa appare come un unico esteso giardino; Alpi adorne di neve la circondano. Un tempo era riempita da un lago, proprio come quella del Velino presso Rieti. Nella preistoria tutte queste valli degli Abruzzi erano certamente occupate da laghi; di essi oggi, non includendo i bacini minori, è rimasto solo il lago Fucino, ed anche questo sparirà presto. Sotto in basso appare Popoli, posta vicino ad una montagna di roccia rossiccia; in alto le torri e le macerie gialle del castello dei Cantelmi; dietro si erge Sulmona, la città natale di Ovidio, ai piedi del Monte Majella, che sembra sbarrare questa ampia e bella valle. La strada conduce a zigzag fino a Popoli. in curve così erte e imponenti da ricordare quelle della strada del San Gottardo o altri passi alpini.

Non c'è niente di più ameno nella piana di questa piccola e antica Popoli con i suoi giardini di frutta ed i monti soleggiati e coperti da vigneti; il fiume Aterno scorre nei pressi della città e porta già qui il nome Pescara. Chi non conosce questo famoso nome dalla storia di Carlo V! Entrati nella periferia, trovammo la popolazione, dall'aspetto campagnolo, in vivace movimento; un corteo singolare ci venne incontro con musica assordante; davanti i giovani che avanzavano portando sopra alte aste un grande calderone di rame ed altre stoviglie luccicanti, tutto ornato da bandierine, fiori e ghirlande. Era un matrimonio, o piuttosto, secondo l'usanza del luogo, il corredo della sposa veniva portato in processione per il paese. Popoli è una città di mezzadri e vignaiuoli. I vini degli Abruzzi, quelli prodotti qui ed a Sulmona, sono famosi nella zona e lo sarebbero maggiormente, qualora fossero migliori i collegamenti stradali. Qui si vende un litro di eccellente vino di campagna, come ci hanno detto, per l'incredibile basso prezzo di un soldo e si coltivano le più nobili uve, che non sono affatto inferiori al Borgondia. Poichè Popoli forma un punto cruciale del traffico stradale da Aquila, Pescara e Sora-Avezzano, essa è già oggi una dei posti più vivi della terra d'Abruzzi. vi era lì una animazione ed un movimento che ricordavano la città meridionale di Napoli.

Noi salimmo fin sull'antica rocca, da dove lo sguardo sul paesaggio è incomparabilmente bello.  La costruirono i Cantelmi, di stirpe provenzale, che arrivarono a Napoli con Carlo I d'Angiò, a questo conquistatore resero grandi servigi nella lotta contro Manfredi e Corradino e, ricevuti molti possedimenti nel regno di Napoli, divennero una delle famiglie feudali più potenti. I Cantelmi possedettero per lungo tempo anche la bella Sora sul Liri. In nessun territorio d'Italia è fiorito l'organizzazione feudale così rigogliosamente come nel regno di Napoli. I Normanni, gli Hohenstaufen, i d'Angiò, gli Aragonesi, quindi gli Spagnoli da Carlo V crearono innumerevoli signorie feudali, così che nel napoletano non c'è un luogo, a cui non era ammesso un titolo feudale di un conte, marchese o duca. Nessun territorio sperimentò anche un cos' forte cambio di possessore del feudo - ciò in base all'eterna varicazione delle dinastie e delle continue rivoluzioni dei partiti nobiliari. Se non erro, l'attuale duca di Popoli seguì l'ex-re Francesco nel suo esilio vero il lontano, freddo nord sul lago di Starnberg. Il lago di Starnberg è certo uno dei più affascinanti idilli della cultura che la Germania possiede; alle sue calme ed ospitali sponde, che adornano case di campagna ed ombrosi boschetti tutt'intorno, si sentono più sereni quegli esiliati, che sono stati scaraventati colà per opera della tempesta della storia dalla terra del sole di Napoli. Ma per godere la bellezza bionda di quella natura e non trovarla troppo fredda c'è bisogno di una sensibilità tedesca. Quale idillio tedesco potrebbe consolare un napoletano che è stato bandito, quale paradiso in generale un esiliato?

Noi viviamo in tempi in cui le dea della fortuna cambia abbastanza velocemente il giro alla sua ruota, e quando c'è mai stato più materiale per le considerazioni, amate anticamente, de exilio e de varietate fortunae? [3 ] Gli antichi romani hanno lavorato molto, fin da Scipione, all'illustre archetipo di tutti gli esiliati rassegnati nell'arte di sopportare dignitosamente il bando. Si dice che la religione cristiana e la cultura ormai unificata del mondo abbiano reso i dolori più sopportabili che in passato, quando l'amor patrio era il più forte dei sentimenti - lo si dice, e sarà e rimarrà una bella frase. Tali meditazioni facevo dunque sul castello Cantelmi, ampliando oltre questi fino a Starnberg e Chiselhurst. Ma ora si ergeva di continuo a sfondo del nostro viaggio, come una nuvola nera illuminata da scariche elettriche, il destino di Parigi, l'orrenda battaglia con la Comune. [4] Eravamo arsi dal desiderio di mantenerci in contatto con questi avvenimenti attraverso i giornali, che chiedevamo in ogni luogo. A Popoli ci dicono che qui ci sarebbe un "Casino", o piuttosto la Casina; poichè così si chiamano negli Abruzzi e nella Marsica quegli allestimenti, modestissimi, di ciò che in Germania meridionale viene chiamato "museo". La sera ci condussero in un caffè e, di scala in scala, in un paio di stanze, dove la Casina di Popoli aveva stabilito la sua sede nascosta. Un paio di uomini giocavano qui a biliardo in una incerta luce crepuscolare di lampade fumanti, e con cortesia condussero noi forestieri nella sala lettura. Lì trovammo giornali italiani, ma non dell'ultima data, che la posta aveva portato da Aquila e Pescara.

Per l'indomani affittammo una vettura per arrivare al lago Fucino da Rajano attraverso la selvaggia montagna - una lunga tappa ed una intera giornata di viaggio. Un tempo vi era un collegamento postale con Avezzano; ora è cessato, io non so per quale motivo, forse a causa della costruzione della nuova strada, che attualmente viene fatta passare da Aquila per la montagna. La vecchia strada è talvolta eccellente ed ovunque percorribile. Noi attraversammo il Pescara, un fiume di montagna, vivace e pieno di trote, largo all'incirca come il Liri nei pressi di Ceprano. Su di un terreno fiorito arrivammo a Pentima, quindi sull'altopiano dell'antica Corfinium dei Peligni.


(1) Una curiosità a proposito della definizione dell'Abruzzo:essa non proviene dalle fervida mente del D'Annunzio, come in molti credono, ma dalla più modesta penna di Primo Levi (da non confondere con l'autore di Se questo è un uomo) il quale nato a Ferrara nel 1853 viaggiò a lungo per la regione abruzzese tanto che pubblicò un libro - Abruzzo forte e gentile - dal quale citiamo l'incipit: "V'ha nella nostra lingua, tutta in se stessa, semplicità ed efficacia, una parola consacrata dalla intenzione degli onesti a designare molte cose buone, molte cose necessarie: è la parola Forza. Epperò, s'è detto e si dice il forte Abruzzo. V'ha nella nostra lingua, tutta, in se stessa, comprensiva ed eleganza, una parola che vale a comprendere, definendole, tutte le bellezze, tutte le nobiltà: è la parola Gentilezza. Epperò dopo aver visto e conosciuto l'Abruzzo, dico io: Abruzzo Forte e Gentile. Visto e conosciuto" (Primo Levi, Abruzzo forte e gentile, Di Cioccio, Sulmona 1976). 

(2) Gregorovius allude alla proclamazione del Reich tedesco avvenuto nella sala degli specchi della reggia di Versailles nel gennaio 1871, in seguito alla vittoria della cruenta guerra franco-prussiana dell'anno precedente. Inoltre l'autore cita il fallito tentativo di Corradino di Svevia che a Tagliacozzo il 23 agosto del 1268 vide sfumare la possibilità di unire il territorio italiano sotto il dominio della famiglia Hohenstaufen; qui Corradino fu sconfitto da Carlo I d'Angiò, alleato del papa; inseguito e catturato, fu fatto decapitare a Napoli il 29 ottobre del 1268; egli era l'ultimo discendente diretto degli Hohenstaufen. 

(3) "sull'esilio" e "sull'instabilità della sorte".

(4) L'autore si riferisce alla sollevazione popolare avvenuta a Parigi nel marzo del 1871 ad opera degli strati piccolo-borghesi e proletari della capitale contro il governo Thiers. Lo stesso governo francese, con l'assenso dei Tedeschi occupanti, mise fine nel mese di maggio alla Comune con un bagno di sangue e migliaia di deportazioni. 


Theorèin - Luglio 2003