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Abbiamo parlato di scrittori come utenti della guerra. L'ingresso dell'Italia in guerra si presentava come un occasione di vita e in particolare una occasione di immersione nel collettivo, sotto le due forme; una come quella dello scrittore che entra a contatto con i soldati mantenendo il suo ruolo di guida, espressione di una èlite, atteggiamento in parte distaccato, aristocratico (Soffici); e poi quella di partecipazione al collettivo, come senso di fratellanza, il mescolarsi alla truppa, con un atteggiamento un pò populista. La seconda occasione per gli scrittori è quello di scrittura. Abbiamo il ritorno sulle pagine di un esperienza di guida. Questa esperienza di scrittura diventa una espressione di stile. Mario Insnenghi ha scritto un libro intitolato Il mito della Grande guerra. Da Marinetti a Malaparte, il grado zero della partecipazione alla guerra come fatto storico-politico e gradi più alti di partecipazione ad essa come individuale avventura dei sensi appaiono in Giorni di guerra di Giovanni Comisso. Tanto disinteressato alle ragioni politiche tanto più la sua adesione è viva sul piano individualistico, della messa in atto di tutte le sue energie, vitalità del proprio giovanilismo, dove abbiamo questa idea della guerra come una grande festa. Poi abbiamo un atteggiamento cupio dissolvi; un esempio viene dalle pagine di Piero Jahier dove in Con me e con gli alpini si legge: "Altri morirà per la Storia d'Italia volentieri
Scatta una sorta di egocentrismo che tende a strumentalizzare il rapporto di solidarietà, di fratellanza con la truppa per i propri fini; in definitiva per soddisfare questo desiderio personale; questo
cupio dissolvi, di dissolversi, di questo morire in un avvenimento più grande di ognuno. Continua nel dire: lo griderò perchè non sono mai stato felice,
è la prima volta che lo sono. Quindi ci troviamo di fronte a scrittori che cercano nella guerra un proprio spazio personale,
un ritrovare se stessi; atteggiamento che domina ad esempio Carlo Emilio Gadda.
In Gadda abbiamo questo calarsi all'interno della vicenda bellica, alla ricerca di un ordine, quell'ordine che possa influire anche nel proprio interno. Abbiamo quindi intere opere ispirate alla guerra come
Ardengo Soffici (Kobilek: giornale di battaglia 1918, La ritirata del Friuli
1919) Camillo Sbarbaro (Cartoline in franchigia 1966) Piero Jahier,
Giovanni Comisso (Giorni di guerra 1930, Il Delitto di Fausto
Diamante 1933) Antonio Baldini (Nostro Purgatorio. Fatti personali
della guerra italiana 1915-1917 1918) Carlo Emilio Gadda (Giornale di guerra e prigionia
1955) Emilio Ussu (Un anno sull'altipiano 1938) Paolo Monelli (Le scarpe al sole
1921). Accanto a questi libri vi sono pagine sparse che si trovano all'interno di opere, come gli scritti di Marinetti
(Quattro uomini e una bomba
L'alcova d'acciaio). Gadda (Il castello di Udine La madonna dei filosofi).
Il tema della guerra attraversa anche grandi romanzi del Novecento come per esempio
La coscienza di Zeno di Italo Svevo, o Rubè di Borgese ed alcune novelle di Pirandello. Ci occupiamo come esempio di ciò che scrive Marinetti nell'Alcova d'Acciaio
e in particolare di un capitolo intitolato La battaglia chimica e gli aloni azzurri:
Nei prati alti che strapiombano sulla confluenza dell'Astico e dell' Assa, la battaglia si spalanca davanti a noi con un milione di vampe febbrili e dei vasti roteanti volumi d'aria che ci squassano fra la vegetazione torturata e singhiozzante. questa
è una pagina di guerra scritta negli anni 20 a guerra avvenuta.
Massaggio del corpo divino dell'Italia
—In macchina, in macchina! grido ai miei soldati. Al volante, Menghini!
Guardo energicamente negli occhi bagnati di lacrime dei miei soldati. Hanno capito. Hanno capito. Poi
ammonisco rudemente il mio cuore: «Hai avuto ragione di piangere, cuore mio, ma ormai sei inzuppato di
lagrime come un fazzoletto d'addio. Basta! Non piangere più! Oggi è giorno di guerra! Abbiamo vinto,
bisogna stravincere! Hai abbastanza subìto l'incantesimo sonoro. Non sono campane! Strappate dai campanili,
sotterrate con furia gelosa, esse rinascano mutate! Sono i bronzi melodiosi del genio Italiano che non poteva
subire manipolazione straniera. Conservarono sotterra il timbro profondo e l'ampia virtù suggestiva. E' il
genio della nostra razza che risuona ancora intorno a noi. E' la forza creatrice italiana colla sua commovente
elasticità di balzi armoniosi, le sue arrampicanti fioriture di note che sanno l'ampio anfiteatro di echi carnali
del golfo di Napoli, e le cadenze flessuose delle colline toscane, e i burroni muggenti d'organo dei valloni
abruzzesi. Non piangere! Canta, o mio cuore! Canta, batti, romba rotolando tutte le erre d'una furente velocità.
«Senza nostalgia, senza languori, senza abbandoni mistici, lontano dalle Madonne e dai campanili!
Ricordati che nelle città, altre campane prostitute vorrebbero aizzare con falsi annunzi di pace prematura
gl'interni salvatori dell'Austria passatista! Sia il tuo canto un martellare, preciso, rettilineo che scalando il
cielo, su, su, colpisca le vetrate delle chiese perchè il cristallo infranto si sganasci anch'esso annunciando la
nostra vittoria! Su, slanciati, mio cuore motore, su questa bella strada che taglia le più ricche, eleganti
variopinte campagne della terra! Sono i capelli sparsi dell'Italia Divina! Noi ne conquistiamo il seno, le belle
spalle, su su, verso le due braccia tornite, tanto tempo incatenate e la mano sinistra inanellata di mare:
Trieste!... e la mano destra più rude e muscolosa: Trentino!»
O Italia, o femmina bellissima viva—morta—rinata, saggia—pazza, cento volte ferita e pur tutta risanata,
Italia dalle mille prostituzioni subìte e dalle mille verginità stuprate ma rifiorite con più fascino di verde
pensoso e di ombrie pudiche. Sono io, io il futurista che primo ti libero il petto baciandolo col mio delirante
amore!
Cosmica fusione del mio corpo col tuo! Ti sento, ti sento, ti sento! Ti prrrrendo, ti prrrrrendo, ti
prrrrrrrrendo! Sei grande, grande, lo so, e non ti posso tutta contemplare!
Eppure, senza sognare senza perdere la ragione, t'immagino tutta, ti vedo! Questa rosea carta geografica,
che ho fra le mani, vibra, vibra, mentre io corro nella mia blindata. Vibra l'elegante forma rosea sulla carta!
Non è più carta, diventa carnosa! Freme, respira, palpita e spalanca sempre più le braccia nella crescente e
trasfigurante velocità del mio motore in sogno! L'impeto virilissimo di questo mio motore che è insieme
cuore, sesso, genio ispirato e volontà artistica, entra in te, con rude delizia per te, per me, lo sento! Sono lo
strapotente genio—sesso futurista della razza tua, il tuo maschio prediletto che ti ridà penetrandoti la
rifecondante vibrazione!
Ah! se potessi avvilupparti tutta in un unico immenso bacio, sintesi ultima di tutti i baci che la tua bellezza
florida ha suscitato nei padri, dei padri nostri e in quelli morti per te e nei 500 mila eroi dell'Isonzo, del Carso,
del Piave.
Non sono pazzo! Nè allucinato! Creo, creo il tuo fantasma, la tua statua che non è di bronzo, nè di terra,
ma umana, viva, di carne. E' forse un pazzo, lo scultore geniale? Tale io sono, ispiratissimo, ma con lucido
controllo tenace e sapienza di mezzi! Con questo bollore di sangue che ridipinse il mondo, con questa
respirante carta geografica, e con una piccola lettera d'amore bagnata di sudore sotto la mia giubba, e forse di
lagrime, poichè è la lettera di un'amante ideale, una italiana, che mi scrive il suo pazzo desiderio di cancellare
Caporetto!... Con questo, con questo, io compio il miracolo!...
Sì, sì, Italia! Ho sotto la giubba una lettera d'amore! E' lei che mi scrive! Una Italiana! Bellissima! Non la
ricordi? E' tua figlia. Ti somiglia. I suoi capelli hanno la morbida serica fluidità dei tuoi boschi. Pensa al più
sognante declivio della tua più languida collina e ti sarà facile immaginare quelle guance tenere sensuali calde
di pesca e magnolia. Soltanto certe curve dei tuoi fiumi ricordano un poco l'invito sinuoso delle sue labbra! La
sua voce evoca il canto delle onde notturne nello stretto di Messina udito da un areoplano volante a 1000
metri. Lenti archetti di dolore su violoncello d'oro giocondo. Glauche chitarre di roccia con lunghi accordi d'acque che s'infrangono. Arpe elastiche di vento con pizzicati di lampi allegrissimi. E piangenti clarini
smarriti in meandri di pazzie colorate.
Lei! Lei! Se cammina, ondeggia come un fumo lieve innamorato del cielo.
E' tua figlia, o Italia! Le parole carezzevoli della letterina sua tremano sul mio petto, insorgono, susurrano,
suonano. Sono le sue tenerezze che odo, ma anche le tue, le tue! Sei tu che rispondi ai miei baci, tu, Italia, che
mi gridi con le sue parole: Amore, amore, amore!
La mia passione parla così nella velocità amorosa della mia blindata 74 che attraversa correndo i villaggi e
le loro schiumanti ondate di grida, braccia, fiori, campane agitate.
—Vivaaaaaaa! Vivaaaaaaa! Dan dan dan.
Ti prendo, ti prendo, ti prendo, Italia! E sono geloso di te, geloso! Tutti ti amano, tutti ti amano, tutti ti
vogliono! Io ti voglio per me! I miei soldati hanno strani visi pieghettati arsi da un forsennato desiderio di te!
Sento l'acciaio di queste pareti bruciare di voluttà per te! L'occhio orizzontale di questa mia 74 d'acciaio già si
muta nel delirio in una calda bocca dalle potenti labbra affamate di te! Stride e strilla tutta la mia blindata! Ha
un tono quasi brutale! Non sa più contenere la sua follia per te!
—Sono io, son io che ti bacio! urrrla la mia blindata 74—Sono io che ti bacio! Io sono la bocca d'acciaio
veloce che scivola sulle morbide colline del tuo seno, sulle ben tornite montagne delle tue spalle, baciandoti
tutta, avidamente, con lussuria! Sono io che ti bevo e mangio tutta di baci minutissimi rapidissimi, Italia mia,
donna−terra saporita, madre−amante, sorella−figlia, maestra d'ogni progresso e perfezione,
poliamorosa—incestuosa, santa—infernale—divina!
In sogno ho ascoltato queste stridenti parole d'amore della mia blindata. Ma bruscamente morso dalla
gelosia urlo:
—Via! Basta! non facciamo scherzi! Non ti permetto queste libertà! E' mia, è mia, comprendi? E' tutta
mia, l'Italia bella! E' da tempo, da tempo, da tempo che l'amo, d'un amore preciso—confuso, eterno—
istantaneo! Profondo amore spiritualissimo, religioso! Un amore in ginocchio, prosternato e insieme un amore
sensuale tutto morsi, baci graffi carezze rudi! Un amore che s'infittisce e s'insuccolenta, ghiotto, ghiotto
nell'Italianissimo sugo d'un buon piatto di spaghetti alle vongole napoletano! Tu non sai cosa vuol dire
assaporare con mille labbra l'Italia nel giallo risotto alla Milanese e nel polisaporico minestrone! Dopo lungo
girovagare di lingua e di palato fra le plagiarie insipide culinarie estere, godere un piatto italiano! Ah, ah!
Questo è un amore senza confine ed ha le smisurate minuziose e chilometriche voluttà del sole quando in
Agosto possiede la Terra!...
Ed anche la girante oleosa carezza d'un battello a vapore che beatamente prende in giro colla sua scia
l'isola di Capri, mammella della Terra, emersa dalla tenerezza lunare come da una serica camicia ideale!
Non bisticciamoci, mia cara 74! Non sei una bocca! Tu sei l'alcova d'acciaio veloce, creata per ricevere il
corpo nudo della mia Italia nuda, che ora, con grazia, per i graziosissimi piedi trascino dentro, dentro, dentro
di te! E' già dentro, e fra le mie braccia!
I villaggi salutano il mio amore irruente, eloquente, e vittorioso.
—Vivaaaa! Vivaaaa! l'Italiaaaa! Dan dan dan. Han ragione quei villaggi di acclamare, elogiare la mia
amante divina! Tanto bella così, assopita! Ma un po' stanca per i troppi baci e le carezze accanite! Giovane,
fresca, come prima della schiavitù. Languidamente ha concesso il suo corpo al massaggio sapiente della
nostra offensiva. Abbiamo subito ottenuto la rimozione delle piccole rughe che deturpavano i suoi fianchi. Le
nostre ruote ora premono come pollici veloci sulla sua pelle ancora un po' insensibilizzata da un anno di
nefasta cocaina. Il massaggio fu in un primo tempo feroce. A cannonate, sì, a cannonate praticammo nella
palpebra destra istriana il taglio d'una piega sovrabbondante di tessuto, poi ricucimmo i margini della ferita
con punti fitti e sottilissimi di spie.
L'Italia porterà gli occhiali affumicati per qualche anno, poi la cicatrice rossastra sopra e sotto la palpebra
sparirà. Per affrettare, un colpo di pastello e di legislazione geniale. Intorno alla bocca che ha nome Piave vi
fu gran fervore di lavoro. Con un bombardamento sul labbro superiore, Caviglia massaggiatore esperto, incise
e asportò triangoli di tessuto carnoso nel punto di congiunzione tra il labbro e il naso: Vittorio Veneto. Questo
massaggio non soltanto restaurò, ma abbellì. Fu così aumentata la potenza espressiva della bocca Piave.
Tirammo a pulimento e riducemmo a forma rettilinea colline rincagnate. Colle mitragliatrici, fra poco,
faremo abbondanti iniezioni per correggere le depressioni della linea frontale. Il piombo iniettato si trasformerà in tessuto connettivo. Livelleremo gli incavi e le depressioni morali del bel collo pieno di volontà.
Tramuteremo il mento, un po' molle, in mento pronunciato, volitivo audace insieme e piacevole. Ora la
squadra ci aiuta cannoneggiando incisioni nelle regioni capellute sopra gli orecchi—golfi Adriatici.
Presto, presto, si spianino a cannonate le rughe frontali scavate dal dolore. Un colpo di lancetta qui, uno
strofinamento di ruote là, e sarà compiuto il perfezionamento dei suoi connotati femminili. Voglio ridare al
viso della mia Italia la tinta dei cieli di Sicilia. Già mi scivolano fra le mani gli aliti africani usi a fasciare i
fianchi dell'Etna. Ho anche a mia disposizione questo morbido cielo, panno impregnato di soavità misteriose...
Non sono forse io il padrone assoluto di questo universo diventato per me un prodigioso Istituto di bellezza?
A 50 o 60 chilometri sulla mia destra posso prendere il mare, morbidissima spugna azzurra inzuppata di
lozioni orientali. Ecco col mare−spugna azzurro cancello le lividure e le arsure del viso dell'Italia che riprende
la freschezza saporosa della gioventù. Poi l'accarezzo con questo cielo di panno imbevuto d'Oriente
illanguidito. Il viso si assopisce.
—Menghini, come va il motore?
—Senta, signor tenente; canta come un flauto. Tuvvvvvvvv Tuvvvvvv vrrrrrr vrrrrrrr.
Il motore aveva come me sete, sete, dopo tanta passione bruciante.
Fiuto la maestosa, freschissima bevanda saporosa d'azzurro: il Tagliamento! Se il ponte del Torrente
Arzino è ancora in piedi saremo presto al Tagliamento. Presto, giù per le discese a zig−zag e nelle grandi S
temerarie della strada, correva la mia 74 girando intorno alle colline sempre più aspre e rocciose che
prendevano arie di montagne imprevedute con roccioni strapiombanti, svolte, svolte, e svolte.
Ad una spasmodica velocità, come il sangue corre nelle vene, correvamo nelle vene dell'Italia, su e giù per
i suoi muscoli saldi. Era fuori di noi l'Italia, ed era anche nella blindata, addormentata fra le mie braccia, col
suo placido respiro melodioso. Tuvvvvv Tuvvvv... Per contrasto avviciniamo queste pagine di Marinetti a poche righe di una cartolina in franchigia di Camillo Sbarbaro:
l C'è una sorta di anti clima delle pagine marinettiane. C'è un uomo che gira per le strade della sua città con un senso di esclusione di frustrazione che Sbarbaro nasconde, dissimula sotto questo atteggiamento di indifferenza. Questo incipit si sta caro ad Ungaretti come il senso di aridità, di deserto.
Passiamo alle pagine di Italo Svevo ne La coscienza di Zero che ci fornisce l'occasione di approdare ad un argomento che è centrale per la storia della letteratura italiana del Novecento, quella della svolta del romanzo, che un critico Giacomo De Benedetti ha individuato come protagonisti Pirandello, Svevo, Borgese,Tozzi. Questo tema della grande guerra attraversa anche le pagine di questi narratori; in fondo è una sorta di cartina al tornasole per sperimentare questi nuovi modi narrativi. Il romanzo era bandito dalla letteratura del momento, con queste personalità isolate, si crea questa svolta antinaturalistica che si era già verificata all'estero. C'è un progressivo allineamento della narrativa italiana nel panorama europeo. Vediamo come questo motivo viene evidenziato nelle pagine di Svevo. Il motivo della guerra entra ne
La coscienza di Zeno proprio nelle ultime pagine del romanzo. Scrive Svevo il 26 giugno 1915:
La guerra m'ha raggiunto! Io che stavo a sentire le storie di guerra come se si fosse trattato di una guerra di altri tempi di cui era divertente parlare, ma sarebbe stato sciocco di preoccuparsi, ecco che vi capitai in mezzo stupefatto e nello stesso tempo stupito di non essermi accorto prima che dovevo esservi prima o poi coinvolto. Io avevo vissuto in piena calma in un fabbricato di cui il pianoterra bruciava e non avevo previsto che prima o poi tutto il fabbricato con me si sarebbe sprofondato nelle fiamme.
La guerra mi prese, mi squassò come un cencio, mi privò in una sola volta di tutta la mia famiglia ed anche del mio amministratore. Da un giorno all'altro io fui un uomo del tutto nuovo, anzi, per essere piú esatto, tutte le mie ventiquattr'ore furono nuove del tutto. Da ieri sono un po' piú calmo perché finalmente, dopo l'attesa di un mese, ebbi le prime notizie della mia famiglia. Si trova sana e salva a Torino mentre io già avevo perduta ogni speranza di rivederla.
Devo passare la giornata intera nel mio ufficio. Non vi ho niente da fare, ma gli Olivi, quali cittadini italiani, hanno dovuto partire e tutti i miei pochi migliori impiegati sono andati a battersi di qua o di là e perciò devo restare al mio posto quale sorvegliante. Alla sera vado a casa carico delle grosse chiavi del magazzino. Oggi che mi sento tanto piú calmo, portai con me in ufficio questo manoscritto che potrebbe farmi passar meglio il lungo tempo. Infatti esso mi procurò un quarto d'ora meraviglioso in cui appresi che ci fu a questo mondo un'epoca di tanta quiete e silenzio da permettere di occuparsi di giocattoletti simili.
Sarebbe anche bello che qualcuno m'invitasse sul serio di piombare in uno stato di mezza coscienza tale da poter rivivere anche soltanto un'ora della mia vita precedente. Gli riderei in faccia. Come si può abbandonare un presente simile per andare alla ricerca di cose di nessun'importanza? A me pare che soltanto ora sono staccato definitivamente dalla mia salute e dalla mia malattia. Cammino per le vie della nostra misera città, sentendo di essere un privilegiato che non va alla guerra e che trova ogni giorno quello che gli occorre per mangiare. In confronto a tutti mi sento tanto felice - specie dacché ebbi notizie dei miei - che mi sembrerebbe di provocare l'ira degli dei se stessi anche perfettamente bene.
La guerra ed io ci siamo incontrati in un modo violento, ma che adesso mi pare un poco buffo.
1.
Piero Jahier: Con me e con gli alpini 2.
Filippo Tommaso Marinetti: XIII Massaggio del corpo divino dell'Italia tratto da L'Alcova d'acciaio,
1921 3. Filippo Tommaso Marinetti: III La battaglia chimica
e gli aloni azzurri tratto da L'Alcova d'acciaio, 1921
4. Camillo Sbarbaro: Cartoline in franchigia, Vallecchi Firenze 1966
5. Italo Svevo: La coscienza di Zeno, 1923
Theorèin - Luglio 2014
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