STILE E OPINIONE NELLE RICERCHE
DI CESARE BECCARIA

A cura di: Ugo Perolino
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Capitolo 2

Il “timore” e la “speranza” rappresentano categorie dell’agire e indicatori etici in connessione con la durata (“…un impulso del nostro animo nell’avvenire...”) e con la sua esposizione sociale, minuziosamente annotata nelle “opinioni altrui”(19). Ma perché la sfera corporea possa emergere quale supporto semiotico e segno da esibire pubblicamente (da cui anche la pubblicità, nella narrativa e nell’arte romantica, delle lacrime, dei tratti emotivi, dei sintomi dirompenti dell’affettività), è necessario che sia tratta fuori dall’anonimato della corruttibilità della carne, affidata alle cure esclusive della teologia morale e alle forme del discorso di morte indugiante sulla deperibilità dei valori terreni, per diventare l’oggetto di una prassi amministrativa e il terminale di adeguate procedure di welfare. Viene a declinarsi sul versante “irrazionale” dell’opinione pubblica, in quella fenomenalità storica che prefigura la sua trasformazione nelle masse totalitarie, l’analitica foucaultiana del potere ancorata ai nuclei tecnologici della popolazione e dell’individuo individuo come corpo addestrabile (20). La ragione, scrive Antonio Genovesi riferendosi alla circolazione produttiva del sapere, deve risiedere “nel cuore e nelle mani”.

L’irrazionalità e la ferocia dello spettacolo, il fondo regressivo della rappresentazione indicato da Rousseau, delimita per Beccaria il principale nodo politico sotteso alla stesura dei Delitti (21). Il filosofo milanese evidenzia infatti l’adescamento estetico, la fascinazione priva di ogni riferimento all’accadere reale, che il rito dell’esecuzione giudiziaria esercita sul suo pubblico: “La pena di morte diviene uno spettacolo per la maggior parte e un oggetto di compassione mista di sdegno per alcuni: ambidue questi sentimenti occupano più l’animo degli spettatori che non il salutare terrore che la legge pretende inspirare“ (22).

Persuaso dell’emergenza di contenuti irrazionali — la sfera illuministica del pregiudizio — nel foro pubblico dell’opinione, Beccaria cerca nella psicologia condillachiana gli strumenti per integrare nel progetto riformista le forze oscure della storia. Le Ricerche intorno alla natura dello stile (1770) intendevano essere un manuale di argomentazione ad uso politico, ma, nella loro veste incompiuta e a tratti faticosamente incerta, finirono per rappresentare qualcosa di più, il primo trattato in Italia e, forse, in Europa, dedicato alla comunicazione pubblica. Lo stile rappresenta per Beccaria l’arte di comunicare piacevolmente, contornando il contenuto del messaggio di sensazioni gradevoli. L’adesione, il consenso ad una determinata tesi, non si ottengono per via squisitamente razionale, come se l’argomentare umano fosse paragonabile ad una dimostrazione di geometria, ma attraverso complesse strategie di persuasione, che mettono in gioco l’emotività e il fondo di passioni e interessi di cui ogni singolo individuo è portatore. Il filosofo milanese annovera tra i mezzi di comunicazione tutto ciò che può influenzare l’opinione pubblica, quindi in primo luogo i giornali, le leggi, i libri, l’arte, la moda.

Nel paese del Principe Beccaria disegna un nuovo orizzonte, più moderno e spregiudicato rispetto al residuo di umanesimo che ancora impregna la pratica del potere in Machiavelli. La comunicazione pubblica attualizza un’inedita tecnologia politica, consente di governare attraverso i segni e le rappresentazioni la parte irrazionale dell’anima. I riformatori lombardi non si stancano di ripeterlo: lo stile incarna “l’arte delicatissima di condurre gli uomini”.

Attivata dalle analisi sociosemiotiche dell’opinione, la riflessione di Beccaria poteva inoltre trovare un importante stimolo a trasformare lo stile in tecnologia politica nella scoperta” dello spectaculum come elaborazione mediale e discorso pubblico di massa contenuta in forma esemplare nelle Réflexions critiques (1719) dell’abate Du Bos. In questo testo, che identifica un punto di passaggio obbligato nel progresso dell’estetologia settecentesca, la fuga dalla noia e il desiderio ingenito nell’anima di sempre nuove occupazioni in cui è da riconoscere la qualità empiristica dell’argomentare, determinano la fortuna dei giochi gladiatori, dei supplizi, dello spettacolo ripugnante e doloroso “di un altro uomo che subisce il rigore della legge sul patibolo e che muore in balia di spaventosi tormenti”(23), poiché la distrazione è la legge segreta che governa il comportamento degli uomini e “il nostro animo si abbandona naturalmente a tutto quello che lo tiene occupato senza darsi la pena di agire con concentrazione”(24).

La più intima affinità lega la fluttuazione dei segni della moda al circuito della produzione del sapere e della ricchezza (25). Negli anni dell’apprendistato del Caffè, scanditi da una collaborazione non frequente ma densa e puntuale, fatta di vertiginose accelerazioni e approfondimenti attorno ad un nucleo tematico già stabilmente attestato, la riflessione di Beccaria indugia sulle forme e i luoghi in cui viene a manifestarsi il fenomeno dell’opinione pubblica. Si tratta di un simulacro, di un dispositivo linguistico — Beccaria ne è pienamente consapevole — capace però di amministrare un’immensa economia simbolica. La proiezione del desiderio sui segni e gli oggetti della moda, questo comune discorrere immerso nel dominio della femminilità, prefigura, ma ingentilita e resa più sottile e ammiccante, una pratica quotidiana dei costumi che si sviluppa come una conversazione ininterrotta. Come per i giornali, un certo grado di mondanità concorre a fecondare il sostrato, la base di valori morali condivisi, sia pure in forme leggere e spregiudicate: “Felice l’umanità — scrive Beccarla - se la virtù divenisse un ornamento alla moda, se la sensibilità alle altrui miserie diventasse un belletto che colorisse le guance delle gentili persone e se una lagrima sparsa sui lunghi e profondi mali dell’umanità diventasse un vezzo, che potesse stare tra i merletti e i nastri!”(26). La moda, pur “inquieta e fantastica”, rappresenta un prezioso stimolo immaginativo, una risorsa di senso che “può da una forza superiore essere diretta”.

All’altezza storica dell’articolo sui fogli periodici le grandi direttrici del pensiero beccariano appaiono già compiutemente tracciate e convergenti nella ricerca dei mezzi, delle pratiche sociali e degli oggetti della comunicazione (27). Non è estranea al timbro di queste pagine una sintonia critica, e talvolta dialetticamente polemica, con analoghe tematiche pariniane, nella corrispettiva definizione del pubblico e dell’utenza alla quale è indirizzato il progetto pedagogico e politico dell’illuminismo lombardo (28). Apparentemente la riflessione linguistica riveste un ruolo marginale nel variegato fronte di interessi che occupa in questo periodo l’attività di Beccaria e del gruppo dell’Accademia dei Pugni, ma le anticipazioni rilasciate nel Frammento sullo stile documentano la costanza di un disegno unitario. La centralità del Frammento è ulteriormente confortata dall’analisi delle riprese e delle varianti confluite, con qualche prevedibile ritocco, nell’impianto più disteso delle Ricerche. Gli scarti, le modifiche, le lievi cuciture che annodano il testo dell’articolo alla più tarda rielaborazione del trattato testimoniano di un meditato approfondimento delle implicazioni degli atti linguistici.


(19) “L’uomo fedele alle sue promesse, grato ai benefici, attivo nel cosolare e aiutare gli uomini, disinteressato, nobile, guardingo a non nuocere sia coi fatti sia colle parole più trascorrevoli, e talvolta più fatali, ogni volta che un nuovo atto rinfranca i suoi principi, prevede di rendere se stesso sempre è forte coll’abitudine al bene, e di confermare e cementare sempre più la opinione pubblica, e singolarmente la stima degli uomini buoni. Quindi ogni atto virtuoso che fa, sente diminuito un grado alla possibilità di perdere questi beni, e accresciuto un grado alla speranza delle sensazioni piacevoli che gli si affacciano. Il piacer morale di lui sarà sempre più forte, quanto più diffiderà della perseveranza, e quanto sarà più incerto e timoroso sulle opinioni altrui”. Cfr. DIPeD, p.69.

(20) La nozione di “hiopolitica” ve’~ne introdotta da MicheI Foucault sul finire degli anni ‘70 nelle lezioni ai Collègc de France nell’ambito dì una tassonomia politica che distingue tra le forme delle ‘disciplina’, “vale a dire la modalità di applicazione del potere che appare alla fine del ‘700 e che è caratte­rizzata da un certo numero di dispositivi coercitivi che giocano sul corpo e la visibilità”, e quella del ‘controllo”, che individua una diversa rete di connessioni soggettive caratteristiche della modernità. Cfr. I. Revel, Controiflipero e biop8flwa, in AA.VV. Controirnpen’. Per un lessico dei movimenti globali, a cura di Nicola Mon­tagna, Roma, Manifesto Libri, 2002, pp. 113-135, p. 115- Nei successivi approfon­dimenti del pensiero foucaultian~, il termine biopolitica venne ad indicare “la manieralncui il potere tendea trasformarsi, trala fine del ‘700e l’iniziodell’800, per poter governare non solo gli individui, ma l’insieme dei viventi costituiti in popolazioni” (Thid., pp. 119-12(i). La biopolìtìca, e i corrispettivi biopoteri, si ap­plicano al corpo sociale, la popolazione, la cui “scoperta” rappresenta per il filo­sofo francese, dopo la “scoperta dell’individuo e del corpo addestrabile. -. l’altro grande nucleo tecnologico intorno a cui si sono trasformati i procedimenti politi­ci in Occidente” (ibM., pp. 120-121, da cui è tratta la citazione). Molto opportuna­mente nella conferenza di Bahia dell’si Foucault paragona l’ordine coercitivo della ‘disciplina” all”’anatomo-polìtica” e quello simbolico del controllo alla “me­dicina- sociale”. Si tratta di una distinzione particolarmente fertile per situare il significato storico dell’opera di l3eccaria e, con maggiore evidenza, dei Delitti, che infatti propongono una rottura con gli ordinamenti so&alieculturali esisten­ti proprio sul terreno delle pratiche dì violenza, coercizione e annientamcnt(l della corporeità, quali appunto la tortura e la pena di morte. Fin in generale, questa prospettiva inquadra l’intero movimento riformatore lombardo, che non a caso pone al centro della propria riflessione una minuziosa indagine fenomenologica su1 piacere-dolore e la pubblica felicità. Infine, per una lettura dei riferimenti b iopoliti ci nello scenario tecnologico e produttivo della globalizzazione, di cui però il pensiero semiotìco settecentesco prefigura tutta l’attuale densità, si veda Nt. ilardt, A. Negri, Impero, Milano, Rìzzoli, 2~2, in part. pp. 38-54

(21) Per le citazioni heccariane si ~a riferimento all’Edizione Nazionale delle Opere, diretta da luigi hirpo. Milano, Mediobanca, 1984. In seguito Ed. Naz.

(22) Cfr. C. Beccaria, Dei dielitti, a cura di Gianni Vrancioni, in Ed. Naz, voi. I, p. 90. D’ora in avanti il testo sarà indicato con la sigla DEP.

(23) Cfr. J.B. Du Bos, Riflessione critiche sulla poesia e sulla pi.thira, a cura di Enrico Fnbini, Milano. Guerini e Associati, 1990, p. 46.

(24) Ibidem, p. 50.

(25) “Entrate in una adunanza ove siano libri e fogli periodici, troverete che ai primi si dà per lo più un’occhiata sprezzante e sdegnosa ed ai secondi un’oc­chiata di curiosità, che vi fa leggere e fa leggere tutti gli altri; e come la circolazione del denaro è avvantaggiosa, perché accresce il numero delle azioni degli uomini sulle cose, così la circolazione dei fogli periodici aumenta il numero delle azioni della mente umana, dalle quali dipende in perfezione delle idee e de’ costumi”. Cfr. C. Beccaria, Dè Fogli periodici, in Articoli tratti da “Il Caffè, a cura di Luigi Firpo, Ed. Naz. Il, p. 46 (corsivi miei). D’ora in avanti indicato con la sigla FP. Con la sigla FS si indicherà invece il Frammento sullo stile.

(26) Cfr. FP, p. 46.

(27) “Gli uomini di questo genere, cioè la maggior parte, considerano un libro come un uomo che volesse entrare ne’ loro affari e riformar tutta la loro famiglia; sono ributtati dal timore rovesciar tutto l’edificio delle loro idee; e gli uomini invischiati, per dir così, nell’abitudine, soffrono nel doverne essere tratti. Ma un foglio periodico, che ti si presenta come un amico che vuol quasi dirti una sola parola all’orecchio, e che or l’una or l’altra delle utili verità ti suggerisce non in massa, ma in dettaglio, e che or l’uno or l’altro errore della mente ti toglie quasi senza che te ne avveda, è per lo più ben accetto, il più ascoltato”. Cfr. FP, p. 45. Anche la riflessione che segue frontata con la strategia narrativa neutralizzare la distanza tra autore di un libro e chi o legge mortifica maggior numero non si crede capac ognuno si crede abilità sufficiente, e cipali motori della stima volgare”. Ibid., p.45.  

(28) “Qui non si parla né ai sublimi nè ai stupidi e zotici uomini, ma a quella parte del genere umano, che, trovandosi fra questi estremi, oscilla perpetuamente o verso l’uno o verso l’altro”. Cfr. FP, p.48. 


Theorèin - Ottobre 2005