RANDONE, EDUARDO, STOPPA:
TRE MESSEINSCENA DE IL BERRETTO A SONAGLI
DI LUIGI PIRANDELLO
A cura di: Paolo Diodato
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Lezione V

PAOLO STOPPA INTERPRETE DE
IL BERRETTO A SONAGLI DI PIRANDELLO

Stoppa e Pirandello

“Pirandello è stato il mio primo autore e il mio primo regista. Il mio primo autore ed anche l’ultimo visto che proprio al termine delle repliche de Il Berretto a sonagli che ho interpretato nella stagione ‘83-’84 mi ha preso quel profondo disamore allo stato attuale del teatro per cui ho deciso di mettermi, almeno temporaneamente, a riposo. […]. Ma il ricordo più commovente di quei giorni del 1925 passati accanto al Maestro fu quando mi parlò de Il Berretto a sonagli. Mi disse ”Ho appena finito di riscrivere una commedia in italiano. Odio il sicilianismo -continuò- e siccome questa commedia la considero una delle mie cose più belle l’ho voluta tradurre”. Poi me la raccontò e ricordo che mi piacque tantissimo. Dissi: “Chissà se la potrò mai fare nella vita?”, “Se diventi bravo la farai”. Mi son sempre ricordato quella risposta e così per non deluderlo e per non deludermi ho aspettato quasi cinquant’anni per farla. Ma io a Ciampa ho pensato tutta la vita”.(1)

In effetti Paolo Stoppa concluse la sua carriera artistica proprio con Il Berretto sonagli di Pirandello, in un allestimento per la regia di Squarzina che ebbe anche una versione televisiva. (2)

Luigi Squarzina che diresse Stoppa nel Berretto a sonagli, rimase sbalordito quando, alla prima lettura, vide l’attore presentarsi con il copione chiuso e la parte di Ciampa, la “sua” parte, perfettamente a memoria. Emerge, pertanto, un Ciampa a lungo pensato e interiorizzato da parte di Paolo Stoppa, anche se dal suo repertorio si evidenzia che il rapporto con le opere di Pirandello fu piuttosto scarso.

Stoppa iniziò la sua carriera come comparsa, da allievo, proprio con Pirandello, che non apparve in veste di autore, ma di regista. Allora Stoppa si era da poco iscritto alla Scuola di Recitazione “Eleonora Duse” di Santa Cecilia di Roma (3) e fu chiamato a partecipare allo spettacolo diretto da Luigi Pirandello, Sagra del Signore della nave, dello stesso maestro siciliano che si iscriveva all’interno della stagione del teatro d’Arte di Roma.(4)

Ma da quella prima esperienza Paolo Stoppa si incontrò con le opere di Pirandello soltanto altre tre volte. Due volte nel Così è se vi pare (5) e l’ultima nel Berretto a sonagli (6) alla fine della sua carriera.

La carriera e gli incontri artistici di Stoppa

Tutto l’iter artistico di Stoppa ci appare nel suo insieme caratterizzato da una forte ecletticità, che portò l’artista romano a confrontarsi con interpretazioni di diversa natura. Cinema, TV teatro furono le dimensioni che forgiarono le qualità artistiche di Stoppa. Anche all’interno del suo itinerario teatrale, che costituì sempre il suo ambito preferito, egli attraversò varie fasi, ricoprendo ruoli molto diversi tra loro, ma entro i quali Stoppa riuscì a crearsi un proprio stile.

Uno degli elementi che sicuramente lo caratterizzarono maggiormente, fu un tipo di recitazione in cui riusciva a contaminare con molta naturalezza, elementi farseschi, comici, e in generale legati ad un tipo di teatro leggero, con gli aspetti più drammatici acquisiti dalla assidua frequentazione di un certo tipo di teatro che potremmo definire grottesco.

Dall’apprendistato artistico del giovane Stoppa notiamo che, dopo una prima esperienza con una “Compagnia di giro", (6) in cui prevaleva il registro comico, Stoppa incontrò il suo primo grande maestro che fu Antonio Gandusio, (7) con il quale collaborò fino al 1932, assorbendo da lui la convinzione che recitare fosse vivere un’esistenza fatta di sacrificio e abnegazione, in cui l’attore non può, né deve risparmiarsi. Al punto che D’Amico arriva a dire, con sottile ironia: “Gandusio suda: quella di Gandusio non è una recitazione, è una grande fatica. (8)

Gandusio modellava il repertorio della Compagnia sulla sua personalità: opere contemporanee, comiche, generalmente con una certa propensione per gli autori del cosiddetto teatro grottesco. (9) Quindi fin dall’inizio, Stoppa si esercitò in ruoli in cui erano fondamentali doti espressive particolari: per esempio la capacità di comunicare nello stesso tempo sentimenti contrastanti, oscillanti tra il riso e il tragico. Il grottesco infatti, non gli impediva di immettere nella sua recitazione un sottofondo di angoscia che sembrava appartenergli anche esistenzialmente, come lui stesso sottolineava:

”L’angoscia fa parte del mio carattere, in tutta la mia vita ho passato lunghi periodi di pessimismo, di paure, di angosce”. (10)

Accanto all’esperienza con Gandusio, si può individuare quella con la Compagnia diretta da Egisto Olivieri, specializzata in spettacoli gialli e con la quale Paolo Stoppa lavorò per alcune stagioni teatrali, compiendo anche la sua prima tournèe all’estero: un mese a Tripoli nel gennaio del 1933. (11)

Fu questa degli spettacoli gialli, una esperienza certamente meno determinante degli anni con Gandusio, ma che senza dubbio arricchì il bagaglio culturale ed artistico del giovane Stoppa, grazie alla frequentazione di un genere teatrale totalmente nuovo, per il quale era stato chiamato ad un tipo di recitazione diversa, meno esasperata di quella precedente.

Ma il secondo evento fondamentale della carriera artistica di Stoppa fu quello dell’entrata nella Compagnia di Renzo Ricci nell’autunno del 1934. Per l’attore romano fu l’occasione di uscire dalle parti secondarie, lavorando in una formazione teatrale importante a livello nazionale, che gli aprì, nel contempo, l’amicizia che durò tutta la vita con Renzo Ricci. Con questa Compagnia si accostò ad autori di qualità e ad un metodo di lavoro professionalmente più maturo, con un maggiore numero di prove ed una più approfondita analisi del testo. (12)

Proprio in questo periodo Paolo Stoppa ebbe modo di interpretare un personaggio importante come quello di Bob Laroche in Tempi difficili di Eduard Bourdet, un giovane storpio mezzo paralitico. Proprio questa interpretazione, tuttavia, all’indomani della prima, ricevette una stroncatura dall’autorevole critico del “Corriere della Sera”, Renato Simoni, (13) in quanto non venne accettata la resa crudamente realistica del personaggio.

Insomma, i primi dieci anni di carriera e di formazione di Paolo Stoppa furono caratterizzati da incontri eterogenei ma ugualmente importanti. Antonio Gandusio e Renzo Ricci ne erano stati i cardini fondamentali. Ultimo superstite della grande famiglia dei “brillanti” italiani il primo, attore ancora formato nella tradizione ottocentesca, ma attento e partecipe dell’evoluzione della scena, il secondo.

Ma l’intero cammino artistico di Paolo Stoppa ruotò intorno al Teatro Eliseo di Roma. Egli stesso lo definì come la sua seconda casa. (14) All’Eliseo infatti, Stoppa raccolse i primi successi personali, lavorando nell’omonima formazione e realizzando l’esperienza più importante della sua carriera: la costituzione della ditta con Rina Morelli e Luchino Visconti. (15) Questo incontro si trasformò in collaborazione artistica per la condivisione di obiettivi programmatici comuni.

Alla base c’era una concezione dello spettacolo teatrale come fusione tra le varie componenti, e la resa del testo poetico attraverso una recitazione tesa e sofferta. Stoppa rivelò insieme al suo temperamento di attore poliedrico, una predisposizione all’organizzazione, realizzando sulla scena testi sconosciuti o di difficile presa sul pubblico, e senza mai cercare un facile successo. Il rapporto tra Luchino Visconti e Paolo Stoppa fu significativo anche per quanto riguarda il peculiare legame che realizzarono tra attore e regista. Nella loro collaborazione essi esprimevano l’occasione per potenziare e valorizzare le capacità attoriali, messe al servizio del vero obiettivo comune: lo spettacolo.

Il merito maggiore di Paolo Stoppa fu quello di avere compreso come, in una concezione teatrale moderna, ancor più della personalità dei singoli, avesse valore l’organicità dell’insieme. In una intervista del 1963 Visconti descrisse i criteri del suo lavoro da cui si può evincere il lungo e accurato studio fatto con gli attori. Ogni artista doveva giungere alla prima prova:

“Con la sua parte nemmeno nell’orecchio, perché io raccomando che essa non venga studiata a memoria : deve attaccarsi all’attore durante le lunghe sedute che si fanno, in modo che egli giunga a conoscerla in modo dolce e persuasivo, conoscendo soprattutto quello che ci sta dietro”. (16)

L’esercizio allo studio aveva portato Paolo Stoppa a calibrare in modo appropriato e minuzioso la sua recitazione, al fine di renderla sempre più idonea ad esprimere il personaggio.

Non è un caso, che dopo la precoce esperienza del Teatro dell’Arte nel 1925, Stoppa incontri Pirandello nella sua piena maturità artistica nel febbraio del 1965 al Teatro Quirino, con il Così è( se vi pare). Queste le impressioni dell’attore:

“Avevo paura; è il più grande poeta del Novecento e non si può farlo superficialmente. Ho cercato nella commedia uno stile scarno, rispettando il testo nella lettera oltre che nello spirito”. (17)

Nella sua interpretazione Paolo Stoppa fu giudicato: “Sanguigno, ribollente e martoriato dalla morsa di una indiscrezione mostruosa". (18)

La stessa opera fu ripresa nel marzo del 1972 con la regia di Giorgio De Lullo. In quell’occasione anche la sua interpretazione si arricchì "giocando sui toni bassi e modulati senza peraltro demitizzare la figura interpretata". (19)

Il berretto a sonagli di Stoppa

L’ultima prova di Stoppa fu Il Berretto a sonagli. Questa interpretazione diretta da Luigi Squarzina si basava su di un testo che, pur avvalendosi della prima versione in lingua, datata 1918, recuperava alcuni brani derivanti dall’antico copione dialettale (A birritta cu’i ciancianeddi) scritto per l’attore Angelo Musco. (20)

Stoppa vi appare con tutta la sua arte recitativa, è il vero protagonista dell’opera.

Nella versione televisiva, le inquadrature e i personaggi gli ruotano intorno, per evidenziarne la perizia interpretativa.

La sua tecnica espressiva dà conto chiaramente dei sottotesti inerenti al suo personaggio, ogni gesto è ben calcolato, la recitazione è appropriata. Emerge la sua bravura di attore consumato, che si manifesta soprattutto nella comunicazione col pubblico, al quale sa regalare con sapiente dosaggio, sia gli effetti comici, sia quelli più grotteschi.

Il suo è un Ciampa forte, tutt’uno con l’attore, è un Ciampa che sfida il dolore, cosciente della sua forza, lucido, razionale, che sa manipolare. Anche il tema della pazzia vi appare, più che come soluzione pacifica, come rivalsa, come arma per colpire non solo Beatrice, ma il contesto sociale dal quale Ciampa, nella sua condizione di dipendente, si sente escluso e che vuole sfidare.

La stessa Beatrice, in questa messa in scena si riappropria delle battute eliminate nella versione dialettale. Ma se da un punto di vista tematico, del contenuto, viene amplificato il tema della rivalsa della donna, come lo stesso Squarzina sottolinea, ciò avviene solo quando Ciampa è assente dalla scena. E ciò amplifica l’idea dello scontro, di un duello ideale con il protagonista maschile. 

E’ il tono fermo, quasi imperioso di Beatrice a sottolineare tutto questo, senza però che la donna riesca ad uscire da una logica di sottomissione alla legge ferrea della pazzia che Ciampa le impone.

Dalla registrazione televisiva si evidenzia, inoltre, la diversità dell’attore-personaggio Stoppa rispetto agli altri personaggi. 

A differenza degli altri interpreti, egli sviluppa un ulteriore livello di comunicazione con il pubblico, sottolineando una duplicità interpretativa che gioca, sia a livello del personaggio di Ciampa, che risulta essere “vincente”, sia come attore che celebra se stesso.

Tutto ciò alimenta l’efficacia espressiva e ben individuata rispetto al contesto del suo Ciampa. 

La stessa registrazione televisiva di Squarzina asseconda questa dinamicità e convergenza del personaggio-attore Stoppa, con una regia che accentra in lunghi e frequenti primi piani la figura dell’attore, che per esempio fin dalla sua entrata nel secondo atto è ripreso in un ininterrotto  primo piano che, lasciando nell’ombra le battute  dei suoi interlocutori, ci mostra tutto il secondo atto come un lungo monologo di Ciampa.

Rispondendo ad un intervista sulla sua interpretazione del Berretto a sonagli Stoppa rispondeva: 

Quello fra me e Ciampa è un discorso che dura da tanti anni. Ci siamo idealmente parlati per decenni, anche perché me lo sono sempre trovato intorno. Voleva essere rappresentato, ma io rimandavo l’appuntamento, continuando tuttavia ad assimilare la sua personalità, a scandagliare il suo animo a riflettere sui suoi ragionamenti. Oggi credo di essere pronto: fra me e Ciampa non ci sono più segreti. Perciò lo porto sulla scena. E sarà un Ciampa dei nostri giorni, senza quegli atteggiamenti un po’ dialettali e provinciali che pure hanno lusingato qualche mio collega in passato. […] Abbiamo reintegrato con il regista Squarzina alcuni brani dell’originale che Pirandello scrisse per Angelo Musco in vernacolo in A birritta cu’i ciancianeddi e che poi lo stesso autore tolse durante le prove per la prima rappresentazione del 1916. Li abbiamo reinseriti  perché li abbiamo trovati di grande importanza sia per l’alta qualità dell’invenzione letteraria e scenica, sia per i significati che approfondiscono o addirittura introducono nell'opera". (21)

E’ interessante evidenziare che questo spettacolo non ha avuto, però, solo recensioni entusiastiche ed accentrate su Stoppa. Ugo Volli, per esempio, sottolinea che, pur prevedendo un grande successo per questa messa in scena di Squarzina, manca ad essa "quella tensione etica, filosofica, psichica, quel dolore, quella follia, che è il cuore vero della drammaturgia pirandelliana".  

Volli intravede il lavoro di regia e di concertazione tra gli attori, basato soprattutto sulla ricerca di stimoli comici, denunciando comunque  mancanza di volontà di scavo, di interpretazione demistificante. Di Stoppa tuttavia egli coglie positivamente la varietà di toni e di stati d’animo del suo Ciampa. (22)

Roberto De Monticelli, invece, coglie tutti i lati positivi di questo allestimento, a partire dal recupero filologico operato sul testo, fino a trovare nel "grottesco", la linea portante su cui Squarzina ha impostato la messa in scena: 

“…muovendo la commedia sull’onda alterna della comicità e dell’angoscia, senza indulgere al bozzettismo naturalistico, ma nello stesso tempo, in quella scena scura, opprimente, di Gianfranco Padovani  non staccandosi mai dalla concreta rappresentazione di una società. […] Di Paolo Stoppa e della sua segreta vocazione pirandelliana ho detto. Ma devo aggiungere che questo suo Ciampa appare studiato, anzi sofferto, in ogni mossa, in ogni parola per non dire in ogni sillaba; è una figura su cui batte fin dall’inizio il riverbero di una consapevole disperazione che non per questo si nega ai toni  agro-ilari dell’ironia”.  (23)

Di Paolo Stoppa interprete del Berretto a sonagli  non si può che sottolineare la grande maestria artistica, frutto di una carriera poliedrica e ricca di importanti contatti artistici come quelli con Gandusio, Ricci, Rina  Morelli, Visconti. 

Il suo Ciampa, tra il grottesco ed il tragico, ha contribuito ad approfondire e a restituire un Pirandello più moderno ed europeo.    


1 PAOLO STOPPA, Pirandello mio primo regista, in Riccardo Bonacina (a cura di), Pirandello in quattro atti, ne Il Sabato 7 giugno 1986, pp. 110-111.
2 cfr: intervista a Luigi Squarzina
3 La scuola di recitazione “Eleonora Duse”, annessa al Conservatorio di Santa Cecilia, in via dei Greci, venne fondata nel 1894. La direzione toccò per prima all’attrice Virginia Marini, alla quale succedette (dal 1920 al 1922) un altro attore, Cesare Dondini, seguito da Franco Liberati, che affidò la cattedra di storia del teatro a Silvio d’Amico. Questi prese parte alla compilazione del nuovo statuto della scuola, pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale”, 6 aprile 1926. La svolta definitiva avvenne nel 1934, quando D’Amico trasformò la vecchia scuola nella Regia Accademia di Recitazione  che oggi porta il suo nome.
4

Luigi Pirandello fondò e diresse nel 1925 una compagnia teatrale, denominata Teatro d’Arte o (Teatro dei XII), che ebbe in Marta Abba un’ideale primattrice. La Compagnia, che si proponeva come “stabile”, ebbe la sua sede in via SS. Apostoli, nel seicentesco palazzo Odescalchi , già sede del Teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca. Furono in realtà Stefano Pirandello, che si firmava Stefano Landi, ed Orio Vergani a progettare un teatro del tutto autonomo dal repertorio cosiddetto commerciale, come anche dal teatro d’avanguardia di quegli anni che si identificava con il Futurismo. Tra i collaboratori più importanti  che aderirono a questa iniziativa ricordiamo Corrado Alvaro, Massimo Bontempelli, Guido Salvini, Giuseppe Prezzolini, Alberto Savinio e Giorgio De Chirico, che tra l’altro disegnò la scenografia de Il Berretto a sonagli, allestito in questa occasione avendo come protagonista Camillo Pilotto. Con la Compagnia del Teatro d’Arte Pirandello mise in scena 17 recite del Berretto in tredici  città italiane e due sudamericane. La prima fu a Firenze il 24 settembre 1926. 

Cfr., A. D’AMICO-A.TINTERRI, Pirandello capocomico…cit.. Ricorda Paolo Stoppa che  destò molto stupore il fatto che Mussolini avesse concesso a Pirandello una sovvenzione in denaro, poco tempo dopo averla negata ad Eleonora Duse. Nessuno ebbe il coraggio di chiederne ragione al commediografo per non rammentargli forse l’unica pagina che si era pentito di avere scritto: la lettera di adesione al regime fascista, non più di un anno prima in piena crisi Matteotti. 

Cfr., PAOLO STOPPA, Quei giorni con Pirandello e una comparsa di nome Anna Magnani, in Corriere della Sera, ROMA, 7 luglio 1983.

 

5

  la prima volta nel febbraio del 1965 con la Compagnia Morelli-Stoppa Teatro Quirino-Roma regia di M. Ferrero e la seconda  il 17 marzo 1972 al Teatro Valle-Roma con la Compagnia Albani-De Lullo-Falk-Morelli-Stoppa-Valli, per la regia di G. De Lullo. 

6

La rappresentazione del Berretto a sonagli  avvenne il 15 febbraio 1984, al Teatro Bonci-Cesena, con M. Crotti, A.M. Bottini, A. Sorrentino, C. Calò, A. Fattorini, R. Livesi, F. Trentanove, per la regia di Luigi Squarzina.

Si intende con questo termine una formazione professionale (generalmente triennale) itinerante, diretta da un capocomico e da un amministratore impresario. Il repertorio da presentare nelle varie città, dove si sostava da un minimo di pochi giorni ad un massimo di due mesi, comprendeva circa quindici lavori. Le prove duravano qualche ora per i primi attori, e qualche giorno per gli attori nuovi. Lo spettacolo comprendeva generalmente un lavoro in più atti ed una farsa finale.

 

7

Cfr., SILVIO D’AMICO, Tramonto del grande attore, La Casa Usher, FIRENZE, 1979, p. 70.

8

Ibidem p. 70.

9

Con l’aggettivo “grottesco”si indica un teatro in cui i personaggi, in seguito ad una scomposizione quasi meccanica delle loro passioni,agiscono appunto come grottesche marionette in balia di un destino cieco e inconoscibile. Gli autori più importanti di questo tipo di teatro agli inizi di secolo furono   Luigi Chiarelli (La maschera e il volto) e Luigi Antonelli (La rosa dei venti, Il barone di Corbò) Rosso di san Secondo ( Marionette che passione!). 

10

Cfr., La maschera del “rustego” Stoppa, Mostra Documentaria curata da Renzo Tian , Teatro Eliseo 21 novembre 1988-22 gennaio 1989. 

11

Dall’ottobre del 1933 all’agosto del 1934 Paolo Stoppa lavorò con la Compagnia Spettacoli Gialli . Si ricordano : Dalle cinque alle sei di J. Bradley (14 ottobre 1933), Il trattato scomparso (30 ottobre 1933), Il terrore di Wallace (21 novembre 1933), L’ombra dietro la porta di A. De Stefani (27 novembre 1933), La spia di Wallace (novembre 1933), La tredicesima sedia di R. Browning (1934), Anonima fratelli Royott, di G. Giannini (25 gennaio 1934), Roxy-Bar di G. Donadio (agosto 1935). Cfr,. La maschera…, cit.

12

Tra le interpretazioni più importanti ricordiamo: Tempi difficili, di E. Bourdet (ottobre 1934), Pietre miliari, di Bennet e Knoblock (30 maggio 1935).

13

RENATO SIMONI, Tempi difficili in Corriere della Sera, MILANO, 4 novembre 1934.

14

La stessa abitazione di Stoppa non era lontana dal teatro. Infatti egli viveva in un attico  in via Della Consulta, sopra al teatro, al quale  l’appartamento era direttamente collegato da una scala interna. La testimonianza di Stoppa è contenuta in PATRIZIO GERIUS, Un teatro val bene una vita, in La Repubblica, ROMA, 18 settembre 1979. 

Cfr., anche MAURIZIO GIAMMUSSO, Eliseo: un teatro e i suoi protagonisti, ROMA, 1990, p. 75.

15

Cfr., LUCHINO VISCONTI, Il mio teatro, BOLOGNA, 1979, pp. 79ss; PAOLO STOPPA, Il primo a fischiarmi fu lo spettatore Luchino Visconti, in Corriere della Sera, 24 luglio 1983. La collaborazione tra Stoppa e Visconti interessò circa un quindicennio della vita dell’artista romano (1945-1961). Tra le opere più significative ricordiamo: Antigone di Jean Anouihl (18 0ttobre 1945), Delitto e castigo, di F. Dostojevskij (12 novembre 1946), Zoo di vetro, di T. Williams (12 dicembre 1946), Euridice di J. Anouihl (28 febbraio 1947), Rosalida, o come vi piace, di W. Shakespeare (26 novembre 1948), Troilo e Cressidra, di W. Shakespeare (21 giugno 1949), Morte di un commesso viaggiatore di A. Miller (10 febbraio 1951), La locandiera di C. Goldoni, (2 ottobre 1952), Le tre sorelle di A. Cechov (20 dicembre 1952), Zio Vania di A. Cechov (20 dicembre 1955), L’ impresario delle Smirne di C. Goldoni (1 agosto 1957), Uno sguardo dal ponte, di A. Miller (18 gennaio 1958), L’Arialda di G. Testori (22 dicembre 1960).

16

LUCHINO VISCONTI, Il mio …, cit. pp. 87 ss.

17

 ITALO MOSCATI, Il ruggito delle nove,  in L’Avvenire d’Italia, 20 aprile 1965.

18

 RENZO TIAN, Così è (se vi pare) di Pirandello con Rina Morelli e Paolo Stoppa, ne Il Messaggero, ROMA, 6 febbraio 1965.

19

MARIO GUIDOTTI, Verità da Pirandello, ne l’Avvenire, 18 marzo 1972.

20

 vedere il capitolo primo e l’intervista a Squarzina.

21

EMIDIO JATTARELLI, Paolo Stoppa: ecco il mio Ciampa, ne Il Tempo,4.11.84. 

22

UGO VOLLI, Pirandello “classico” ben si addice allo scrivano Stoppa, ne La Repubblica, 17 febbraio 1984. 

23

ROBERTO DE MONTICELLI, Stoppa tragico Ciampa, nIl Corriere della Sera, 15 marzo 1984.


Theorèin - Gennaio 2003