LINGUAGGI di Antonio
Zimarino
La stele di Rosetta è simbolo di molte
cose: della cultura del passato, dell'incrocio di linguaggi, o delle
culture … nella vastità di lettura che la metafora consente,
ciascuno può scegliere la versione che preferisce… io propendo per
quella che indica la necessità di comprendersi, ma anche per la
versione che mi ricorda il "monumento", il riferimento, la base
attraverso cui possiamo capirci e ricordarci della necessità del
riferimento, del "monolite" a cui rimandiamo la base di una nostra
conoscenza. Perché dunque scomodare simili valenze per il jazz ?
Marco Di Battista non ha mai cercato le vie semplici e ha sempre
mantenuto un approccio alla musica, (ma credo anche all'esistenza)
nel quale prima ancora del realizzare, si elabora una visione delle
cose, una scelta di campo, un progetto che cerchi di concatenare gli
elementi del proprio pensare e amare la cultura e il linguaggio del
Jazz. Già dalle prime note di queste composizioni, troviamo
innanzitutto una scelta chiarissima di linguaggio e di "campo
semantico": hard bop. Oh si, certo, per molti avanguardisti è età
della pietra, dopo tutti gli sperimentalismi intercorsi e possibili,
dopo i crossover, dopo le riletture, le contaminazioni, l'etnico, la
fusion ecc. ecc. Ma se fosse proprio questa la "Stele di Rosetta"
del jazzista ? Se fosse proprio questo il "monolite" che ha sancito
forse il perfetto equilibrio tra leggibilità e complessità, tra
coscienza, chiarezza del progetto armonico e la libertà del
musicista? Se fosse questo il punto in cui si cristallizza la
perfetta individualità solistica con la totalità e con la
composizione ? Storicamente la cosa è plausibile, e questo è un tema
che lascio discutere agli storici del jazz, ma quello che mi
interessa è capire perché ancora sia necessario ripartire da lì,
perché un musicista italiano, intriso di cultura mitteleuropea, vada
a confrontarsi, anzi, ad immergersi in questo linguaggio così poco
europeo, culturalmente così poco nostro. Lasciamo perdere
l'emulazione o la postmodernità: in questo cd non c'è "rilettura" di
un linguaggio e neanche stereotipo del classico (come pure avviene
in tante produzioni attuali) ma "il linguaggio" viene vissuto e
sentito come proprio, personale, essenziale al proprio universo.
Tutto è possibile in una età culturale dove il concetto tende sempre
più a nascere dalle esperienze, dove non ci sono codici e regole:
scegliere un codice come il proprio (o il possibile o il necessario)
significa darsi una identità; e darsi una identità vuol dire
orientarsi, scegliere e in fondo, spiegarsi e spiegare. Scegliere
oggi questo modo di suonare e comporre hard bop significa con ogni
probabilità riandare al cuore del jazz, nel punto d'equilibrio, con
una coscienza di dover partire o ripartire da lì. E che questa sia
la realtà di un progetto pensato e vissuto, lo possiamo affermare
proprio esaminando la discografia di Di Battista: questo lavoro è
stilisticamente più omogeneo, più "suonato" e meno "pensato" è
certamente un tappa di un percorso, di una evoluzione musicale e
culturale, che, rispetto alle produzioni del jazz italiano
contemporaneo è certamente in controtendenza perché, la
"controtendenza" oggi è scegliere il proprio percorso, definire un
linguaggio, scoprire una identità e da lì, cominciare magari ad
inseguire le possibilità. E il risultato ? Ho ascoltato i brani
tutti d'un fiato: mi hanno lasciato swing nei piedi e la
contemporanea sensazione di adrenalina e malinconia salvifica (la
song "Rosetta Stone" direi che è una autentica perla del jazz
italiano di questi ultimi anni), cioè neanche più le "parole" di
quel linguaggio, ma solo un piacere estetico, una verità emozionale,
da respirare. Del resto il disco è indubbiamente suonato da una
grande band, sulla quale è giusto spendere qualche impressione: Di
Battista appare sempre più concentrato sull'essenziale, la ritmica
di Esposito è precisa e al servizio della musica; il contrabbasso di
Pesaresi diviene a tratti energia ritmico armonica aggiuntiva; la
chitarra di Cordisco morbidissima ed intelligente aggiunge calore
alla musica; Coclite e Garofoli hanno lasciato tracce di sapienza
interpretativa mentre i duelli stratosferici e le poesie di
Scannapieco e Tamburini esplodono e si intrecciano nella musica e
per la musica … l'interplay (qualcuno ricorda ancora che significa
per il jazz?) è intenso, a tratti emozionante.. Alla fin fine mi
sembra che (grazie al cielo !) la Musica sia tornata ad essere
l'obiettivo del musicista, quasi che Di Battista intenda nuovamente
metterci di fronte al "Monolite", intorno al quale talvolta
celebriamo soltanto dei riti vuoti di parole e di note, per
celebrare noi stessi, più che le possibilità dell'espressione: ma è
su quella "stele" e attraverso di essa che si incontrano, per
comprendersi, i diversi linguaggi che parliamo, che udiamo e che
vorremmo parlare. E lì dovremmo forse ritornare a riflettere e ad
indirizzare il nostro animo.
Stele di Rosetta (Ciminiera/Di Battista)
Ho bisogno di una guida in questi tempi moderni
perchè non voglio sprecare la mia vita
Voglio realizzare i miei sogni, le mie speranze e i miei desideri
e scolpire in parole che diano risposte alla mia anima
(come la) Stele di Rosetta
in modo che possa leggere i miei pensieri
una Stele di Rosetta
per poter vivere appieno la mia vita
Ho bisogno di una guida in questi tempi moderni
il mio desiderio più grande è quello di avere una vita tranquilla
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