È un libro prezioso e raro, sui territori al limite, appunti di architetture, di Lúcio Rosato.
L’ho prima sfogliato, poi letto, sottolineato e poi ancora letto, sottolineato, sfogliato, al mare in una bella giornata d’agosto con l’azzurro intenso del mediterraneo negli occhi e il volo incerto di un piccolo gabbiano che volava seguendo la linea degli scogli che corre parallela alla spiaggia, a farmi compagnia.
“Qualunque sia la distanza dal mare, devo sempre guardare il mare” è scritto nel primo dei tre indici del libro, avvicinamenti, ma io non potevo saperlo, così come non potevo sapere che il mare è in questo libro e che questo libro è un mare. E così come il mare contiene e trasporta tante cose, architetture, progetti, installazioni, appunti di viaggio, idee e poi ancora disegni e segni, pensieri che rincorrono pensieri e cristalli e frammenti.
Il difficile equilibrio tra la poesia, una possibile verità che svela la realtà, e il mestiere, una interpretazione possibile della realtà, la continua sospensione tra mestiere e poesia e l’azzurro del mare che torna ad essere più grande dell’azzurro del cielo, è la condizione che ci accompagna per tutto il tempo della lettura.
Questo è evidente sin dalle brevi note dei risvolti di copertina che indicano da un lato l’essenza dell’uomo e dell’architetto, e sono perciò autobiografiche, dall’altro sono biografiche quando sembrano voler indicare a tutti gli uomini una strada da percorrere, o meglio una strada una strada possibile da percorrere.
“Navigo sulla carta geografica e segno col dito la traiettoria possibile alla mia vita. Mi piace ancora tirare fuori dallo scaffale l’Alante mentre guardo il mare. Sul grande tavolo potrei aprire altre carte, grandi mappe, ma per i miei progetti basta un quaderno; sono ancora appunti a darmi la forza, ricerco con essi le mie convinzioni, rimetto in discussione le mie certezze per consolidarle ancora: l’intuizione del mestiere e la ragione della poesia. Vivo in questo dualismo apparentemente contrastante la concezione delle mie cose, la costruzione della mia ipotesi di vita”
“Provo a camminare sui territori al limite dove è possibile muoversi solo grazie alla continua ricerca di un provvisorio equilibrio: per non essere da una parte o dall’altra ma sempre nel luogo del presente e del vero. (Penso ad Andree Gide che si ferma a guardare la luce del deserto, senza mai entrarvi). Le mie architetture sono solo appunti e non possono modificare il mondo, ma, nella presunzione che è in ogni uomo, spero possano contribuire a dirottare il pensiero degli uomini verso la riappropriazione dell’architettura e dell’arte, quindi dello spazio e del tempo”.
Ed è sempre la sospensione la condizione con la quale ci misuriamo quando Rosato affronta i temi relativi alla costruzione della città. In questi frangenti, la città, le architetture, gli spazi, sembrano essere spazi, architetture, città, di calviniana memoria.
“Questa piccola città sospesa, a volte trafitta e a volte aggrappata, trova nella selva strutturale di setti e pilotis il suo contatto con la terra e nelle «nelle giornate luminose» le lui e le ombre si stagliano sul verde della vegetazione a trovare nuovi ancoraggi al suolo rafforzando l’idea di sospensione”. E ancora “La casa guarda alla città vecchia e più lontano al mare, ridefinisce un muro costruendosi come sopra le mura per costruire ancora la città sulla città ponendola fuori dal lungo tempo della falsificazione: nel presente”.
Illusione e cristalli depositati in ogni dove.
Ma possono questi cristalli modificare il volto di una città, possono, in ultima analisi, cambiare il mondo?
Mi piace citare ancora una volta Lúcio Rosato che in un bel libro da lui pensato, realizzato e dedicato ad un architetto di Francavilla al mare, un grande architetto, scrive a proposito delle architetture di quest’ultimo: "...se il mondo si può cambiare anche con un semplice gesto, ancor di più con un piccolo segno è possibile trasformare la città o un territorio se questo segno è espressione della verità di un sogno, anche di un piccolo sogno".
Anche un piccolo sogno può quindi cambiare il mondo ed per questo che gli architetti continuano a sognare così come continuano a sognare i poeti.
Dimenticavo, Lúcio Rosato vive, prende appunti e lavora a Pescara e il grande architetto di Francavilla al mare è Ermano Flacco.
Oscar Buonamano