Recensioni

A cura di: Oscar Buonamano

Se vuoi comunicare con Oscar Buonamano: oscarbuonamano@webzone.it

Titolo: La solitudine dei numeri primi
Autore: Paolo Giordano
Editore: Mondadori 2008

“Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero. A lei non l’aveva mai detto”. Quando incontri questa frase nel romanzo d’esordio di Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, capisci molte cose di ciò che hai letto fino a quel momento. E quando poi arrivi alla fine del libro e fai depositare tutto ciò che hai appena letto nella tua testa e aspetti ancora un po’ per goderti fino in fondo il piacere della lettura appena terminata, ti ritornano in mente gli anni del liceo, Giustiniano e una delle sue massime: nomina sunt consequentia rerum. Giordano costruisce un piccolo capolavoro in cui si misura con la difficoltà del rapporto e le paure, spesso anche ingiustificate e ingigantite, che hanno i figli nei confronti degli adulti e dei genitori in particolare. Alice Della Rocca attribuisce a suo padre la responsabilità della sua malformazione dovuta ad una caduta dagli sci. E per rimediare ad un piccolo, e anche stupido, problema è capace di mettersi nei guai e pagarne poi il peso delle conseguenze. In questo senso si può definire L’angelo della neve, che apre il libro, una lavoro compiuto. Un libro nel libro. Un racconto che in poche, pochissime, pagine è capace di definire e descrivere i personaggi, di trovare una trama convincente, un espediente, per raccontare uno dei temi cruciali della nostra esistenza: il rapporto tra genitore e figlio. Sono pagine di vera letteratura. Scritte oggi ma che potevano essere state scritte ai tempi di Sigmund Freud o che, forse, saranno ancora scritte nel 2250 in un tempo in cui probabilmente l’aria sarà irrespirabile e gireremo tutti con la maschera antismog e l’acqua costerà come la benzina, ma gli adolescenti continueranno a non capire gli adulti e a far diventare un piccolo, e anche stupido, problema, un grande dramma. Una delle conseguenza, a volte, di questo difficile rapporto è la comparsa nella nostra vita di un sentimento nuovo, molto comune tra i più giovani: la cattiveria gratuita che può trasformarsi in odio. Quell’odio che prova Mattia Balossino nei confronti di Michela, sua sorella. Gemella. La non accettazione della diversità. La diversità che fa male e che ti porta a pensare che la normalità è l’ordinarietà, la standardizzazione, una sorta di neoglobalizzazione dei sentimenti. Un mondo in cui tutti devono essere uguali a tutti. Un mondo dove un papavero rosso in un campo di grano non rappresenta la decorazione ma un fiore da estirpare per non rovinare la monocromia, unico modello stilistico di riferimento accettato dalla comunità. Unico ordine ammesso dalla comunità. Mattia abbandonerà la sorella al suo destino in un parco. E in nome di quell’ordine Mattia si chiude in se stesso rifiutando il mondo esterno e rifiutando, per certi versi, se stesso. Ma si sa la vita scorre e ci attraversa e Mattia e Alice dovranno comunque cimentarsi con il mondo esterno, con gli altri. E saranno esperienze dure, in alcuni casi durissime, specialmente per Alice. Per superare la sua “diversità” Alice le prova tutte. Si farà persino tatuare un viola sulla pancia in onore della più bella della classe, la più spigliata, il modello a cui ispirarsi. Ma non servirà né il tatuaggio né l’illusione di essere ammessa al circolo ristretto di Viola Bai per sentirsi accettata. Il vuoto che ha dentro diventerà sempre più grande e l’anoressia sarà la sua unica, vera, compagnia di strada e di vita. Mattia è un piccolo genio che ha ferite profonde e difficili da rimarginare. Non riesce a togliersi dalla mente gli occhi di Michela abbandonata nel parco, e questa immagine lo porterà ad indossare per tutta la sua vita una sorta di cilicio la cui manifestazione più evidente è data dalle mani tagliuzzate e dalla ricerca ossessiva di dolore e di sangue da succhiare per assaporare ogni volta in modo nuovo il sapore metallico di quel liquido vitale contro i suoi denti. “Mattia guardava da sotto. Rideva pure lui e lasciava che le parole del papà gli filtrassero dentro per osmosi, senza capirle davvero. Lasciava che si depositassero sul fondo dello stomaco, a formare uno strato spesso e vischioso, come il precipitato dei vini invecchiati a lungo”. E se il raccontare è avvincente anche la scrittura ha degli aspetti che meritano di essere valutati con attenzione. Ad esempio vi è un ricorso sistematico alle similitudini, all’uso di figure retoriche che diventano lo spunto per poter approfondire e dilungarsi su un particolare per descriverlo meglio e qui avverti il piacere della lettura è intuisci che prima ancora c’è stato il piacere della scrittura. “Aprì il libro di storia a caso e iniziò a studiare a memoria la sequenza di tutte le date che trovò stampate da quella pagina in poi. Quell’elenco di cifre, messe in fila senza un senso logico, formò una striscia sempre più lunga nella sua testa. Seguendola, Mattia si allontanò lentamente dal pensiero di Dennis in piedi nella penombra e si dimenticò del vuoto che adesso stava seduto al suo posto”. Nel mondo di Mattia irrompe come un fulmine a ciel sereno l’amore che Dennis prova nei suoi confronti. L’omosessualità latente che è in ognuno di noi e che nell’adolescenza ci sfiora e ci tocca, si avvicina e si allontana, porta Dennis a cercare in Mattia le risposte alle sue domande. Risposte che Mattia non potrà e non vorrà dare. Per questo motivo l’iniziazione all’amore avverrà per entrambi più tardi e in situazioni completamente diverse e con l’odore del sesso arriverà anche una sorta di separazione consensuale tra loro. “Vivevano la lenta e invisibile compenetrazione dei loro universi, come due astri che gravitano intorno a un asse comune, in orbite sempre più strette, il cui destino chiaro è quello di coalescere in qualche punto dello spazio e del tempo”. Oltre che essere due primi gemelli vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero, Mattia e Alice gioiscono e soffrono, gravitano nell’attesa di un momento che, Mattia sa, potrebbe anche non arrivare mai. In questo senso l’attesa non è portatrice di salvezza e purificazione e infatti la loro vita scorre indipendentemente da ciò e non c’è perciò tensione e attenzione al momento del riscatto perché, come scrive Giordano, nella vita “Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante”. Forse ci sono troppe cose in questo romanzo. Troppi tormenti, troppe tensioni, troppe sfumature. Forse troppi temi. Ma mi chiedo: non è la vita stessa che ha dentro di se tutte queste cose? Il libro di Giordano è un libro che si legge in apnea e che in apnea ti lascia quando lo hai finito. Sarà anche questo un indicatore che ci dice che La solitudine dei numeri primi è un grande romanzo, destinato a restare?

Oscar Buonamano


Theorèin- Luglio 2008