L'ordine vive un momento decisivo, improntato sul rinnovamento del quale Bonaventura si fa portavoce per mezzo della stessa Legenda Maior (1). Il testo della Legenda fu letto al capitolo di Pisa del 1263 e fu riconosciuto come ufficiale dell'ordine. Nel successivo capitolo di Parigi nel 1266 si deliberò che tutte le biografie anteriori fossero distrutte, per fare spazio all'ultima redazione della vita di Francesco. La Legenda Maior fu anche detta Legenda Pacis poichè cercava di evitare tutti quei temi e quegli elementi che creavano scandalo ed acuivano le dispute all'interno dell'ordine. C'erano anche i problemi posti dalla ideologia gioachimita che aveva preso piede nell'ordine; si cercava dunque per mezzo della Legenda Maior di ridare a quest'ultimo l'unità necessaria per non sfaldarsi. Bonaventura nella sua biografia pone Francesco in una prospettiva teologica; la struttura di quest'opera è raffinatissima e la grande abilità letteraria consente all'autore di trattare le auctoritates bibliche con intelligenza per piegarle al suo progetto agiografico. La Bibbia e in particolare il prologo del Vangelo di Giovanni vengono utilizzati per offrire una immagine di Francesco inserita nel grande quadro teologico della storia dell'umanità. La complessa struttura è tutta costruita su citazioni bibliche, riadattandone le forme sintattiche per applicarle alla nuova epoca storica avviata da Francesco. L'avvio del Prologo della Legenda Maior utilizza una citazione dalla lettera di san Paolo a Tito, laddove annuncia il grande mistero di salvezza compiuto in Gesù. Queste parole collocano la vita e le opere di Francesco nella luce di Cristo. Il Prologo si apre con questa citazione tratta, appunto, dalla seconda lettera di S. Paolo a Tito (2 Tt.) [...] la grazia di Dio, nostro Salvatore in questi ultimi tempi è apparsa nel suo servo Francesco [...]. L'autore ci introduce così in quel clima di attesa quasi millenaristico, che condizionava la mentalità religiosa di quegli anni. Il riferimento agli ultimi tempi, si riallaccia così a tutta una tradizione medioevale che a diverse riprese aveva visto riacutizzarsi l'attesa escatologica. questo clima apocalittico crea uno stato di tensione verso la catastrofe (nel senso etimologico di fine-principio) imminente, attraverso la quale la mano provvidente di Dio guida l'uomo verso l'esito finale e verso il trionfo del bene sul male. Intorno ai decenni centrali del XIII sec. si ricrea un clima di attesa messianica che si manifesta anche nell'attenta rilettura delle opere di Gioacchino da Fiore. Basti pensare alla Cronica di Salimbene da Parma (2), nella quale si indica l'anno 1260 come anno dell'attesa. Gli stessi movimenti dei Flagellanti in questo periodo, turbando la quiete cittadina, riacutizzano con le loro manifestazioni questo senso di attesa. E proprio nel 1260 Bonaventura, scrivendo il
Prologo della Legenda Maior, si inserisce in questo contesto presentandoci Francesco come il più evidente dei segni della presenza divina nella storia.Il tema della
povertà, visto come abbandono dei desideri mondani per vivere in conformità con Cristo è un elemento portante del
Prologo; esso è rivolto omnibus vere humilibus et sanctae paupertatis
amicis, a coloro cioè che veramente umili e amici della santa povertà, guardano a Francesco come al faro della perfezione evangelica. La Bibbia ancora una volta è
l'auctoritas indiscussa che Bonaventura applica alla realtà del suo tempo per la presentazione del "personaggio Francesco". Il metodo di citazione è tipicamente medioevale, si bada più alla attualizzazione del testo biblico che ad una esagesi metodologicamente corretta. L'uomo medioevale cerca nella Bibbia insegnamenti di vita e riscopre le verità religiose attraverso una rilettura della realtà storica che sta vivendo. Bonaventura spazia ampliamente, nel
Prologo, su vari testi biblici significativi per il suo testo e per la interpretazione del ruolo storico di Francesco d'Assisi. Ricordiamo i riferimenti a Is, Gb, I Re, Gv, Ec, Gn, Lettera Rom, Il Re. Ad esempio da un passo del I Sam, Bonaventura ricava il simbolo della regalità in Davide, primo re di Israele, che viene fuori dal nulla; si legge infatti [...] lo sollevò, mendico dalla polvere
(3): il parallelo con Francesco è evidente, anch'egli si fa povero e diventa, come Davide, strumento, nelle mani di Dio, per dare una svolta alla storia dell'umanità.
Nella seconda parte del Prologo Bonaventura, come consuetudine, si dice indegno di narrare la vita del fondatore dell'ordine. segue il passo in cui l'autore parla della raccolta del materiale e dichiara di essersi recato nei luoghi dove era nato Francesco e di aver avuto contatti con i suoi compagni più intimi; evidenzia cos' l'attendibilità delle sue fonti e il rispetto della "verità storica". Non riferisce però la fonte a cui si è maggiormente ispirato: Tommaso da Celano. Confrontando il testo bonaventuriano con le biografie celaniane, può sembrare che la biografia di Bonaventura sia opera di un plagiario. Dobbiamo però tener presente che il biografo del rinnovamento dà valenze e significati nuovi ai vari episodi che ricava dal celanense: solo gli eventi come ad esempio i miracoli, che non hanno rilevanza per l'immagine che Bonaventura vuole dare di Francesco, vengono quasi pedissequamente riportati dalla Vita Secunda. Egli interviene invece sugli aspetti che sono significativi per offrire una tipologia di santità, che prende forma all'interno dell'opera, nella descrizione delle virtù del santo.
Leggendo il testo quindi bisogna ricavare l'itinerarium della vita spirituale a cui fa riferimento Bonaventura, che, ad una prima lettura, pare rifarsi allo schema mistico tripartito, tipicamente medioevale, ripreso dallo Pseudo Dionigi:
- la vita purgativa, consistente nella purificazione del mondano;
- la vita unitiva, che consente dopo il distacco dal mondo terreno l'unione con Dio;
- la vita illuminativa, cioè l'assorbimento dell'anima nella luce di Dio.
Tale schema sembra applicato nel Prologo a Francesco nel presentare le tappe della sua esperienze spirituale:
- Francesco è prevenuto dai doni della grazia celeste;
- viene ricolmato di spirito profetico;
- viene rapito in cielo da un carro di fuoco, come uomo gerarchico.
Questo schema tripartito viene ripreso, come abbiamo già detto, dallo Pseudo Dionigi, e spiegato dallo stesso Bonaventura nell'Itinerarium mentis in deum
(4). Il virhierarchicus ("l'uomo gerarchico") era nella teologia mistica dello Pseudo Dionigi emblema stesso dell'uomo che trasformato da un travaglio interiore, grazie all'aiuto divino, raggiunge gli alti gradi della perfezione, potendo così essere messo sullo stesso piano delle gerarchie angeliche. si parla dunque di un ideale itinerarium dello spirito ma più esattamente si può e si deve parlare di un'ideale immagine di perfezione. Continua poi la presentazione di Francesco, simboleggiato dal secondo angelo che sale dall'oriente, che compare portando il sigillo del Dio vivente; l'immagine è tratta dall'Apocalisse. Francesco è l'annunciatore della nuova età in Cristo, il nuovo Elia e non il profeta della fine dei tempi, così come sostenevano invece Gioacchino da Fiore ed i suoi interpreti, quale Gerardo di Borgo san Donnino.Bonaventura, utilizzando Gioacchino da Fiore nelle pagine del prologo, si riallaccia ai suoi commentatori, i quali sostenevano che attraverso Francesco si era dischiusa per l'umanità la sesta età, che avrebbe aperto un'epoca nuova in cui l'uomo avrebbe realizzato una società nuova alla luce del Vangelo. Non bisogna, comunque, fraintendere la visione bonaventuriana come completamente condizionata dalle suggestioni del suo tempo. Infatti, la sua solida formazione intellettuale riesce a riproporre il tema della biografia francescana su una linea di razionale equilibrio, senza cedere ad eccessive esasperazioni. Ma la lettura del testo bonaventuriano ha alimentato anche altre posizioni riguardo all'itinerario della santità di Francesco, basti pensare a quella difesa in uno studio di Luigi Pellegrini dove si dice che: più di un ideale itinerarium dello spirito si può e si deve parlare di un'ideale immagine di perfezione. Il tradizionale schema pseudoisidoriano dell'itinerario spirituale è infatti superato come di slancio da Francesco, quale ci è presentato da Bonaventura: egli non procede per stadi progressivi da una minore ad una maggiore perfezione ascetico-mistica; la sua conversio ad Deum è già perfecta prima ancora che il santo avvii quella serie di esperienze che culmineranno nella scelta definitiva e radicale per la vita evangelica. Nessuna di tali esperienze sembra determinare una svolta - e forse neppure un passo avanti - in un possibile cammino di perfezione, neanche il gesto forte e altamente significativo della rinuncia dei beni paterni davanti al vescovo: l'agiografo si affretta ad annotare che "si scoprì allora che sotto le vesti delicate l'uomo di Dio portava un cilicio". Topos agiografico certamente, ma proprio in quanto tale capace di evidenziare efficacemente l'alto livello ascetico ormai raggiunto da Francesco
(5).
(1) BONAVENTURA DA BAGNOREGIO, Legenda Maior sancti Francisci , in Analecta Franciscana , X, ad Claras Aquas, pp.557-652; FF, 833-1060. D'ora in poi la suddetta opera sarà siglata LM.
(2) SALIMBENE DE ADAM, Cronica. Nuova edizione critica a cura G. SCALIA, II, Bari 1966, pp.980-981, FF, pp.2095-2172
(3) LM, Prologo , 1-5, pp.557-559; FF. pp.833-838.
(4) BONAVENTURA DA BAGNOREGIO Itinerarium mentis in deum , in Id., Opera omnia, VIII, pp.295-313.
(5) Per una lettura più specifica e approfondita della LM vedi Luigi PELLEGRINI Introduzione, Opere di San Bonaventira. Opuscoli Francescani , I, Roma 1993, (Sancti Bonaventurae opera XIV/1).
Theorèin -
Novembre 2004