I Movimenti eterodossi
Nell'ambito della religiosità istituzionalizzata, abbiamo visto due esempi di rinnovamento: quello dei
Canonici regolari e quello dei Cistercensi. Ora ci spostiamo sul canale dei movimenti eterodossi sempre nati dalla stessa matrice, ma che hanno fatto o sono stati costretti a fare, una scelta diversa.
Ci occupiamo delle eresie del XI e XII secolo, inquadrandole storicamente e citando le anticipazioni del secolo XI per vedere se ci sono delle differenze.
Già nei primi decenni del XI secolo in tutta l'Europa, ed in particolare in Francia Germania e Italia, troviamo testimonianze di alcune eresie che le fonti definiscono manichee. Questo nome non è assunto dagli eretici, che sembrano non avere conoscenza dell'esistenza di
Mani, il fondatore di questa corrente religiosa nel III secolo (1)
; il nome viene dato agli eretici dai loro detrattori, dai loro confutatori ecclesiastici e dai cronisti che riportano la vicenda
dal punto di vista dell'ortodossia. Gli ecclesiastici che li confutano conoscono
sant'Agostino che è il padre del pensiero del Medioevo sempre presente e noto a tutti, primo confutatore del Manicheismo. Sembrerebbe quindi che gli ecclesiastici collochino sotto la stessa etichetta qualsiasi forma ereticale dei loro tempi, mentre il manicheismo è un eresia del III secolo.
I principi alla base del manicheismo ruotano attorno a bivalenze come: luce-tenebre, materia-spirito, ordine-disordine. Lo spirito non è separato dalla materia, ma ne è compenetrato e deve liberarsene: ne deriva una concezione estremamente pessimistica dell'esistenza. Solo grazie a pratiche ascetiche rigorosissime, il manicheo si sgancia dalla carnalità, (condanna del matrimonio) per renderlo eletto grazie anche alla ragione. Si tratta, per questo, di un'eresia intellettualistica perchè alla base c'è l'idea che la salvezza si ottiene con la conoscenza e il razionalismo della ragione. La conseguenza è il rifiuto della accettazione passiva dei dogmi dell'autorità della Bibbia e del Corano perchè tutto deve essere sottoposto al vaglio della ragione. Questa dottrina (più che eresia) manichea si diffuse in oriente e in occidente fino al VI secolo; poi rimase sopratutto in oriente dal VI secolo. Dagli originari manichei si hanno due propaggini che sono i Bogomìli e i Pailiciàni in Armenia e in Bulgaria, che secondo alcuni storici sarebbero il ponte che collega i manichei del III VI secolo ai presunti Manichei del XI secolo. Ma la domanda fondamentale è se effettivamente ci sono ancora manichei in occidente
nell'XI secolo. C'è in proposito una sterminata bibliografia. Per le fonti sì, ci sono i Manichei. Ma come prendere tali fonti?
-Tutto ciò che conosciamo degli eretici proviene da fonti esterne, cioè dalle testimonianze degli avversari: è evidente il rischio di un fraintendimento delle loro dottrine;
-E' noto il carattere totalmente dotto ed ecclesiastico della documentazione medievale;
-Ha potere chi detiene il monopolio della scrittura in una società quasi totalmente illetterata.
Molto ha detto in proposito Le Goff. Jean Claude Schmidt, allievo di Le Goff, in Religione folklore e società nell'occidente medievale dice:
«L'uso della scrittura è una potente forma di dominio su realtà diverse di cui i testi parlano solo nel momento in cui sono represse. Le eresie sono infatti realtà diverse rispetto all'ambito dotto ecclesiastico che le confuta o del cronista che segue questa azione ecclesiastica ed essi ci parlano di queste realtà solo quando le reprimono».
Il Miccoli dice che i ceti popolari sono l'elemento passivo delle fonti medievali sono per così dire "parlate". Anche il Duby sostiene che la situazione dei contadini è descritta dalle fonti in base all'occhio del padrone. Ora considerato che anche noi utilizziamo queste fonti, corriamo il rischio di vedere e giudicare i fatti con l'occhio dei dominatori o dei dominati.
Essendo le fonti quasi sempre di origine clericale e monastiche, esse ci consentono di valutare con difficoltà le azioni popolari. Le eresie sono dei fenomeni popolari? Certamente sì: la storiografia concorda che sono di diffusione popolare. Dove si originano? In ambito popolare o dotto? Qui le opinioni sono varie.
Il Miccoli sostiene che nell'alto medioevo, chi non appartiene ai ceti clericali e monastici, è assente, muto. Dal secolo XI in poi qualche traccia dei ceti popolari comincia ad esserci, sia perchè c'è una rinnovata spinta pastorale verso questi ceti, nell'ambito di questo rinnovamento, sia per la volontà di trovare nei ceti popolari e laici nuovi alleati per la lotta che, a partire dalla metà del secolo XI, divideva i ceti dirigenti laici dai ceti dirigenti ecclesiastici, cioè la lotta per le investiture. Per queste ragioni, gli ecclesiastici tentano di agganciarsi ai ceti popolari, che cominciano così a comparire nelle fonti (ecclesiastiche) perchè sperano di trovare in quest'ultimi degli alleati.
E' evidente che anche se nel secolo XI si manifesta questo nuovo interesse per il ceto popolare, questo è sempre un elemento passivo, perchè non parla in prima persona. Naturalmente con un buon metodo storico, si riesce a compensare questa unilateralità della documentazione scritta, opposta ai moti ereticali ideologicamente.
(1)
Il persiano Mani (216-277) unisce ad elementi della tradizione Zoroastrica importanti contributi Cristiani e Buddhisti. Morì decapitato su richiesta dei sacerdoti dello Zoroastrismo, impauriti dello sviluppo che il numero dei seguaci delle sue dottrine aveva assunto in poco tempo.
Theorèin - Luglio 2004