Il Violante, nell'opera già citata La società milanese nell'età
precomunale, studia i gruppi sociali nei quali si diffonde l'eresia. Egli
sostiene che l'eresia si origina dai ceti dotti ed ecclesiastici, dai coloni
(affittuari di terreni) che vogliono cambiare status mirando a diventare
proprietari liberi (allodieri), sganciandosi dal pagamento delle decime, dei
tributi fiscali, dovuti al proprietario ecclesiastico. A Milano sono ricordati
per la loro azione contro il vescovo Ariberto d'Intimiano, rappresentante dei
grandi feudatari, capitanei alleati con i feudatari minori, vassalli.
Il contesto secondo il Violante c'è, ma tali rivendicazioni sociali ed
economiche non sono la spinta che origina la contestazione religiosa, che rimane
un fenomeno essenzialmente religioso. L'origine è da ricercare in tutta la
società rinnovata, dalla mobilità sociale che porta a scambi di idee, incontri ,
ripensamenti, sia presso i laici che presso gli ecclesiastici, indipendentemente
dal ceto di provenienza. Non è solo la caratteristica del gruppo dei coloni
delle terre della chiesa che mescolano le esigenze di rivendicazioni di libertà
personale e di proprietà di terre con esigenze individuali. Si tratta di una
caratteristica comune, tipica di tutta la società rinnovata, determinata dal
maggiore scambio tra campagna e città.
Possiamo quindi affermare che le eresie non sono la trasposizione in termini
religiosi di esigenze di rivendicazione economica; l'importanza centrale è
costituita dal fattore religioso rispetto al fattore sociale; questa è a larghi
tratti la posizione preminente a cui aderisce la scuola di Morghen.
Per il
Manselli, il fattore economico sociale è stato un fattore concomitante
consolidante; l'idea chiave è la coerenza tra Vangelo e vita religiosa vissuta,
comune a movimenti ortodossi, eterodossi e a tutte le classi (monaci, canonici,
gerarchie ecclesiastiche e laici).
Per il Miccoli, nei secoli XI e XII il
livello religioso è l'unico in cui si possono esprimere i fermenti di protesta
dei ceti popolari a livello ideologico. Se c'è un malessere e se c'è una
rivolta, questo si traduce in sommossa religiosa, perchè la mentalità è tale per
cui solo questo è possibile. Le istanze di rinnovamento si traducono in
movimento di contestazione religiosa e in ricerca di una vita religiosa
alternativa. Non possiamo conoscere fino a che punto questi rivoltosi fossero coscienti
delle implicazioni, anche di tipo sociale, che potevano derivare dalla loro
contestazione, oppure se si limitassero ad una oscura protesta; allo stato della
documentazione non dobbiamo attribuire agli eretici le istanze di tipo sociale,
perchè rischieremmo di osservare i problemi del Medioevo con un ottica moderna.
Il Medioevo è un'epoca in cui non si possono introdurre le distinzioni moderne
tra le sfere sociali, religiose e politiche; c'è una societas cristiana che ingloba
tutti e tre gli aspetti; perciò non dobbiamo cadere nella trappola dell'anacronismo, in cui cadono coloro che interpretano l'eresia legata al
materialismo storico.
Secondo tali interpretazioni la vita è divisa in struttura
e sovrastruttura; la prima indica le cause profonde, reali e la seconda indica i
motivi superficiali, le cause apparenti, gli epifenomeni. Nel nostro caso la
religione sarebbe la sovrastruttura, mentre i motivi economico-sociali sono la
struttura. Di conseguenza gli eretici sono agitatori politici, non sono più
portatori di un malessere religioso, ma sono mossi da bisogni economici e
politici.
Questa idea ha una storia abbastanza lunga: dalla fine dell'Ottocento in
Italia si diffonde l'idea, ad opera del Labriola e di De Stefano, in Riformatori ed
eretici nel Medioevo (Palermo 1938), che mette in correlazione
precisa l'eresia religiosa con l'eresia politica. La prima è quella che ha
connotazioni strettamente religiose ma correlata a quella politica. Contro il
potere ecclesiastico, dunque c'è l'eresia; contro il potere laico c'è il Comune,
come elemento politico disgregatore dell'ordine che aveva dominato nell'alto
Medioevo.
Le eresie per il De Stefano sono una trasposizione dei problemi economici e
sociali; anzi sarebbe più facile contestare il carattere religioso dell'eresia
che quello sociale. Su questa linea, ma con sfumature e distanze, c'è il Volpe,
legato alla storiografia ispirata al marxismo. La sua chiave di lettura non è
unica. In Movimenti religiosi e sette ereticali del 1922, egli non
ideologizza le eresie, ma mette in relazione i movimenti religiosi e settori di
contestazione sociale, sostenendo che nel Medioevo le questioni politiche ed
economiche prendono coloritura religiosa, come avrebbe detto il Miccoli, ma
molto genericamente, individua i malcontenti in livelli di ogni tipo, e questo
gli è stato rimproverato.
Werner in Movimenti socio-religiosi nel Medioevo del 1956 sostiene che
gli altri studiosi sbagliano a non riconoscere la lotta di classe nei periodi
passati, non ponendosi quindi il problema dell'anacronismo. Dobbiamo ricollegare
i fatti economici a quelli religiosi e farli dipendere gli uni dagli altri.
L'osservazione è interessante che fa a proposito dei Cistercensi; per
comprendere la loro scelta di vita, cioè vivere nell'isolamento, dobbiamo
considerare il fatto che questa è una scelta comune a molti. Qual'è la causa? La
colonizzazione di terre nuove e lontane è determinata dal fatto che
effettivamente solo quei terreni sono rimasti a disposizione. Quelli più comodi
e vicini erano già stati occupati dai monasteri di vecchia fondazione di tipo
tradizionale (Cluniacensi e Benedettini), dai signori laici, non era quindi una
scelta di tipo religioso come ad esempio per gli asceti egiziani. Aggiunge
inoltre che è inevitabile che i fondatori dei movimenti di contestazione
religiosa vengano dalla classe dominante, che definisce di tipo
ierocratico-feudale (compenetrazione del ceto ecclesiastico, potente, cioè il
potente vescovo-feudatario e dei feudatari nobili laici). E' inevitabile, perchè
questo ceto ha il monopolio della cultura. Le "classi" inferiori sono emarginate
da ogni forma di cultura e di attività spirituali; era inevitabile che una
qualche contestazione venisse solo dalle classi colte.
Questa è una risposta agli storici che hanno sostenuto che le eresie non sono
popolari, però non dobbiamo escludere che esistano precise tendenze sociali, che
non si manifestano necessariamente con rivolte, con prese di potere, rivoluzioni, ma si manifestano con una sorta di resistenza passiva di cui nelle fonti no troviamo traccia, perchè anche le fonti sono attente solo ai fenomeni eclatanti. Inoltre la documentazione è frammentaria e ci arriva parzialmente.
Il Werner afferma, rispondendo implicitamente a quelli che dicono che le eresie hanno origine dal ceto nobile e alto-borghese: "negare la tendenza
sociale dei movimenti religiosi in quanto essi si innescano da promotori di basso livello (ceto popolare) equivarebbe a negare al marxismo la sua ideologia
proletaria, quindi Werner ridimensiona l'importanza delle origini del movimento sostenendo che non è importante se sono di origine nobiliare perchè poi diventano moti popolari, come il marxismo che, pur avendo avuto fondatori non proletari, diventò un movimento proletario. Mancano riferimento alle rivendicazioni economico-sociali, perchè le proteste si manifestano sotto pretesti religiosi necessariamente. Come aveva sostenuto il Volpe, che nel Medioevo tutto acquista coloritura religiosa. I "pretesti religiosi" del Werner nascondono cause sociali vere e profonde. L'eresia sarebbe un grido di libertà prima che la terribile società ierocratica-feudale non le abbia stroncato l'esistenza. Infatti il Werner afferma che nel Medioevo c'erano due classi: feudali, che si afferma soprattutto in campagna, e popolare che si afferma in città, a partire dal XI secolo e riesce in parte ad affrancarsi dalla prepotenza del potere. Invece nella maggior parte degli storici, nel Medioevo non esiste nessuna lotta di classe, non esiste alcuna coscienza di classe e neppure, dice il Capitani, una classe, almeno come la intendiamo oggi. Nel Medioevo si può parlare di ceto e non di classe, che ha una connotazione prettamente marxista.
In conclusione, tutta la storiografia, tranne quella marxista, ritiene che manchino rivendicazioni sociali e ciò dimostra che le eresie non sono una ideologia di massa o di classe. I fermenti e le rivendicazioni non sono la causa determinante per la nascita di questi movimenti di contestazione, sia ortodossi che eterodossi, in questa ansia di vita nuova, rinnovata di vita più simile all'esempio del vangelo che era la spinta ideale del movimento.
Theorèin - Giugno 2005
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