IL SISTEMA MONDIALE DEL'ECONOMIA MODERNA
SECONDO IMMANUEL WALLERSTEIN
A cura di: Mario Della Penna
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Capitolo 03

I presupposti medievali

Il capitalismo è fondato sul costante assorbimento delle perdite economiche da parte degli organismi politici, mentre il guadagno economico è distribuito in mani private. Normalmente gli stati economicamente più forti sono liberisti mentre gli stati più deboli sono mercantilisti o protezionisti. L'Olanda del Seicento propugna il liberismo perchè è la più potente forza d'Europa. Il primo capitolo del testo di Wallerstein è intitolato: I presupposti medievali. Si parla anzitutto del che cosa ha spinto l'Europa a cambiare politica economica e iniziare a costituirsi come sistema-mondo agli inizi del Cinquecento. Le economie-mondo precedenti quelle d'Europa del Cinquecento secondo Wallerstein sono tendenzialmente instabili e tendono o a frammentarsi, oppure a trasformarsi in imperi-mondo. L'impero-mondo sovrapponendo il politico all'economico, ed essendo centralizzato, tende a soffocare la capacità di svilupparsi delle forze economiche e quindi rende il sistema meno flessibile e meno concorrenziale. L'Europa grosso modo dal 1100 al 1300 è economicamente un sistema feudale nel quale prevale un commercio a corto raggio, perchè essenzialmente legato ad un modello sociale, politico ed economico del tempo. Questo modello prevede una appropriazione del surplus direttamente da parte del feudatario e la sua capacità di consumo è il limite del suo sistema. In Europa non abbiamo, tranne che alcune eccezioni, un mercato ad ampio raggio soprattutto di beni essenziali. Questo sistema comincia ad entrare in crisi alla fine del Duecento e precede la grande crisi del Trecento legata alla peste nera. E' una crisi che vede l'abbandono delle campagne, l'abbassamento della rendita feudale. Questa crisi è stata interpretata in vario modo dagli autori. Wallerstein cita in particolare due ipotesi: quella avanzata da Edouard Perroy e quella di R.H. Hilton. Secondo Perroy si tratta essenzialmente di quella che si definisce una crisi maltusiana (dal nome dell'economista Malton che tra 1700-1800 si occupò del rapporto tra popolazione e risorse). Se una popolazione aumenta più delle capacità produttive, arrivato al colmo, comincia a diminuire perchè le risorse non sono più sufficienti per nutrire la popolazione che aumenta. La popolazione comincia a diminuire fino al punto in cui le risorse sono producibili e sufficienti. La storia d'Europa, e non solo, può anche essere descritta come un alternarsi di crisi maltusiana. Man mano che vengono dissodate le terre, ci si scontra con terreni non fertili o che richiedono una grande manodopera per essere dissodati, quindi si ha una caduta tendenziale del profitto, per cui non è sufficiente stendere la superficie coltivata per avere un proporzionale aumento dei beni di consumo disponibili. Se non si riesce a rompere il limite fisico della produzione agricola avremo sempre delle crisi maltusiane. Questa è l'interpretazione strutturale che Perroy dà alla crisi del sistema feudale. Hilton mette in luce accanto a questa motivazione di tipo economico-strutturale anche delle motivazioni di carattere politico-sociale. L'Europa a partire dagli inizi del Trecento è attraversata da una serie di rivolte contadine. Queste rivolte tradiscono un malessere sociale e di natura politica. Il volto politico dell'Europa dopo il Duecento comincia a cambiare. Cominciano a formarsi quelli che saranno poi i grandi stati moderni, e si formano sotto la spinta di guerre che costano moltissimo. Un sovrano che conduce una guerra, ha bisogno di estrarre risorse sempre maggiori dai suoi sottoposti. I feudatari a loro volta si devono rifare sui contadini i quali reagiscono con una serie di rivolte. Il vecchio sistema feudale, che è funzionale economicamente nella misura in cui era legato essenzialmente ai bisogni del feudatario e ad uno stato estremamente leggero, non funziona più, nella misura in cui i sovrani, in un processo che dura secoli, (processo molto evidente in Francia, Inghilterra, Spagna e Portogallo) cominciano a cercare di diventare sempre più forti, diminuendo il potere dei feudatari, creando attorno a se una struttura burocratico militare che li renda più forti. Un apparato così concepito diventa molto costoso. La crisi del sistema di produzione feudale è strettamente legata al sorgere del processo di formazione dello stato moderno. Questa formazione significa un cambiamento del sistema economico, che ha sempre più bisogno di monete e di mercati a vasto raggio. In questo processo un ruolo determinante lo svolge anche la burocrazia. Tornando a Hilton, la crisi del sistema feudale non è soltanto una crisi maltusiana, ma è anche una crisi di tipo politico-sociale. Scrive Wallerstein citando un testo di Chaunu, L'expansione europèenne:

"La regressione demografica nei secoli XIV e XV aggravò e non risolse, la carenza di spazio. Dunque non diminuì la pressione che si era avuta nel XIII secolo. Può anzi averla aumentata, per la caduta della rendita, la diminuzione del profitto e l'aggravarsi degli oneri signorili".

Un'altra crisi congiunturale che alcuni autori e in particolare Gustaf Utterstrom, citano, è la teoria climatica. La crisi della metà del Trecento è essenzialmente dovuta all'abbassamento, per ragioni astronomiche, della temperatura in Europa. Possiamo ricostruire tre periodi climatici in Europa: un periodo freddo che va dalla fine del '300 fino ai primi decenni del '400; poi un periodo che va dal 1460 alla metà del '500 con un clima più favorevole all'agricoltura; e poi con culmine verso la metà del '700 un periodo freddo. Il boom della produzione agricola che si verifica in Europa nel '700 è un periodo di clima mite. Wallerstein conclude dicendo: la crisi del sistema Europa comincia prima di questa crisi climatica. L'elemento determinate è questa profonda trasformazione di tipo politico-sociale combinata con una crisi maltusiana che non sarà possibile risolvere fino al Settecento, e su queste crisi strutturali, piombano due crisi congiunturali come la grande peste e una crisi climatica. Scrive ancora Wallerstein per spiegare una congiuntura storica così importante nella successiva storia del mondo:

"In Europa nel basso Medio Evo esisteva una "civiltà" cristiana, ma non un impero-mondo, né un'economia-mondo. Gran parte dell'Europa era feudale, cioè consisteva di zone relativamente piccole ad economia relativamente autosufficiente, zone basate su una forma di sfruttamento che comportava l'appropriazione relativamente diretta da parte di una piccola classe di nobili dell'esiguo surplus agricolo prodotto in un'economia feudale. All'interno dell'Europa c'erano almeno due economie mondiali più piccole, una di media grandezza basata sulle città-Stato dell'Italia del nord ed un'altra più limitata basata sulle città-Stato delle Fiandre e della Germania settentrionale. La maggior parte dell'Europa non era direttamente coinvolta in queste strutture".

Scrive ancora Wallerstein citando uno dei massimi storici dell'agricoltura europea Slicher van Bath intorno ad una questione che ritroveremo spesso nel Seicento, ossia quella del rapporto fra epidemia e carestia:

"La popolazione delle coste olandesi, che viveva in gran parte di allevamento e di pesca e di conseguenza mangiava più prodotti animali e grassi dei popoli che vivevano di prodotti arativi, forse per tale motivo non soccombette alle epidemie del quattordicesimo secolo nelle stesse proporzioni degli altri europei".

Un altro brano significativo è il seguente:

"Il sistema feudale era infatti giunto al massimo della sua espansione oltre il quale non poteva più andare date le condizioni tecnologiche. Nasce così una nuova economia basata non sull'appropriazione diretta del surplus agricolo sia sotto forma di tributo sia sotto forma di rendita feudale. Ciò che si va creando è l'appropriazione di un surplus che si basa su una produttività maggiore e più estesa (prima nell'agricoltura e poi nell'industria) attraverso un meccanismo di mercato mondiale, con l'aiuto "artificiale" (cioè non di mercato) di organizzazioni statali, nessuna delle quali controllava però interamente il mercato mondiale".

Alla colonizzazione interna si oppongono questioni tecnologiche e soprattutto questioni politiche, perchè il sistema feudale non è pronto vista la struttura originaria, a trasformarsi in modo da entrare in un agricoltura capitalista, in un agricoltura a vasto raggio. Questo freno interno porta ad un'esigenza di espansione all'esterno. C'è uno stato che non può fare nessuna di queste cose: si tratta del Portogallo. Il Portogallo a metà Trecento si è costituito come Stato forte, ha conquistato l'indipendenza rispetto alla vicina Spagna, ha già un forte accentramento statale e quindi è in grado di sostenere un tipo di imprenditoria che non sia feudale. Inoltre il Portogallo ha il vantaggio di trovarsi in una posizione geograficamente favorevole all'espansione sull'oceano e quindi una buona esperienza di navigazione, e può contare su Genova, la quale sconfitta da Venezia nel controllo del Mediterraneo, cerca di rifarsi aggirando così il controllo delle rotte da parte dei veneziani. Quindi il Portogallo diventa il primo protagonista di questa espansione europea. L'espansione portoghese ha un personaggio centrale: l'infante Enrico il Navigatore quinto figlio di Giovanni di Portogallo, maestro di un ordine di Cristo, fece costruire in un posto strategico dal punto di vista geografico, ossia a Sagres vicino a Cabo sao Vicente, un castello, dove chiamò cartografi, ingegneri navali, astronomi da tutt'Europa, e cominciò a progettare l'espansione oltremare. Iniziò a cercare la fonte dell'oro che arrivava in Europa essenzialmente attraverso il Sahara, dalla fascia sub-sahariana, ma non si limitarono a questo. I Portoghesi vanno cercare terre da coltivare in quanto il proprio territorio era insufficiente al suo sostentamento alimentare. Importa per lungo tempo grano dal Marocco. Le isole Azzorre le Canarie vengono conquistate e destinate alla coltivazione del grano e alla canna da zucchero che comincia ad avere grande mercato in Europa, e indaco. Nel modello di Wallerstein non sono tanto i beni di lusso quelli che modificano la struttura di un modello economico quanto i beni di largo consumo. Nonostante questa dinamicità portoghese, Lisbona non diventa il centro dell'economia-mondo, ma lo diventa Anversa una città essenzialmente dedita allo scambio dei prodotti e non alla produzione. Nel Trecento e Quattrocento abbiamo due economie-mondo: una del nord Italia e l'altra le città Anseatiche. Anversa è vicina a queste ultime e a tutti i mercati del nord Europa, quindi è ovvio che Lisbona in rivalità con Venezia stabilisce la sua base di penetrazione in Europa lì dove ci sono già tutte le linee di comunicazione, ovvero nel nord e quindi ad Anversa.


Theorèin - Aprile 2007