“Resta con me in Vaticano !” – disse Pio XII
all’adolescente che era andato a visitare.
Lo abbracciò.
Da adulto, egli si consacrò allo studio del Papato
(Enrico Pausania).
IL PAPA E LA BESTIA
Parlare oggi di papa Pio XII è obiettivamente difficile. Sembrava, alla fine degli anni Ottanta del XX sec., che la discussione sul suo Pontificato, che poi verte quasi sempre sul suo atteggiamento nei confronti del Nazismo e, allora meno di oggi, su quello verso il Comunismo, si fosse placata, assumendo toni più obiettivi. Ma il crollo del Muro e la crisi delle ideologie hanno acuito, e non attutito, la crisi d’identità dell’Occidente, e il rimorso che la coscienza collettiva prova per gli orrori commessi proprio dalle ideologie ha portato ad accrescere in modo parossistico e nevrotico il rancore verso se stessa, giudicata insufficiente nei suoi valori di riferimento e nella sua funzione di richiamarli all’attenzione dei soggetti agenti. Colpisce che nel cuore dell’Europa civile, nel Paese di Leibniz, dell’Aufklarung, di Kant, di Hegel, ma anche di Einstein, Husserl, Planck, Mann, Brecht, una visione perversa dell’esistenza, basata su un miscuglio di credenze esoteriche, neopagane, anticristiane, irrazionali, abbia potuto traviare l’anima della civiltà e progettare un genocidio, quello ebraico, che era il rinnegamento dei valori stessi su cui l’Occidente aveva edificato se stesso. Cercando un colpevole in vigilando, l’Uomo di oggi crede di averlo individuato nel suo quid spirituale di ieri, il Cristianesimo, in particolare nella sua forma più capillare e organizzata, quella Cattolica, e quindi nel suo capo, il Papa di allora, appunto Eugenio Pacelli, Pio XII. Il vilipendio della sua memoria, la mistificazione dei fatti, il rancore inesauribile, l’ostinazione accusatoria, il pregiudizio negativo non sono solo il frutto della vendetta storiografica dei marxisti – la cui sconfitta storica era stata perseguita tenacemente dal Papa Pacelli – né della propaganda radical-chic – artefice e propugnatrice di una secolarizzazione di massa che passi anche attraverso la demolizione delle figure simbolo della religiosità contemporanea, e i Papi sono tra queste – e nemmeno della strumentalizzazione fattane da certi ambienti ebraici – in cui l’ostilità tradizionale alla Chiesa Cattolica e al Cristianesimo in genere si è sommata alla volontà di esercitare pressioni sul Papato perché riconosca l’annessione di Gerusalemme allo Stato d’Israele e quindi la sua sovranità sui Luoghi Santi del Nuovo Testamento – ma soprattutto la manifestazione di un disagio psicologico collettivo che non riesce ad elaborare il lutto dell’Olocausto, ad accettare di averlo compiuto.
Questo approccio ci fa intendere che il rapporto tra Pio XII e l’antisemitismo nazista non sarà chiarito nelle coscienze se non quando esse non avranno chiarito il rapporto col loro passato, il che obiettivamente potrebbe non avvenire mai. Ma i dati oggi disponibili sono tutt’altro che insufficienti per dare un giudizio esauriente, che è poi una vera assoluzione di colpa, dinanzi al tribunale perpetuamente istituito per giudicare il Papa, e che potrebbe chiudere la sua seduta se fosse interessato ai fatti, e non alla loro manipolazione, più o meno consapevole. Una buona mano a questa depurazione della memoria collettiva potrebbe venire dalla beatificazione e canonizzazione di Pacelli, attualmente venerabile per le sue eroiche virtù – il decreto fu di Giovanni Paolo II – se si mettesse da parte la prudenza diplomatica e si agisse in modo risoluto. Pio XII, che distribuiva personalmente aiuti ai poveri anche da Nunzio Apostolico, che pregava, digiunava e vegliava, sottoponendosi a dure penitenze anche durante il conflitto mondiale, che indossava solo abiti rammendati nel suo quotidiano, che accolse nelle mura del Vaticano migliaia di sfollati, perseguitati, ricercati, ebrei e non ebrei, durante l’occupazione nazista di Roma, che non lasciò mai la capitale dal 1943 al 1945 , nonostante i bombardamenti, la fame e la minaccia – concretizzatasi in più piani operativi – di deportazione o di omicidio da parte di Hitler , che era capace di inginocchiarsi per chiedere scusa, merita la canonizzazione molto di più di tanti altri Santi già saliti all’onore dell’altare. Le traversie della sua vita e del suo Papato, martirizzati da Mussolini, Hitler, Stalin e Mao, lo rendono degno della qualifica di Confessore, e la vastità della sua dottrina - che attraverso encicliche e discorsi hanno fatto compiere al magistero ecclesiastico un poderoso balzo in avanti, illuminando tematiche nuove su cui mai niente era stato detto in campo morale, attraverso un personale sforzo di acquisizione intellettuale che gli faceva trascorrere ore ad ascoltare i ragguagli sul progresso di tutte le scienze, teologiche, umanistiche e naturali – gli meriterebbero il titolo di Dottore. Ma non sappiamo come si muoverà papa Benedetto XVI, che pur di recente ha espresso il suo auspicio – decriptando: ha dato il suo ordine – perché la causa sia esaminata con la dovuta attenzione – ossia non sia insabbiata per compiacere la Destra ebraica e il composito fronte antipacelliano, dentro e fuori la Chiesa.
Un altro elemento decisivo sarebbe, per la rimozione dalla memoria dal tabù del Papa di Hitler – da notare che lo stesso Cornwell, autore del libro che porta questo sensazionale e criminale titolo, ha ammesso di essere giunto a posizioni nuove che non lo rendono più accettabile – sarebbe il conferimento a Pio XII del titolo di Giusto di Israele, riconosciutogli di fatto per tutta la sua vita dai maggiori esponenti dello Stato d’Israele, nonché della cultura e della religione ebraiche mondiali, e poi inspiegabilmente – da un punto di vista razionale – toltogli in un crescendo di accuse, fino alla targa attualmente esposta a Gerusalemme nel Museo dell’Olocausto, che costituisce, obiettivamente, una grave mistificazione, che può essere compresa solo alla luce della disinformazione vigente sul Pontefice e sull’impatto mediatico che essa ha sulle coscienze dei discendenti delle vittime della persecuzione nazista. Ma la nomenklatura universitaria, ebraica o non ebraica, ha, a Gerusalemme come a Roma o New York, a Londra come a Parigi o Berlino o Mosca, i dati per suffragare la rimozione di quella targa e di ciò che essa simboleggia nella coscienza universale.
Pacelli è stato, sin da Nunzio in Germania , poi da Cardinale Segretario di Stato di Pio XI , e infine da Papa, l’unico, vero oppositore del Nazismo in Europa e nel Mondo. Lo ha fatto certo con lo stile felpato e adombrato della diplomazia vaticana, ma non per questo in modo meno incisivo. I progetti di Hitler e Goebbels, di distruzione completa della Chiesa Cattolica alla fine della guerra e di impiccagione del Pontefice, documentati negli archivi del Reich, ne sono certo la prova maggiore. In principio, quando bisognava porre le basi della lotta morale e politica al Nazismo, non fu Churchill o De Gaulle – ancora assenti dal proscenio della Storia - né Roosevelt o tantomeno Stalin – alleato di Hitler fino a quando la Germania attaccò l’URSS – non fu nessuno di costoro, ma fu Pacelli. Fu il Nunzio a Berlino l’unico diplomatico a leggersi il Mein Kampf, e a capire che l’antisemitismo hitleriano non era solo un odio razziale, ma una sorta di manicheismo risalito dalle fogne della Storia, che ipostatizzava il Bene nella razza ariana, fautrice della disuguaglianza tra gli uomini, e il Male in quella giudaica, diffonditrice dell’idea fasulla della loro comune discendenza, da progenitori identici, fatti ad immagine di un Dio creatore. Fu l’unico a capire che in quel programma il profeta dell’Anticristo – per usare immagini nietszchiane care a Hitler, ma da lui deformate – preconizzava una lotta reale, concreta, contro tutto ciò che potesse essere, caoticamente, ricondotto alla matrice giudaica: Cristianesimo e Liberalismo, Massoneria e Comunismo, Capitalismo e Psicanalisi, per cui il Nazismo voleva essere una distruzione totale della civiltà così come essa era concepita fino a quel momento. Fu l’unico a sapere che l’NSDAP voleva il Pangermanesimo e la Guerra, la sconfitta della Francia e l’asservimento degli Slavi. Fu l’unico a comprendere che, ben oltre la concezione hegeliana dello Stato come fonte del diritto, e ben oltre l’idea fascista dello Stato come soggetto non vincolato dalle sue stesse leggi, il Nazismo era una dottrina della razza, che teorizzava il trionfo dei Tedeschi su tutti i popoli, ai quali spesso negava persino la qualifica di umani . In una parola il Nunzio Pacelli fu il primo e il solo, tra i politici europei, che compresero fino in fondo il carattere anticristiano, immorale, irrazionale e disumano del Nazismo, e la perversione spirituale dei suoi capi. Non a caso, da Papa, Pio XII fece più volte esorcismi a distanza su Hitler, convinto com’era che il suo insegnamento avesse una valenza esoterica nel senso più esiziale, perché satanista nella sua essenza più intima . La vera tragedia per la Germania e per le strutture del Cattolicesimo tedesco, iperorganizzato nel sociale, nella cultura, nella politica con quel Zentrum Partei, che era il modello per tutti i Partiti cristiano-democratici del mondo e che aveva contribuito non poco alla rinascita della Germania dopo la I Guerra Mondiale, fu proprio che Pacelli lasciasse la Nunziatura a Berlino, per assumere in Vaticano la Segreteria di Stato (1930). Fosse rimasto, avrebbe impedito che il Zentrum venisse irretito nella politica dei Governi di Coalizione che Hindenburg e Hitler, ciascuno per suo calcolo, seguirono subito dopo la vittoria nazista alle elezioni . Forte di quest’esperienza, ossia di un partito totalitario che prima siede come commensale al tavolo del potere, e poi divora gli altri invitati – cosa accaduta anche in Italia con Mussolini – Pio XII si oppose risolutamente alla permanenza del PCI nel Governo italiano, volendo evitare che la neonata democrazia venisse assassinata precocemente, come stava accadendo nell’Est europeo. Digressione a parte, Pacelli da Segretario di Stato fu protagonista della sottoscrizione del Concordato con il Reich, che non volle essere un’apertura di credito al Nazismo, ma un mezzo per tutelare le strutture del Cattolicesimo tedesco dagli arbitri del nuovo regime (1933). Nonostante l’apparenza, che per qualche tempo Hitler sfruttò a fini propagandistici – millantando in privato di aver ingannato il Vaticano – e nonostante che Pio XI avesse deciso il Concordato scavalcando la Conferenza Episcopale Tedesca, che aveva dichiarato incompatibile il battesimo con la tessera dell’NSDAP – cosa anch’essa molto importante, anzi unica nel panorama religioso e politico tedesco – questo accordo servì a mantenere una sia pur gracile indipendenza morale e spirituale della Chiesa Cattolica in Germania dal Governo, in attesa degli eventi. E servì, una volta che gli equivoci si furono chiariti agli occhi del mondo e di quei cattolici tedeschi che avevano creduto di poter convivere e dialogare col Nazismo , a rintuzzare, sulla base del diritto, tutte le violazioni sistematiche dei diritti dei cristiani e della Chiesa stessa . Fu la cosiddetta Guerra delle Note, che ebbe in Pacelli il suo guerriero, redattore di tutte le proteste per i soprusi nazisti, censurati per principio due volte: per le violazioni concordatarie e per la negazione del diritto naturale . Tali proteste, dal 1933 al 1938 , erano ben note alle Cancellerie europee, e sebbene inani, erano pur sempre le uniche voci antinaziste in un continente dominato da fascisti, comunisti e da democratici anestetizzati dallo spirito di Locarno, poi reincarnatosi di volta in volta nelle Conferenze di Stresa e Monaco, e che fecero digerire al mondo intero la Notte dei Cristalli , quella dei Lunghi Coltelli, la rimilitarizzazione della Renania, l’Asse, il Patto Anticomintern, il Patto d’Acciaio, l’Anschluss , l’annessione dei Sudeti, di Memel e della Boemia Moravia : tutte cose avvenute senza alcuna approvazione della Santa Sede. Il punto di rottura si ebbe nel 1937, quando Pio XI pubblicò la Mit Brennender Sorge, un’enciclica scritta in tedesco, anche da Pacelli e dal suo entourage, composto da molti tedeschi esuli dalla Germania nazista, in cui la dottrina di Hitler era riprovata senza mezzi termini, anche se con scarsi risultati . Questi fatti non autorizzano a giudicare come filonazista Eugenio Pacelli, segretario di Stato e camerlengo di Pio XI. Ma segnarono la comprensione dei limiti della politica papale, che Pacelli ebbe ben chiara.
Divenuto Papa il 2 marzo 1939 in un Conclave senza storia , salutato dalla stampa tedesca come un temibile avversario – Hitler non mandò nessuna delegazione alla sua incoronazione - invocato dalle nazioni democratiche come mediatore di pace in quanto fine conoscitore del mondo germanico, valutato positivamente persino dai Comunisti e dagli Ebrei, Eugenio Pacelli , ormai Pio XII, potè fare poco per scongiurare la guerra – il più grande dei crimini di Hitler, lo strumento eletto della sua politica – ma non si esentò dal farlo. Propose accordi pacifici per la soluzione della questione di Danzica , inseguendo il sogno - che era stato di Benedetto XV durante la I Guerra Mondiale, e di cui lui stesso, in quanto Nunzio in Baviera, era stato strumento eletto, formulando Sette punti per la pace - di fare della Santa Sede la mediatrice tra le parti in guerra; s’impegnò spasmodicamente per impedire l’ingresso dell’Italia nel conflitto , premendo sul Duce e sul Re, e condannò lo spirito guerrafondaio e razzista del Nazismo dalla sua prima enciclica, la Summi Pontificatus, promulgata quando la guerra era già iniziata (il 20 ottobre 1939) e contenente cinque punti per una proposta di conciliazione universale. Il suo famoso appello radiofonico: “Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”, del 24 agosto 1939, cadde ovviamente nel vuoto, ma fu prova del tenace attaccamento della coscienza cristiana ai valori della pace . Erroneamente convinto che la Germania non avrebbe resistito più di un anno in guerra, Pio XII cercò un accomodamento tra Londra e Berlino, temendo che la Battaglia d’Inghilterra si risolvesse con la vittoria nazista; appoggiò tutti i piani di cui venne a conoscenza – da quello Von Brauchtisch a quello Canaris – per rovesciare Hitler ; perseguì una rigorosa imparzialità per svolgere ovunque una missione umanitaria e morale , nonché per mantenere i contatti con la Chiesa in tutto il continente. Consapevole delle persecuzioni feroci alla Cristianità polacca, dovette mitigare le sue condanne perché consapevole del fatto che avrebbero suscitato altre aspre reazioni tedesche, ossia che il suo profetismo sarebbe costato la pelle a degli altri innocenti . Non volle mai prestarsi alla propaganda nazista, e se ordinò all’Osservatore Romano di smettere di attaccare la Germania sin dalla sua elezione, per non pregiudicarsi la possibilità di agire come mediatore, Pio XII non riconobbe nessuna annessione tedesca, nessun governo fantoccio insediato dall’Asse nei territori occupati , né volle considerare una crociata cristiana l’invasione dell’URSS fatta dall’Asse, e per bocca del suo segretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari Domenico Tardini dichiarò che il Nazismo e lo Stalinismo erano equivalenti per la Chiesa, perché entrambi persecutori e materialisti . Non lesinò gli sforzi per sostenere la Gran Bretagna – nonostante alcuni dissapori per le conseguenze sulla popolazione civile della condotta bellica inglese, specie per i blocchi navali – e i suoi contatti con gli USA furono serrati . Non condivise la lentezza delle operazioni alleate in Occidente e nel Mediterraneo, mentre la Germania ancora combatteva in Russia, perché capì che era un errore lasciare all’Armata Rossa la possibilità di invadere l’Europa centrale. Come molti diplomatici, auspicò che le sorti della guerra si decidessero in Oriente, sperando che Nazismo e Comunismo si distruggessero a vicenda, e mostrando scetticismo – e lungimiranza – sulla possibilità di convivere pacificamente con Stalin. In questo collimò con Churchill, ma non con Roosevelt. Quando l’Italia fu invasa dai Tedeschi e visse il dramma della RSI e della Resistenza, congiunto all’invasione alleata, Pio XII fece tutto quanto era in suo potere per alleviare le sofferenze di Roma e della popolazione in genere ; sin dall’inizio del conflitto il suo Servizio informazioni smistava notizie per tenere in contatto i soldati e i prigionieri con le rispettive famiglie . L’esempio simbolo di questa attività, che ricordava quella dei Papi nell’Alto Medioevo, nell’Italia saccheggiata dai Longobardi e abbandonata a se stessa dai Bizantini, fu la discesa a San Lorenzo Fuori le Mura dopo il bombardamento alleato , nonostante Pio XII avesse chiesto che la capitale fosse dichiarata città aperta. Ma i soprusi maggiori furono ovviamente quelli tedeschi, che delimitarono materialmente i confini tra Città del Vaticano e Italia, piantonando la linea disegnata in terra con i loro soldati. Spesso la Werhmacht e la Gestapo violarono l’extraterritorialità dei palazzi pontifici sparsi in Roma, per catturare importanti detenuti politici, che a migliaia si affollavano in essi sotto mentite spoglie. Ma il Papa trovò, tra questi tedeschi ormai prossimi al tramonto, anche interlocutori intelligenti e moderati, scettici sul futuro della loro causa, come l’alto ufficiale delle SS Karl Wolff o l’ambasciatore presso la RSI Rudolph Rahn, o addirittura da sempre intimamente antinazisti, come l’ambasciatore in Vaticano Von Weiszacker.
Nel cuore della tragedia bellica si colloca certo l’atrocità dell’Olocausto. Per la legislazione razziale, ovunque in Europa, preesistente al conflitto in Germania e Italia, e poi drammaticamente esportata, valeva già la riprovazione della Mit Brennender Sorge e delle proteste di Pio XI contro la legislazione mussoliniana. Ma gli interventi fattivi per fermare o tamponare lo sterminio degli Ebrei, ma anche degli Slavi, degli Zingari, dei disabili e degli oppositori politici, religiosi e culturali, ci furono. Il 25 dicembre 1942 – nell’Europa dominata solo dai Nazisti, la cui vittoria ai più appariva del tutto scontata – attraverso il mezzo di comunicazione più efficace dell’epoca, la radio, Pio XII condannava lo sterminio per ragioni razziali e ideologiche. Il 2 giugno 1943, in condizioni immutate politicamente e militarmente, ribadì con coraggio la condanna . Non nominava mai né i nazisti né gli Ebrei, conformemente alla tradizione teologica e pastorale della Curia, ormai plurisecolare, ma non vi erano altri destinatari al mondo di quella rampogna, né altre vittime, al di fuori di quelle dei lager, ebrei e non ebrei, a cui poter esprimere quella dolente, impotente solidarietà. Queste condanne furono a maggior diffusione di quelle di Pio XI sul Comunismo (con la Divini Redemptoris) o sulla persecuzione della Chiesa in Messico; furono anche di maggior impatto di qualsiasi condanna fulminata dai suoi Successori sui cristiani perseguitati – fino a tutt’oggi in Cina, India, Corea del Nord, Arabia Saudita – o su altri genocidi – specie in Africa, ma non dimentichiamo quello tibetano – avvenuta fino ad ora. Eppure nessuno ha mai pensato di accusare Paolo VI o Giovanni Paolo II o Pio XI d’intelligenza col nemico di turno dell’umanità. A conti fatti, il diplomatico Pacelli, sicuramente filogermanico da un punto di vista culturale, corse più rischi di tutti i Papi del XX sec. messi insieme, condannando il cuore della politica razziale di un regime demoniaco, proprio nel momento in cui esso lo perseguiva con maggior ferocia e in una situazione di dominio pieno e incontrollato sul Vecchio Continente. Pio XII, che trattò il Nazismo sempre e innanzitutto come un fenomeno politico, piantato nel cuore dell’Europa e al vertice di un popolo di sessanta milioni di uomini, e solo in secondo luogo lo considerò come una mitologia manichea , in questo frangente antepose questa considerazione ad ogni valutazione politica, e nonostante il rischio che correvano i cattolici europei, ostaggi delle rappresaglie tedesche, volle esprimere la sua doverosa riprovazione per la raccapricciante persecuzione antisemita e i suoi barbari mezzi e fini. Più volte fu sul punto di pronunciare condanne ancora più esplicite, ma l’esperienza e i consigli ricevuti lo dissuasero. Per esempio ricordava bene come, in seguito all’invasione dei Paesi Bassi, le SS avessero cominciato a deportare gli Ebrei locali, suscitando la reazione indignata della Conferenza Episcopale Olandese e della Chiesa Calvinista. Ad esse le autorità tedesche avevano fatto sapere che una ulteriore protesta pubblica avrebbe inasprito le rappresaglie. Furono proprio i vescovi cattolici che non si lasciarono intimidire. E fu in risposta alla loro condanna che i Nazisti completarono la loro deportazione infernale dei malcapitati Ebrei olandesi. Pio XII ricordava anche come l’arcivescovo di Cracovia, Adam Stephan Sapieha, aveva bruciato il testo di un messaggio pontificio dinanzi ai suoi stessi latori, perché troppo brutale contro i Tedeschi, temendo ulteriori rappresaglie naziste contro il popolo polacco e la sua Chiesa. Il Pontefice in persona, conscio della presenza in Vaticano di agenti nazisti, dovette a volte bruciare documenti compromettenti. Il timore di compromettere la sorte dei perseguitati o di ampliarne il numero non lo abbandonò mai, la moderata sfiducia negli uomini – che caratterizza i veri conservatori – lo persuase che in Europa non sarebbe mai avvenuta una rivolta antinazista in chiave morale e religiosa – diagnosi senz’altro esatta – la consapevolezza del ferreo, draconiano controllo nazista sul continente contribuirono a far sì che Pio XII non volle mai fulminare una condanna ancora più esplicita del genocidio, del quale tuttavia era abbastanza ben informato. Il Papa tuttavia non trascurò alcuna occasione per esprimere il suo disgusto per la barbarie nazista, anche dinanzi a testimoni autorevoli – come l’ambasciatore italiano Alfieri– né omise alcuna iniziativa per favorire la sopravvivenza, la fuga e la salvezza degli Ebrei, fin nel cuore stesso della Germania, con la Lega San Raffaele, sciolta d’autorità dal Governo nazista nel 1941. Nella martoriata Polonia operò come meglio potè, sapendo che lì, nel Governatorato Generale di Hans Frank, in predicato di sterminio non erano solo i Giudei, ma tutto il popolo slavo. Nella Francia di Vichy, nell’Ungheria di Horty, nell’Italia di Mussolini – fino a che il Paese non fu invaso dai tedeschi – nella Romania di Antonescu, nella Slovacchia di Tuka e nella Croazia di Pavelic – contando sull’aiuto dell’ingiustamente calunniato primate, il beato cardinale Stepinac- Pio XII si adoperò con successo per mitigare l’applicazione delle scellerate leggi razziali, per impedire la deportazione degli Ebrei in Germania, per favorirne la sopravvivenza. I suoi Nunzi cercarono di far passare quanti più esuli possibile dai confini di molti Stati – Reich compreso – per convogliarli in mete lontane e sicure, compresa la Palestina. Così per esempio si comportò mons. Roncalli a Istanbul. L’organizzazione umanitaria che gestiva queste delicatissime transazioni, senza poter contare su una briciola di collaborazione, neanche a livello informativo, né da parte di Hitler né da parte di Stalin, era diretta dall’uomo di fiducia di Pio XII, il suo discepolo prediletto: Giovanni Battista Montini, poi Paolo VI. Le iniziative patrocinate dal Papato e dalla Chiesa Cattolica salvarono, durante il momento più oscuro della storia dell’Europa, un numero di Ebrei compreso tra le seicentomila e il milione di unità. Trattandosi di un’azione svolta da un’organizzazione non governativa, peraltro senza un piano organico e in un ambiente indifferente, terrorizzato o ostile, fu di sicuro un successo notevole. La cifra più alta di salvati, superiore a quella di qualsiasi Chiesa o associazione umanitaria. A questa opposizione fattiva al Nazismo la Chiesa Cattolica –è giusto ricordarlo – pagò, come tutti coloro che la condivisero con lei, il suo tributo di sangue: religiosi, chierici e laici furono uccisi, torturati e deportati. Il martirologio cristiano si arricchì di nomi gloriosi, tragicamente scomparsi nei lager, come quello della beata Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, ebrea battezzata, discepola di Husserl, filosofa fenomenologa e teologa, o di san Massimiliano Maria Kolbe, cappuccino, apostolo per una vita intera della devozione mariana, morto ad Auschwitz, finito da un iniezione di acido fenico, dopo essersi offerto di andare nel bunker della fame per salvare un padre di famiglia. Vanno anche ricordati gli studenti, cattolici ed evangelici, del movimento di resistenza della Rosa Bianca. Al loro martirio, senza timore di retorica, si può dire che l’introverso, timido, ipersensibile Pacelli aggiunse il proprio, nascosto sotto le plurimillenarie, solenni forme del potere spirituale dei Papi, impotente a ricacciare nell’abisso la legione di demoniache locuste risalite, come nella visione dell’Apocalisse, a devastare la terra.
IL PAPA E IL DRAGONE
L’altro punto controverso della politica di Pacelli fu, nel II Dopoguerra, il rapporto con il Comunismo. Si è rinfacciato a Pio XII che sia stato più energico con questo regime di quanto non lo sia stato con il Nazismo, e che abbia sanzionato la scomunica, il 1 luglio 1949 e il 28 luglio 1950, ai marxisti . In realtà, Pio XII non agì in modo diverso da come aveva fatto con il Nazismo. Era la situazione ad essersi evoluta in modo differente. Negli anni della Nunziatura a Berlino aveva preso segreti contatti con l’URSS per un concordato con Stalin, che però rifiutò persino di concedere la libertà di insegnamento religioso nelle sacrestie, oltre che l’esercizio fattivo del culto e del governo ecclesiastico, pretendendo concessioni previe di principio . Durante la guerra, Pio XII non condannò nessuna azione russa, né mai deprecò la persecuzione religiosa staliniana. Fu alla fine del conflitto, memore del ruolo passivo svolto dal Papato nella formazione delle dittature nel I Dopoguerra e nell’espansione delle Sinistre in Spagna e Messico, che Pio XII decise di giocare di sorpresa, vietando esplicitamente la militanza marxista per evitare un’ulteriore espansione rossa. Sapendo che la situazione dei cattolici nei Paesi bolscevichi era irrimediabilmente compromessa, essendo terminata la guerra, uscì dal suo riserbo, e – senza ripromulgare nessuna delle condanne anticomuniste dei predecessori – fulminò l’anatema, più che comprensibile data la dottrina e la prassi marxista. Il materialismo dialettico, la lotta di classe, la religione come oppio del popolo, il rifiuto della morale oggettiva, l’ateismo di Stato, il terrore persecutorio erano motivi filosofici e politici sufficienti per la scomunica, sebbene il Papa abbia esplicitamente escluso dall’anatema coloro che aderivano ai PPCC senza cognizione della dottrina del dia.mat. Questa scomunica – va detto oggi che gli ex-comunisti fanno di tutto per nascondere le loro radici, e in Italia addirittura hanno abiurato persino il socialismo riformista, approdando al laburismo anglosassone – salvò la democrazia in molti Paesi occidentali, a cominciare dall’Italia. Il Papa sostenne poi con tutti i mezzi le Chiese di Oltrecortina, dotandole dei mezzi di autogoverno a causa dell’isolamento , ed elevando alla porpora i loro combattivi primati, Wyszynsky in Polonia, Myndszenty in Ungheria, Stepinac in Jugoslavia, Beran in Cecoslovacchia, senza però poterli salvare dalle carceri, e senza poter impedire che le Chiese greche unite a Roma, in Romania, Bulgaria e Ucraina, fossero incorporate ai Patriarcati autocefali ortodossi locali, non senza un compiacimento servile di quelle gerarchie scismatiche. Era iniziata una nuova era dei martiri: cattolici e cristiani polacchi, cechi, slovacchi, tedeschi, magiari, rumeni, croati, sloveni, bosniaci, serbi, albanesi, bulgari, russi, ucraini, lettoni, estoni, lituani, bielorussi, armeni, georgiani, nordvietnamiti, nordcoreani e, dal 1949, anche cinesi, presero la via delle catacombe, se non del martirio, anonimo, crudele, disumano. Distruzione e profanazione di chiese, cappelle, conventi, monasteri, seminari, altari, tombe, reliquie, icone, oggetti sacri, e persino del Sacramento. Uccisioni, torture fisiche e psichiche, deportazioni, detenzioni, lavori forzati, ergastoli per chierici, religiosi, laici. Soppressioni degli Ordini e degli Istituti religiosi, delle Associazioni laicali, degli enti ecclesiastici, degli istituti di studi, delle opere socio-caritative, culturali e religiose e persino delle circoscrizioni amministrative fondamentali come diocesi e parrocchie. Interferenze nelle nomine ecclesiastiche, interdizione dell’accoglienza di novizi religiosi e aspiranti al sacerdozio. Confisca dei beni. Censure sull’insegnamento religioso nelle chiese, divieti totali o parziali all’esercizio del culto pubblico e privato, della stampa dei libri sacri, della professione della propria fede. Questo e tanto altro, di vergognoso e meschino, ma anche di foscamente grandioso nella dismisura della crudeltà e dell’odio ideologico, fu il quotidiano per i battezzati cattolici sotto la tirannia comunista, di sicuro sotto Stalin e Mao, e – meno intensamente – sotto i loro successori. E fu il quotidiano anche per gli altri cristiani, per i musulmani, gli ebrei, i buddisti, i confuciani, i taoisti e chiunque non credesse che il mondo fosse fatto solo di materia. O, credendovi, che esso non avesse la struttura che gli avevano attribuito Marx, Engels e Lenin. Per loro, il Papa non tacque. Ma anche questo parlare, come quello della II Guerra Mondiale, fu inutile. Fino a che Stalin fu vivo (1953), nessuno spiraglio si aprì. Ai suoi occhi, il dittatore georgiano era una sorta di Anticristo, in cui si verificava ciò che San Paolo aveva profetizzato nella II Lettera ai Tessalonicesi, in merito al “predestinato alla dannazione”, che, non riconoscendo alcun Dio, avrebbe messo se stesso nel tempio, facendo di sé un dio. Per molti il “grande drago rosso” dell’Apocalisse, che si trascinava un terzo delle stelle del cielo dietro con la coda, era il Bolscevismo, che dominava quasi un terzo dell’umanità. Tra essi di certo c’era Eugenio Pacelli, che lo aveva visto arrivare e “fermarsi sulla riva del mare” biblico, ossia il Mediterraneo, con la nascita dei regimi di Tito e Hoxha in Iugoslavia e Albania. Il Papa, come molti attenti alla lettura apocalittica della storia, potè contare “dieci corna” sulla testa del drago, ossia dieci centri di potere nell’Europa cristiana: Russia, Polonia, Cecoslovacchia, Germania Est, Ungheria, Romania, Bulgaria, Iugoslavia, Albania, più l’Italia, con il suo fortissimo PCI stalinista. Potè meditare sulla portata escatologica del messaggio di Fatima, della cui importanza mariologica egli fu il primo vero estimatore. Pio XII era intimamente persuaso che il Comunismo fosse un flagello di Dio, un fatto metafisico, come lo era stato il Nazismo, un sistema il cui principale artefice era non l’uomo, ma il diavolo in persona. Egli stesso ne aveva sperimentato la violenza, quando, durante i tumulti della Lega di Spartaco nel 1919, i comunisti entrarono a pistole spiegate nella Nunziatura di Monaco, minacciandolo di morte. E in vecchiaia, a chi gli parlava della possibilità che il Comunismo si evolvesse in forma democratica, egli sempre ribadì il suo assoluto scetticismo in merito.
Ciò però non impedì al Papa di tenere un contegno di equidistanza persino durante la Guerra di Corea (1950-1952), quando marcò la differenza con Truman, evitando qualsiasi cedimento alla propaganda bellicista, e ricavando in cambio l’ostilità del Presidente USA, il quale, in una famigerata lettera, gli si rivolse apostrofandolo “stimato signor Pacelli”, disconoscendogli il titolo protocollare di Sua Santità, in quanto cristiano metodista, ed evidentemente immemore della proposta fattagli, qualche anno prima, di riconoscerlo quale “massima autorità morale”, in cambio dell’ingresso della Santa Sede nella NATO. Ma Pio XII continuò a seguire la sua linea solitaria di fedeltà al Vangelo, e quando Kruscev sondò il Vaticano per eventuali contatti, il Papa si tenne in uno stretto riserbo, rotto tuttavia per condannare l’invasione dell’Ungheria nel 1956. In quegli anni e subito dopo, si credette che Pio fosse stato l’esponente di una mentalità attardata, incapace di accettare le trasformazioni della storia – si pensi al suo rifiuto di riconoscere i confini tedesco-polacchi sull’Oder-Neisse, o quelli polacco-russi, o le annessioni all’URSS dei Paesi Baltici- e di comprendere l’ineluttabilità della marcia dell’umanità verso il Socialismo, se non almeno la sua superiorità scientifica e la sua validità come sistema filosofico-politico, e quella delle sue istanze. Lo si relegò nello scantinato dei reazionari, lui che invece fu sempre un genuino conservatore, e quasi ci si vergognò del fatto che aveva difeso i fedeli perseguitati e lavorato per circoscrivere l’espansione sovietica. Ora che il Comunismo sovietico è caduto, che i suoi popoli l’hanno rinnegato e che il ruolo di un altro Papa, Giovanni Paolo II, è stato esaltato nel far cadere il Muro di Berlino, bisogna onestamente riconoscere che Pio XII vide più lontano di tutti, anche dei suoi successori Roncalli e Montini, capì fino in fondo dove sarebbe andata la storia – con cinquant’anni di anticipo – e cosa si dovesse fare per indirizzarla in tal senso. La sua figura, lungi dall’essere quella di un De Maistre riveduto e corretto, fu quella di un Pontefice che, distanziandosi sia dal collettivismo bolscevico che dal capitalismo liberista, propose quella che Giuseppe Saragat considerò la conciliazione tra Cristianesimo e Socialismo Democratico. E pochi sanno che il suo anticomunismo fu un’alternativa al Comunismo stesso, nel modo in cui seppe elaborare soluzioni etiche per i più svariati problemi di economia politica, giurisprudenza, gestione dello Stato e sociologia che fino a quel momento nessuno aveva mai affrontato. Nazareno Padellaro, uno dei primi biografi di Pio XII, rilevò il fatto che fu uno dei maggiori studiosi di queste problematiche ai suoi tempi, e il primo in moltissimi casi. Giuseppe Siri rilevò che, nei venti volumi di discorsi di Pacelli, tutti i problemi pratici del mondo moderno erano stati affrontati, così che la coscienza cristiana potesse trarne lume in ogni circostanza.
In tale ottica rientra anche il rapporto tra Pio XII e la politica italiana. Che egli si sia adoperato sempre per la sconfitta politica del Socialcomunismo, è cosa arcinota. Che sia stato uno degli artefici principali della vittoria della DC alle elezioni del 1948 e della conservazione dell’Italia nel campo occidentale, è un dato acquisito. Perché non gli sia riconosciuto come titolo di merito, non si capisce, se non si considera che la generazione che oggi lo ha riconosciuto, è quella che, almeno a partire dagli Anni Sessanta, lo aveva deprecato. Ossia non ha la struttura psicologica per ammettere con se stessa che il successo del Papa è stato anche il bene di coloro che lo avevano osteggiato, persino da morto. Ma l’apporto della Chiesa alla DC non fu un apporto da Terzo Mondo, e la Chiesa stessa non si appiattì sulle posizioni del Partito . Pacelli non amò mai la DC fino in fondo, e non credette mai veramente nell’Unità Politica dei Cattolici, come invece fece Paolo VI, che credeva potessero convivere in un solo partito gente come Andreotti, Moro e Fanfani. Pio XII credette nel’unità della politica cattolica, sulla scia della Dottrina Sociale. Ebbe fiducia dell’Azione Cattolica e, dopo averla tenuta al caldo durante il Fascismo, scomponendola in associazioni diocesane sotto il controllo dei vescovi, la ricompattò, come l’aveva concepita Pio XI, e la riaffidò al laicato, incaricandola di formare i fedeli all’impegno temporale, e quindi anche politico. Ebbe rispetto della laicità del laicato, quando il laicato seppe essere cattolico, e fu tramite uomini come Luigi Gedda –oggi dimenticati e sviliti – che animò la partecipazione popolare al dibattito politico, oltre i confini della DC, favorendo una vittoria consapevole del fronte centrista, riformista ma non rivoluzionario . Questo avvenne coi Comitati Civici, costituiti indipendenti dall’AC per non violare il Concordato, e che in alcuni momenti Gedda fu tentato di far succedere alla DC, considerata troppo tiepida nella lotta al PCI e nella cristianizzazione della società. A De Gasperi, di cui non si fidò mai completamente – purtroppo, data la levatura del personaggio – Pio XII rimproverava di non aver messo il PCI fuori legge, come in Germania Ovest. Non lo disse mai, ma si capiva . Era certo un progetto difficile da attuare, forse impossibile, ma non sbagliato, nel quadro di una democrazia condivisa, che invece si trovava a dipendere anche da un partito che ne disconosceva i fondamenti. Pacelli credeva che tutte le forze non di sinistra dovessero coalizzarsi contro quelle di matrice opposta. In questo fu innovatore. Ma non capì fino a che punto l’antifascismo avesse realmente segnato la nascita della Repubblica, accorgendosi però, da fine diplomatico, di quanto di insincero ci fosse nella retorica resistenziale, che bollava come antidemocratico ogni apparente residuo del passato, non vedendo quanto di totalitario ci fosse nel presente di Gramsci e Togliatti. In questo contesto intellettuale e politico maturò la sua “Operazione Sturzo”, per il cartello elettorale dalla DC all’MSI in vista della conquista del Campidoglio, in opposizione al trust elettorale di F.N.Nitti, giungente fino al PCI. Le pressioni sul recalcitrante De Gasperi furono molte, certo troppe, ma lo statista ebbe la soddisfazione di vedere che il suo progetto centrista era sufficiente per vincere, e il Papa dovette arrendersi all’evidenza dell’innaturalità del connubio tra DC e Destra postfascista. Del resto, la cosiddetta legge truffa mostra che De Gasperi aveva una chiara consapevolezza della necessità di puntellare la democrazia parlamentare, secondo una prospettiva che Pio XII di certo condivideva. Inoltre sia lo statista trentino che il Papa romano erano convinti dell’importanza dell’Unità europea in chiave anticomunista e per marcare l’autonomia dagli USA, e furono accomunati sia dall’impegno per l’integrazione che dal dolore del fallimento della CED . La bestia nera di Pacelli, che mai trionfò finchè fu vivo, fu sempre la deriva del Cattolicesimo sociale verso il Socialismo. Le fortune del Centrosinistra, e del Compromesso Storico, potevano venire solo alla morte di Pio XII . Con quale vantaggio per l’Italia, giudichi ognuno. Ma si veda bene che quest’esperienza, che per alcuni era l’approdo definitivo della politica cristiana e democratica, è oggi terminata.
PIO XII PASTOR ANGELICUS
Messe da parte le accuse classiche a Pio XII, come non mettere in luce le caratteristiche positive del suo Papato? Si può dimenticare per esempio il suo magistero, che fece progredire la dottrina della Chiesa in moltissimi campi?
Pio XII è senz’altro un dottore della Chiesa, come ho detto. Le sue encicliche hanno fatto la storia, più di quelle di ogni altro Papa, seconde forse solo a quelle di Leone XIII. Alla Beata Vergine dedicò la Deiparae Virginis, la Ad Coeli Reginam, la Fulgens Corona, in cui espose rispettivamente la genuina dottrina della Chiesa sull’Assunzione, sulla Regalità della Madre di Dio e sul senso dell’Anno Mariano da lui indetto nel 1950, il primo della storia della Chiesa (il secondo fu bandito da Papa Wojtyła nel 1987).
Il vertice del suo insegnamento in materia fu la Munificentissimus Deus, la bolla in cui Pio dichiarò, proclamò e definì che l’Assunzione della Vergine è un dogma rivelato da Dio . Questo dogma, definito nel corso dell’Anno Mariano, alla presenza di centinaia di vescovi, nel corso di una solenne cerimonia, col consenso dell’Episcopato mondiale, fu sicuramente l’atto religioso più importante del papato di Pio, e tra i più importanti del secolo XX, accanto alla convocazione del Concilio Vaticano II fatto da Giovanni XXIII. Il dogma – il secondo definito da un Papa da solo, dopo quello dell’Immacolata Concezione di Pio IX- segnò l’apogeo del movimento mariano moderno, e rappresenta una tipica manifestazione della concezione contemporanea del ruolo del magistero straordinario ecclesiastico. Mentre per secoli esso si era pronunziato – di solito attraverso i Concili Ecumenici – per risolvere delle controversie, con un modus operandi ricalcato anche dal magistero supremo ordinario – generalmente dei Romani Pontefici – con Pio IX e Pio XII esso suggella in modo autorevole il risultato ormai certo di una riflessione teologica consolidata. Il Papa preannunziò la definibilità del dogma sin dalla sua enciclica programmatica, la Summi Pontificatus, in cui, conformemente al suo spirito pragmatico, Pio indicò tre punti su cui avrebbe incentrato il suo governo, ossia, oltre a questo, la ripresa dello scavo sulla tomba di San Pietro e la riforma di alcuni aspetti della liturgia. A molti contemporanei l’eccezionalità dell’evento della definizione dogmatica fece considerare il Papa come una personalità marmorea, proiettata già nei cieli, la cui forza erano le sentenze inappellabili di verità e condanna emesse dalla sua bocca. Il profilo assiro di Pacelli, il suo volto da uccello da preda, la sua figura snella e ieratica, dritta come la lama di una spada, la sua voce impostata e stentorea, la sua gestualità enfatica e solenne, la sua mentalità da antico romano confluirono nel creare il mito dell’uomo ponte, tra cielo e terra.
E quest’uomo fissò spesso il suo sguardo nelle profondità del mistero avvolto negli spazi del cosmo. Un lume potente accese nelle rade dell’ecclesiologia, con la lettera enciclica Mystici Corporis. Pubblicata nel 1943, a dispetto dell’infuriare della guerra, essa conteneva la più avanzata dottrina sulla Chiesa, che poi fu determinante per la stesura della Lumen Gentium nel Concilio Vaticano II. Per Pio la Chiesa è, genuinamente e biblicamente, una misteriosa unità organica. Per la prima volta dopo secoli, la definizione della comunità cristiana coincide con quella del Mistico Corpo di Cristo. Era un definitivo superamento dell’ecclesiologia controriformista, che con San Roberto Bellarmino aveva definito la Chiesa come “la comunità dei fedeli in Cristo che obbediscono ai legittimi pastori stabiliti da lui”, paragonandone la concretezza a quella del Regno di Francia o della Repubblica di Venezia. Ma la Mystici Corporis è anche un superamento dell’ecclesiologia di Leone XIII e delle sue fonti medievali, espressa nella Satis Cognitum e nella Divinum Illud: in esse la Chiesa era ancora e solo ceto dei fedeli e vera società, una sorta di Civitas Dei visibile, una Respublica Fidelium, quae est Ecclesia Dei di agostiniana memoria. L’ecclesiologia del Vaticano II, che fa della Chiesa una realtà teandrica, è in germe e non solo in germe presente nell’enciclica di Pacelli .
Un’altra pietra miliare del magistero papale del XX sec. fu la Divino Afflante Spiritu (1943), che raccolse le istanze più immediate del movimento biblico internazionale, rinnovando il contatto della Chiesa con la Sacra Scrittura, legittimando alcune esigenze fondamentali della moderna esegesi storico-critica, integrando gli insegnamenti di Leone XIII, superando le asprezze antimoderniste di Pio X, preparando la Dei Verbum e innescando quel processo di riavvicinamento del popolo di Dio alla Bibbia, che è ancora in corso.
Nel 1945 Pio XII pubblicò il motu proprio In cotidianis precibus, che prescrisse la nuova traduzione dei Salmi, applicando uno dei punti programmatici della Summi Pontificatus. Momento migliore della fine della guerra per un rinnovamento della preghiera il Papa non poteva scegliere. Questo ritorno alle fonti del Salterio aprì le porte al rinnovamento liturgico, su cui egli stesso tornò nel 1947, con la fondamentale Mediator Dei. Già nella Mystici Corporis Pacelli aveva preso posizione a favore del movimento liturgico, affermando che la comprensione della liturgia era un modo fondamentale per comprendere le ricchezze della Chiesa. La Mediator Dei aveva una parte che condannava gli abusi liturgici, come l’estetismo, l’archeologismo, le forme nuove e arbitrarie del culto, l’esclusione delle preghiere extraliturgiche e della pietà popolare, la reticenza verso il culto della Vergine e dei Santi, oltre che verso la devozione personale – tutte precisazioni di alto valore profetico, destinate a mostrare la loro opportunità nei decenni successivi e fino ad oggi. Una seconda parte esortava tuttavia ad un sano rinnovamento liturgico, che liberasse il culto da ogni aspetto puramente cerimoniale e che evidenziasse il ruolo partecipato di tutta la Chiesa al suo celebrarsi. In tal modo, il nocciolo duro delle rivendicazioni del movimento liturgico era riassorbito dal magistero papale. Nella terza parte dell’enciclica, il grande Papa rivendicava alla Santa Sede la direzione del processo di rinnovamento. E alle parole seguirono i fatti: accanto al Centro di Pastorale Liturgica di Parigi nacque il Centro di Azione Liturgica (1947), all’ombra della Curia Romana; furono promossi i congressi liturgici di studio di Francoforte nel 1950, di Monaco nel 1955, di Assisi nel 1956; fu fondata la Commissione per la Riforma dei Testi liturgici. In questo clima fiorirono gli studi di Gardini, Casel, Jungmann, Lercaro. E fu proprio lo Jungmann a riconoscere i passi giganteschi compiuti da Pacelli per il rinnovamento e il rinvigorimento della liturgia. Le riforme concrete, come il ripristino del Triduo Pasquale o della Santa Messa vespertina o l’attenuazione del digiuno eucaristico, non rendono bene, nonostante la loro importanza, la valenza creativa della riforma pacelliana. Essa preluse alla Sacrosanctum Concilium. Ancor più in dettaglio, la costituzione apostolica Sacramentum Ordinis (1947) puntualizzò materia e forma degli Ordini Sacri, aprendo la porta alle puntualizzazioni del Concilio sulla sacramentalità dell’Episcopato nella Christus Dominus. Una costituzione apostolica omonima del decreto conciliare, datata 1953, sviluppando le iniziative di Pio X per favorire la comunione eucaristica frequente, mitigò il digiuno eucaristico, a cui abbiamo accennato.
Una menzione particolare merita la Humani Generis, del 1950. Enciclica dimenticata e fraintesa anche da grandi storici e teologi, da alcuni incauti considerata la parte iniziale del momento declinante del papato pacelliano, da altri ancora, in malafede, tacciata di stalinismo ecclesiastico, giudicata come un documento di bandiera della teologia romana in contrapposizione a quella centroeuropea, se non addirittura una reazione di delusione all’impatto, considerato non soddisfacente, del magistero ecclesiologico, biblico e liturgico del Papa, la Humani Generis, a dispetto dei limiti che pure aveva – e che hanno tutte le encicliche, che di per sé non sono atti infallibili – metteva in guardia dalle devianze di una parte del pensiero contemporaneo, e col senno di poi non si può considerarla estemporanea. Troppo spesso la si è unilateralmente ricondotta alla sfiducia e al sospetto rivolti ai grandi teologi De Lubac, Daniélou, Chénu, Congar, per farne una sorta di manifesto della reazione teologica. In verità, Pio XII, con la Humani Generis, dalla quale non scaturì alcuna sanzione canonica, vide con chiarezza ciò che in filigrana gli altri neppure riuscivano a scorgere, ossia l’istanza neomodernista che sottendeva buona parte della teologia contemporanea. Il che non significa rigettarla, ma ammettere onestamente che in parte ha fatto flop. Un flop inevitabile, la cui alternativa era la fissità archeologica su formule ormai sclerotiche, ma non per questo meno pericoloso. La necessità storica non annulla le responsabilità individuali, e non si può ignorare che una parte cospicua del dibattito teologico della seconda metà del XX sec. ha avuto una venatura ereticale, colpevolmente trascurata in nome della rinascita, della libertà e della vivacità del pensiero teologico stesso. Se onestamente oggi nessuno può affermare che il rinnovamento teologico non ha nulla di neomodernista, altrettanto onestamente bisognerebbe ammettere che il neomodernismo non è stato né diagnosticato né cauterizzato dal rinnovamento teologico. Analogamente, il Papa ben evidenziò i cardini del messaggio cristiano, che non potevano essere sovvertiti dal pur legittimo desiderio di dialogo tra la teologia cattolica e la cultura contemporanea, essenzialmente laica. Per cui il rifiuto dell’evoluzionismo teologico di Theilard de Chardin appare perfettamente logico, e la ricusazione del principio di un disegno intelligente nella Creazione, che culmina nella nascita dell’uomo, essere naturale predisposto al soprannaturale, è l’esplicitazione di una incongruenza insanabile tra qualsiasi forma di darwinismo e la soteriologia cristiana. Dio, insegnò Pio XII, non è obbligato in nessun modo a conferire la Grazia alle sue creature spirituali, per cui non esiste nessuna legge dell’universo creato che conduca immancabilmente al soprannaturale. Esso è sempre un dono gratuito, in ossequio all’antica massima: Qui salvandos salvas gratis. Analogamente, il richiamo al dato storico sotteso al racconto biblico, per cui le mutazioni genetiche che hanno generato l’uomo in specie preesistenti non sono accadute se non in una sola coppia, sono la giusta estensione del magistero ecclesiastico a questioni relative a verità di ragione che, se sovvertite o negligentemente accantonate, non potrebbero più dare motivo del dogma cattolico. Se per esempio invece di una sola coppia primordiale ce ne fossero state molte, il peccato originale non sarebbe stato trasmesso per traducianesimo. E di rilievi così se ne possono fare molti, a partire dall’enciclica, il cui insegnamento non è mai stato abrogato, ma è però dimenticato. Considerata la Magna Charta dell’Integrismo, sarebbe un buon contravveleno per il relativismo imperante.
Piace ricordare la stupenda enciclica di Pio XII sul Sacro Cuore di Gesù, la Haurietis Aquas (1956): il centro della spiritualità di Pacelli. Il culto del Sacro Cuore, decaduto nel postconcilio senza che tutti i pastori abbiano fatto abbastanza per riprenderlo – ma oggi la tendenza si è invertita – viene riportato dal Papa ai suoi fondamenti teologici, biblici, patristici. Viene tradotto in un ideale ascetico, mistico, spirituale. Viene orientato alla riparazione, alla consacrazione, all’evangelizzazione, alla santificazione . Dopo la Annum Sacrum di Leone XIII e la Miserentissimum Redemptor di Pio XI, è senz’altro la più grande enciclica sul Cuore di Gesù. Se ne aspetta ancora la continuazione .
Una sezione cospicua del magistero papale fu riformatore: il motu proprio Cleri Sanctitati, sulla disciplina del clero, la costituzione apostolica Sponsa Christi sulla clausura, la lettera Sacra Virginitas sulla castità sono testi di grande importanza; l’enciclica Miranda prorsus sugli audiovisivi fu un testo pioniere, come la Provida Mater Ecclesia sugli Istituti Secolari. Come i veri riformatori, Pacelli concretizzò il suo impegno in iniziative solidali: la Quemadmodum, nel 1946, lanciò un nobile appello per i bambini abbandonati dopo la catastrofe bellica.
Ma Pio XII non fu solo l’uomo delle encicliche. Molti suoi insegnamenti sono stati impartiti tramite discorsi epocali, radiomessaggi, allocuzioni. Il grosso della sua dottrina sociale, intesa sia come linee programmatiche della soluzione dei problemi sociali che come inquadratura di quelli del diritto e della politica, non esclusi quelli della pace, è stato formulato in radiomessaggi: famosi quelli natalizi del 1939, 1940, 1941, 1942, 1944, 1945, 1946, 1947, 1948, 1949, 1950, 1951, 1952, 1953, 1954, 1955; celebri quelli del 24 agosto 1939, del 1 giugno 1941; indimenticabili i discorsi del 29 aprile 1945, 21 ottobre 1945, 6 dicembre 1953, 3 ottobre 1953. Dopo Giovanni Paolo II e Paolo VI, Pio XII è il Papa più citato nel recente Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica. Con questi documenti, scritti e orali, Pio XII, il primo papa a capire l’importanza dei mass media usandoli personalmente e preparandosi scrupolosamente ad ogni apparizione pubblica, in voce o in immagine, divenne l’anima del mondo .
Nessun compendio può restituire la fisionomia della personalità di Pio XII. In un recente documentario per RaiTre, nella collana de “La Grande Storia”, Luigi Bizzarri ha riunito immagini spettacolari del grande Papa Pacelli. Fu Pio l’icona maestosa che avanzava, ora ieratica ora affabile, sulla sedia gestatoria sulla folla di migliaia di fedeli? Fu l’essere celeste che si affacciava solitario alla loggia delle benedizioni della Basilica di San Pietro, spoglia di ornamenti, e che, senza alcuno vicino, tendeva le sue braccia sulla massa di pellegrini accalcati presso il Sagrato e la Piazza? O fu il solitario che amava suonare il violino, ascoltare musica classica, accarezzare agnelli candidi nei Giardini di Castel Gandolfo, accogliere sulle sue dita i canarini che cantavano nella sua stanza, chiusi in una gabbietta? O ancora fu il mistico asceta, che nel 1954, quando la sua vita fu in pericolo per gravi crisi di singhiozzo , vide Gesù accanto al suo letto, mentre recitava l’Anima Christi, e che nello stesso periodo contemplò i fenomeni della danza del sole visti a Fatima dai Tre Pastorelli, e che ancora strappò al Cielo, con la sua preghiera, misteriose guarigioni per i fedeli affidatisi alle sue preghiere? Fu questo e molto altro ancora. Fu l’intellettuale complesso, con vocazione di giurista e moralista, che arricchì la dogmatica e la liturgistica cattolica; fu il diplomatico e l’uomo di Stato che fronteggiò gravissime emergenze pastorali. E fu un martire, che cinse la tiara a suo dire come una corona di spine, e che visse assediato dai totalitarismi, conscio della responsabilità verso un gregge dilaniato dalla persecuzione di ogni tinta e colore. Dopo la sua solitaria fine e il suo spettacolare funerale, ingrigito dalla decomposizione della salma causata dal cattivo esito del processo di imbalsamazione, oggi aspettiamo un’ultima cerimonia di massa che lo veda protagonista, quella della beatificazione e canonizzazione. Quando la sofferenza postuma, che egli deve scontare per aver salvato milioni di Ebrei e di altri sventurati dai lager nazisti e per aver preservato buona parte dell’Occidente dallo Stalinismo, sarà terminata, allora la sua parabola storica terminerà, e si potrà mettere il suggello della verità sulla vita di un uomo che, costretto a misurarsi con i più grandi criminali della storia umana, ancora sale un calvario della memoria, profanata dalla calunnia e dal misconoscimento. Ma questa denigrazione e questa sofferenza sono anch’esse transitorie, ed egli già, laddove approdano le anime dei giusti, ha trovato la sua pace e la sua gloria, che dureranno in eterno .
(1) Lo dichiarò pubblicamente ai Cardinali: per lasciare Roma avrebbero dovuto incatenarlo e trascinarlo. Fece approntare un tunnel fin sotto Castel Sant’Angelo, per fuggire dalla Città Leonina, e rimanere in Roma clandestinamente.
(2)Durante l’occupazione nazista di Roma, Hitler e Bormann progettarono l’invasione del Vaticano, l’arresto e la deportazione del Papa, o il suo trasferimento coatto – col pretesto di proteggerlo – in Liechtenstein , in Baviera o in Wurternberg per installarvi una Santa Sede fantoccio, o addirittura l’ingresso di SS travestite da partigiani nei Sacri Palazzi per trucidare Pio XII e i curiali. A poche settimane dalla fine dell’occupazione di Roma, Hitler diede l’ordine di occupare la Città del Vaticano, ma la resistenza passiva dei suoi luogotenenti in Italia evitò il peggio.
(3) Fu Nunzio in Baviera dal 1914 al 1925, accreditato ad un certo punto anche presso il Kaiser, e poi a Berlino fino al 1930.
(4)Divenne Segretario di Stato alla fine della Nunziatura tedesca. Prima di andare in Germania, era stato sottosegretario, prosegretario e segretario della Sacra Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, per volere di Pio X e Benedetto XV.
(5)Senza il Patto del diavolo con Stalin, Hitler non avrebbe scatenato la guerra, correndo il rischio di combattere su due fronti come il Kaiser. Quando lo fece fu per una sua scelta, invasata come la maggior parte di quelle che lo portarono alla rovina. Grazie a quest’alleanza, la Germania divorò Polonia, Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi, Lussemburgo, Francia; l’URSS invece aggredì la parte di Polonia non occupata dalla svastica, Lettonia, Estonia, Lituania, Finlandia e Romania. Fu con la neutralità benevola di Stalin che Mussolini e Hitler devastarono Grecia, Iugoslavia e quel che rimaneva della Romania. E sempre stando l’URSS alla finestra, la Germania ingaggiò – e perse – la Battaglia d’Inghilterra.
(6)Né Slavi, né Neri, né Asiatici, né Aborigeni extraeuropei sono umani, nella mitologia nazista: per essi vi è solo schiavitù e decimazione. I popoli mediterranei sono una mescolanza impura. Gli Zingari e gli Ebrei vanno sterminati. I veri uomini sono solo gli Ariani (Scandinavi, Anglosassoni, Tedeschi). Ma i più puri sono proprio i Germanici. Di essi una pseudocristianità nazista, pronta a fare di Gesù un dio ariano (!), era pronta a dire che erano senza peccato originale.
(7)L’amore per l’esoterismo, la ricerca dell’occulto, la simbologia demoniaca, le credenze pagane e precristiane acclarano la fisionomia parareligiosa del Nazismo, una sua spiritualità maligna, impregnata di esalazioni sulfuree che meriterebbero maggiore considerazione degli storici nello studio della formazione di Hitler e dei suoi seguaci.
(8)L’ex-cancelliere Fritz Von Papen fu ingannato da Hitler e accettò persino di fargli da vice-cancelliere nel suo provvisorio governo multipartitico. Ma, come Mussolini in Italia, Hitler non tardò a sopprimere tutti i Partiti, i Sindacati, le testate giornalistiche non naziste, dopo l’incendio del Reichstag.
(9)Per amore di verità, va detto che nella Chiesa Evangelica Unita, la confessione luterana egemone in Germania, si produsse una disdicevole frattura, che non ebbe corrispettivi nella Chiesa Cattolica, per cui alcuni presuli e svariati fedeli accettarono la qualifica, infamante, di Chiesa del Reich, riservando la propria attività pastorale ai soli ariani, e prostituendo il dogma e la liturgia riformati ai voleri di Hitler. Ma comunque anche gli Evangelici ebbero i loro martiri, come il grande teologo Dietrich Boehnoffer. La costituzione accentrata del Cattolicesimo gli risparmiò, in Germania, la nascita di gruppi collaterali al regime. Ma l’acquiescenza, vile o interessata o terrorizzata, di milioni di cristiani tedeschi, cattolici o protestanti, al Nazismo al potere, è un dramma le cui proporzioni sono note solo a Dio, e che in ogni caso ha costituito una prova della debolezza della resistenza che il Cristianesimo, come sistema dottrinale, potè opporre alle idee di Hitler. Nessuna fede può opporsi al potere, se chi la professa non è pronto al sacrificio. Ma nessun popolo, per quanto devoto, può essere tanto fedele da essere in massa pronto al sacrificio. I totalitarismi del XX sec. hanno avuto i mezzi di propaganda adatti ad irretire e ingannare le coscienze anche più formate, per carpirne e poi imprigionarne il consenso, come bene ha spiegato Hannah Arendt.
(10)Una speranza spentasi nel corso del 1933-1934.
(11)I Nazisti si specializzarono nella denigrazione del clero, compiacendosi di diffondere voci di corruzione sessuale dei preti, a cui fecero seguire processi esemplari; posero ostacoli di ogni genere alla stampa, all’insegnamento cattolici, e alla professione pubblica della fede, nonché all’esercizio del diritto di proprietà e finanche alla possibilità di svolgere attività fuori delle sacrestie e come svolgerla in esse. Le associazioni cattoliche di ogni tipo furono soppresse, gli Ordini assai vessati, i rapporti tra vescovi e Papato furono oggetto di interferenze, avvennero violenze fisiche, arresti, sacrilegi persino del SS.Sacramento. Se Hitler avesse vinto la guerra nel suo Reich la Chiesa Cattolica avrebbe fatto la fine che le era toccata nei territori di Stalin. Tra il 1937 e il 1939 i Nazisti coltivarono il progetto di denunziare il Concordato.
(12) In esse, tutti i punti dell’ideologia nazista furono condannati: la sua legislazione immorale, la sua concezione dello Stato e della Razza, la sua visione del divino. Il grande pubblico ignora completamente queste censure che la Chiesa, per mano del Segretario di Stato, inviò direttamente a casa di Adolf Hitler. Le violazioni concordatarie e le proteste papali uscirono, come un Libro Bianco, tra il 1934 e il 1936, a cura sempre di Pacelli, che aveva curato un atto analogo per conto di san Pio X, quando questi aveva rotto con la III Repubblica, radicale e massonica (1904).
(13) La Guerra delle Note fu praticamente interrotta nell’estate del 1938, per ragioni ignote.
(14) Il grande pogrom non fu denunciato da nessuna potenza, compresa la Santa Sede. Ma le note e l’enciclica di quest’ultima, di cui diremo, rendevano superfluo, nel suo caso, un atto di condanna.
(15) La conquista dell’Austria fu molto dolorosa per il Vaticano, in quanto Vienna era retta da un governo corporativo, cattolico, antinazista, senz’altro autoritario, fondato da Dollfuss e considerato un antemurale contro Hitler e Stalin. Il gaudio pangermanista mostrato dall’arcivescovo viennese Teodor Innitzer suscitò grande stizza in Pio XI e Pacelli. Lo stesso cardinale austriaco dovette ricredersi a breve sul Nazismo.
(16) In conseguenza di ciò molti territori cattolici furono inglobati nel Reich, senza che Hitler volesse estendere loro le garanzie del Concordato.
(17) Introdotta clandestinamente in Germania, custodita nei tabernacoli fino al giorno della sua lettura dai pulpiti, l’enciclica fu redatta da Pacelli e da mons.Kaas, già dirigente del Zentrum e ora esule in Vaticano, sulla base dei testi preparati dai maggiori presuli tedeschi, tra cui Faulhaber, il leone di Monaco, Von Galen – oggi beato, nemico giurato dei progetti eutanasici ed eugenetici di Hitler – e Von Preysing: tutti falchi dell’antinazismo. Di essi Goebbels annunziava, nei suoi Diari, la condanna a morte alla fine della guerra, quando il Reich avrebbe chiuso i conti coi pfaffen, i pretacci.
(18) Un solo giorno bastò per scegliere il cardinale Pacelli, nel suo sessantatreesimo compleanno. L’unica, evanescente candidatura oppostagli fu quella di Elia dalla Costa, arcivescovo di Firenze, gran protettore degli Ebrei toscani durante l’invasione nazista dell’Italia, di cui è in corso la causa di beatificazione.
(19) A lui invece il Papa inviò la sua prima lettera, redatta in tedesco da lui stesso – come suo costume – annunciandogli la sua elezione.
(20) Unanime la valutazione del Papa come antinazista risoluto e senza cedimenti. Bisognerebbe ridarsi una scorsa ai titoli della stampa ebraica e del Comintern dell’epoca.
(21) Una conferenza a quattro (Polonia, Germania, Francia, Inghilterra).
(22) Essi anticipavano i Quattordici Punti di Wilson. Pacelli mediò tra Austria e Italia, per non far entrare Roma in guerra, e tra l’Intesa e la Triplice Alleanza.
(23) Visitò Vittorio Emanuele III al Quirinale – la reggia di Pio IX! – e scrisse sia a lui che al Duce, che però non si degnò neanche di rispondergli. I numerosi canali del partito contrario alla guerra, legato alla Santa Sede e trasversale anche al PNF, furono tutti attivati, ma inutilmente. Ebbe successo nel tenere fuori dal conflitto la Spagna e il Portogallo.
(24) Redatto da Montini e Pacelli dopo aver saputo del Patto Molotov-Ribbentrop.
(25) Pur non avendo parte attiva nell’organizzazione delle congiure, il Papa infornò gli Inglesi e ritenne lecito il ricorso al tirannicidio, secondo la casistica morale gesuita e giusnaturalista della teologia e della canonistica della Controriforma. Uno dei progetti fu organizzato addirittura da esponenti del clero tedesco.
(26) In ragione di ciò non condannò nessuna aggressione nel corso del conflitto, esclusa quella del Belgio, Olanda e Lusseburgo, a cui peraltro fece seguito un assalto di fascisti alla sua auto durante un’uscita pubblica. Gli premeva una libertà d’azione scaturente dall’imparzialità, secondo il modello di Benedetto XV nella I Guerra Mondiale. La condanna della guerra d’aggressione era già formulata nella dottrina teologica del bellum iustum.
(27) Si espresse così con Dino Alfieri, ambasciatore italiano in Vaticano, il 13 maggio 1940.
(28) Mantenne rapporti con i governi polacco e baltici in esilio; non ricevette nemmeno come Capo di Stato croato Ante Pavelic, ma solo a titolo privato. Pio XII non riconobbe neanche la RSI.
(29) Nella corrispondenza diplomatica papale scomparvero persino termini come “comunismo”, per evitare ogni strumentalizzazione.
(30) Per esempio in Grecia, occupata dall’Asse.
(31) Myron Taylor, incaricato d’affari di Roosevelt, fu a Roma otto volte fino al 1944. Alti prelati americani, come F.J.Spellmann, poterono venire a Roma anche durante il conflitto. In genere, gli ambasciatori delle Potenze alleate, le cui sedi videro, con una grave violazione del Trattato del Laterano, denunziata la loro extraterritorialità dall’Italia, furono ricoverati nello stesso Vaticano. Lo stesso accadde per gli ambasciatori dell’Asse quando gli Alleati occuparono Roma.
(32) La distribuzione di generi di prima necessità riguardò tutta l’Italia, con tanto di camion targati SCV.
(33) Le pratiche trattate superarono di gran lunga il milione.
(34) Il 19 luglio 1943. Anche il Vaticano fu bombardato, nello stesso anno, da un aereo non identificato, probabilmente pilotato da Roberto Farinacci.
(35)Violente furono le reazioni di Mussolini – che già dopo la condanna dell’invasione del Belgio minacciò di far deportare il Papa in campo di concentramento – e di Hitler, senz’altro più determinato, che già nel 1940 aveva confidato a Franco che Pio XII era un suo nemico personale. Tra i sogni del Fuhrer, oltre la trasformazione di Mosca in un lago artificiale, la distruzione di Parigi e Londra e la scoperta dell’arma atomica, c’era pure la trasformazione del Vaticano in un museo.
(36)Così ha sagacemente commentato il giornalista e scrittore Jacques Nobecourt.
(37)Con due decreti del Sant’Uffizio, che peraltro nessuno mai ha abolito.
(38)Dal 1923 al 1927 la Santa Sede trattò – per la terza volta, dopo il 1921 e il 1922- con l’URSS segretamente per il riconoscimento reciproco. Dal 1925, per ragioni ancora ignote, le trattative furono trasferite a Berlino e affidate a Pacelli. La Chiesa si dichiarò pronta a molte concessioni, ma Stalin non ne fece nessuna, cercando solo cedimenti unilaterali. Durante il Papato di Pacelli non mancarono contatti autorevoli e segreti tra altissimi prelati e i sovietici – in particolare il cardinale Siri, delfino di Pio XII, che però non sembra aver mai informato il Papa dei suoi contatti – che però non arrivarono a nulla.
(39)Al Primate polacco diede il potere di eleggere i vescovi.
(40)Totalmente false sono le asserzioni di chi ritiene che fenomeni soprannaturali conclamati come la Lacrimazione della Vergine a Siracusa siano stati manipolati a scopi politici. In molte di queste asserzioni, che non risparmiano di calunniare neanche personalità mistiche come quella di San Pio da Pietrelcina, non corrispondono neanche le date: le elezioni del 1948 furono a volte anteriori o di molto posteriori ai presunti imbrogli clericali. In quanto ai mezzi della propaganda messi a disposizione dalla Chiesa alla DC, furono tra i più moderni, e seppero coniugare l’influenza del clero su una società ancora credente, l’abilità oratoria di alcuni – come Padre Lombardi, il microfono di Dio – e i nuovi mass media. I laici non furono comprimari di questa battaglia, ma la condivisero del tutto. I quadri dirigenti della DC e dell’AC erano allora ancora formati in un Cristianesimo sociale non intimidito dalle sirene marxiste, e consapevoli della superiorità del modello democratico rappresentativo su quello bolscevico.
(41)Gedda più di ogni altro incarnò il modello di laico impegnato coerente col Papato e i suoi insegnamenti. Più volte espresse l’auspicio di far subentrare alla DC monocratica un più ampio ventaglio di forze socio-politiche cattoliche coordinate dall’AC. I dissidi tra lui e gli esponenti della fronda giovanile, Carlo Carretto e Mario Rossi, sono stati strumentalizzati dalla stampa laica contemporanea, e poi dalla storiografia, per acclarare la fisionomia di una direzione dell’AC reazionaria, subornata in questo dalla Santa Sede. Ma la visione strategica di Gedda – che era quella di Pio XII – era giusta, quella di Carretto e Rossi no, anche se supportata, specie quest’ultima, da Giovanni Battista Montini. Carretto rinfacciava all’AC quelle che sono le caratteristiche tipiche della spiritualità delle associazioni di massa, ritenendole incompatibili con una interiorità profonda, e considerando l’impegno sociale e politico del movimento come brama di potere e snaturamento della sua vocazione. Carretto era una personalità profonda e intensa, che trovò approdo tra i Piccoli Fratelli di Charles de Foucault. Ma la ripulsa per le forme collettive della vita spirituale non era confacente a chi avrebbe dovuto promuovere la santificazione dei movimenti di massa, a meno che non sottintenda una ripulsa della stessa santificazione di massa. In quanto poi alla diffidenza per l’impegno socio-politico, una volta che fosse interdetto ai laici, essendo precluso al clero, sarebbe rimasto appannaggio del partito cattolico, senza che però esso fosse un istituto ecclesiale. Paradossalmente, l’esito della polemica sulla presunta politicizzazione della Chiesa e dell’AC è la subordinazione ecclesiale alla politica partitica. Non è obiettivamente compatibile con la dottrina cattolica che i movimenti laicali siano esclusi dalla politica attiva, anzi è una sostanziale mutilazione della loro vocazione. Carretto era un mistico con vocazione missionaria e contemplativa, non un leader. In quanto a Rossi, egli fu un sincero – e probabilmente ingenuo – denunziatore della molteplicità delle matrici del materialismo moderno, e postulò in ragione di ciò una lotta della Chiesa non solo contro il marxismo ma con tutte le altre ideologie e prassi materialiste. Non capì che l’impegno anticomunista dell’AC era prioritario, perché solo il marxismo estendeva le sue propaggini mediante una struttura organizzativa, e perciò minacciava la sopravvivenza stessa della coscienza cristiana. Rossi era un testimone morale, una personalità intellettuale, ma non aveva un particolare senso politico e organizzativo. Il suo caso assunse una valenza particolare, perché la lettera delle sue dimissioni fu trattenuta da Giovanni Battista Montini, Prosegretario di Stato, vicino alle sue posizioni, desideroso di evitare lo strappo in seno all’associazionismo cattolico. Quando la lettera giunse nelle mani di Pio XII, questi chiese perentoriamente a Montini la consegna dell’originale. Da qui la frattura tra il Papa e il suo Prosegretario di Stato. Pacelli, che non condivideva le inclinazioni intellettuali di Montini, perse la fiducia nel collaboratore, e nel suo sistema di governo, basato sul rapporto con pochi selezionatissimi esecutori, questo costituiva un vulnus incolmabile. Egli costituì una commissione segreta d’inchiesta su Montini, presieduta dal cardinale Giuseppe Pizzardo, che gli presentò una relazione negativa. Per cui, dopo aver decapitato la fazione antigeddiana nell’AC – lo stesso Pizzardo con Ottaviani interrogò Rossi per le implicazioni dottrinali delle sue posizioni – il Papa disarticolò il nesso che la legava alla Curia destinando Montini all’arcidiocesi milanese, senza conferirgli la porpora cardinalizia, ornamento tradizionale dei presuli ambrosiani. Se sull’allontanamento di Carretto e Rossi dalla direzione dell’AC di Gedda non si può equivocare, essendo una misura punitiva fuori ogni dubbio, l’esilio lombardo di Montini appare ambivalente. Giuseppe Siri, delfino di Pio XII, lamentò di non essere stato consultato prima della nomina, perché altrimenti avrebbe consigliato al Papa di creare cardinale Montini e di metterlo a capo di un dicastero romano. Diversamente gli aveva fornito l’ultima tessera necessaria per divenire Papa, l’esperienza pastorale. Questo giudizio parte dal presupposto che l’intenzione di Pio XII fosse di allontanare definitivamente Montini dalla Santa Sede. Il che è tutto da dimostrare. Credo che Pacelli volesse solamente liberare se stesso di un collaboratore nel quale non si ritrovava più completamente, ma non pregiudicare il suo futuro, che evidentemente era solo nelle mani di Dio.
(42)Pio XII non mancò di infliggere anche delle mortificazioni a De Gasperi, rifiutandogli un’udienza privata per l’anniversario di matrimonio. Pacelli considerò lo statista sempre troppo morbido col marxismo. Forse compì un errore di visuale: non era lui ad essere morbido, ma il partito, come si sarebbe visto proprio alla morte di De Gasperi e del Papa stesso. In ogni caso Pio XII fu consapevole che la potenza politica in Italia non era la DC, ma la Chiesa stessa, a differenza dei successori che spesso si trovarono irretiti nelle trame partitiche italiane. Gli mancò il realismo che gli facesse apprezzare la funzione di cinghia di trasmissione per la potestas indirecta in temporalibus svolta da un cattolico integrale ed ortodosso come il grande trentino. La loro incomprensione è forse il vero punto debole dell’egemonia cattolica sull’Italia degli Anni Cinquanta.
(43)Pio fu un instancabile profeta dell’Europa unita, in chiave antisovietica e per bilanciare l’influenza atlantica. I grandi costruttori dell’Unione furono tutti cattolici: Schumann, Adenauer, De Gasperi.
(44)Né il “partito pesante” fanfaniano, né la democrazia sociale di Dossetti o La Pira, né il tatticismo spregiudicato di Moro avrebbero potuto sedurre Pio XII, che aveva una visione ben chiara del ruolo dei partiti, delle loro strategie e dello Stato sociale nel quadro della realizzazione della Dottrina Sociale della Chiesa. Pio apparteneva ad una generazione di statisti e di intellettuali che, pure nelle loro differenze, era accomunata dal fatto di non avere complessi di inferiorità nei confronti del socialismo e dal non averne metabolizzato nessuna idea, per cui era completamente refrattaria ad una contaminazione con le sue istanze. Così Truman, Roosevelt, Churchill, De Gaulle, De Gasperi stesso, Croce e altri ancora.
(45)Il testo è un classico del magistero papale moderno. I verbi in corsivo sono i corrispettivi italiani dei termini latini adoperati dal Pontefice.
(46)La riscoperta sotto la Basilica di San Pietro della Tomba del Principe degli Apostoli fu annunziata al mondo intero dallo stesso Pio XII nel 1949, dando nuovo lustro al fondamento apostolico del Primato pontificio. Fu in quel complesso tombale che poi fu definitivamente identificato il corpo dello stesso Pietro, secondo quanto annunziato in un secondo momento da Paolo VI. Gli scavi, inaugurati nel 1939, durarono dunque una decina di anni.
(47)Giova ricordare che non solo nel magistero conciliare Pio XII è il Papa più citato, ma che lo stesso progetto di un Concilio Universale fu accarezzato da Pacelli, il quale ricevette in tal senso la supplica del cardinale Pericle Felici. Al momento di tale richiesta – rivelata in un secondo momento e di cui fu testimone anche il cardinale Ruffilli – Pio XII aveva già costituito una commissione antepreparatoria, formata essenzialmente da gesuiti tedeschi e d’oltralpe, i cui lavori si condensarono in una serie di schemi nei quali si ravvisano già le fondamenta dei decreti conciliari. Per esempio la dottrina della Gaudium et Spes è già presente nei lavori dei commissari pacelliani. Ma Pio XII, che aveva in questo modo ripreso un’iniziativa di Pio XI, decise alfine di accantonare il progetto perché si sentiva troppo vecchio. Giovanni XXIII, tuttavia, convocò il Concilio Vaticano II ad un’età non di molto superiore a quella di Eugenio Pacelli. A Pio si deve anche la preparazione di uno schema di riforma della Curia Romana, anch’esso lasciato cadere per l’età avanzata, che anticipa l’istanza riformatrice poi avvertita da Paolo VI. Pio, che avrebbe potuto convocare e guidare il Sinodo altrettanto bene di Giovanni XXIII e Paolo VI, così come avrebbe potuto altrettanto proficuamente riformare la Curia, fu scoraggiato dalla sua eccessiva prudenza. Essa contribuì anche ad anemizzare il Sacro Collegio. Sebbene egli lo internazionalizzasse al massimo, sviluppando l’iniziativa di Pio IX, Leone XIII e Pio XI, lo scrupolo con cui si accingeva alle creazioni porporate lo costrinse a tenere due soli Concistori per la concessione dei galeri, temendo che anche un solo membro indegno potesse appestare il Conclave. Lo scrupolo fu senz’altro eccessivo, ma la qualità dei cardinali creati da Pio, che alla sua morte erano cinquantasei piuttosto che settanta, fu notevole. I grandi cardinali della Chiesa combattente – Wyszinsky, Sapieha, Mindszenty, Von Galen, Stepinac – furono tutti insigniti del galero da Pacelli, come del resto Siri, Lercaro, Mimmi, Aloisi Masella, Spellmann, Agagianian, Ottaviani, Roncalli, Costantini: i grandi nomi della Chiesa degli anni Quaranta e Cinquanta. Tra questi nomi vi sono anche quelli di coloro che Pio scelse come suoi intimi collaboratori: uomini di indubbia qualità, che sopperirono alla mancanza di dignitari dovuta alla summenzionata indecisione del Papa nelle scelte. Sebbene alla morte di Pio molti dicasteri fossero retti da pro-prefetti, il novero dei cardinali di Curia comprendeva personalità illustri, alcune delle quali collaboratrici anche di Pio XI. Alfredo Ottaviani fu il temutissimo segretario del Sant’Uffizio, Giuseppe Pizzardo prefetto dei Seminari; accanto a loro Clemente Micara e Nicola Canali. Questi cardinali furono i fedeli custodi della memoria di Pio nel Conclave del 1958, ma anche gli artefici della svolta di transizione con l’elezione di Giovanni XXIII, al quale chiesero anzitutto proprio la reintegrazione del numero tradizionale dei Cardinali e della nomenklatura della Curia. La diffidenza pacelliana pesò anche sull’organigramma della Segreteria di Stato, anche se non ne pregiudicò l’efficienza. Dopo la morte di Luigi Maglione, il napoletano suo compagno di studi che Pacelli designò Segretario di Stato appena eletto, e che avvenne nel 1944, Pio XII disse che, avendo fatto da Segretario di Stato a Papa Ratti, poteva farlo pure a se stesso. Aveva bisogno solo di esecutori fidati, e li ravvisava in Giovanni Battista Montini, sostituto della Segreteria, e in Domenico Tardini, segretario per gli Affari Straordinari. I due prelati nel 1952 divennero Pro-Segretari di Stato e rifiutarono la porpora, offerta loro da Pio XII, permettendogli così di conservarli al loro posto. Nel 1954 Montini cadde in disgrazia per le vicende relative all’AC e alla DC, e andò a Milano come Arcivescovo, sostituito in Curia da Carlo Grano e Angelo dell’Acqua. Solo la morte di Pio XII permise a Tardini di ascendere al rango di Segretario di Stato, scelto da quel Roncalli che Tardini stesso aveva avuto alle sue dipendenze come Delegato Apostolico a Istanbul e Atene, e poi come Nunzio a Parigi. Un particolare degno di nota è che Pacelli avrebbe voluto Roncalli a Roma come segretario della Congregazione Concistoriale, ma che egli rifiutò, mentre non fece in tempo a portare in Vaticano Giuseppe Siri come collaboratore con compiti indefiniti. E’ nota la stima di Pio XII per Siri, che avrebbe voluto come suo successore, o anche Ottaviani.
(48)Questi temi furono qualificanti nel magistero del grande Papa. Il tema del sacrificio riparatore fu costante nel suo insegnamento, e influenzò i grandi mistici suoi contemporanei, come Pio da Pietrelcina, che dopo la richiesta di Pacelli di costituire falangi di credenti che pregassero e si comunicassero con assiduità, costituì i Gruppi di Preghiera. La consacrazione si ricollegò anche alle vicende mariane di Fatima, delle quali Pio fu tra i primi estimatori. Consacrato vescovo il 13 maggio 1917, il giorno della prima apparizione della Vergine ai Tre Veggenti, Pio XII consacrò per primo il mondo al Cuore Immacolato e diede il via libera alla pia pratica dei Cinque Sabati, richiesti dalla Vergine stessa a Suor Lucia dos Santos. Tuttavia la mancata menzione della Russia “peccatrice” nella consacrazione, differentemente da quanto richiesto dalla Madre di Dio, non adempì i Suoi desideri e gli effetti benefici dell’atto pubblico furono rimandati alla successiva consacrazione pubblica di Giovanni Paolo II nel 1986. L’evangelizzazione fu anch’essa a cuore a Pio XII. Papa missionario come Pio XI, Benedetto XV e Leone XIII, Pacelli fondò stabili Gerarchie in moltissimi Paesi del Terzo Mondo, sostituì dovunque potè al clero straniero quello indigeno, compresi i ranghi dell’episcopato – sostenendo che la Chiesa deve vivere in tutti i popoli – avviò la cosiddetta inculturazione delle missioni, chiudendo l’obsoleta questione dei riti cinesi, da lui considerati solo cerimonie civili e quindi non più proibiti, creò il primo cardinale cinese e sostenne energicamente la lotta contro il processo di cristianizzazione – termine da lui stesso acutamente coniato. In quest’ottica favorì la missione popolare, con mezzi di massa – come le adunate, i congressi, le giornate e le settimane di studio, ma anche processioni, funzioni, riti e predicazioni – e con gesti di valore simbolico – come beatificazioni e canonizzazioni ad effetto, quali quelle di Innocenzo XI e Maria Goretti, l’uno, beato, campione della lotta contro i Turchi e modello di Pio stesso, l’altra, santa e martire, modello di purezza in un mondo di lussuria. Nel contesto della propagazione della Fede, sostenne le Chiese Orientali unite a Roma e rafforzò l’impegno ecclesiastico per la cultura di ispirazione religiosa.
(49)Paolo VI ha interrotto la grande tradizione papale di redigere encicliche dottrinali sulle devozioni popolari. Se Leone XIII, Pio XI e Pio XII furono i grandi alfieri della sistematizzazione del culto al Sacro Cuore, Giovanni XXIII lo fu del Preziosissimo Sangue, ancora Ratti lo fu del SS. Nome di Gesù e di Cristo Re, mentre Giovanni Paolo II lo fu della Divina Misericordia. Di Pacelli e del culto mariano si è detto, e sulla sua scia si mossero Roncalli, Montini e Wojtyla.
(50)Pacelli fece corsi di dizione, studiò moltissime lingue, amò anche filmare i suoi discorsi, entrando con puntualità nelle case dei cristiani d’Occidente tramite la TV. Curò la sua immagine non per vanità, ma per la consapevolezza dell’importanza della comunicazione nella leadership carismatica. Accettò di realizzare un documentario sulla sua giornata, intitolato Pastor Angelicus. Possedeva una intera collezione di vocabolari, scriveva da sé a macchina i testi dei suoi discorsi, aveva una fortissima memoria visiva, amava ricevere personaggi popolari per essere vicino ai fedeli anche nel quotidiano, e per la sua biblioteca privata passarono Bartali, Bongiorno, il Quartetto Cetra, Titina de Filippo e molti altri.
(51)In quell’occasione la sorella si rivolse a San Pio da Pietrelcina, perché pregasse per il Papa. Pio, che protesse sempre il Frate Stigmatizzato, guarì immediatamente.
(52) Il summenzionato Pio da Pietrelcina, alla morte di Pio XII, ebbe la visione del pontefice beato in Paradiso.
Theorèin - Marzo 2009