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LA TEOLOGIA MARIANA
Per il primo aspetto, bisogna evidenziare che il Medio Evo è debitore, come dicevamo, alla mariologia patristica, a sua volta fortemente fondata sulla Bibbia; tuttavia non mancarono ovviamente apporti originali, legati specialmente alla teologia scolastica. Generalmente i Padri inserirono il discorso mariologico in un contesto più ampio, di tipo cristologico o ecclesiologico o soteriologico. Nella letteratura patristica si rinvengono sin dalle origini immagini e concetti assai importanti nel mondo medievale (e non solo), come ad esempio il parallelismo tra Eva e Maria, tratto dall'Adversus Haereses di Ireneo e dal Dyalogus cum Tryphone di Giustino,(1) mentre qua e là si scorgono importanti ma dispersi contributi teologici (come nei vari De Incarnatione di Apollinare, Ambrogio, Teodoreto di Ciro, Nestorio, o nei vari De Trinitate di Ilario, Eusebio di Vercelli, Cirillo Alessandrino), inseriti in commenti biblici (di Origene, Ambrogio, Cirillo, Gregorio Nisseno), in omelie e catechesi (Gregorio Nisseno, Anfilochio, Severiano, Agostino, Basilio, Cirillo Gerosolimitano), nei trattati ascetici sulla verginità (Atanasio, Gregorio Nisseno, Ambrogio), negli inni cristologici (Efrem Siro, Giovenzio, Sofronio). Già da quest'epoca emergevano i temi della corredenzione, della divina maternità, della verginità perpetua e del culto mariano. (2) I primi secoli svilupparono anche delle forme narrative, omiletiche e dogmatiche, di teologia. Nel primo caso, va ricordato il Protovangelo di Giacomo, o Natività di Maria, apocrifo del II secolo, i cui dati sulla biografia della Madonna hanno influenzato fino ad oggi la devozione religiosa, e a cui faranno seguito altri apocrifi fino all'VII secolo, tutti incentrati su Maria: (3) da essi vengono informazioni come i nomi dei genitori di lei, la sua presentazione al Tempio e la sua educazione presso di esso (entrati tutti nella liturgia e nell'arte), oltre a elementi dogmatici come la virginitas in partu, la dormitio e l'assunzione. Nell'ambito omiletico, abbiamo un corpus nutrito di sermoni che, da quello sulla Vergine ed Elisabetta di Atanasio nel 346, (4) arriva, senza soluzione di continuità teologica, sino ai complessi mariologici di Teodoto d'Ancira (V sec.), Giacomo di Sarug (†521), Andrea di Creta (†730 ca.), Germano di Costantinopoli (†733) e Giovanni Damasceno (†749). (5) Infine, la trattatistica dogmatica, partendo dal De Margarita di Efrem (†373) e dall'Adversus Helvidium di Girolamo, si arricchisce, nel Medioevo greco, delle opere di Cirillo d'Alessandria (†444), di Leonzio di Gerusalemme (VI sec.), di Filosseno di Mabbug (†523), di Severo di Antiochia (†538), e di Rabbula (V sec.), e in quello occidentale di quelle di Ildefonso di Toledo. (6) I tempi teologici erano maturi per una mariologia tipicamente medievale, basata sul metodo scolastico, volta ad enfatizzare la mediazione della Vergine e a mettere in luce questioni come l'Immacolata Concezione e la perpetua verginità, e capace di promuovere una fattiva devozione mariana. Addirittura essa genera nuovi tipi letterari, come il Mariale, "quod est de laude Mariae". (7) Tra i tanti fioriti nei secc. XII-XV, il più scolastico è quello di sant'Alberto Magno, a cui segue a ruota quello di Riccardo di San Lorenzo (†1260). attribuito un tempo allo stesso Alberto. (8) Nell'ambito omiletico, invece, scrittori mariani prolifici furono Bernardo di Chiaravalle col De Laudìbus Virginis, e Jacopo da Varagine o Benedetto da Busto (†1500), con le loro raccolte di sermoni. Specifiche monografie mariane si hanno nelle forme letterarie più svariate, dall'epistola (Cogitis me di Pascasio Radberto, nel IX sec.) al trattato (De Conceptione Sanctae Mariae di Eadmero, XII sec.; De Excellentia Gloriosae Virginis Mariae di s. Anselmo) fino alla biografia (l'anonimo Itinerarium Virginis Mariae, o l'Historia Virginis ex Cantico Canticorum, anonima e illustrata) e ai mìracula, tipici del Basso Medioevo, seguiti dai dialoghi (come il Liber de Sancta Maria di Ramon Lull, o il Dialogus Mariae et peccatoris di Dionigi il Certosino, morto nel 1471) e dalle preghiere (quelle celebri di Anselmo d'Aosta e lo Psalterium Virginis o rosario). Un discorso a parte meritano i trattati teologici del tipo della summa. Tommaso d'Aquino, Duns Scoto, Antonino da Firenze riservano alla Madonna significative sezioni delle loro opere. E', tutto questo, l'insieme di una vitale tradizione che, raggiunto l'acme tra l'XI e il XIV sec., senza esaurirsi nemmeno in età rinascimentale, confluirà nella cultura teologica della Controriforma, per arrivare sino ai giorni nostri. Temi tipici della teologia mariana sono ovviamente quelli dogmatici, e infatti rintracciamo una complessa riflessione su quelli che sono i grandi misteri della Fede sulla Vergine. Ci possiamo porre un quesito preliminare: lo sviluppo storico del dogma mariologico dall'antichità al Medioevo ha conosciuto soluzione di continuità? Ossia, dobbiamo considerare i dogmi mariani come un elemento estrinseco alla dottrina originaria del cristianesimo, o essi sono un esplicitazione del depositum fìdei? A questa domanda possiamo dare una risposta migliore se consideriamo i filoni dogmatici mariani più importanti. Viene spontaneo partire dall'Assunzione, il dogma più recente, la cui formulazione si deve a Pio XII, nel 1950, con la costituzione apostolica Mumfìcentissimus Deus. (9) Il pontificato di Pacelli segna l'apogeo del movimento mariano moderno; ma è lecito presumere che il dogma da lui promulgato, nella ricchezza della sua teologia, sia realmente riconducibile allo sviluppo storico della dottrina cristiana, così come si è configurato tra Tardo Antico e Medioevo, e poi sino all'Età Moderna? In effetti, tra il IV e il V secolo, noi abbiamo le attestazioni dottrinali più antiche della diffusa convinzione che la fine di Maria fosse stata diversa da quella degli altri mortali. S.Efrem siro, il padre della teologia siriana, afferma apertis verbis che il corpo di Maria, in quanto verginale, non ha subito corruzione dopo la morte. (10) Evidentemente, nella mente del dottore appariva strano immaginare che Dio preservasse sua madre dalla unione carnale e non dalla corruzione del sepolcro, tanto più che la prima era nell'ordine delle cose anche anteriore al peccato originale, mentre la seconda no; in ogni caso, per Efrem l'illibatezza era segno e preludio di una intangibilità più radicale, ontologica: quella della corporeità, espressa in modo assoluto dall'assenza di decomposizione. Tale teologia è, ovviamente, una di tutte quelle che inesorabilmente hanno portato alla definizione dogmatica. Timoteo di Gerusalemme, invece, in modo meno sottile ma più radicale, afferma che la Madonna è rimasta immortale ed è stata assunta in Cielo. (11) La sua teologia è identica a quella del dogma. Il fatto poi che il dottore neghi la dormitio non tocca un punto dottrinale definito, in quanto non è di fede che la Madonna sia morta, anche se ciò appare logico. S.Epifanio di Salamina afferma invece che la Madonna quasi certamente possiede già il Regno celeste con la carne. (12) Egli, quindi, più che dare una definizione teologica, comunica una notizia. L'Anonimo degli Obsequia B.Virginis, il cui originale è in siriaco, ribadisce lo stesso concetto, affermando che il corpo di Maria si è riunito all'anima subito dopo la morte. (13) A queste testimonianze patristiche vanno aggiunte quelle degli apocrifi che, descrivendo la fine della vita di Maria, accreditano la versione della glorificazione postuma della Vergine. Non a caso i più antichi apocrifi assunzionisti risalgono proprio a questo periodo. (14) Cosa si deduce, storicamente parlando, da queste testimonianze? Che già dal V secolo la comunità cristiana credeva nell'Assunzione, pur non avendo un'unanimità nei particolari narrativi del fatto; ma soprattutto che essa si tramandava, evidentemente, una dottrina che necessariamente doveva avere un riscontro documentario. In effetti, se consideriamo i monumenti legati alla Dormitio Mariae, scopriamo che le basi storiche della credenza assunzionista sono più remote ancora: i documenti più antichi (II - III sec.), ebioniti, fanno morire Maria a Magdalìa, presso Gerusalemme, e la danno sepolta nel Gethsemani. Tale tradizione sepolcrale è confermata dai testi giovanniti del IV-V sec. e da quelli bizantini del V, che invece discordano sul fatto - secondario - del luogo della morte. Ciò attesta che già dal II sec. si sapeva dov'era sepolta la Madonna. Tale tomba, oggi nella cripta che fu del monastero di S.Maria di Giosafat, non solo corrisponde alle descrizioni degli antichi apocrifi siriaci, ma, posta tra altre tombe - solo dai tempi di Teodosio I essa fu isolata sul modello del Santo Sepolcro - risale senz'altro al I sec., come hanno dimostrato i sopralluoghi archeologici del 1972:(15) evidentemente, come per la credenza religiosa della Resurrezione di Cristo, alla base di quella dell'Assunzione di Maria c'è una tomba vuota, identificata come quella di un morto che però non è più lì. Su quella tomba, già dal IV sec. i monofisiti eressero una chiesa, conservando la memoria cultuale dei vari elementi dell'escatologia mariana: la casa della morte, la processione dei parenti, il ruolo degli angeli psicopompoi, ripresi dai cicli eterodossi ebioniti. (16) Evidentemente, la nozione storica della fine straordinaria della Madonna, anche se già rivestita teologicamente, risale, nelle sue formulazioni giudaico-cristiane, ai primordi della Chiesa, per cui anche le più antiche testimonianze patristiche ortodosse avevano una tradizione consolidata alle spalle, di cui dovevano tener conto, anche a dispetto delle dispute sulla dottrina escatologica dei primi secoli cristiani: ossia, l'Assunzione, prima ancora di essere un dato teologico, fu considerato un fatto storico, e la sua recezione da parte della Grande Chiesa (greco-latina) avviene solo nel V sec. a causa della pregiudiziale antiebionita. Nel VI sec., la diffusione della festa dell'Assunta tra greci, copti, abissini favorì la crescita della fede in questo privilegio mariano, e anche questo è un momento fondamentale per la formazione del dogma: lex orandi, lex credendi, si dice, e infatti la festa non avrebbe avuto ragione di essere se non avesse rispecchiato un sentire profondo del popolo devoto. A livello di teologia culta, le opposizioni non scompaiono del tutto, ma in Oriente i nomi più illustri, sino al X sec., sono favorevoli all'Assunzione. In Occidente, invece, professano agnosticismo in materia Isidoro di Siviglia e Beda il Venerabile: le invasioni barbariche hanno infatti causato un regresso teologico e una difformità cultuale, che si ripercuotono sulla riflessione dogmatica mariana. A Roma, infatti, dove la festa si celebrava dal VII sec., non vi fu alcuna voce di dissenso o di perplessità. Da lì, l'uso liturgico, col codazzo teologico, passò in Francia ed Inghilterra. Sullo scorcio dell'età carolingia, fu il Liber de Assumptione dello Pseudo-Agostino che fece da battistrada a una più universale forma di consenso. (17) Coprendo col nome dell'Ipponense la dottrina assunzionista, l'anonimo autore attesta indirettamente che essa era ormai assai condivisa. Da allora, fu un consenso ininterrotto tra i grandi teologi: Tommaso d'Aquino, Alberto Magno, Bonaventura. Anche l'Oriente bizantino, dopo il 1000, è ancora più unanime nella fede assunzionista. Questo unanimismo teologico fu incrinato, in Occidente, dalla Riforma, ma non fermò il processo teologico di approfondimento in campo cattolico, culminato col dogma pacelliano. Andando a ritroso nella storia dei dogmi, vediamo che l'Immacolata Concezione, definita dal b.Pio IX nel 1854, ebbe nel Medioevo una gestazione lunga e difficile. In effetti, nell'ambiente giudaico-cristiano esso era stato sempre affermato, e aveva trovato un'espressione mitica nel racconto della concezione verginale di S.Anna nel Protovangelo di Giacomo. (18) La patristica raffermò indirettamente, calcando la mano sulla santità di Maria e sulla sua libertà dal diavolo; i pelagiani la proclamarono esplicitamente, e così facendo consegnarono la dottrina ad una polemica plurisecolare. Infatti, nonostante il sensus fìdei dei credenti non accettasse l'idea che Maria avesse avuto il peccato originale, la teologia alta ebbe difficoltà ad argomentare in favore di questo privilegio, per la pregiudiziale antipelagiana: infatti proprio il traducianesimo di Agostino si oppose all'Immacolata Concezione come noi la concepiamo. (19) Tuttavia la fede popolare nella dottrina immacolista rimase intatta, e ciò apparve come argomento probante del fatto che facesse parte della Rivelazione divina per Eadmero (20) (†1134 ca) , da cui prese le mosse_una corrente teologica basata sul concetto di redenzione anticipata, ossia usufruita dalla Vergine prima di contrarre la colpa. Ma le concezioni antropologiche dell'epoca rendevano più difficile una costruzione teologica più precisa, e Alessandro di Hales, Alberto Magno, Tommaso d'Aquino, Bonaventura e persino Anselmo di Aosta e Bemardo di Chiaravalle furono sostanzialmente macolisti. Assai ostile all'Immacolata Concezione fu Giovanni XXII (1316-1334), anche se espresse quest'opinione come parere personale in alcune omelie. E nonostante una così agguerrita opposizione, il b.Giovanni Duns Scoto (†1308) riprese da Pietro di Giovanni Olivi la tesi della redenzione preservativa, che perfezionava quella di Eadmero: la Madonna era stata preservata dal peccato originale, in vista della funzione che avrebbe dovuto svolgere. Questa tesi non era stata presa in considerazione perché Pietro di Giovanni Olivi era un eretico, ma grazie al magistero di Duns Scoto, essa ora riacquistava una credibilità e veniva formulata in modo impeccabile. Il dottore, peraltro, con tatto e prudenza, definì l'Immacolata Concezione probabile nelle sue lezioni oxfordiane, dove l'empirismo rendeva più accettabile la sua riflessione teologica, e possibile a Parigi, dove più forte era la tradizione teologica precedente. (21) Da Duns Scoto prende le mosse una corrente immacolista nuova, tipicamente francescana, a cui aderirono presto tutte le università, compresa la Sorbona, e che fece proseliti persino tra i tomisti. Sisto IV (1471-1484) vietò poi ai macolisti e agli immacolisti di accusarsi reciprocamente di eresia, ed estese la festa liturgica dell'Immacolata a tutta la Chiesa. In questo modo il Medioevo consegnava al futuro quelli che sarebbero stati i cardini della definibilità dogmatica dell'Immacolata Concezione; il sensus fidei dei fedeli, come elemento probante espresso attraverso la lex orandi, e la dottrina della redenzione preservativa. Il dogma della Perpetua Verginità di Maria è invece altomedievale: il Concilio generale del Laterano, convocato da s.Martino I nel 649, definì questo dogma,(22) in polemica con ogni interpretazione docetistica della dottrina tradizionale, mettendo in evidenza che la verginità di Maria rimase intatta in modo tanto reale quanto lo fu il suo parto. Riprendeva così un insegnamento di papa s. Ormisda (514-523), e apriva un dibattito sulla possibilità di conciliare, in modo razionale, la virginitas in partu e il parto stesso. In effetti, già s. lldefonso di Toledo (†667) scrisse un trattato sulla verginità perpetua di Maria. (23) Ratramno di Corbie (†875 ca) prese la penna contro il neo-docetismo tedesco, come del resto anche Pascasio Radberto (†865). (24) Ma la questione era sempre la stessa: come aveva conservato Maria la verginità fisica, se aveva partorito normalmente? Non potendosi accettare le posizioni docetistiche sulla nascita di Gesù, che la volevano accaduta in modo anche solo parzialmente incorporeo, i teologi esploravano ogni possibilità, dalla compenetrazione dei corpi a quant'altro, ma senza mai trovare qualcosa di soddisfacente. Fu s. Tommaso d'Aquino a tagliar corto, attribuendo all'onnipotenza divina un fatto assolutamente inspiegabile per qualsiasi filosofìa. (25) Il dogma della Maternità Divina arrivò al Medioevo già bell'e fatto dal Tardo Antico e dai Concili efesino (431) e calcedonese (451): gli altri sinodi non dovettero che ripeterlo, e proprio essi aprirono la strada alla definizione del dogma della Perpetua Verginità, quando, coi canoni del II Concilio di Costantinopoli (553), introdussero il riferimento alla "sempre vergine Madre di Dio". (26) Tra le altre dottrine certe della fede, ma non definite dogmaticamente, vanno ricordate, per il dibattito medievale, quella che fa di Maria la Madre della Grazia divina, e quindi la madre nostra, quella della Corredenzione, quella della Mediazione universale e quella della Regalità. Dal II sec. Maria è chiamata unanimemente Madre della Grazia. Nel Medioevo asserirono questa verità Ambrogio Autperto (†781), Giorgio di Nicomedia (†860), Giovanni Geometra (X sec.), Goffredo di Vendôme (†1132), Bernardo di Chiaravalle. (27) Strettamente connessa a questa verità, quella della Corredenzione fu sostenuta con la medesima convinzione, a partire però dal XIII sec. In esso si sviluppò la devozione all'Addolorata, che divenne devozione ai Sette Dolori nel XIV sec. Istituendo poi la festa liturgica connessa, il Concilio provinciale di Colonia, il 22 aprile 1423, evidenziava il valore salvifico delle sofferenze mariane. Tale valenza venne sottolineata poco dopo da Sisto IV, che estese a tutta la Chiesa la festa di Nostra Signora della Pietà (1482). Più antico il consenso esplicito attorno alla Mediazione universale di Maria, sviluppatesi dal VI al XII sec., e poi pressocchè unanime. Se ne occupò con competenza anche s. Tommaso d'Aquino, (28) sebbene non si fosse tutti d'accordo sul come Maria esercitasse la mediazione. Tipicamente medievale è anche la fede nella Regalità di Maria, attestata nei documenti sin dal IV sec.
Appare evidente che non vi è soluzione di continuità tra la dogmatologia mariana del
Medioevo e quella dei secoli successivi, fino ad oggi.
(1) Cfr.
PG VI, 709-712: VII 933- 958-960. (2)
Cfr. S.DE FIORES,
Mariologia, in DE FIORES - MEO, Dizionario, pp. 896-897: E.TONIOLO, Padri della
Chiesa, ibid., pp. 1044-1079. (3)
Cfr. E.PERETTO, Apocrifi, in DE FIORES - MEO, Dizionario, pp. 106-125. (4)
In Corpus Marianum Patristicum, a cura di S.ALVAREZ CAMPOS, Burgos 1970 ss.,
IV/2 p. 542 (5)
Cfr.DE FIORES, Mariologia, pp. 897-898. (6)
In PL XC, 93-110. (7)
Cfr. A.PEDROSA, El Mariale de Saint-Evraul,
« Ephemerides Mariologicae » (EM), 11 (1916), pp.5-63. (8)
I testi in ALBERTO MAGNO, Opera omma. Parigi 1898, vol. 36, pp. 1-841;
vol. 37; pp. 1-362. (9)
PIO XII, Mumfìcentissimus Deus, "Acta Apostolicae Sedis", 42 (1950),
pp. 768-770. (10)
D.SARTOR, Assunta, in Dizionario, pp. 162-185, in particolare p. 167. (11)
TIMOTEO DI GERUSALEMME, Homilia in Simeonem et Annam, in PG 86, 246. (12)
EPIFANIO DI SALAMINA, Adversus Haereses, in PG 41, 777B. (13)
SARTOR, Assunta, p. 167. (14)
E.PERETTO, Apocrifi, in Dizionario, pp. 106-125, in partic. p. 121. (15)
Cfr. P.B.BAGATTI, L’apertura della tomba della Vergine al Getsemani,
"Liber Annus" (LA) 23 (1973), pp. 318ss. (16)
E.PERETTO, Apocrifi, in Dizionario, p. 886. (17)
In PL XL, 1141-1148. (18)
Protovangelo di Giacomo, a cura di A.DI NOLA, s.l. 1977, p.34. (19)
AGOSTINO, De natura et gratia, in PL XLIV, 267; Contra Iulianum, in PL XLV,
1418. (20)
EADMERO, Tractatus de Conceptione B.M.V., in PL CLIX, 301-302. (21)
GIOVANNI DUNS SCOTO, Ordinatio, III, d. 3, q. 1. (22)
J. D. MANSI, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, voll. I-XXXI,
Firenze –Venezia 1759-1798, in particolare vol. X, pp. 1151-1152. (23)
ILDEFONSO DI TOLEDO, De Virginitate Perpetua B.M.V., in PL XCVI, 53-110. (24)
RATRAMNO, De eo quod Christus ex Virgine natum est, in PL CXXI, 81-102; PASCASIO (25) TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologica, a cura di T. S. CENTI, Firenze 1963 ss., III, q. 28 a.2 (26)
Cfr. S. DE FIORES, Vergine, in DE FIORES - MEO, Dizionario, pp. 1418-1469, in (27)
LEANDRO, De institutione Virginum, in PL LXXII, 878 C; AMBROGIO, Sermo in (28)
TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologica III,
q. 26, a.2.
Theorèin - Luglio 2003 |