IL MERAVIGLIOSO NELLA PRIMA CROCIATA
A cura di: Vito Sibilio
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I Lezione

I GESTA FRANCORUM

Già dalla cronaca dei Gesta Francorum et Aliorum Hierosolimitanorum troviamo notizie di miracula (in senso lato) della crociata. (1)

Anzitutto, avviene il ritrovamento della Santa Lancia. Esso accade nel bel mezzo della lotta per Antiochia (fine 1097-primavera 1098).

Tale inventio avviene per una rivelazione divina: l’apparizione dell’Apostolo Andrea al pellegrino Pietro Bartolomeo, al quale Raimondo di Agiles attribuisce cinque visioni del Santo. (2)

La Lancia è un pegno della divina protezione per il Populus Dei, secondo l’esplicita espressione dell’Apostolo.

Sulla Santa Lancia, peraltro, gli storici della crociata sono divisi: riportando l’esito del Giudizio di Dio a cui fu poi sottoposta – il passaggio attraverso il fuoco in mano al veggente – essi registrano opinioni contrastanti.

Infatti Pietro Bartolomeo morì dopo qualche giorno, ma non si sa se per le ustioni o per la calca fattagli attorno dai fedeli dopo che uscì dal rogo.

La lancia invece non fu distrutta. In conseguenza di ciò, il dubbio sull’autenticità della reliquia rimase.

Alcuni sostennero di aver visto ustionato Pietro, e la loro opinione è stata recepita dai fautori di Boemondo di Taranto (come Raul di Caen, ma non l’Anonimo, che invece tralascia del tutto la questione), desiderosi di denigrare Raimondo di Tolosa nel quadro delle lotte per il predominio in Antiochia; altri invece asseriscono che Pietro morì per la pressione della folla.

Gli storici più meticolosi registrano entrambe le versioni (come Guiberto di Nogent, che pure crede nell’autenticità della reliquia), e addirittura sospendono il giudizio (come Guglielmo di Tiro). Anche Alberto di Aquisgrana si comporta così.

Pietro Tudebouf, Roberto di San Remigio, Ekkeardo di Aura, Gilone di Parigi credono nell’autenticità della lancia, mentre Raimondo di Agiles dipinge addirittura Pietro Bartolomeo come un santo, dando per assolutamente certo che egli uscì illeso dal fuoco. Fulchero di Chartres invece dà per certo che il veggente morì per le ustioni.

Come si vede, degli storici testimoni oculari solo Raul di Caen considera Pietro un impostore.

D’altra parte il giudizio negativo di Fulchero, non legato a Boemondo, e il silenzio dell’Anonimo dei Gesta mostrano che non ci fu solo un contenzioso politico dietro la questione.

Infatti, Ademaro stesso mantenne un contegno riservato sull’autenticità della reliquia, e la prova del fuoco si svolse dopo la sua morte. Indipendentemente dalla sua veridicità, la lancia svolse un ruolo simbolico importantissimo. (3)

Analogamente, la ripresa della lotta avvenne all’insegna del Santo Sepolcro, in una complessa cornice rituale: stimolati dalla presenza della preziosa reliquia della Santa Lancia, che garantiva la vittoria a chi la portava in battaglia (come l’Arca dell’Alleanza), i soldati ricevettero i sacramenti dopo tre giorni di digiuno e di processioni, e fecero celebrare messe e distribuire elemosine, (4) per poi schierarsi in battaglia.

Nel corso di essa, come già in tante guerre agiograficamente combattute dai Bizantini contro gli Arabi, ma anche dai fautori della Riforma gregoriana in Occidente, avvenne la gloriosa manifestazione dei Santi guerrieri Giorgio, Mercurio e Demetrio: essi sostituiscono l’Angelo del Signore che combatteva con le schiere d’Israele. (5)

In ragione di ciò, i fedeli sanno bene di “incipere bellum in nomine Iesu Christi et Sancti Sepulchri”, (6) e alla fine, immancabilmente, vincono.

In questo contesto, la Santa Lancia svolge, in chiave cristologica, la triplice funzione di oggetto protettore, produttore e corroborante.

I corrispettivi sono nel mondo letterario del fantastico cortese, (7) ma hanno funzioni limitate e magiche.

L’anello che rende invisibili è per esempio un oggetto protettore, mentre i corni dell’abbondanza sono oggetti produttori, come sono corroboranti spade (si pensi ad Excalibur) e cinture.

Con la Lancia, le funzioni si riunificato e, pur non spiritualizzandosi, si liberano dall’aspetto animistico: la reliquia protegge in battaglia, produce la ricchezza del bottino, dà forza ai guerrieri.

Un altro elemento di comunicazione non verbale dei Gesta è costituito dai prodigi e dalle visioni.

Sebbene l’Anonimo non indulga, come altri autori crociati, alla descrizione di fenomeni parapsicologici, non può esimersi dal narrare la visione del sacerdote Stefano. (8)

Questi vide Gesù mentre dormiva nella chiesa della Madre di Dio.

In questa visione onirica, avvenuta dunque in una vera e propria incubatio, ossia durante un sacro sonno presso un luogo divino (una chiesa in una città santa, Antiochia), con un rito peraltro tipico anche – ma non solo – del pellegrinaggio, (9) Gesù gli conferma autorevolmente i caratteri peregrinanti e esodali dell’expeditio sacra, attribuendosi il merito – ovviamente – della vittoria a Nicea (e facendo così di sé il Dio degli eserciti che dà al vittoria al suo popolo in cammino), sottolineando l’indegnità morale dei guerrieri (e quindi indicando indirettamente la natura espiativa, anche se misconosciuta, del viaggio), e alla fine lasciandosi persuadere alla misericordia, come il Padre suo nel deserto con gli antichi Ebrei, per opera della Madonna e di San Pietro, che qui svolgono la funzione di mediatori che appartenne a Mosè. San Pietro, poi, presenta a Gesù la terra antiochiena, liberata dai crociati, come la domus sua, legando con un solo vincolo la matrice politica e quella votiva del viaggio. Alla fine, lo stesso Cristo parla del populus meus, sanzionando lo status di popolo di Dio rivendicato per i crociati dalla Chiesa e dall’Anonimo.


(1) Cominciando dal Concilio di Clermont, l’opera giunge fino alla Battaglia di Ascalona nell’agosto del 1099. Si divide in dieci libri, dei quali il primo sembra essere stato composto dall’autore, sconosciuto, presso Antiochia nel novembre 1098, e il decimo, che è il più lungo, a Gerusalemme, non molto dopo l’inizio del 1101, presumibilmente subito dopo la Battaglia di Ascalona. L’opera fu subito considerata un punto di riferimento dagli storici successivi: Ekkeardo di Aura lo conobbe e lo lesse nel suo pellegrinaggio a Gerusalemme del 1101 – dandoci così il terminus ad quem della datazione indicata – mentre Roberto di San Remigio iniziò a scrivere la sua cronaca crociata proprio per correggere la rozzezza dello stile dei Gesta e integrare le notizie fornite in essi, specie in relazione al Sinodo clermontiano (1106). Analogamente, Baldrico di Dol, scrivendo nel 1108 la sua Historia Hierosolimitana, afferma esplicitamente di avere lo stesso scopo di Roberto. Anche Pietro Tudebouf usò i Gesta come sua fonte secondaria, accanto ai suoi ricordi personali (1111), e lo stesso fece l’altro anonimo storico della Prima crociata, quello dell’Historia Belli Sacri (1130), mentre tracce dei materiali adoperati nella nostra fonte si rintracciano sino a Fulchero di Chartres e a Raimondo di Agiles, e anche oltre. Recentemente, proprio in virtù di queste costanti riprese di materiali narratologici dei Gesta in pressochè tutte le fonti successive, indipendentemente dalla loro impostazione storiografica, si è pensato di riconoscerne la causa non tanto in una pedissequa imitazione, quanto piuttosto nell’utilizzazione di identiche fonti anteriori, che evidentemente non sminuiscono l’importanza dei Gesta stessi, che pur rimarrebbero la prima attestazione giuntaci dei contenuti di queste opere. Dell’Anonimo non sappiamo nulla di nulla: sebbene attesti di essere autore di una testimonianza autoptica dei fatti, facendo di sé un narratore intradiegetico che spesso rileva il suo apporto agli eventi, non ci dice niente di sé, con una scelta di umiltà che ricorda quella degli anonimi artisti delle grandi opere scultoree ed architettoniche del Medioevo cristiano romanico e gotico. Tuttavia, dal ruolo che egli stesso si attribuisce nelle battaglie combattute alla fine di giugno del 1098, si evince che era vassallo di Boemondo di Taranto, e che veniva dall’Italia meridionale, forse dalla Puglia, significativamente – e impropriamente – indicata nell’opera come ultimo obiettivo dell’espansionismo islamico nel Mediterraneo. Dei fideles di Boemondo egli conosce infatti molti nomi, mentre ignora gli organigrammi delle truppe degli altri condottieri, specie del Nord. Con Boemondo ha marciato, poiché conosce bene solo il suo itinerario, e lo definisce con epiteti encomiastici, propri di una ispirazione epica celebrativa, che culmina nell’esplicita ammissione della sua qualifica – evidentemente giuridica –di dominus. Conformemente ai suoi natali, l’Anonimo ha un sentimento antibizantino più o meno marcato, e adopera un lessico latino tipico della cultura meridionale, mentre la descrizione dei luoghi “ultra montani” attesta una centralità dell’Italia nella sua mente sia in senso geografico che culturale. Sulla possibilità di una o più fonti anteriori cfr. J.FLORI, Faut-il rètrabiliter Pierre l’Eremite ? – Une rèvalutation des sources de la Première Croisade,“Cahiers de Civilisation Mèdièvale” 38 (1995), pp. 35-54, in particolare pp. 35 ss. Le edizioni più importanti sono quella di R.HILL, Londra 1962 (che si adopererà nel corso dello studio, e che d’ora in poi sarà citato solo come Gesta), di L.BRÈHIER, Histoire anonyme de la première Croisade, Parigi 1924, di S. DE CHAIR, The deeds of the Franks and other Jerusalemites, Londra 1945, di B.A.LEES, Oxford 1924, di H. HAGENMEYER, Heidelberg 1890, di P.LE BAS, in Recueil des Historiens des Croisades, voll. I-XVI, Parigi 1841-1906, Historiens Occidentaux, voll. I-V, Parigi 1844-1895, a cura dell’Accadémie des Inscriptions et Belles Lettres, vol. III, Parigi 1866, pp. 121-163. Per un commento si vedano H.OEHLÉR, Studien zur den “Gesta Francorum”, “Mittelalters Jahrbuch” 6 (1970), pp. 58-97; W.M. DALY, Christian Fraternity, the Crusaders and the security of Constantinople, “Medieval Studies” 22 (1960), pp. 42-68, in particolare p. 55, n.38; H.J.WITZEL, Le problème de l’auteur des Gesta Francorum et Aliorum Hierosolymitanorum, “Moyen Âge” 61 (1955); pp. 319-328; FLORI, Faut-il rètrabiliter, pp. 35 ss., M. DE COMBARIEU, La terre de repromission, in Terres Médiévales, a cura di B.RIBÈMONT, Parigi 1993; A. DUPRONT, Il Sacro- crociate e pellegrinaggi, linguaggi e immagini (ed. it.), Torino 1993, pp. 253-258; 262-269; 283-295; HILL, Gesta, pp. IX-XV. Poche voci in H.E.MAYER, Bibliographie zur Geschichte der Kreuzzüge, Hannover 1960, n. 1018.

(2) Cfr. Gesta, pp. 59-60.

(3) Sull’argomento cfr. S.RUNCIMAN, The Holy Lance found at Antioch, “AnBoll” 68 (1950), pp. 197-205.

(4) Gesta, pp. 67-68 (IX, 29).

(5) Gesta, p. 69 (IX, 29). Con stupore l’Anonimo annota: “Haec verba credenda sunt, quia plures ex nostri viderunt”. Il fervore era senz’altro genuino. A noi tuttavia non interessa la questione dell’autenticità della visione collettiva, che – qualora risultasse storicamente accaduta – non sarebbe spiegabile coi criteri della moderna psicanalisi, ma il suo significato culturale, la sua valenza simbolica.

(6) Gesta, p. 70 (IX, 29).

(7) sull’arg. E.KÖHLER, Ideal und Wirklichkeit in der höfischen epik, Francoforte 1956; ID., Esprit und arkadische Freihert – Aufsätze aus der Welt der Romania, Francoforte 1966.

(8) Gesta, pp..57-58 (IX, 23).

(9) Il sacro sonno fu dormito da molti illustri pellegrini in altrettanto illustri santuari, come per esempio l’imperatore Enrico II a Monte Sant’Angelo. Nella fenomenologia culturale del pellegrinaggio, alcuni santuari canonizzarono il sacro sonno come elemento costitutivo dell’atto devozionale (si pensi Lough Dergh in Irlanda, con la caverna legata alla memoria delle Anime Purganti). Cfr. V. e E. TURNER, Il pellegrinaggio, Lecce 1998, pp. 153-155. Nella Sacra Scrittura, poi, il pellegrinaggio dei fedeli, in tutte le fasi storiche della religione ebraica e del NT, è fittamente punteggiato dalle visioni oniriche: dai sogni di Abramo, alla Scala di Giacobbe, ai sogni con cui Dio ordinava, tramite il suo angelo, a San Giuseppe dove condurre la Sacra Famiglia. In un certo senso, è proprio la meta additata dal sogno a sacralizzare il viaggio.


Theorèin - Aprile 2003