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PIERRE TUDEBOUF E RAIMONDO DI AGILES
Anche nell'Historia de Hierosolimitano Itinere di Pierre Toudebouf, (1) appare il miraculum, essenzialmente come visione, tramite cui il Cielo guida l'impresa. Non a caso il Cristo, apparendo in sogno al sacerdote Stefano, gli dà istruzioni sulla penitenza che i guerrieri dovranno fare per ottenere il suo perdono, poiché, dopo la vittoria di Nicea, hanno deviato dalla retta via, e per questo si trovano ora in difficoltà presso Antiochia.
Le istruzioni sono peraltro qui molto più dettagliate di quelle dei Gesta.
Da esse vengono prescritte quelle celebrazioni liturgiche, elemosine e penitenze, che nei Gesta sembravano i segni del linguaggio simbolico parlato dai crociati con Dio spontaneamente, e che invece qui nell'Historia sono venute dall'alto.
Non più dunque i simboli dell'affermazione spontanea della propria identità, sia pure per effetto del rimorso, ma opere riparatrici reclamate da Dio stesso, che ne fissa spontaneamente il valore.
Peraltro, nella visione di Stefano, sempre Gesù afferma che "Ego mittam eis in adiutorium beatum Georgium et Theodorum, et Demetrium, et peregrinos qui ista via mortui fuerunt hierosolimitana". Come i guerrieri di Leone IX contro i Normanni nella Battaglia di Civitate, pure i crociati, da morti, si trasfigurano spiritualmente fino ad essere paragonati ai Santi, e svolgono funzioni patronali. Ne emerge una tendenza ad enfatizzare lo status dei crociati, ben al di là di quanto si legga nei documenti magisteriali o nei Gesta.
D'altro canto, questa praeexcellentia dei pellegrini crucesignati emerge già dal fatto che essi sono detti, come ricordavamo, di Cristo, Christi, ovviamente in senso pregnante. Tutti i pellegrini sono di Cristo, ma questi lo sono di più.
Ma la fonte più ricca di miracula è l'Historia Francorum qui ceperunt Hierusalem di Raimondo di Agiles. La sua Historia, divisa in quarantaquattro capitoli, dà largo spazio ai fenomeni soprannaturali, in particolare alle apparizioni; esse sono narrate con pignoleria e ricchezza di particolari, in quanto esse venivano ovviamente tenute in grande considerazione nell'entourage di Ademaro.
Tra l'altro, se non c'è da stupirsi del proliferare delle visioni nel corso di un'impresa così intrisa di religiosità, non bisogna credere che Raimondo le narrasse tutte, esaurendo il tema anche per gli altri cronisti, e trattandolo a scopo informativo.
Egli fa una chiara cernita per presentare l'impresa come continuamente sostenuta dall'alto.
Avendo poi egli scelto di raccontare dal punto di vista di Ademaro e Raimondo, di conseguenza predilesse quei fenomeni parapsicologici che, in un modo o nell'altro, facevano risaltare il loro ruolo.
Peraltro, essendo essi i condottieri designati dal papa, lo stretto rapporto tra le loro imprese e le visioni ben si addice al paradigma esodale del racconto, in quanto anche Mosè agiva illuminato continuamente da Dio, che gli si manifestava in teofanie.
In questo senso, a differenza dell'Anonimo e degli altri cronisti da lui dipendenti, che danno rilevanza alle imprese militari - cosa peraltro ovvia in un racconto di guerra - Raimondo rappresenta una corrente teologico-letteraria che vuole evidenziare anche i fatti miracolosi. In questo senso egli è più "medievale" degli altri storici, e appare come la "fonte sacerdotale" della Prima crociata, complementare a quella "militare", ma da essa diversa e distinta.
Infatti, tramite le visioni, l'autore compara di fatto le parole degli uomini con quelle di Dio, e fornisce così una chiave di lettura profondamente radicata nella cultura del tempo, in cui l'analisi della visione cercava di darsi addirittura una veste sistematica.
Si pensi, per esempio, ai due opuscoli di Otlone di Sant'Emmerano (1016-1070): il Liber Visionum e il Quomodo legendum sit in rebus visibilibus, che sviluppano l'argomento. Per esempio, con la prima apparizione di sant'Andrea a Pietro Bartolomeo - che rimarrà poi il veggente privilegiato dell'Apostolo - viene svelato il luogo dov'è nascosta la Santa Lancia, che svolgerà nell'impresa il ruolo dell'Arca dell'Alleanza, a causa dell'apporto miracoloso dato alla battaglia con la sua sola presenza. (6) La prima apparizione di Gesù stesso e della Madonna al sacerdote Stefano serve a sottolineare che Dio stesso combatte con i suoi nella crociata, e sottolinea che per avere la vittoria militare è indispensabile convertirsi, vincendo dapprima se stessi. (7) La seconda apparizione di sant'Andrea conferma quanto detto nella prima, e ha in appendice la descrizione dell'esame a cui fu sottoposto Pietro Bartolomeo, da parte di un gruppo di chierici - tra cui lo stesso Raimondo di Agiles - per appurare la fondatezza di quanto raccontava. (8) L'apparizione riproponeva il tema della militia Petri, combattuta, per amore di Cristo, in una terra appartenente al Principe degli Apostoli: Antiochia.
In questo modo l'idea di una guerra per san Pietro diviene un momento di una più vasta lotta per Cristo stesso, e così la crociata recupera i progetti guerreschi di Gregorio VII, che per primo parlò di una militia Petri.
L'attestazione degli iura B.Petri, fatta da un altro Apostolo, viene poi inserita nel quadro della realizzazione escatologica del Regno, promesso da Gesù ai suoi prima della sua Ascensione, Tra l'altro, il Regnum, che negli Atti è di Israele, qui è diventato Christianorum, con un salto che non fa differenza per i crociati e la loro mentalità.
Vi è poi l'apparizione di Ademaro di Le Puy, ormai morto, sempre al solito Pietro Bartolomeo; essa pone l'accento sulla fede che bisogna avere in questi stessi prodigi, in particolare sul ritrovamento della Santa Lancia. La terza visione di sant'Andrea serve invece a confermare l'autenticità delle reliquie dell'Apostolo stesso, ritrovate in Antiochia. (11) L'apparizione successiva vede invece abbinati Andrea e Pietro, e ha sempre nel Bartolomeo il veggente privilegiato: ancora una volta si ribadisce il ruolo bellico della Santa Lancia. (12) Sarà poi Gesù stesso, coi due Apostoli, a fornire insegnamenti e precetti etici e rituali per proseguire la lotta, fino alla presa di Gerusalemme. (13) Con le visioni successive entrano in campo altri veggenti: san Marco appare al prete Ebrardo, (14) e anche lui si dilunga sulla Lancia, mentre la Vergine Maria, assieme ad Ademaro di le Puy, compare al sacerdote Stefano, (15) e si ritaglia, coi suoi interventi a favore dei crociati, un ruolo bellico, ancora connesso alla reliquia, ma che avrà un gran futuro su tutti gli scacchieri delle crociate medievali e non solo. Infine, sant'Andrea appare una quarta volta, (16) a Pietro Desiderio, e garantisce la conquista di tutti i territori dal "fiume d'Egitto" all'Eufrate: sono i confini biblici del Grande Israele sempre sognato nell'AT e mai realizzatosi. (17) Raimondo, che dichiara di non aver narrato tutte le apparizioni, ha dunque fatto un resoconto che sostenesse l'architettura ideologica del suo scritto.
Il confronto tra visioni e parole, tutt'altro che superfluo per la natura simbolica dei fenomeni parapsicologici, apre peraltro uno squarcio ampio sul modo in cui la crociata era concepita dai fedeli: l'accento fortissimo posto sulla fede nelle reliquie fa capire che essi avevano una devozione confinante con la superstizione.
D'altro canto questo significa che l'idea crociata assumeva, nella mente dei hierosolimytani, sfumature di significato diverse da quelle del clero di Clermont, e registrate da Raimondo.
Per essi, l'iter non è solo una imitazione di Cristo, una riedizione dell'Esodo, ma è - peraltro come tutti i pellegrinaggi popolari - una ricerca del miracoloso, un viaggio verso i mirabilia Dei.
Essi, si badi, avevano la loro ragione di esistere nel mondo religioso, come l'hanno oggi, ma - come sempre - prendevano il posto dei valori di fondo di penitenza e devozione.
Ma ciò vuol dire anche un'altra cosa: siccome questo spirito era condiviso anche dal clero della crociata, e sopravvisse fino a fissarsi per iscritto, senza veruna obiezione, allora bisogna supporre che tutta la Chiesa andò via via abbandonando la sobrietà dell'ideale di papa Urbano, e sviluppò gli elementi di esaltazione presenti sin dall'inizio nell'impresa.
E così le parole d'ordine della crociata, nell'uso fattone dal popolo, tornano, mutate di significato, alle labbra di chi le ha forgiate, e costoro accettano di pronunziarle, con il nuovo senso, senza nemmeno forse accorgersi della mutazione avvenuta.
E' una bella dimostrazione della pluralità di livelli di senso in un solo significato, e dell'interazione tra linguaggio scritto comune e linguaggio simbolico della psicologia collettiva. Tra l'altro, è degno di nota che, proprio per la vena di superstizione che le attraversa - volendo spingere i cristiani ad una fede teologale nell'autenticità della reliquia - alcune di queste visioni sono potenzialmente eterodosse, ma nonostante tutto poterono esercitare una duratura influenza su tutta la spiritualità crociata, sia perché questi fenomeni erano comuni nella pietà popolare (i Santi dei luoghi di pellegrinaggio, o quelli protagonisti di agiofanie e prodigi erano piuttosto severi con gli scettici, almeno secondo i racconti dei loro agiografi), sia perché la stessa Chiesa era piuttosto larga di giudizio in materia, (19) sebbene l'epoca fosse piena di illustri veggenti, e ancora ne avrebbe visti sorgere di più celebri, tenuti in gran conto anche dai prelati. Inoltre, restando in tema di pluralismo di codici linguistici ed identità di significato, bisogna rilevare che le apparizioni e il loro resoconto gettano un ponte anche verso il linguaggio iconico, e sull'importanza di esso per la precomprensione della crociata nella massa. Non a caso i veggenti riconoscono coloro che appaiono, proprio perché hanno l'aspetto tipico delle raffigurazioni artistiche. Quando Gesù appare, è riconosciuto non per i tratti del volto - che nell'iconografia medievale erano stereotipati e poco realistici - ma per la Croce sul capo. E' lui stesso che sollecita il riconoscimento a partire da questo particolare. (20) Le raffigurazioni dei temi biblici e celesti, evocati dal racconto sia per immagini come questa che per termini, sono un mezzo simbolico utilissimo per la divulgazione, ma anche per il rimaneggiamento dei fatti.
La maggioranza dei fedeli, specie laici, anche se in grado di leggere e scrivere, conoscevano la storia sacra, a cui la crociata pretendeva di rifarsi, soprattutto attraverso le raffigurazioni artistiche.
Spesso, anche coloro che avevano dimestichezza con la Scrittura erano influenzati dalle immagini che ne raffiguravano le storie: del resto, la stragrande maggioranza delle Bibbie erano miniate.
L'Esodo, i luoghi della Terra Santa, Gerusalemme, il Santo Sepolcro, e ancora di più tutti i fatti ivi accaduti, erano per i più proprio la loro raffigurazione pittorica o scultorea. In ragione di ciò, certi modelli, ripresi nella crociata e fissati dal lessico o dal simbolismo in genere, siccome erano già da prima espressi in un codice figurativo preciso, venivano uniformemente interpretati e recepiti dai fedeli.
Tutt'altro che estrinseca al processo di attuazione della restaurazione cristiana in Oriente,
[1]
Pietro Tudebouf, sacerdote di Sivrai (Poitiers), scrisse la storia della Prima crociata, la Historia de Hierosolymitano Itinere, probabilmente dopo il
1111. Di lui sappiamo poco. Possiamo congetturare che all’inizio facesse parte dell’esercito di Ugo di Vermandois, che però fu costretto ad abbandonare
quando questi, sbarcando a Durazzo prematuramente, fu catturato dai Bizantini. Probabilmente in quelle circostanze passò al seguito di Boemondo di Taranto,
appena entrato nella spedizione, e con lui giunse a Costantinopoli il 17 aprile 1097. Con Pietro partecipavano alla spedizione anche due suoi fratelli, Arveo e
Arnaldo, e le pochissime notizie certe che lo riguardano e che noi conosciamo vengono indicate da lui stesso nella sua narrazione. La sua origine traspare
anche dall’accorta menzione del ruolo dei crociati di Poitiers nella battaglia di Antiochia del 28 giugno 1098. La sua opera storica è stata erroneamente
ritenuta per secoli la più antica fonte sulla Prima crociata, mentre essa in realtà è fortemente debitrice ai Gesta Francorum, dei quali ricalca lo
schema narrativo e persino le espressioni, con una imitazione pressochè pedissequa e continua, pur arricchendone a sprazzi la materia, con episodi
inediti. Probabilmente, all’Historia e ai Gesta preesistettero una o più fonti, a cui entrambe le opere poterono attingere, almeno in
relazione ai fatti narrati. In ogni caso, considerando la schematicità delle relazioni esistenti tra le due opere, Pietro Tudebouf dovette necessariamente
comporre la sua avendo sotto gli occhi sempre quella dell’Anonimo. Lo stile è piuttosto sciatto, pieno di solecismi, rozzo e rude, e anche in questo Tudebouf
non si discosta dai Gesta, pur migliorandoli un po’. Con questo autore,la narrazione diviene appannaggio di un chierico, anche se di cultura e
ingegno mediocri. Ciò implica una modificazione di visuale rispetto all’Anonimo. Sebbene anch’egli testimone oculare, per forza di cose dovette
avere un ruolo più defilato rispetto al guerriero autore dei Gesta: le sue emozioni, il suo coinvolgimento nell’impresa, in cui la lotta armata fu
centrale, furono differenti e inferiori. La storia di Tudebouf è così pervasa di più della religiosità contemplativa di chi ha vissuto passivamente
l’impresa, di chi ha assistito al suo svolgersi. Sull’Historia di Pietro Tudebouf la bibliografia non è molto ricca. L’edizione più importante
rimane quella della PL CLV, accanto a quella della RHC Occ III, 1-117. Per la trattazione critica, cfr. la praefatio della PL CLV, coll. 757-764; HILL, Gesta, pp. IX-XI; FLORI, Faut-il rètrabiliter, pp. 35 ss. Cfr. anche A.C. KREY, The First Crusade, account of
eye-witness, Princetown 1922.
[2] PL CLV, 795 C (IV). [3] Cfr. Vita Leonis, ed. A.PONCELET, in Vie et miracles du Pape S.Léon, « AnBoll » 25 (1906), pp. 58-296, in particolare p. 286ss, 289ss, 294; BRUNO DI SEGNI, Libellus de Symoniacis, ed. E.DÜMMLER e a., in MGH LibLit, II pp. 546 – 562, in partic. 550ss; De piscopis Eichstetentibus, c.37, ed. L.C.BETHMANN, MGH SS VII, Hannover 1846, pp. 254-267, in particolare p. 265; BONIZONE DI SUTRI, Liber ad Amicum ed. E. DÜMMLER, pp.589, 620. [4] PL CLV, 591-668. Altra ed. in RHC Occ III, 235-309. Su Raimondo si possono consultare, oltre al Monitum che precede l’Historia nell’edizione del Migne (col. 592), anche FLORI, Faut-il rétrabiliter, p. 35 ss.; HILL, Gesta, pp. IX-X; E.ROTTER, Embricho von Mainz und das Mohammed – Bild seiner zeit, in Auslandsbeziehungen unter der Salischen Kaisern. Referate und Ausprachen der Arbertstagung vom 22-24 november 1990 in Speyer, a cura di F.STAAB, Speyer 1994, pp. 69-136 (riguarda la vita di Maometto, ma tocca pure gli storici della crociata); N.IORGA, Les narrateurs de la Prèmiere Croisade, “Rèvue Historique du Sud-Est europèen” 5 (1928), pp. 207-209; R.HIESTAND, Der Kreuzzug – Ein Traum ?, in Traum und Träumen. Inahalt, darstellung, funktionen einer lebens enfahrung in Mittelalter und Renaissance, a cura di R.HIESTAND, Düsseldorf 1994, pp. 153-185. [5] PL CXLVI, Parigi 1884, coll. 341-386. [6] PL CLV, 610 B-612 C (XIV). [7] PL CLV, 612 C-614 B (XV). [8] PL CLV, 614 C-616 B (XVI). [9] At 1,6-8. [10] PL CLV, 619 A-621 D (XVIII). [11] PL CLV, 621 D- 623 C (XIX). [12]
PL CLV, 625 C- 628 B (XXII).
[13]
PL CLV, 636 D – 639 A (XXVII).
[14]
PL CLV, 639 B- 641 D (XXVIII).
[15]
PL CLV, 645 A- 646 A (XXX).
[16]
PL CLV, 647 D –648 B (XXXII).
[17]
Gn
15, 18.
[19]
Le prime normative disciplinari in materia, che riservarono alla Curia Romana la decisione finale sull’autenticità delle apparizioni, risalgono al Concilio
Lateranense V (1516). Sulla spiritualità crociata cfr. A.DUPRONT, La spiritualità des croisés et des pélerins d’apres les sources de la première
Croisade, in Pellegrinaggi e culto dei Santi in Europa fino alla Prima crociata – IV Convegno del Centro di Studi sulla Spiritualità Medievale di Todi, 8–11 ottobre 1961, Todi 1963, pp. 451-483.
[20]
Cfr. PL CLV, 613 A. E’ un fatto narrato anche nei passi paralleli dei Gesta e di Tudebouf.
[21]
La civiltà latino-crociata ristrutturò quasi tutti i grandi templi della Palestina, e alcuni di essi non solo furono dei capolavori – come la chiesa di Sant’Anna in Gerusalemme- o furono segnati in modo definitivo, perdendo la fisionomia precedente – come la basilica del Santo Sepolcro, o Santa Maria di
Giosafat, o le moschee di Omar e della Roccia- ma rivelano un influsso fortissimo dell’arte dei Paesi europei (certa architettura provenzale e del Midi è diffusa più in Terra Santa che altrove). Cfr. E. MÂLE, L’art religieux du XIIe siècle en France, Parigi 19222.
Sui monumenti citati cfr. D.METZGER-H.METZGER, Viaggio in Terra Santa, in Il Grande Atlante della Bibbia, a cura di G.RAVASI, Milano 1986 (ed. or.: An Illustrated Guide to the Holy Land, in Atlas of the Bible, a cura di H.T.FRANK, New York 1981), pp. 244-292, in particolare pp. 271. 276-278. Questa commistione di arte lungo un percorso di pellegrinaggio, sia pur guerriero, non è una novità, ma diviene qui ancor più significativa. Sull’argomento cfr. R.STOPANI, Le strade per Gerusalemme, Firenze 1991; H.FOCILLON, Arte d’Occidente, Torino 1963, pp. 5-13. In quello che fu il vuoto catechetico del Medioevo, la presenza ragionata di simboli biblico-crociati costituiva un
insegnamento etico e teologico insostituibile. Ma questo era possibile perché la parola scritta aveva attribuito all’impresa uno status che l’arte figurativa rendeva riconoscibile all’immaginazione collettiva.
Theorèin - Maggio 2003 |