LE “STORIE” DI GIOVANNI CANTACUZENO:
CARATTERI DI UN’OPERA A CONFINE TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
A cura di: Eugenia Toni
Entra nella sezione STORIA

Se vuoi comunicare con Eugenia Toni: eugenia.toni@gmail.com

Introduzione

Alla morte dell’imperatore Giovanni VI Cantacuzeno (1295-1383) l’impero di Bisanzio era incuneato tra gli emirati anatolici ad est, l’espansione serba a Nord-ovest, ed il controllo dell’area occidentale detenuto dal commercio italiano di Venezia e Genova. All’interno, da tempo si facevano strada tre tendenze diverse: l’idea di una confederazione feudale, l’apertura all’esperienza comunale, la conservazione di una monarchia nazionale. Le continue invasioni barbariche, le guerre civili e le pesanti tasse che di conseguenza gravarono sulla popolazione, aggravarono la condizione di povertà e di miseria dell’impero. Inoltre, l’assegnazione di privilegi commerciali alle città italiane destabilizzò l’economia pubblica bizantina. Intorno alla metà del XIV secolo, mentre le entrate doganali a Costantinopoli erano state di circa 30.000 solidi, quelle della sola colonia genovese di Galata salirono a circa 200.000 solidi. Già nel 1321 vi era stata una crescita generale delle tasse allo scopo di pagare il tributo ai Turchi ed impedire le loro devastazioni nel paese, con l’unico risultato di accrescere le loro richieste senza fermarne le incursioni. Benché le dimensioni territoriali dell’impero romano fossero ridotte, le entrate pubbliche pagate al tesoro imperiale erano cresciute di 100.000 solidi. Il tributo pagato ai Turchi rappresentava il fardello finanziario più pesante dell’impero, ed era principalmente soddisfatto dalle classi più povere e dai piccoli proprietari terrieri: questo è il motivo per cui le guerre civili che infiammarono l’età dei Paleologi, e in particolare quelle che videro protagonista l’ascesa dell’usurpatore Cantacuzeno, assunsero l’aspetto di una lotta sociale (1).

Giovanni Cantacuzeno, è forse la personalità più spiccata che ci presenta la Bisanzio del XIV secolo. “Straordinariamente intelligente, meravigliosamente complesso e diverso, pieno di contrasti, quest’uomo univa ad ardenti ambizioni un disprezzo un po’affettato per la grandezza, ad un’assenza totale di scrupoli congiungeva una cura sincera delle cose della religione, e ad un desiderio mistico di rinuncia, la preoccupazione di lasciare ai posteri nelle sue memorie un ritratto lusinghiero di sé: fu, insomma, uno stupendo esemplare di quegli imperatori bizantini nei quali tutto, il bene come il male, è spinto all’estremo, e nei quali, troppo spesso, il carattere non è all’altezza dell’ingegno…” (2)

Solitamente gli storici ritengono responsabile il Cantacuzeno del primo insediamento dei Turchi nella penisola balcanica. Egli li chiamò in aiuto durante la guerra civile contro il legittimo imperatore Giovanni V Paleologo. Giusto è ridimensionare tale accusa che vorrebbe il Nostro unico capro espiatorio nonché causa degli eventi che furono fatali e per Costantinopoli e per l’Europa. In realtà, la causa principale è da ricercarsi nella reale posizione di Bisanzio in relazione alla situazione politica della penisola balcanica, dove, in realtà, non c’erano degli ostacoli veri e propri che potessero opporsi e contrastare l’inarrestabile attacco dei Turchi ad Ovest. Se Cantacuzeno non li avesse chiamati, sarebbero arrivati in ogni caso. “Con le loro continue incursioni”, nota Vasiliev, “i Turchi aprirono la strada alla conquista della Tracia, e inoltre, le condizioni misere del mondo greco-slavo avevano contribuito enormemente al successo e all’impunità delle loro invasioni. I leaders politici dei vari stati non avevano nessuna idea del pericolo che costituivano i Turchi ma, al contrario, tutti miravano a raggiungere un compromesso con essi. Cantacuzeno chiaramente non faceva eccezione e, come questi, i Veneziani e i Genovesi, quali difensori della cristianità contro l’Islam, erano accarezzati dall’idea di un’alleanza con i Turchi. Il grande zar dei Serbi, Stefano Dušan, cercò di fare lo stesso, ma senza risultato, in quanto, come vedremo, venne preceduto dal Cantacuzeno che si affrettò a stipulare un’alleanza con Orchān.”(3) Quello che interessa ora è deresponsabilizzare il Nostro da tale accusa, e restituire al personaggio la sua reale funzione storica. A sua discolpa ci torna utile citare, seppure in senso ampio, lo storico Polibio di Megalopoli (III a.C-124 a.C) e la sua teoria dell’ άνακύκλωσις: l’andamento ciclico delle forme di governo è conseguenza diretta del principio di decadenza insito in ciascuna di esse, lo stesso che investe ogni prodotto dell’uomo. Polibio raffronta la parabola di una costituzione col ciclo biologico degli esseri viventi, che vede la nascita, lo sviluppo, il raggiungimento della piena maturità, il declino e la morte (4). Allo stesso modo, possiamo constatare che l’impero bizantino, nel periodo storico esaminato, aveva compiuto la sua parabola esistenziale e si avviava naturalmente al declino, ragion per cui, quale corpo politico in decadenza, era debole e meno pronto a contrastare le invasioni dei “barbari” che, come un virus, attaccavano il corpo debole e malato dell’impero (5).

Nella Storia di Cantacuzeno, i Turchi, che professavano un’altra religione e arrivarono a minacciare l’impero sono definiti “barbari” alla pari dei popoli slavi della penisola balcanica, che pure condividono la stessa religione coi bizantini. Tuttavia, per quanto riguarda la religione, gli occidentali sono più lontani dai Bizantini rispetto alle stesse popolazioni slave, eppure Cantacuzeno non li definisce mai “barbari”. C’è una spiegazione: “barbari” sono prima di tutto coloro che non hanno regole di vita e non hanno leggi. Come i bizantini, gli occidentali hanno paideia e politeia, cioè hanno un certo regime sia di vita che politico (6). Il termine politeia, usato nel senso che intendeva Aristotele, quando parlava della politeia degli Ateniesi, è impiegato dal Cantacuzeno una sola volta, soprattutto per designare la costituzione della repubblica genovese (7). Allo stesso modo, nella Storia, vengono utilizzate le espressioni antitetiche Romei-Barbari ed Elleni-Barbari, benché si abbia l’impressione che il termine “Romei” venga spesso rimpiazzato da “Elleni”. L’uso del primo termine evidenzia la persistenza dell’ideologia imperiale romana che domina nella Bisanzio del XIV secolo, nonché legittima le pretese bizantine sulle regioni occidentali della penisola balcanica, con l’argomento che queste regioni erano appartenute in altri tempi a Giulio Cesare. Il secondo termine si sofferma invece sull’aspetto propriamente etnico, tanto che la lingua greca dei Bizantini non è nominata dal Cantacuzeno ῥωμαϊστί ma ἑλληνιστί (8). Un altro importante elemento è dato dalle denominazioni dello stato bizantino utilizzate dal Cantacuzeno. Le definizioni più frequenti sono: ἡ βασιλεία Ῥωμαίων; ἡ Ῥωμαίων ἡγεμονία; ἡ Ῥωμαίων α̉ρχή; non meno significativa è la presenza di τὰ Ῥωμαίων (πράγματα); più raramente s’incontra τὸ (πᾶν) Ῥωμαϊκόν (9). Questa terminologia s’inserisce nell’orbita della definizione tradizionale dello stato bizantino. Ognuna di queste formule racchiude due elementi: l’uno comune, l’altro proprio. L’elemento comune definisce lo statuto politico dell’impero bizantino, sia in modo preciso (βασιλεία), che in maniera generica (ἡγεμονία, ἀρχή), talora utilizzando un’espressione più ampia e globale che abitualmente s’incontra negli autori bizantini, vale a dire quella che concerne le “cose” dei Romei nella loro totalità. L’elemento proprio definisce l’essenza romana. Il termine Ῥωμαĩοι non specifica né una realtà etnica né una realtà geografica, ha invece un valore politico che indica la persistenza della tradizione romana a Bisanzio, in cui inoltre vi era l’idea che l’impero bizantino non fosse altro che lo stesso impero romano cristianizzato (10).

Il periodo storico in questione fotografa il lento declino economico e politico dell’impero bizantino e apparentemente sembra impossibile come, soprattutto Costantinopoli, fosse il centro di un fermento artistico e culturale che pareva sorprendentemente eguagliare l’umanesimo italiano. Il movimento degli Esicasti (11) lasciò una traccia indelebile nella letteratura dogmatica, mistica e polemica, e a questo fermento culturale seguiva una rinascita artistica, in special modo nei centri di Mistrà e Tessalonica (12). In poche parole, parafrasando Brecht, secondo cui l’Atene di Pericle, essendo al culmine della sua potenza, era sull’estremo orlo dell’abisso(13), analogamente, a Bisanzio, nel periodo della sua decadenza, alla vigilia della sua rovina definitiva, l’ellenismo sembrava raccogliere tutta la forza e la vitalità della cultura classica e riunire la sua energia intellettuale per lanciare il suo ultimo splendore.


1 P. CHARANIS, Internal Strife in Byzantium during the Fourteenth century, in «Byzantion», XV (1940-1941), pp. 208-230, in particolare pp. 224-225 (da ora sigl. Byz).

2 C. DIEHL, I grandi problemi della storia bizantina, Bari 1957, p. 220.

3 A. A. VASILIEV, Foreign Policy, in History of the Byzantine Empire II, Madison 1971, pp. 623-624.

4 MONACO-CASERTANO-NUZZO, L’attività letteraria nell’antica Grecia, ed. Palumbo, Firenze 1992, p. 634.

5 Contrastiamo in questo modo la concezione storiografica diffusa secondo cui la storia dell’impero bizantino si configura esclusivamente come un millennio di decadenza, presente in : E. GIBBON, The History of the decline and fall of the Roman Empire, a cura di J. B. Bury, London 1923.

6 T. TEOTEOI, La conception de Jean VI Cantacuzène sur l’état byzantin vue principalement à la lumière de son Histoire, in «Revue des études Sud-Est européennes», 13 (1975), Academici Republicii Socialisti Romania, Bucarest, pp. 167-185, in particolare pp. 179-180.

7 CANTACUZENO, III, p. 235.

8 CANTACUZENO, I, p. 471; II, p. 520; III, p. 164.

9 Data la frequenza delle prime quattro denominazioni, non citiamo le pagine in cui esse si trovano. Menzioniamo solamente i luoghi in cui si rilevano le definizioni che compaiono più raramente: Idem, I, p. 422 (τὸ Ῥωμαϊκόν); II, p. 163 (τὸ πᾶν Ῥωμαϊκοῦ) e p. 177 (πᾶν τὸ Ῥωμαϊκόν).

10 TEOTEOI, La position mondiale de l’état byzantin, in La conception de Jean Cantacuzène sur l’état byzantin cit., pp. 172-173.

11 Per la definizione e i caratteri dell’Esicasmo vedere il capitolo IV.

12 VASILIEV, Literatur, Learning, and Art, in History of the Byzantine Empire cit., p. 687.

13 MONACO-CASERTANO-NUZZO, L’attività letteraria nell’antica Grecia cit., p. 415.


Theorèin - Settembre 2010