Sarebbe imbarazzante dover scegliere tra l’autoritratto di Cantacuzeno e l’opposta versione che invece ci lascia il Gregora, senza tralasciare i motivi personali di quest’ultimo, che di certo non aiutano a ripristinare con obbiettività la figura del Cantacuzeno storico. L’analisi di questo capitolo è finalizzata alla ricostruzione del Cantacuzeno letterario: la coerenza dell’immagine dell’eroe nella Storia è prima di tutto interessata a fornire una coerenza artistica. Inoltre, l’interesse della storiografia moderna e contemporanea presa in visione, si focalizza e attinge informazioni per la ricostruzione degli avvenimenti in questione, come sulle cause che li determinano, proprio dalla Storia del Cantacuzeno il quale, seppure attore e protagonista indiscusso della scena politica, ci dà un’immagine del secolo, per quanto “coerente”, filtrata dalla soggettività di chi è conscio di lasciare ai posteri un documento a cui affida la memoria di sé. L’indagine critica, per quanto scarsi siano gli studi finalizzati alla conoscenza di un settore storico, seppure di grande interesse, allargandosi allo studio dei contemporanei del Cantacuzeno, tra cui Gregora, in precedenza evidenziato, non riesce a trascendere l’opinabilità dei singoli e la loro volontà artistica, rimanendo ancorata alla traduzione del pensiero cosciente dell’autore (o degli autori), identificato nel piano letterale dell’opera, e risultando nel contempo deficitata dalla mancanza di un’edizione critica della Storia del Cantacuzeno.
Allo stesso tempo, come nota il Kazhdan, tutt’ora non esiste un Lexicon Cantacuzianum, volto ad analizzare il piano lessicale dell’opera in relazione al suo contenuto, e capace di dare una valutazione quantitativa della frequenza di alcuni gruppi lessicali, legati a delle emozioni affettive e a delle rappresentazioni etiche particolari. Prova invece a dimostrare che sul piano lessicale si scoprono dei temi radicalmente differenti da ciò che s’incontra al livello del contenuto: ai temi etici fondamentali apertamente formulati si oppone un ricco materiale lessicale che costituisce uno sfondo anti-tematico
(72).
Ad esempio, l’onestà disinteressata, che costituisce uno dei temi principali dell’etica cantacuzeniana, sul piano lessicale è contraddetto da quello del profitto, come testimonia la frequenza del termine κέρδος. In un altro passaggio si legge che spendere denaro per lo Stato romano costituisce un piacere più alto di tutte le specie di profitto
(73). La sete di guadagno (ἐπιθυμία κέρδους) è un fattore importante dell’attività umana
(74), al quale Cantacuzeno si affretta ad opporre la preoccupazione del bene comune
(75).
Anche la guerra fu portatrice di profitti
(76) ed i saccheggi apportarono grandi benefici
(77).
Cantacuzeno sembra valutare costantemente le azioni umane in funzione del profitto che esse procurano: “Essi avevano l’audacia di tentare le azioni più orribili per un guadagno insignificante”
(78); “Non bisogna correre un rischio per un basso profitto (ἐπὶ κέρδει οὐδενὶ)
(79).
Il suo rapporto con questa formula è significativo quando egli racconta di come Dušan pretese, in cambio dell’aiuto, le citta di Christoupolis e Tessalonica: i Serbi non intendevano spendere del denaro e correre dei rischi (ἐπ̉ οὐδενὶ κέρδει)
(80), ed egli fa notare quanto fosse giusto esporsi a delle spese e a dei sacrifici, allo scopo di trarre vantaggio dall’appoggio di Dušan
(81).
Il termine κέρδος acquista a volte un alto valore etico: morire per il bene dei cristiani è il più alto dei profitti
(82); lo stesso Cantacuzeno non si aspetta dalla guerra alcun profitto se non liberare l’impero romano dai suoi nemici, e questo è considerato come il più alto dei vantaggi
(83).
Analogamente s’incontra ancora più spesso il verbo λυσιτελε̃ιν, che significa “essere avvantaggiati”, ed assume una sfumatura positiva nelle formule come “essere utili a Dio”
(84); e nelle frequentissime: δίκαιον καί λυσιτελές, “equamente ed utilmente”; λυσιτελές καί χρήσιμον, “utilmente e vantaggiosamente”; πρὸς σωτηρίαν καί λυσιτέλειαν τῆς ἀρχῆς, “per la salute e il bene dello Stato”.
La sinonimia evidenziata fra le nozioni di profitto e di utilità, come l’impiego particolarmente frequente dei termini che li designano, mostrano che Cantacuzeno sul piano del contenuto rileva costantemente il disinteressamento e l’abnegazione del suo personaggio, mentre sviluppa sul piano lessicale (si potrebbe dire inconscio?) le antitesi del disinteressamento.
In una lettera inviata ad Alessio Apocauco nel 1343, il denaro è evocato cinque volte nello spazio di una pagina: “enormi spese di denaro”
(85); “necessità di grandi spese di denaro”
(86); “borse vuote di denaro”
(87); “…che esigevano del denaro”
(88); “i regali e il denaro”
(89).
All’epoca della sua fuga in Serbia, Cantacuzeno si trovò in gravi difficoltà economiche, in quanto non riusciva a ricevere il denaro da Didimoteico, o a prenderlo in prestito dai Serbi
(90). Anna di Savoia non potè, per mancanza di denaro, difendere Chio contro i Genovesi nel 1346
(91). Al contrario Dušan spese generosamente per trascinare Tessalonica dalla sua parte
(92).
Per ottenere il sostegno dei Turchi occorreva del denaro. Cantacuzeno non ne aveva, ma li convinse con la promessa di un pagamento futuro
(93).
Infine, gli avversari di Cantacuzeno scialacquavano per cause inutili le loro risorse e quelle dello Stato
(94), ed Apocauco era portato a spendere tutto per fare la guerra a Cantacuzeno
(95).
Benché l’autore dichiari che il bene dei Romani sia più prezioso del denaro
(96), è chiaro come la sua preoccupazione permanente di χρήματα sia in contraddizione con l’immagine dell’eroe disinteressato.
Allo stesso modo il tema cosciente della fermezza d’animo è contraddetto dal vocabolario costituito da termini antitetici.
La paura, il timore, l’angoscia ed il sospetto, sono queste le emozioni che determinano lo stato d’animo dei personaggi della Storia, e sono minuziosamente descritte dal Cantacuzeno.
I cospiratori che complottavano contro il Cantacuzeno erano torturati da una grande paura (δέος οὐκ ỏλίγον), ed immaginavano i peggiori pericoli
(97). Un militare fu fatto prigioniero da Cantacuzeno: era tormentato da una grande paura (δέος οὐκ μικρὸν), e si vedeva già morto85. A causa delle persecuzioni delle quali i partigiani di Cantacuzeno erano oggetto, la paura (φόβος) s’impossessò dei Romani, a tal punto che non osavano più fidarsi delle persone che erano loro vicine, temendone la delazione
(98).
L’impiego di termini che hanno senso opposto, quali l’aver coraggio (θαρρεῖν) e i suoi derivati: audacia (τόλμα), coraggio (ἀνδρία), e franchezza di linguaggio (παρρησία), non possono cancellare la presenza di questa componente emozionale della Storia.
72 KAZHDAN, L’Histoire de Cantacuzène cit.,
p. 294.
73 CANTACUZENO, II, p. 68, 10-11.
74 Idem, II, p. 234, 18; p. 387, 2; p. 556, 1.
75 Idem, II, p. 59, 10-12.
76 Idem, II, p. 470,
77. CANTACUZENO, III, p. 347, 12.
78 Idem, III, p. 359, 16-17.
79 Idem, I, p. 343, 7; p. 414, 16; III, p. 343, 23.
80 Idem, II, p. 264, 14-16.
77 Idem, II, p. 265, 2-4.
78 Idem, III, p. 57, 21.
79 Idem, II, p. 240, 21-24; KAZHDAN, L’Histoire de Cantacuzène cit., p. 296: oltre al termine κέρδος, Cantacuzeno utilizza anche i suoi derivati κερδαίνω, κερδαλέος e ἀκερδὴς.
80 CANTACUZENO, II, p. 336, 22-23.
81 CANTACUZENO, II, p. 365, 6-7.
82 Idem, II, p. 365, 21.
83 Idem, II, p. 366, 4.
84 Idem, II, p. 366, 6-7.
85 Idem, II, p. 366, 9.
86 Idem, II, p. 350, 5-16.
87 Idem, II, p. 583, 18-19.
88 Idem, III, p. 109, 20-21.
89 Idem, II, p. 425, 1-12.
90 Idem, II, p. 32, 2-4.
91 Idem, II, p. 107, 20-22; III, p. 154, 20.
92 Idem, II, p. 266, 11-12; p. 270, 12-23; p. 272, 18-21.
93 Idem, II, p. 400, 20-21.
94 Idem, II, p. 538, 18-19.
95 CANTACUZENO, III, p. 187, 19-21.
96 Idem, II, p. 127, 12-13.
97 Idem, II, p. 216, 19-21.
98 Idem, II, p. 299, 8-10.
Theorèin - Dicembre 2010 |