LA TEOLOGIA CRISTIANA. APPUNTI PER UN CORSO SISTEMATICO

A cura di: Vito Sibilio
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L’introduzione razionale alla Religione

Contro Pascal io dico: il Dio dei filosofi
e quello della Bibbia sono lo stesso Dio
Paul Tillich

ALLA RICERCA DI DIO

In un angolo sperduto dell’Universo, ai margini di una delle tante galassie che scivolano lontane le une dalle altre lungo i percorsi dell’infinito, un piccolo pianeta di acque e terre ruota incessantemente attorno alla sua stella, alla quale deve il dono della vita. Questo pianeta è la Terra; su di esso, come ultimo capitolo di una storia biologica relativamente recente, è comparso l’unico essere vivente senziente che ci sia noto. Questo essere è l’uomo, e fino ad oggi egli non ha trovato altre forme di vita analoghe nello spazio che lo circonda. E’ dunque rimasto solo ad interrogarsi e a darsi risposte su alcuni temi, che lo differenziano da tutti gli altri viventi, e che egli è solito denominare “culturali”, e in particolare “filosofici”, convinto com’è che la conoscenza degli immensi misteri che lo circondano, lo pervadono e lo costituiscono sia in fondo l’unico vero scopo e senso della sua esistenza. Su tutte queste domande svettano due che sono le più importanti di tutte: se una parte di lui gli sopravviva dopo il suo morire – per cui non sia fatto solo di materia organica, ma anche di una sostanza radicalmente altra, chiamata spirito – e soprattutto se al di sopra di tutto ciò che lui stesso conosce, esista un’altra forma di vita, la più alta di tutte, che rompa il suo isolamento esistenziale, che dia fondamento e giustificazione, oltre che causa e fine, al suo stesso esistere, e conferisca senso e significato ad ogni realtà. Ossia si domanda se esiste colui che chiamiamo Dio. Un essere che, antiteticamente a tutti gli altri, non abbia limiti di potenza, di conoscenza, di tempo, di spazio, di mutabilità o di difetto alcuno; un essere che non possa ricondursi ad alcuna definizione, perché ricchezza assoluta e infinita; un essere che per forza di cose regga e fondi sul suo stesso volere ogni realtà, principio e verità; un essere che, svettando su ogni forma di vita, sia la vita egli stesso, e quindi eminentemente personale, consapevole, autocosciente; in una parola, un Essere Assoluto.

Il fatto stesso che l’uomo si ponga questa domanda costituisce il fondamento della religione e della teologia, intesi etimologicamente come legame col divino e discorso su di esso; l’uomo è religiosus ancor più che faber, perché la domanda sul divino esplica, ancor più di qualsiasi lavoro, il suo essere sapiens. Prima ancora di essere sapiens infatti egli fu faber, ma nel momento stesso in cui divenne sapiens, egli fu anche religiosus, perché guardò con occhi diversi le cose che lo circondano. Mircea Eliade ha messo magistralmente in vista il triplice fondamento metodologico dell’antropologia religiosa, intesa come scienza della possibilità e della comprensibilità del fatto religioso: storico, fenomenologico, ermeneutico; lo stesso studioso ha indicato le direttrici da seguire: il mito e il simbolo. Da Jung in poi, anche la psicanalisi ha illuminato il rapporto della religione con le profondità sconosciute dell’Io singolo e collettivo. La mente dell’uomo si categorizza anche attraverso il divino e le sue forme. Sin dalla preistoria, l’uomo celebra il divino, lo cerca, ne ha bisogno. Alla prima, fondamentale domanda, se l’uomo sia capace di Dio, è la sua stessa storia culturale a dare la fatidica risposta: si. Non l’ateismo o l’indifferenza costituiscono il compimento della natura umana, ma la fede o almeno la sua ricerca. Per il semplice fatto di porsi il quesito, l’uomo dimostra di essere capace di Dio, di potersi porre il quesito su di lui, e quindi virtualmente di poter trovare la risposta. Questa ricerca, iniziata diecimila anni orsono – per quanto ci è noto – con il culto uranico monoteista studiato da Julien Ries, è essa stessa risposta per sé. Si cerca ciò che si è trovato. E l’uomo e Dio si sono cercati, l’uno nella mente dell’altro, da sempre. La religiosità monoteista, più semplice e logica di qualsiasi politeismo, è il punto di arrivo e di partenza della ciclica ricerca. Naturalmente, una volta che l’uomo trova Dio, può razionalmente accettare che Lui gli parli di sé, ossia che gli si riveli. Ragion per cui nascono le religioni storiche, e le fedi. Questo discorso vale ovviamente anche per la fede cristiana. Essa – come tutte le fedi positive – si presenta come complemento, non necessario e autosufficiente, di ciò che l’uomo è arrivato da solo a scoprire su Dio, percorrendo quella strada che Egli stesso gli ha aperto dandogli la ragione. Per questo le scoperte della ragione su Dio, ossia gli oggetti della teologia razionale, sono state chiamate dalla tradizione filosofica cristiana preambula Fidei, preamboli della fede. Questa indagine, come tutte le indagini di cui l’uomo è il detective, non è astorica, ma si esplica nel tessuto storico. Si arricchisce, si impoverisce, si completa in più ampie sintesi, si divarica da se stessa in nuove soluzioni. In modo determinante si è sviluppata nella cultura occidentale: essa ha separato la religione dal mito, la ragione dalla religione, la razionalità dal misticismo, per cui, senza nulla togliere alle ricche tradizioni asiatiche, essa è sicuramente la più valida per introdurre in modo consapevole e critico la mente nel percorso che sbocca nel divino, senza nulla concedere a suggestioni irrazionali. Costituisce cioè uno strumento indispensabile per una ricerca di questo genere, il più rigoroso ma anche il più flessibile, perché il meno compromesso con qualsiasi forma di religiosità e quindi il più adatto a tutte e a giudicarle, eventualmente, tutte. Ma colpiscono due dati: che siano state trovate tante definizioni di Dio, con altrettante vie per scoprirlo; che non vi sia una tematizzazione probante della sua inesistenza. L’obiezione unica opposta al suo esistere, ossia l’esistenza delle cose cattive per l’uomo, è in realtà una costatazione di fatto, e anche il presupposto unico dell’inizio stesso della sua scoperta. Se infatti non vi fossero limiti, sofferenze, fatiche per l’uomo, egli non avrebbe bisogno di Dio: sarebbe Dio lui stesso. O una cosa sola con lui.

DIO NELLA STORIA DELLA MENTE DELL’UOMO. UNA CARRELLATA

Se nelle culture preclassiche il tema divino è sviluppato in modo mitico, dagli albori della filosofia greca, per tutto il percorso intellettuale dell’Occidente, Dio è un compagno del quale la mente umana non ha potuto mai fare a meno. Questa non è la sede per una trattazione sistematica del concetto di Dio né per una disamina dell’approccio al problema della sua esistenza, fatto come dicevo in modo diverso da autori diversi, ma è tuttavia il luogo opportuno per mostrare come moltissimi pensatori abbiano, progressivamente, inteso e raffinato tale nozione. Se nei Fisici milesii e preeleati Dio è liberato dalla molteplicità e dall’antropomorfismo biopsichico dei pantheon pagani, ma è ancora prigioniero della Natura, con la quale è surrettiziamente identificato, per darle una identità ilemorfica, monistica e panteistica, già con Anassagora l’Essere Supremo è identificato col Nous, fonte della razionalità ordinata del mondo, che perciò diviene cosmo, ma non si identifica col mondo stesso, così come nessun effetto si identifica con la sua causa. Compare per la prima volta il nesso tra l’intellegibilità della realtà e il suo fondamento, intellegibile anch’esso ma anche necessariamente intelligente, perché in grado di guidare la realtà stessa alla sua struttura ordinata. Dopo l’erosiva critica sofistica, toccò a Platone e ad Aristotele ricostruire l’ontologia attorno alla teologia, identificando l’Essere con un Principio primo e quindi con Dio stesso: un lascito che ancora oggi ha il suo valore. Per il Filosofo attico Dio è l’Uno, ossia il costituente ultimo di ogni ente e dell’essere in quanto tale, separato dalle cose ma tuttavia tanto legato ad ognuna di loro da costituirne il basamento. Per lo Stagirita Dio è la più alta di tutte le sostanze, il motore immobile verso cui tende il movimento di ogni altra sostanza, nel passaggio continuo tra potenza e atto. Se la Stòa ritornò alla forma panteistica della concezione del divino, e se il filone materialistico democriteo-epicureo, negando la razionalità intrinseca del cosmo – ed entrando così in contraddizione con la stessa idea della conoscenza possibile – postulò l’inesistenza di Dio come l’avevano inteso Platone e Aristotele, mentre lo Scetticismo mantenne un riserbo dignitoso sulla questione, la più grande voce della filosofia pagana tardoantica, il Neoplatonismo, ritornò all’idea di Dio come Uno, oltre l’essere e il pensiero, scaturigine senza fonte delle cose poste nell’essere, attraverso il ciclo delle emanazioni: l’Unità stessa, il Pensiero e l’Essere in quanto tali; fu anche la prima corrente a porre in modo esplicito il postulato religioso della teologia razionale, in quanto l’uomo che scopre Dio ha anche l’anelito verso di Lui, e brama la riunificazione mediante il processo ascensivo.

L’avvento del Cristianesimo materia la filosofia dei contenuti del monoteismo ebraico e dà alla teologia della Fede il rigore del fondamento razionale. Per Agostino Dio è, platonicamente, l’essenza infinita; con Anselmo d’Aosta si tematizzano le dimostrazioni, suddividendole in a posteriori e a priori – una sola, ancora oggi oggetto di dibattito, fondamento del razionalismo moderno – e tutta la Scolastica offre prove e dimostrazioni dell’esistenza dell’Essere supremo. Abelardo col Razionalismo, Bonaventura con la concezione teofanica del mondo, Alberto Magno come scienziato, filosofo e teologo, Duns Scoto con il rimando sistematico del Finito all’Infinito, sono i nomi più illustri. Ma il genio è quello di Tommaso d’Aquino, che chiude il cerchio dell’ontologia classica identificando l’Essere con l’Esistenza, e Dio con l’Esistenza assoluta dell’Essere Necessario, in cui non vi è distinzione tra Essenza e Esistenza in quanto tali. Per arrivare a Lui, Tommaso propone Cinque Vie che sono la ricapitolazione e l’anticipazione di qualsiasi altra prova che possa essere addotta per mostrare l’esistenza divina. Dio è, sempre più profondamente, la causa, il fine, il motore, la vetta delle perfezioni, il fondamento necessario dell’universo che, da possibile, è divenuto reale per suo volere. Né bisogna dimenticare l’apporto delle altre filosofie di matrice monoteista, con i musulmani Averroè e Avicenna, e gli ebrei Maimonide e Avicebron. Ognuno di loro potè elaborare la propria road map per arrivare al divino, fornendo mezzi e strumenti all’arsenale teologico dello stesso Aquinate. Alcune concezioni sono sicuramente affascinanti ma contrarie agli esiti impostisi in seguito: Dio e mondo sono legati da un nesso necessario di causa e effetto, per cui il Primo crea per forza il secondo e addirittura ab aeterno (così Averroè rimaneggiando Aristotele per compiacere il Corano); Dio è fatto di una materia spirituale, almeno secondo i filosofi ebrei, originali precursori di certi filoni new age. In questo senso, i tre monoteismi abramitici hanno contribuito a una sola e molteplice teologia razionale, che in Tommaso ha la sua espressione più salda e ordinata. Neanche il Nominalismo, fino al rasoio di Ockham, ha potuto esorcizzare dalla filosofia il fantasma di Dio, che anzi era ancor più necessario, con il suo volere assoluto, quale fondamento di un mondo reale senza alcuna legge intellegibile nelle sue fondamenta. Il Dio scolastico trasmuta nel Dio di assoluta potenza che sarà nelle teologie di Lutero e Calvino il fondamento di una rinnovata cultura religiosa, ostile alla filosofia, ma capace di ispirarla.

Se nel crepuscolo aurorale del Rinascimento Dio è ancora presente, nelle forme superate del panteismo bruniano – punto di arrivo di una platonizzazione estrema del Cristianesimo, iniziata con Scoto Eriugena e proseguita con gli eretici medievali - ma anche di un rinnovato aristotelismo e platonismo – si pensi alla struttura trinitaria dell’Essere campanelliano – il percorso filosofico della modernità, iniziato con Cartesio, non è meno legato di quello classico al concetto cardine di Dio. Per il filosofo francese Dio è la sostanza suprema che dà ragion d’essere alle res extensa e cogitans; sulla scia del dibattito da lui sollevato, il divino viene reso immanente o alla prima o alla seconda, rispettivamente in Hobbes e Spinoza, dando così all’ateismo moderno, sia nella sua forma materialistica che idealistica, l’anima di Dio stesso, surrettiziamente adombrato in quella sostanza unica del mondo nella quale lo si voleva risolvere o annegare. In modo più esplicito, Dio rimane consapevolmente il pilastro del cosmo, quale monade suprema, aldilà della materia nello spirito, in Leibnitz, che addirittura tenta l’esperienza, inebriante e fallimentare, della teodicea; in Malebranche, che ne fa il fondamento della conoscenza e della conoscibilità; in Locke, che ne desume l’idea dall’esperienza indiretta; in Galilei, Bacone, Newton, che ne fanno l’ordinatore dell’Universo matematicamente inteso; in Berkeley, che lo erige a fondamento dell’esse inteso come percipi. Le critiche invece del Libertinismo e dell’Illuminismo ateo non apportano nessuna novità al discorso ateologico, limitandosi a rinnovarne le motivazioni con rinnovato livore. Non a caso gli spiriti più eletti dell’Illuminismo non si professarono atei, ma solo deisti, come Voltaire, rinnegando il concetto di Provvidenza cristiana. La vetta della ricerca sul fondamento, istantia crucis dell’Illuminismo, arriva con Kant: egli, che pur cercò di battere in breccia gli argomenti tradizionali della teologia razionale, espellendola dalle discipline filosofiche, recuperò Dio e l’anima come postulati indispensabili dell’etica razionale e dell’estetica, oltre che della capacità umana di cogliere il finalismo intrinseco alle cose e quindi superiore alla stessa Ragion Pura.

La filosofia ottocentesca sferrò si un forte attacco al Divino Trascendente, ma con esiti paradossali. I Romantici idealisti non poterono mai fare a meno di Dio; e se per Schleiermacher la religione e Dio stesso sono l’espressione dell’Assoluto, Fichte e Schelling dopo una fase sostanzialmente panteista professarono una concezione trascendente di Dio. Hegel non giunse a questa maturazione, ma il suo Assoluto panlogico altro non è che l’impianto della teologia trinitaria cristiana franata sul mondo per esserne riassorbito, per cui antropologicamente egli costituisce una prova dell’ineludibilità dell’idea di Dio nella cultura umana. Non a caso la Destra hegeliana potè riaffermare la sua fede tradizionale. La Sinistra invece rigettò Dio, ma – come acutamente annotò un critico insospettabile come Nietszche – surrogandolo, con l’Umanità, con l’Unico e con la Materia. Tale passo, compiuto da Marx, avviene non in modo consapevole – ossia come confutazione della teologia razionale tradizionale – ma solo attraverso la trasmutazione della stessa filosofia di Hegel e di Feuerbach, della quale sono dati per buoni i presupposti ateologici, senza tematizzarli. Il più virulento ateismo contemporaneo venne fuori da una serie di sostanziali equivoci e imbarazzanti silenzi. Ancora un Divino, enigmatico, impersonale, è alla base di Schopenhauer e del suo tendere oltre l’Essere, mediante il superamento del suo fondamento, la Volontà oggettivata, in un certo senso divina anch’essa. Dio è poi il fondamento del realismo di Herbart, delle filosofie di Galluppi, Rosmini e Gioberti, dello Spiritualismo francese, dell’esistenzialismo di Kierkegaard, del pensiero di Trendelenburg, acuto critico della teologia di Hegel in favore di quella classica. La graffiante critica del Positivismo non ha potuto destituire di ogni fondamento la metafisica, pena la contraddizione con il suo stesso spirito, e il suo massimo spirito speculativo, Spencer, potè salvare il senso del mistero teologico nel cuore della cultura laica borghese dell’Ottocento. La critica di Nietszche a Dio è più che altro un’analisi storica della sua idea nel suo stesso svilupparsi, con un metodo di cui oggi nessun credente farebbe a meno, ma che da sé non solo non dimostra più nulla, ma soprattutto è stato riconosciuto come un ennesimo travestimento di Dio stesso, spacciato come Superuomo. Anche il Filosofo di Rocken ricadeva, a giudizio di un altro insospettabile, Heidegger, nelle spire della metafisica, e aveva bisogno di Dio, per rubargli le caratteristiche da prestare al suo nuovo modello di umanità.

Nella filosofia del Novecento, ancora molte correnti pongono il divino al centro della loro riflessione, pur essendo più numerose del passato le scuole ostili o insensibili a tale tema. Spesso nella filosofia contemporanea la domanda su Dio è anche la domanda sulla possibilità della metafisica e della sua comprensibilità. Lo Spiritualismo, con il Teismo speculativo di Fichte e Weisse, con Lotze, con l’eredità di Maine de Biran raccolta da Mollien, con Boutroux, Varisco, Martinetti, e in particolare con Bergson, tiene alta la bandiera della teologia razionale, esplicita o implicita, riconoscendo in Dio la più alta forma di spirito; i filosofi dell’azione come Newman, Ollé-Laprune, e quelli modernisti, come Blondel, hanno anch’essi dato ampio spazio al ruolo di Dio, naturalmente con toni più o meno vicini al dogma cristiano. Se nel Neo-criticismo il tema di Dio è bypassato- pur non mancando spunti interessanti per la teologia in quanto tale come il simbolismo di Cassirer o la tematica valoriale, a Marburgo come nel Baden - nello Storicismo l’argomento è spesso postulato (Dilthey definisce impossibile l’armonizzazione delle metafisiche e la loro piena comprensione, ma non può farne a meno) se non esplicitamente ammesso, con Troelsch e Meinecke. La Filosofia della Modernità di Weber, pur non facendo professione di fede di per sé, descrive dal canto suo molto bene il ruolo sociologico della religione e quindi di Dio nella mente degli uomini. Dal canto loro, gli Idealisti come Croce, Gentile e quelli americani, continuano a professare un panteismo convinto. Proprio negli USA Emerson e Fiske, con il Trascendentalismo e con l’Evoluzionismo spiritualistico, batterono strade inedite per il recupero di Dio a partire dalla tradizione dei lumi e del positivismo (l’Essere supremo è il garante della razionalità e dell’evoluzione), mentre il Pragmaticismo e lo Strumentalismo elaborarono una teologia originale, anche se radicalmente diversa da quella classica (come l’idea di un Dio finito). Anche al di qua dell’Oceano, il Pragmatismo, con Vailati e De Unamuno, rimane legato al concetto di Dio, in chiave esistenzialista.

La Filosofia del Linguaggio e la Logica hanno anch’esse dato contributi significativi a un possibile sviluppo teologico, e addirittura uno dei loro massimi esponenti, Whitehead, ha elaborato una complessa metafisica, segnando una sensibilità tutta particolare verso quest’argomento propria del Realismo, che ebbe in lui in grande maestro. Il suo universo si basa su una metafisica pluralistica connessa, in cui Dio ha il suo posto eminente. Anche il sommo Wittgenstein, nella seconda fase del suo pensiero, superando l’agnosticismo, ha riconosciuto il fondamento del discorso teologico. Irriducibili invece nell’agnosticismo metafisico sono stati i Neopositivisti, che però hanno contrabbandato essi stessi una metafisica epistemica, assolutizzando il sapere empirico. Diversamente, i Filosofi analisti hanno mostrato sensibilità per il tema metafisico – adombrando in essi anche il divino – come Wisdom, Strawson e altri, e addirittura rivalutando la prova ontologica con Malcolm e Smart, fino agli interessanti spunti offerti dalla critica a Flew. Questi, sottoponendo a critica empirica gli enunciati connessi a Dio, ha aperto paradossalmente la strada a due percorsi, differenti ma convergenti, per arrivare a Dio stesso: il primo, dell’Ala Sinistra Oxoniense, rivaluta il misticismo; il secondo, dell’Ala Destra, recupera il senso storico dell’Incarnazione, riportando – per la prima volta dal Medioevo- il dogma cristiano al centro della conoscibilità di Dio, facendo dell’indagine storica una categoria filosofica, cosa che neanche gli Scolastici avevano osato fare. Hare, McPherson, Hick, Crombie, Ramsey, sono i massimi esponenti di questa prestigiosa e raffinata filosofia, che ha rifondato la metafisica a partire dal linguaggio e dall’epistemologia, ossia dal cuore della cultura contemporanea. Le maggiori critiche al Neopositivismo sono state fatte, proprio in relazione alla metafisica, da Wisdom, Waismann e Warnock, allacciandosi ai neopositivisti più sensibili, come Feigl. Non stupisce se in questo fervore intellettuale i maggiori scienziati, come Einstein, non siano stati atei, o abbiano elaborato dottrine con implicazioni religiose, come Eisenberg, in fisica, ma anche in matematica. I massimi epistemologi successivi hanno completato la rivalutazione della metafisica, con Popper, approdando persino al Realismo metafisico. Autori come Kuhn, Lakatos e Feyerabend hanno continuato su questa strada, con una critica corrosiva del dogmatismo laico tradizionale. Sebbene un Feyerabend sia dichiaratamente ateo, la sua critica del metodo permette una rivalutazione dell’autorivelazione di Dio, la cui importanza ha impressionato anche Joseph Ratzinger. Putnam, sia con il suo realismo metafisico giovanile, sia con la teoria dell’accettabilità razionale, ha mantenuto vivo il rapporto dialettico tra possibilità della filosofia e della metafisica. Tra i postpopperiani, Watkins ha espresso bene l’importanza della metafisica connessa, capace di dare significato ai linguaggi e alle logiche settoriali, con le ontologie connesse.

Lo sviluppo delle Scienze Umane ha messo in evidenza l’importanza del divino nella dimensione psicologica, sociale, politica, giuridica e antropologica del divino. Se Freud ha cercato di destituire il fondamento della religiosità, già i suoi primi continuatori hanno reso più neutra la posizione della psicanalisi su questo tema, e anzi hanno fornito buoni presupposti alla affidabilità della fenomenologia religiosa, oltre che individuarne l’importanza nella psiche stessa, individuale e collettiva. Jung e Fromm in questo sono importantissimi. In antropologia, lo Strutturalismo ha dato importanti spunti allo studio religioso, pur annoverando autori credenti e non. Del resto, esistono degli specifici antropologi e storici della religione, come Eliade o Rien, il cui apporto al dibattito sull’argomento non può essere calcolato nella sua importanza. Nella moderna filosofia della politica e del diritto, le riflessioni con implicazioni religiose sono soprattutto di Nozick e MacIntyre.

Nella filosofia teoretica propriamente detta, grazie alla Fenomenologia, la Teologia razionale torna ad essere possibile, come ontologia regionale sui generis, e al genio di Husserl si deve la rifondazione del suo recupero filosofico, che però non fu lui a compiere. I suoi discepoli Scheler e Otto ne fecero oggetto di indagine scientifica, e Edith Stein elaborò una sua fenomenologia, che reinterpretò il Tomismo; la fondazione fenomenologica dei valori parve utile anche alla metafisica attualista di Karol Wojtyla, che infatti entrò nel dibattito teoretico con una dissertazione sull’etica fenomenologica di Scheler saldata alla tradizione scolastica. Proseguendo nelle grandi correnti del pieno XX sec., rileviamo che nell’Esistenzialismo Dio è un concetto cardine: o fa da convitato di pietra, escluso con cui fare sempre i conti (Sartre, Abbagnano, Merleau Ponty), o è recuperato in modo originale e funzionale ai problemi dell’esistenza (Jaspers, Marcel). In quanto al grande Heidegger, è sintomatico che la sua apostasia dal Cattolicesimo, che è alla base della sua filosofia ontologica, non gli abbia impedito di giungere, alla fine della seconda fase del suo pensiero, dopo una pugnace battaglia contro la metafisica, a riconoscere il ruolo determinante ed enigmatico di un Ultimo Dio, l’unico che, rivelandosi oltre l’essere, possa dare senso e significato al mistero delle cose. Sempre tra le grandi correnti del secolo scorso, un ruolo rilevante spetta a due filosofie esplicitamente cattoliche: la Neoscolastica di Maritain e il Personalismo di Mounier, per tacere degli altri esponenti delle stesse scuole. In quanto all’Ermeneutica, autori come Gadamer, Pareyson e Ricoeur non mancano di importanti spunti per l’indagine metafisica. Gadamer, legato agli inizi del neoaristotelismo, mostra, nel corso della sua opera, la connessione tra riflessione etica e spunti religiosi, tra i quali importanti sono quelli forniti da Habermas e Apel. La loro riflessione, senz’altro laica, non può tuttavia non avere implicazioni importanti per una rivalutazione della religiosità e della sua razionalità.

Da sottolineare l’apporto della filosofia ebraica al tema di Dio: Rosenzweig non esita a identificare la trama dell’Essere in Dio stesso, nella Creazione e nella Redenzione; Buber cerca di riscoprire il significato originale di Dio; Lévinas elabora una fenomenologia etica che recupera il senso di Dio a partire dalla drammatica esperienza fatta nei lager nazisti: il Volto primo, che si rivela e si appella all’Uomo, è quello stesso di Dio, per cui il vero Altro è l’Infinito; la Arendt salda la sua critica al totalitarismo su una sana visione religiosa del mondo; Weil ha una svolta mistica profonda e significativa; Jonas riflette in modo sofferto sul rapporto tra libertà umana e onnipotenza divina, negando la seconda per far posto alla prima, ma senza dedurre l’inesistenza di Dio dal dolore del mondo.

Un significato particolare ha l’attenzione dei pensatori neomarxisti, della cosiddetta corrente calda del marxismo, al tema teista. Assai impressionante è l’esito della ricerca di Horkheimer e Adorno, che nello sforzo di rintracciare un senso e una verità, scoprono, come Heidegger per vie diverse, la necessità di auspicare l’avvento di un Dio che si rivela.

Vale infine la pena di citare l’apporto della nuova teologia del ‘900, col suo problematico modo di pensare e ripensare Dio, cifra del rapporto tra cultura laica e religiosa: Barth, Bultmann, Teilhard de Chardin, Tillich, Bonhoeffer, Gogarten, Cox, Rahner, von Balthasar, Gutierrez, Cone, Jones, Kung e tantissimi altri. Molte delle loro concessioni alla mentalità moderna sono state rese inutili dalla crisi della modernità, col trapasso al postmoderno, dove ha ritrovato spazio anche la fede granitica della tradizione, cristiana, ebraica e islamica. Vivissimo appare poi il nesso tra la teologia razionale e la bioetica, sia in senso positivo – in seno alla tradizione cattolica, con Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – che negativo – col cosiddetto paradigma laico, che deve continuamente misurarsi con le implicazioni teologiche dell’etica stessa, mostrando contro di sé l’indistruttibilità del concetto di Dio; il dibattito etico, concernente specie questioni sociali e politiche, si aggancia al divino in modo forte nella dottrina sociale della Chiesa, che con i Papi Pecci, Ratti, Pacelli, Roncalli, Montini e Wojtyla ha dato fondamento e forza a questa connessione, dando implicitamente nuove prove della necessità del concetto di Dio nella cultura umana.

L’UOMO E LA SUA ANIMA. UN ALTRO ITINERARIO

L’altro preambulum, l’esistenza dell’anima, un principio autosufficiente, vitale, immateriale e immortale, indistruttibile, in cui si identifichi la personalità del soggetto e in cui si sussumano le sue facoltà intellettuali, volitive e affettive, è anch’esso asserito e dimostrato dalla notte dei tempi. I Presocratici hanno una convinzione generica dell’esistenza dell’anima. Socrate, sfidando la morte ingiustamente inflittagli, impartì una catechesi psicologica ai suoi discepoli, discettando dell’immortalità dell’anima prima di soccombere al veleno. Platone postulò una piena autonomia dell’anima dal corpo, descrivendo addirittura un ciclo di metempsicosi e annunziando premi e castighi nell’aldilà. Con i due Attici, l’anima è scoperta autosufficiente e immortale perché partecipe dell’idea stessa della vita, che comunica al corpo; è scoperta razionale e volitiva, ma anche affettiva, perché conosce, vuole e ama le realtà immateriali della sapienza. Se in Aristotele essa è la forma del corpo nel composto sostanziale individuale, e se perciò la sua sorte post-mortem non è chiara, con la sua filosofia essa assume le funzioni vegetative, sensitive e intellettive che conserverà nel tomismo e che ne garantiranno l’unità, come caratteristica di converso conquistata anche al soggetto umano nel suo complesso: l’anima è il vero principio di identità dell’uomo. Nello Stoicismo, l’anima è una scintilla della razionalità cosmica, del fuoco universale. Nel Platonismo essa risale faticosamente verso l’Uno. Nel materialismo meccanicistico essa è un aggregato di atomi più sottili, ma esiste realmente, anche se non scampa alla morte.

Il Cristianesimo è il momento più alto della psicologia razionale: Agostino, Anselmo, Bonaventura (in cui l’anima compie un itinerario conoscitivo verso Dio attraverso ogni cosa), Boezio (che come Socrate si consola per la morte imminente con la convinzione che l’anima non muore), Abelardo, Alberto, Duns Scoto e tutti i grandi scolastici ne dimostrano l’esistenza. Alcuni di loro risentono dell’influenza araba ed ebraica, e ne fanno una sostanza più che complessa, fatta di forma e materia spirituali – come Bonaventura – che a loro volta informano il corpo. Tommaso è sempre il più grande: la sua anima è anzitutto autocosciente, capace di realtà spirituali e immortale, attraverso rigorose dimostrazioni. Se il rasoio di Ockham e il naturalismo rinascimentale mettono in dubbio la dimostrabilità di queste realtà, anche naturalisti come Telesio e Campanella affermano la loro esistenza, e persino un panteista come Bruno fa dell’anima una parte integrante del Deus sive Natura, come gli era stato tramandato da Eriugena. Nell’anima credono gli autori della rivoluzione scientifica come Galilei, Bacone e Newton. Cartesio parte da essa nella sua ricostruzione del sapere: il dubbio e il metodo nascono al suo interno. Ma dietro Cartesio e il suo cogito c’era Ugo da San Vittore, che aveva magistralmente insegnato che, siccome “penso, sono; se sono, c’è Dio che mi ha fatto”. Saldissima connessione tra l’evidenza dell’anima a se stessa e la dimostrazione che Dio esiste. Locke non esitò ad affermare che all’idea della sostanza spirituale corrisponde la sua esistenza, e che l’uomo arriva all’anima mediante il senso interno che la percepisce, smentendo l’inconciliabilità tra empirismo e psicologia razionale insegnata da Ockham. Per Malebranche e per Berkeley, anche se in modo diverso, l’anima immortale è il presupposto della conoscenza. Per Leibniz è la monade egemone del complesso monadico che è l’uomo, realtà spirituale emanatrice di energia e materia. Per Spinoza, è un momento dell’attributo intellettuale della sostanza divina universale. Hume dubitò della sua esistenza, ma non la negò. L’Illuminismo, contrariamente a quanto si crede, fu assai sensibile al tema psichico. Se i francesi furono tiepidi o scettici, non si può generalizzare tra essi – si pensi al sensismo di Condillac, in cui l’anima ha ancora un posto – e nel resto d’Europa gli illuministi credettero e dibatterono sull’argomento. A parte gli illuministi italiani, spesso credenti, bisogna considerare i Platonici di Cambridge, i filosofi moralisti inglesi e scozzesi – che trattarono l’argomento in modo tradizionale ma alla luce della ragione – e i filosofi dell’Aufklarung, tra i quali alcuni trattarono l’anima in modo analogo a Leibniz (comeWolff) e altri in senso panteista come Lessing. In quanto al grande Kant, egli dedusse l’esistenza dell’anima immortale da quella della legge morale, e ne fece il soggetto agente della Critica del Giudizio.

Nella filosofia dell’Ottocento, i romantici credettero tutti nell’anima, dividendosi tra teisti e panteisti. Lo Sturm und Drang, Novalis, Schleiermacher, Schiller, Hamann, Jacobi, Herder, Schlegel, ognuno a modo proprio, credono nell’anima e la valorizzano. Gli Idealisti risolvono l’anima individuale nello Spirito, senza negarla – Fichte, Schelling, Hegel. Nella seconda fase del loro pensiero, Fichte e Schelling ancora ripropongono la credenza nell’anima. La Destra hegeliana ribadì la sua convinzione psicologico-razionale alla luce della sua interpretazione del pensiero del maestro. La critica di Feuerbach alla vita spirituale, compresa l’anima, prende le mosse dalla contestazione a Hegel della Sinistra, e rielabora la convinzione atomistica dell’inesistenza dello spirito, da cui deduce quella dell’inesistenza dell’anima. La famosa frase: “l’uomo è ciò che mangia” si regge su una concezione dogmatica incapace di dimostrare che l’anima stessa sia non solo inesistente, ma filosoficamente inutile. La stessa convinzione trapassò in Marx. Gli altri oppositori di Hegel credettero tutti nell’anima, in nome del Realismo (Herbart e Trendelenburg) e dell’Irrazionalismo (Schopenhauer), oltre che dell’esistenzialismo (Kierkegaard). Maine de Biran, Cousin, i Tradizionalisti francesi, Galuppi, Rosmini, Gioberti mettono l’anima umana al centro della loro riflessione. Quanto detto poi per il Positivismo su Dio, vale anche per l’anima. Spencer è ancora il più aperto a questo discorso. La crisi della filosofia ottocentesca con Nietszche segna una crisi del discorso psicologico, con un atto di sfiducia aprioristico, non tematizzato, nell’inesistenza dell’anima. Ma la polisemia della sua visione del mondo prelude alla molteplicità di esiti delle filosofie novecentesche sull’argomento.

Innanzitutto, tutte le filosofie della conoscenza sono basate sull’immaterialità della mente, e quindi si connettono, più o meno direttamente, alla possibilità di ragionare sull’anima (Neokantiani), o sulla possibilità del discorso metafisico (Wittgenstein, Wisdom, gli Oxfordiani, Strawson, Weismann, Popper, Kuhn, Feyerabend, Putnam ecc.). La vita dello Spirito è alla base, coi suoi vissuti, dello Storicismo di Dilthey, Troelsch, Meinecke, Weber, e dello Spiritualismo europeo, fino a Bergson e al Modernismo e al Contingentismo. Il Pragmatismo di James apre alla religiosità e quindi al tema dell’anima. Il Neoidealismo di Croce, Gentile, Bradley e Royce inserisce l’anima nello spirito universale. L’esistenzialismo religioso valorizza l’anima umana con Miguel de Unamuno, Jaspers, Arendt, Merleau Ponty e Marcel. La Fenomenologia rifonda la psicologia razionale e la filosofia ad essa connessa, in modo diretto o indiretto (Husserl, Scheler, Otto, Stein, Lévinas). L’Ermeneutica coi suoi maestri apre alla psicologia razionale con spunti e riflessioni, mentre essa è esplicitamente affermata dai Neotomisti, dai Neoscolastici, dai Personalisti (Maritain, Mounier, Weil), dalla filosofia ebraica (Buber). In genere, vanno riprese per l’anima le considerazioni fatte in precedenza su Dio e la sua elaborazione filosofica nel Novecento.

Assai significativo è lo sviluppo della psicologia nel XX sec. Nonostante non tutti gli psicologi credano nell’immortalità dell’anima – non è peraltro oggetto della psicologia questo argomento – essi hanno contribuito non poco ad esaminarne la struttura, a valorizzarne la soggettività, a mostrarne l’immaterialità (Gestaltisti, Comportamentisti, Freud, Adler, Jung, Lacan).

Se dunque ancora oggi è ragionevole credere in Dio e nell’anima, se i preambula sono ancora validi, varrà la pena inoltrarsi nel cuore del discorso su Dio stesso, per vedere che cosa Egli dice di sé all’uomo, e in che modo.


Theorèin - Luglio 2009