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MATER DEI “Benedetta Tu tra le donne
“Io sono Colei Che sono, in seno alla Trinità”
La Madre di Dio, l’Immacolata Sempre Vergine Maria, è la creatura più eccelsa del Signore. La branca della teologia che studia il Suo mistero è detta mariologia o marialogia. La prospettiva dalla quale si può osservare il mistero mariano è duplice: l’una è quella ecclesiologica, fatta propria dal Concilio Vaticano II – attraverso la costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, il cui VIII Capitolo è tutto dedicato alla Beata Vergine Maria – e che ha il pregio di mostrarlo pienamente inserito in quello della Chiesa stessa, della quale la Madre di Dio è il tipo e il membro più eminente, immediatamente soggetto al Cristo, Capo del Corpo Mistico, del quale Ella è – per usare la felice espressione di San Pio X (1903-1914)- il “collo”, ossia il tramite con il Redentore; l’altra è quella cristologica, che capovolge l’angolo visuale precedente, di cui costituisce la premessa, così come tutto il mistero ecclesiologico è l’esplicitazione, in tale visione, del mistero mariano. In quest’ottica, Maria SS. è il tipo della Chiesa perché è la creatura più conforme alla Persona del Verbo, per cui Ella sta al Cristo come la Chiesa sta a Lei, ed entrambe – La Madre e la Chiesa – sono innestate in Lui, in modo tale che la Prima sia il mezzo per il fondamento e la scaturigine della Seconda, così come la pienezza del mistero mariano sgorga da quella del Redentore. In tal senso, lo stesso Concilio, quando, nel luogo citato, afferma che munera Matris..semper Christum spectant, le prerogative della Madre…sono sempre in relazione al Cristo, innesta il rapporto tra la Chiesa e la Madre di Dio su quello tra Costei e il Suo Figlio Divino. In effetti, tutte le benedizioni di Cristo sono replicate in Maria, per cui Elisabetta potè salutarla dicendola Benedetta fra le Donne, e ponendo un’equiparazione col frutto del Suo grembo, che è Benedetto in assoluto(1). Anticamente la teologia dogmatica enunciava le prerogative della Madre di Dio come una serie di privilegi, volta ad evidenziare la differenza ontologica tra Lei e il resto dell’umanità, ancora in attesa di una piena redenzione; oggi si tende ad evidenziare come tali privilegi trovino la loro ragione e il loro compimento nel quadro complessivo dell’economia salvifica, nella quale il ruolo della Beata Vergine Maria è – per libero decreto divino – irrinunciabile e secondo solo a quello del Redentore, al Quale è pienamente subordinata e senza Cui Lei stessa non solo non sarebbe stata redenta, ma non avrebbe neppure avuto ragione di essere creata. Sulla scorta di ciò, con l’intento di dare ossequio devoto alla Madre del Verbo, andiamo a sintetizzare, nell’esposizione che segue, il mistero mariologico, illustrandone dapprima il patrimonio dottrinale e poi la vicenda storica. Nel mistero mariano, in modo mirabile, si combinano i getti dell’acqua eternamente zampillante della Rivelazione, così come escono dalla fonte biblica e da quella della Tradizione, armonicamente mescolati dalla luminosa interpretazione del Magistero della Chiesa. Tale mistero mostra in modo eloquente come la Madre del Redentore, persona solamente e pienamente umana, viene elevata al rango di collaboratrice dell’azione divina di salvezza, anticipando la glorificazione a cui l’umanità tutta è chiamata dal Padre nello Spirito, tramite il Figlio, il Cui Vangelo vive e risuona nella Chiesa ancora oggi e per sempre. IL MISTERO MARIANO NELL’ENUNCIAZIONE DEL DOGMA Il cuore del mistero mariano si colloca nella Maternità Divina. Tutto ciò che segue quest’altissimo evento nella vita della Beata Vergine Maria ne è l’esplicazione, tutto ciò che lo precede ne è la preparazione. La Beata Vergine Maria mostra la pienezza del Suo essere, suggerito dal Suo Santo Nome, che significa eccelsa, sublime, signora (Myriam) proprio nella Sua Maternità Divina, per cui Ella svetta su tutte le creature con uno splendore incomparabile, e s’immerge negli abissi celesti di Dio come una torre di incommensurabile altezza (2); in ragione di ciò, la designazione della funzione – Theotòkos, Deipara, Madre di Dio – passa a definire la Persona che la svolge, essendo stata quest’ultima creata in vista di quella. Inoltre, siccome in vista di tale eccelso compito Maria SS. fu – come vedremo – adornata di altre straordinarie e incomparabili grazie, ognuna di esse è opportunamente un Nome della stessa Madre, che può essere adoperato per indicarLa ed esprimere, da angoli visuali differenti, la ricchezza inesauribile del Suo mistero (3). Alle origini di esso vi è il decreto di Dio Uno e Trino, che ha sancito la Predestinazione di Maria. Come scrisse Dante, Ella fu, è e sarà termine fisso di eterno consiglio. Maria è la Predestinata per eccellenza, Colei la Cui Giustificazione, operata per il Sangue del Figlio Suo, è superiore e anteriore – in senso logico e non cronologico – a quelle di tutte le altre creature. Infatti la Scrittura attesta, in relazione alla Madre di Dio sia considerata di per Sé che in rapporto al Figlio, che Lei può dire: Il Signore mi ha creato all’inizio delle Sue attività (Prov 8, 22)(4). Nel decreto trinitario della Predestinazione della Theotòkos sono comprese tutte le ricchezze spirituali che, liberamente elargitele, sono state da Lei assecondate nel modo più perfetto possibile. La prima di queste ricchezze è la Immacolata Concezione (5). Infatti Dio stesso, nel Protovangelo, dice: Ella ti schiaccerà il capo (Gen. 3, 15), rivolto a Satana, riferendosi alla Donna, ossia a Maria. L’Immacolata Concezione è l’atto per cui Maria è concepita e nel contempo il suo risultato, ossia Maria stessa. In quanto Immacolata, Maria SS., pur essendo progenie di Adamo, non contrasse il Peccato originale per traducianesimo, ma ne venne preservata in vista dei meriti del Figlio Redentore. Chiamiamo questa forma completa e preventiva di santificazione redenzione preservativa. E’ la forma più completa di Redenzione che Cristo può operare; essa però è straordinaria e avvenne in vista di quella ordinaria riservata agli altri mortali. Infatti Maria SS. fu preservata in vista di Colui Che avrebbe generato e dell’ausilio che Gli avrebbe dato per redimere l’Umanità. Il contatto futuro che l’umanità di Maria avrebbe avuto con quella del Verbo Incarnato la liberò, al di là delle leggi del tempo e dello spazio, da ogni macchia di colpa contraibile in Adamo. Il Verbo trovò così una degna dimora, il grembo della Madre, nel momento in cui si fece carne. Questa Madre non potè generarlo nel Peccato, essendone immune; ma Lei non ne fu preservata per non infettarne il Figlio, ma perché la Santità di Questi aveva riempito anche Lei stessa, con effetto retroattivo. In ragione di ciò, Maria è la Donna che schiaccia il capo del serpente – ossia di Satana – perché lo neutralizza, in quanto egli non ha su di Lei alcun potere. Tale vittoria avviene sia direttamente per l’Immacolata Concezione in quanto tale, sia indirettamente tramite il Figlio, Che redime innanzitutto la Madre e poi i fratelli, che pure sono stirpe mariana, perché Lei contribuisce a generarli alla Grazia. Infatti, Gesù stesso, nel Vangelo, chiama Maria non Madre, ma Donna, sia alle Nozze di Cana che sul Calvario. Adempie così la profezia del Genesi, identificandone la destinataria. La Donna è presente anche nella Lettera ai Galati 4, 4-5 e nell’Apocalisse, e in entrambi i casi rimanda – o può rimandare – all’Immacolata. Preservata immune da ogni colpa, Maria SS. ha l’umanità più perfetta dopo quella di Gesù. L’equilibrio tra anima e corpo è assoluto, per cui ha la perfezione della natura che sarebbe toccata ad Adamo. Maria poi è adornata dei doni preternaturali, destinati all’uomo nell’Eden: scienza infusa, assenza di passioni, immunità dalla morte, per cui alla fine dei suoi giorni si addormentò e fu assunta in Cielo. Solo il dolore non Le fu risparmiato, perché Maria, essendo innocente, avrebbe potuto offrire la Sua sofferenza in subordine a quelle del Figlio per la salvezza del mondo, divenendo Socia del Redentore. Infine Maria è stata ricolmata della Grazia Santificante, che le è stata comunicata nel modo più sovrabbondante possibile e che è stata efficace nella maniera massima. Il segno più eloquente della perfezione di santità di Maria è il suo Cuore Immacolato, che è il simbolo del Suo amore personale per gli uomini, un amore perfetto perché provato da una creatura d’incomparabile bellezza interiore (6). In virtù dell’Immacolata Concezione, Maria SS., sin dal primo istante del concepimento, ha avuto una relazione speciale con tutte e tre le Persone Divine. Infatti l’Immacolata Concezione, che contiene in sé, come in germe, tutte le altre grazie mariane, è l’opera del Padre, pensata nel Figlio e amata nello Spirito. Maria è adorna della Potenza del Padre – per cui ha tutte le grazie e virtù – della Sapienza del Figlio – che la costituisce Signora del Cielo e della Terra – e dell’Amore dello Spirito Santo – che la riempie di una carità incomparabile. Queste prerogative fanno si che Maria, per analogia e dono, sia simile ma non uguale alla perfezione divina: Ella non avrebbe potuto essere diversamente. In tal senso, Maria è resa partecipe della necessità essenziale della Natura di Dio e, in seno alla Trinità, Ella è Colei Che è. Le tre grazie trinitarie, in Lei costantemente presenti, costituiscono un eccelso e mistico Triregno che la adorna in eterno. Perciò l’Arcangelo San Gabriele potè salutarla kekaritomēne, ossia “Tu che sei stata e rimani ricolma della Grazia divina”, reso in modo meno pregnante dal Gratia plena della Vulgata e tradotto Piena di Grazia in volgare. In tale frase celeste il NT rivela il mistero dell’Immacolata, dando compimento alle profezie, dal Protovangelo in poi, e alle figure simboliche veterotestamentarie: l’Arca di Noè, che scampa al comune naufragio; la Scala di Giacobbe, che unisce terra e cielo; il Roveto ardente, che brucia di Dio ma non si consuma nella colpa; la Torre inespugnabile al peccato da cui pendono le armature dei forti (i Santi); l’Orto chiuso, in cui non entra nessun male; la Città di Dio, abitata solo da Lui, che ha fondamento nei monti santi, ossia in luoghi incontaminati; il Tempio di Dio, pieno della Sua Gloria; il Tabernacolo celeste, contemplato da Bezaleel in visione e degno di accogliere il Dio Vivente più di quello dell’Esodo; la Casa dell’Eterna Sapienza costruita dalle Sue mani; il Trono eccelso di Dio; la Regina ricolma di delizie che uscì dalla bocca dell’Altissimo; la Colomba pura; Eva, madre dei Viventi; Jael, benedetta tra le donne della tenda, che annienta Sisara, simbolo di Satana; Giuditta, guidata da Dio a troncare il capo dei suoi nemici e benedetta tra le donne di Israele. Tali figure, spesso adeguate innanzitutto all’Umanità di Cristo e in subordine a Maria, sono echeggiate nel macarismo di Elisabetta: Benedetta Tu..e benedetto il Frutto del Tuo grembo, che a sua volta riprende l’eulogia di Giuditta (Gdt 13, 10). In conseguenza logica della Immacolata Concezione, Maria è la Panaghìa, la Tutta Santa (7). Sebbene priva del Peccato Originale, la Madre del Verbo, esattamente come Adamo, avrebbe potuto peccare, ma a differenza sua e in conformità al Figlio- che pure fu tentato –non lo fece. Conforme in tutto alla Grazia, inabitata dallo Spirito Santo – Che è l’Immacolata Concezione increata – la Madre non solo mai peccò, sia pure involontariamente, ma si adornò di tutti i meriti possibili, anche in mezzo alle prove più dure, dalla persecuzione, all’esilio, alla povertà, al nascondimento, all’abbandono, fino all’atroce spasimo della Morte di Gesù, avvenuta sotto i Suoi occhi, nella Sua completa impotenza. Per questo Maria, obbedientissima, riparò alla disobbedienza di Eva ed è stata esaltata e ha avuto, dopo Gesù, il Nome più alto di tutti, in cielo, in terra e in ogni luogo. Ella è la Bellissima Bellezza di tutte le Bellezze (Giorgio di Nicomedia). Perfettamente Santa, destinata ad essere Madre di Dio, Maria SS. ebbe una Perpetua Verginità (8). La Madre di Dio infatti ha, tra i Suoi Nomi gloriosi, quello di Aèiparthenos, Sempre Vergine. Questa verità è rivelata dalla stessa Maria, quando, all’Arcangelo che le annunzia che concepirà un Figlio, obietta: Com’è possibile? Non conosco uomo (Lc 1, 34). Questo presente storico indica l’intenzione di perseverare nella castità anche nel matrimonio imminente. Che la Madre di Dio abbia concepito per partenogenesi (Virginitas ante partum), è esplicitamente attestato dal Vangelo di Matteo (1,16.18.20.24-25) e di Luca (1, 34-35; 2, 6-7); tale concezione verginale è attribuita esplicitamente allo Spirito Santo, Colui Che fecondava le acque all’inizio della Creazione, e che ora dà inizio a quella Nuova. Il NT ravvisa in ciò il compimento delle profezie di Isaia 7,14 (La Vergine concepirà e partorirà un Figlio, che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi). Numerosi altri luoghi biblici, sottoposti ad acute esegesi, suffragano la Concezione Verginale di Maria e la Sua Verginità Inviolata nella generazione (Gal 4,4; Rm 8,3; Fil 2,7; Gv 1,13). Tale partenogenesi, con la conseguente conservazione della integrità fisica e morale della Madre, che sono un tutt’uno nell’identità di spirito e corpo che contraddistingue tutti gli esseri umani, è il sigillo dell’origine divina di Gesù. Egli è Figlio di Dio, e non vi è bisogno di concorso umano nella Sua nascita, per cui la Vergine Maria rimase sempre intatta nella Sua gloria di purezza. Ella è il Giardino chiuso del Cantico dei Cantici, ove entra solo Dio; è la porta chiusa di Ezechiele; è il Roveto Ardente. In questa concezione eccezionale trovano compimento le figure profetiche, anche se incomplete, delle donne veterotestamentarie che concepirono in modo miracoloso, sebbene non verginale: Sara, moglie di Abramo; la madre di Sansone; la madre di Samuele. In effetti la concezione verginale è un unicum nella storia sacra: nessuno l’aveva pienamente vaticinata, perché a nessuno era stato chiaramente rivelato che Dio Si sarebbe fatto Uomo e che perciò non avrebbe avuto bisogno di un padre umano (9). Gli stessi luoghi biblici – compresa la profezia di Isaia sull’Emmanuele – rivelano altresì che Maria SS. mantenne anche la Virginitas in Partu. Ella infatti non avrebbe potuto perdere nella Nascita del Figlio ciò che aveva conservato in vista di tale evento; il Corpo del Cristo venne alla luce senza intaccare l’integrità materna, anzi consacrandola definitivamente; nonostante ciò, tale parto fu naturale e fisico, in una modalità che anticipa il mistero della Resurrezione, che è lo scopo della stessa venuta nel mondo di Gesù, mediante cui Egli non è più soggetto alle leggi dello spazio e del tempo: in questa maniera Gesù entra nel mondo così come ne esce. Inoltre il parto di Maria SS., esente dalla condanna di Eva, non ha il dolore del travaglio; diverso da quello impuro delle altre donne, non ha spargimento di sangue, segno e causa della trasmissione del Peccato. Perciò Maria SS. partorì verginalmente. Anche questo parto verginale, parte integrante della generazione del Verbo, è opera del Paraclito. Infine, Colei Che aveva generato di Spirito Santo, non ruppe il patto che Dio stesso aveva contratto con Lei, e non generò all’uomo: la sua Virginitas post partum, rivelata nel proposito di perpetua castità formulato da Maria SS. all’Annunciazione, conforme alla profezia dell’Emmanuele, legata agli altri passi biblici citati, è l’ultima tappa della Castità perfetta della Sposa del Paraclito. La debole obiezione al dogma, per cui Gesù avrebbe avuto fratelli e sorelle uterini, frana sotto gli stessi dati biblici: essi infatti, se ci informano che Giacomo, Joses, Giuda e Simone sono i fratelli del Signore (con un semitismo tecnico, che usa il termine greco nella stessa accezione lata di quello ebraico corrispondente, in quanto consolidata dall’uso nell’ambiente giudaico-cristiano, e vuole perciò intendere i parenti, i cugini), ci danno anche i nomi dei genitori: Alfeo e una Maria, sorella della Madonna, per i primi tre fratelli; Cleofa, fratello di San Giuseppe, e un’altra Maria ancora, per Simone. Delle sorelle, anonime, si può evidentemente dire lo stesso. Duole perciò che buona parte della teologia contemporanea, per soggezione nei confronti del naturalismo, del razionalismo, della psicanalisi e della lettura mitica del testo sacro, si sia macchiata di eresia, ripudiando il dogma della Verginità Perpetua e riesumando le antiche dottrine gnostiche e docetistiche. Separando il dato biologico della verginità dal contenuto della fede, tale pseudo teologia ha senz’altro pagato il suo tributo alla mentalità del mondo, ma non ha arricchito, anzi ha impoverito, la nozione di Maria e di Dio stesso presso i cristiani, relegando l’intervento divino nella storia nelle anticaglie del mito e spossessandolo della sua signoria sul creato (10).Al centro della vita di Maria SS., preparata da tutte le grazie descritte, vi è la Maternità Divina, per cui in senso fisico Ella potè dire, riferendosi a Gesù che portò in grembo: In Me ogni speranza di vita e virtù (Eccli 24, 25). Di questo mistero sono pieni i Vangeli, specie quelli dell’Infanzia di Luca e Matteo, che illuminano il senso delle profezie del VT (come Sof 3,14-15; Zc 2,14; Rt 2,4; Is 7,14) e che sono a loro volta illuminati dai passi degli scritti degli Apostoli nel NT (Gal 4,4; Rm 8,3; Fil 2,7; Gv 1,13 ecc.). La Persona divina del Verbo, Figlio del Padre e da Lui eternamente generato in seno alla Trinità, per cui è della Sua stessa Natura, decise di assumere una Natura umana, la cui Anima sarebbe stata creata direttamente da Dio e il cui Corpo sarebbe stato concepito di Spirito Santo in Maria Vergine. In conseguenza di ciò, la Immacolata Sempre Vergine Maria divenne Madre di Dio, perché generatrice della Sua Umanità. Infatti, ogni madre è tale rispetto alla persona del figlio, tramite la natura di questi; ma siccome il Figlio di Maria SS. era preesistente come Persona alla Sua stessa Umanità, in virtù della Sua Divinità, ecco che Maria stessa diviene ed è ancora e per sempre sarà la Madre di Dio. Ossia non genera ovviamente la Divinità della Persona di Cristo ma, generandone l’Umanità, ne è costituita Madre in ordine a questa. Questa eminente dottrina fu definita dal Concilio di Efeso nel 431, come corollario della condanna della cristologia di Nestorio, che invece asseriva che in Cristo vi fossero due Persone per ciascuna delle Nature e che il loro legame fosse estrinseco, per cui Maria SS. potesse essere tecnicamente solo Madre di Cristo – ossia dell’Uomo Gesù unito al Verbo del Padre (11). Per la Divina Maternità, Maria SS. realmente generò nel Suo corpo verginale il Figlio di Dio, la Cui Umanità fu tratta dal Suo grembo come ogni umanità è tratta da quello della propria madre; in tale generazione il concorso dell’uomo fu eliminato e agì direttamente lo Spirito Santo: fu Lui a fecondare il seno della Madre e a plasmare in Lei la parte mancante del genoma del Nascituro. Il tutto al di fuori di qualunque cornice sessuata e senza alcuna compromissione con i mezzi umani di generazione, e tantomeno con la degradazione connessa ad essi dopo la Colpa originale, che Maria SS. non aveva. In virtù di ciò, nel claustrum virginale della Madre - subito dopo l’angelico e purissimo assenso dato da Lei nell’Annunciazione, ricevendo la Parola fecondatrice portatale dall’Arcangelo, per cui Maria concepì in aure prima ancora che in sinu- Gesù Cristo fu, nella Sua Corporeità, organismo monocellulare, embrione, feto e nascituro. Nei nove mesi di gestazione perfetta di Maria, Costei ebbe col Figlio lo stesso rapporto di simbiosi biologica e psichica che ogni madre ha con il suo bambino; in Essi si formarono le dinamiche profonde di tenerezza e di amore che caratterizzano la relazione materna e filiale; in ragione di ciò nessuno può immaginare quale profondità toccò l’animo della Madre immergendosi nel mistero di Colui Che portava, il Quale era Suo Figlio e Suo Dio, generato da Lei e Suo Creatore, nutrito nel Suo Corpo e Reggitore dell’Universo. Quando poi la maternità biologica ebbe il suo compimento nel parto verginale, essa non smise di essere divina, ma ancor meglio si estrinsecò attraverso i compiti che ogni madre ha verso il suo figlio: allevarlo, accudirlo, proteggerlo, educarlo, istruirlo, santificarlo. Quale può essere stata l’esperienza in tal senso di Maria, nessuno può immaginarlo. Cosa può aver potuto significare per Lei allattare, lavare, curare, accarezzare il Figlio che era Suo e di Dio, che era Figlio e Dio Suo, lo sa solo Lei. Ma ancor più sublime è che Dio ha voluto essere educato, istruito, formato, santificato nell’Umanità da una Donna, evidentemente incomprensibilmente e sovranamente perfetta per questo inconcepibile compito, in cui Lei si rapportava addirittura alla Seconda Persona della Trinità! Questo aspetto, pur così importante della maternità in genere, talmente importante da essere, nell’ambito naturale, ancor più decisivo della mera generazione, è sempre stato piuttosto negletto nella trattazione di questo dogma. Ma Maria non sarebbe realmente Madre di Dio se non avesse allevato, educato e formato la Persona del Verbo di Dio nella Sua Natura Umana. La Sapienza Eterna ha voluto essere educata da Lei, si è servita di Lei per formare la Sua Umanità in tutto quello in cui si poteva agire tramite una madre; il Verbo di Dio ha voluto essere allevato e sostentato da una Sua Creatura; il Figlio di Dio ha voluto ricevere un’istruzione religiosa tramite Lei. E ancora il rapporto Madre – Figlio continuò per tutta la vita di Entrambi, esattamente come per ogni essere umano, e ancora continua in eterno. Perciò possiamo dire che, nell’ambito dell’Economia Ipostatica – ossia delle relazioni naturali in seno alla Persona del Verbo – Maria occupa un ruolo unico, insostituibile, stabile, perfettamente integrato e completamente organico, in ragione del quale Ella è, esattamente dopo la Umanità di Gesù, l’ente creato più saldamente unito e vicino alla Sua Divinità, perché ad Essa legata in modo diretto, tramite la generazione della Natura assunta. In conseguenza di ciò, Maria ha svolto una funzione divina, pur essendo umana. Il rapporto madre – figlio, strutturale per ogni persona umana, è entrato irreversibilmente in seno alla Trinità, perché incardinato nel mistero della Seconda Ipostasi, il Figlio, realmente tale anche per Maria. Tale relazione divina ha rivelato anche i sublimi rapporti di Maria con la Trinità: in uno schema teologico antico si diceva Sposa del Padre, Madre del Figlio, Tempio dello Spirito; in un trittico successivo si è detto, in modo forse più esaustivo, Figlia del Padre, Madre del Figlio, Sposa dello Spirito; sempre e comunque, la Natura Tripersonale di Dio ha impresso in Maria il Suo sigillo, in ogni funzione che Ella abbia svolto in relazione a Lei. Per cui la Maternità Divina è il capolavoro, in Maria, della Potenza del Padre, nella Sapienza del Figlio per mezzo dell’Amore dello Spirito. Tale evento crea una relazione talmente singolare, talmente pregnante, talmente profondo tra Maria e le Tre Persone Divine, che ogni rapporto tra gli Augusti Tre si riverbera in modo del tutto singolare sulla Madre del Redentore e nessuno può pienamente comprenderlo e completamente esplicitarlo. In effetti, il Figlio di Maria, generato, partorito, educato ed amato da Lei nel tempo come ogni madre continua ad amare il proprio figlio per tutta la vita, è Colui Che in eterno è generato dal Padre e da Cui in eterno procede lo Spirito; il Figlio di Maria amava Lei come Uomo e come Dio, alla stessa maniera con cui ama il Padre e ne è riamato nello Spirito; il Verbo era del Padre così come Maria era del Verbo: in una sola parola, Gesù e Maria hanno costituito una unità relazionale stabile, che dura in eterno e che ha immerso appunto la Madre nel cuore del mistero della Seconda Ipostasi. In conseguenza di ciò, la Madre ha condiviso completamente il volere, il sentire, l’agire, il soffrire, il gioire del Figlio. Educandolo, ne è stata educata; nutrendolo, ne era nutrita; santificandolo, ne è stata santificata. La perfetta identità di intenzione tra Madre e Figlio ha fatto sì che Entrambi volessero le stesse cose: Maria quelle di Gesù, Gesù quelle del Padre, Entrambi nello Spirito Santo. Perciò la Maternità Divina si dispiega in tutti i misteri della vita di Gesù sino a quello, supremo, dell’immolazione redentrice, che Maria, eroicamente, condivise e accettò. Non a caso il plesso degli altri misteri mariani da enunciare è definito complessivamente Mediazione Materna dal ven. papa Giovanni Paolo II. La Maternità Divina fa sì che Maria SS. sia stata la Corredentrice del Genere Umano o, come si preferisce dire oggi, la Generosa Socia del Redentore, la Cooperatrice del Salvatore o, patristicamente, la Nuova Eva associata al Nuovo Adamo nella rigenerazione dell’Umanità (12). Questa verità, sebbene non dogmaticamente definita, è tuttavia parte della dottrina certa, perché è universalmente creduta dai fedeli, ispira profondamente la devozione unanime del popolo cristiano (13), è fondata nella Scrittura (14), è espressa nella Tradizione (15), è insegnata nel Magistero (16). Maria SS. ha cooperato formalmente alla Redenzione acconsentendo all’Incarnazione, generando e nutrendo il Cristo, Sacerdote e Vittima, unendo a quelli del Figlio i Suoi dolori, specie ai piedi della Croce, bramando di unirsi a Lui nel sacrificio salvifico attraverso la fede, la speranza, la carità e l’ubbidienza. Questa associazione di Maria al Figlio è universale (perché dura per tutta la Storia della Salvezza), è integrale (perché partecipa alla stessa Salvezza a vantaggio di tutti e per tutte le grazie), è completamente subordinata e dipendente (perché vi partecipa a titolo limitato, per un merito congruente ma non sufficiente). In quest’ottica, i Dolori di Maria, che la tradizione raggruma in sette circostanze, sono il corrispettivo delle Piaghe del Figlio, e le Sue Lacrime l’equivalente del Sangue di Lui, anche se gli uni e le altre acquistano valore solo per la Passione di Cristo. In ragione di ciò i Dolori e le Lacrime – simbolo, queste, della vita di Maria, vissuta ma non perduta nel dolore –sono degne della venerazione dei fedeli. La maggior parte dei teologi (17) ritiene che la cooperazione di Maria alla Redenzione sia stata immediata, perché Dio ha disposto che la nostra salvezza dipendesse anzitutto dai Dolori di Gesù – in modo principale, indipendente, autosufficiente e necessario – e poi da quelli di Maria – sebbene, come accennavamo, in maniera secondaria, dipendente da Lui, insufficiente e solo ipoteticamente necessaria. Maria, prima redenta, offrì i Suoi Dolori –che altrimenti sarebbero stati inutili, in quanto Lei non aveva nulla da espiare – per la salvezza degli altri uomini, associandosi volontariamente al Sacrificio, di per sé già efficace, del Figlio, secondo quanto suggeritole dallo Spirito Santo (redenzione obiettiva) (18). Un’altra ipotesi, la cooperazione immediata passiva, non è a mio avviso esclusa dalla prima, anche se di solito sono considerate alternative: Maria, a nome della Chiesa e dell’Umanità, accetta e riceve ai piedi della Croce i meriti di Cristo e li rende trasmissibili a tutti (19). Ossia ai piedi della Croce Maria avrebbe ricevuto i meriti del Figlio, col Suo assenso ad essere salvata con gli altri, e vi avrebbe aggiunto i propri, quale primizia dell’Umanità redenta e quale Eva obbediente per il bene della Sua progenie. La terza e ultima ipotesi, la cooperazione mediata, anch’essa alternativa alle altre due, può tuttavia pure armonizzarsi con quelle. In questa teologia la collaborazione mariana alla Salvezza, concepita appunto come mediata e remota, è previa, perché Maria acconsentì all’Incarnazione e perché ai piedi della Croce, proprio per il Suo doloroso assenso alla Morte del Figlio, ricevette il diritto di applicare attivamente i meriti di Lui alla salvezza di ognuno (redenzione subiettiva). Queste due ultime tesi potrebbero fondare il diritto specifico di Maria SS. alla Mediazione, di cui diremo, e quindi costituirsi come fondamento della Sua assoluta causalità strumentale di salvezza. E’ ai piedi della Croce che Maria SS. partorisce nel dolore, cosa che non Le era toccata a Betlemme, perché diventa Madre della Chiesa e di ognuno di noi, la Madre nostra. In questa maniera, la Sua Maternità Divina si completa, perché si estende a tutte le membra del Mistico Corpo del Suo Figlio, sia considerate singolarmente che come totalità, la quale è appunto la Chiesa. Questa Chiesa è, di per sé, il Cristo Totale, il Pleroma, composto da Lui e da noi salvati, inclusa la Madre. E’ cioè il Corpo del Cristo. Ma, considerata di per sé, senza il Cristo, la Chiesa è la Sua Sposa, nata dal Suo Costato squarciato, e a Lui unita indissolubilmente, appunto nel Pleroma. Infine, se consideriamo la Chiesa senza Maria, questa ne è la Madre, perché genera tutte i Suoi membri, tranne ovviamente Se stessa, come ha generato il Cristo. Tale generazione avviene per necessità: non si può essere innestati in Cristo senza divenire figli di Maria, e ovviamente senza che Costei compia atti generativi in senso soprannaturale. Tali atti sono gli stessi della Maternità Divina e della Corredenzione: la Concezione e il Parto di Cristo, il nutrirlo e allevarlo, l’offrirlo ai piedi della Croce; tale maternità perdura tuttora nell’intercessione e in tutti gli atti con cui Lei ci ottiene i doni dell’eterna salvezza, e durerà fino al coronamento perpetuo degli eletti. Questa Maternità ecclesiale si ravvisa nel rapporto tra la Donna e la Sua Stirpe, che non è il solo Cristo, e che è espresso in Gn 3,15 e Ap 12,18, dove Ella ha una numerosa discendenza. Sebbene non sia una dottrina definita dogmaticamente, è tuttavia certa per le stesse ragioni per cui lo è quella della Corredenzione (20). All’interno della Chiesa, tutti noi siamo realmente Figli di Maria SS. Perciò Lei è la Madre nostra, anche in questo caso per dottrina certa (21). I testi biblici delle Nozze di Cana (Gv 2,1-12), dello Stabat (Gv 19, 25-27) e della Donna vestita di sole (Ap 12) sono assai significativi: Maria SS. vi mostra un interessamento materno per noi, assume la maternità dei discepoli, viene ricevuta e curata amorevolmente da Giovanni in vece di Cristo, rappresenta una moltitudine di figli riuniti (per gli agganci del VT), ha esplicitamente una discendenza. Tale maternità, reale in ordine alla Grazia (da cui il titolo di Madre della Divina Grazia), metafisica, mistica e spirituale, è singolare, perché unica nel suo genere; ha origine nel progetto divino di salvezza, si attua nell’Incarnazione, nella Morte e Resurrezione del Figlio; vede la Vergine SS. seguire ognuno di noi nei momenti della vita sovrannaturale, compresi quelli sacramentali, in cui Lei intercede per noi e ci comunica, come strumento consapevole nelle mani del Figlio stesso, la Grazia che rende efficace i Sacramenti stessi, a partire dal Battesimo (22); prosegue oltre la morte in Purgatorio (23) e in Paradiso; crea una relazione tra noi e Lei, stabile, personale e collettiva; è una funzione di Maria SS. nei nostri confronti, parte integrante del progetto salvifico; ha lo scopo di condurci a Dio; è sempre verginale e gioiosa. Noi abbiamo il dovere e il diritto di sentire Maria SS. per mamma, di cooperare con Lei a nostro vantaggio, di amarla, di venerarla, di vedere le cose con i Suoi occhi celesti. Compiuta col Figlio l’opera di Redenzione, Maria SS. fu associata alla Sua Gloria. Ciò già avvenne con le Sue Allegrezze (24), che prefigurano il Mistero Pasquale e si compiono in esso, e culmina con il processo di uniformazione alla Resurrezione di Cristo mediante l’Assunzione in anima e corpo al Cielo (25). Essa, oltre che conseguenza dell’immunità dal Peccato Originale e della Perpetua Santità che rendevano Maria SS. immeritevole del destino del decesso e della decomposizione del corpo - per cui l’Assunzione avviene dopo una morte dolce e non traumatica, la Dormizione, che doveva toccare ad Adamo se non avesse commesso colpa - scaturisce appunto dalla Corredenzione, nonchè dalla Maternità Divina, per cui Colei Che aveva dato il Corpo al Verbo di Dio non poteva conoscere corruzione. Perciò alla fine dei Suoi giorni Maria SS. fu assunta in Cielo col corpo e con l’anima, senza attendere la Resurrezione dei corpi (26), in una perfetta conformità al Figlio Suo. In tale glorioso evento si compiono le parole della Scrittura, come le hanno interpretate i Padri, specie in Gn 3,15 (la Donna trionfatrice del serpente e quindi anche della morte da lui introdotta nel mondo), in Es 20, 12 (il Secondo Comandamento implicava che Cristo glorificasse al massimo la Madre), in Is 60, 3 (il sacrario ove Dio pose il piede sarà glorificato), in Sal 45, 10.14-16 (La Regina che entra in Cielo e siede alla destra del Figlio), in Sal 132, 8 (l’Arca dell’Alleanza che entra nel riposo del Signore insieme a Lui), in Ct 3,6 (la Sposa che sale per essere incoronata), in Lc 1,28 (la Piena di Grazia che, in virtù di tale pienezza, riceve anche la completa e immediata beatitudine), in Ap 12 (la Donna vestita di sole che è nella gloria celeste). Alla destra del Figlio, l’Assunta fu incoronata Regina dell’Universo. Questa regalità conforma Maria SS. a Nostro Signore. Come Egli è Re perché Creatore, Redentore e Santissimo, così Maria è Regina perché Madre del Re, Corredentrice e Immacolata. Ella è, conformemente alla tradizione biblica, la vera Regina Madre, che aveva una funzione ben precisa alla corte davidica, per cui in tale figura ha il suo tipo profetico (27). La Regalità mariana è dunque Materna. In Maria SS. Regina dell’Universo si compie il senso del saluto di Elisabetta, che l’appella Madre del mio Signore (Lc 1,43) e i titoli regi del Figlio si riverberano su di Lei (Lc 1,32.33.34; Is 9,6; Ap 19,16 (28)): le prerogative del Regno e della Regalità di Gesù sono partecipate anche alla Madre, a Cui pure fu annunziata la perennità del dominio di Lui, nella stessa Annunciazione. In effetti, se il Regno di Dio è Gesù stesso e ognuno di noi è “Regno” incorporato a Lui – per cui tale Regno è in mezzo a noi- a maggior ragione Maria SS. è “Regno” e Regina in modo pieno, anzi il vero “Regno del Figlio”, così come Lui lo è del Padre Suo. Anche questa dottrina, sebbene non dogmaticamente definita, è parte del deposito della fede, come autenticamente insegnato dal Magistero della Chiesa (29). Resa conforme alla Regalità del Risorto, Maria SS. completa così il trionfo dell’Assunzione e comincia ad esercitare il primato su tutte le cose assieme al Figlio, per opera ed azione dello Spirito Santo. La totale comunione di Lei con la SS. Trinità si manifesta ora in modo glorioso e la Potenza, la Sapienza e l’Amore delle Tre Ipostasi Divine prendono solennemente possesso della Madre del Verbo. Ella, come primizia dell’Umanità sia nella pienezza di santità che nella liberazione dalla morte, esprime in modo supremo la sovranità del Popolo di Dio, la Chiesa, che è Nazione Santa e Regno di Sacerdoti che governerà la terra. Il dominio di Maria, conforme a quello di Gesù e a Lui subordinato, è totale: esso schiaccia le forze del male. Realmente Maria SS. partecipa di quell’influsso mediante cui il Figlio regna sulla nostra mente e sulla nostra volontà (Sal 44,10). L’ultima gemma che orna la corona della Vergine Maria è la Mediazione Universale. Anch’essa dottrina certa, anche se non oggetto di definizione dogmatica (30), quella della Mediazione indica la funzione di Maria SS. di impetrare da Dio e distribuire ogni tipo di grazie agli uomini, dalle temporali a quelle della salvezza eterna. Essa è l’ultima e più completa scaturigine della Maternità Divina di Maria SS. e della Sua Verginità, l’esplicazione e il coronamento pieni della Sua Regalità e della Sua Maternità Ecclesiale, il complemento della Sua Corredenzione, il frutto maturo della Sua Immacolata Concezione. I suoi luoghi biblici sono l’Annunciazione (dove Maria pronuncia il Suo assenso mediativo all’Incarnazione, somma di tutti i doni di Dio all’uomo), le Nozze di Cana (dove intercede attivamente per gli uomini), il Calvario (dove assume la Maternità degli uomini in aggiunta a quella del Figlio). Le ipotesi teologiche sulla modalità di tale mediazione sono tre. La prima la presenta come causalità o influsso morale, perché Maria SS. intercede per i fedeli spingendo Dio a operare direttamente in loro. La seconda la mostra come causalità o influsso fisico-strumentale che dispone alla Grazia o procura un titolo esigitivo di essa. La terza la manifesta come causalità o influsso fisico-strumentale che produce ed effonde la Grazia negli uomini, ed è la più conforme alla fede cattolica. Ma non esclude, anzi ingloba, dentro di sé la prima ed esplicita il senso della seconda. Infatti tale Mediazione può essere intesa solo se rettamente rapportata alla Mediazione del Cristo e alla funzione della Chiesa. Il Cristo è l’unico vero Mediatore, perché in Sé congiunge la Natura Umana e la Divina, e riconcilia l’umanità con Dio. La Sua Ipostasi è il ponte tra cielo e terra. Vittorioso sulla morte e sul peccato, come Redentore libera gli uomini e li santifica. Egli media per loro le grazie della salute eterna e temporale, e lo fa proprio attraverso la Sua Umanità glorificata. E’ tramite essa che effonde lo Spirito Santo, il Quale opera in Sua vece nel cuore dell’uomo. Cristo è dunque causa agente di salvezza e lo Spirito Santo è causa efficiente consapevole. Il Primo ottiene la Grazia, il Secondo la produce. Strumento eletto di tale duplice causalità è la Chiesa, Mistico Corpo del Cristo e sacramento di salvezza. Essa infatti è efficace nel comunicare la Grazia, che produce non in senso assoluto come lo Spirito, ma introducendola in questo mondo. Maria SS. è al vertice di tale funzione: è Lei Che, consapevolmente, nell’economia salvifica che si compie nella Chiesa, è lo strumento di cui lo Spirito, per conto del Figlio, si serve per comunicare la Grazia e, in essa, tutte le grazie. Nella bella immagine di San Pio X, Maria SS. è il “collo” del Corpo Mistico, inferiore solo al Capo, tramite irrinunciabile tra l’Uno e l’Altro, nel quale scorre, verso le membra, l’influsso salvifico del Cristo, sia come Grazia creata che come Grazia increata, ossia lo stesso Spirito Santo. Perciò Maria SS. produce la Grazia non dal niente – cosa che solo Dio fa – ma perchè la introduce in questa dimensione, o meglio essa passa tramite Lei, vera Porta del Cielo, non senza il Suo consenso amorevole. Ossia lo Spirito Santo, come si effonde dall’Umanità Gloriosa del Redentore, così passa attraverso quella Assunta della Madre, associata alla funzione della santificazione e che continuamente intercede per noi, perché abbiamo la Grazia preveniente, santificante, sufficiente, efficace, di stato, attuale, concomitante, susseguente. E tali grazie, concesse, passano attraverso la Mistica Porta, Maria SS. Per essa defluiscono anche le grazie naturali. Non si tratta di immaginare una Madonna che decide Lei la salvezza, ma una Madre che consapevolmente compie una funzione inferiore solo a quella del Figlio di Dio e del Suo Spirito, e che la compie secondo quello che Dio stesso le dice di fare, essendo identica, nella beatitudine, la Volontà del Signore con quella della Vergine. La Mediazione Materna si estende anche al Purgatorio, dove la Madre impetra, distribuisce, dispensa i suffragi e gli aiuti alle Anime espianti, per cui è chiamata Nostra Signora del Suffragio. A perpetuo coronamento di tutti gli eletti, tramite Maria SS., Madre di tutti loro riuniti nel Cristo totale e loro Corredentrice, splende innanzi alla folla dei Beati la Gloria del Risorto, da cui promana la grazia del Lume della Gloria, per cui essi, in eterno, contemplano l’Essenza della Trinità Divina e le Sue Sussistenze sublimi. In quest’ultima mediazione materna, senza fine, Maria SS. è per l’ennesima volta lo strumento consapevole del Figlio, unico Salvatore. IL MISTERO NELLA VITA DI MARIA La vita della Beata Vergine è, in quanto strutturalmente legata a quella del Figlio, il luogo storico in cui si è manifestata la salvezza, ed è perciò essa stessa oggetto di fede. Tale vita è descritta in modo certo nella Sacra Scrittura (31), con significativi complementi nella Tradizione, che ha conservato episodi ed eventi a loro volta oggetto di venerazione e quindi, per forza di cose, da ritenersi storici, anche se a volte in circostanze non precisabili secondo i moderni criteri dell’indagine del passato (32). La Natività di Maria SS. avvenne in Gerusalemme (33), da stirpe sacerdotale (34), imparentata con il Casato di Davide (35). Perciò anche anagraficamente Maria SS. è la Figlia di Sion, la parte scelta della Santa Città, la prole eletta della Rocca di David; in Lei, Madre della Chiesa, si radunano spiritualmente tutti i popoli che, in profezia, sarebbero saliti a Gerusalemme. I suoi genitori, sant’Anna e san Gioacchino, le imposero il Nome di Maria e, non appena ebbe l’età richiesta, compirono la Sua Presentazione al Tempio, perché vi fosse educata (36). Ciò avvenne perché fosse preparata alla Sua vocazione, e perché era conveniente che nel Tempio materiale fosse introdotto il Tempio Spirituale, in cui albergava lo Spirito Santo. In questo ambiente Ella maturò il Suo voto di verginità perpetua e, conformemente alle usanze, si accinse ad un matrimonio sacro con uno sposo anche lui intenzionato ad offrire a Dio la sua castità per sempre (37). Tale uomo, scelto dai Suoi educatori, fu San Giuseppe, della stirpe di Davide (38). Nato a Betlemme di Giudea, san Giuseppe – forse per motivi di lavoro – dovette trasferirsi a Nazareth in Galilea (39), dove anche Maria SS., con la Sua famiglia, lo seguì, e dove, quand’era già sua sposa ma prima che andassero a vivere insieme (40), Ella ricevette l’Annunciazione dell’Arcangelo San Gabriele, che chiese il Suo consenso all’Incarnazione del Verbo nel Suo seno verginale, per opera dello Spirito Santo (41). L’Arcangelo la salutò dicendo: Rallegrati o piena di grazia, il Signore è con Te. Dinanzi al turbamento della Vergine, il messo celeste aggiunse: Non temere o Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai e partorirai un Figlio e Lo chiamerai Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo. Il Signore Dio Gli darà il trono di Davide Suo padre e regnerà per sempre sulla Casa di Giacobbe e il Suo Regno non avrà fine. All’obiezione di Maria SS.: Come è possibile? Non conosco uomo!, san Gabriele rispose: Lo Spirito Santo scenderà su di Te, su Te stenderà la Sua ombra la Potenza dell’Altissimo. Colui Che nascerà sarà dunque Santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi, anche Elisabetta, Tua cugina, che tutti dicevano sterile, nella sua vecchiaia ha concepito ed è già al sesto mese. Nulla è impossibile a Dio. Perciò Maria SS. rispose, con una pienezza di fede, speranza e carità: Eccomi, sono la Serva del Signore. Avvenga di Me secondo la tua parola! Avvenne così la Concezione di Cristo e l’Arcangelo partì da Lei (42). La Vergine SS. comunicò il Suo mistero a San Giuseppe, il quale, dopo una iniziale esitazione, perché non sapeva se gli toccasse assumere la paternità di un Figlio proveniente dall’Alto, decise, su suggerimento di un Angelo del Signore, di prenderla con sé, inaugurando la convivenza verginale che durò tutta la loro vita (43). Maria SS., avendo saputo dall’Arcangelo che sua cugina Elisabetta, sposa del sacerdote Zaccaria della classe di Abia, dopo anni di drammatica sterilità, aspettava un bambino, decise, senza preoccuparsi delle conseguenti fatiche, di recarsi da lei in Giudea per assisterla (Visitazione della Beata Vergine), offrendoci un modello eterno di perfetta carità e umiltà. Appena la Vergine giunse nella casa di Zaccaria, la cugina fu piena di Spirito Santo e, mentre il bambino le sussultava in grembo, La salutò dicendo: Benedetta sei Tu fra le donne, e benedetto è il frutto del Tuo seno. A che debbo che la Madre del Mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è arrivata ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata Colei Che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore. In seguito a questo saluto profetico, Maria SS. fu ispirata a comporre e a declamare il Suo cantico, il Magnificat, in cui espresse tutte le aspettative realizzate dei Poveri del Signore, tra i quali si annoverava spiritualmente (44). Stette con la cugina per circa tre mesi, assistette alla nascita di san Giovanni – poi il Battista – e al miracolo con cui san Zaccaria riacquistò la parola perduta nel Tempio per la mancanza di fede nell’annuncio di san Gabriele, ascoltò il Benedictus del sacerdote, in cui si profetava su Gesù, e poi tornò a casa Sua (45). In seguito fu bandito il censimento di Quirino e san Giuseppe risalì con Maria SS. nella città del suo domicilio, Betlemme, per esservi registrato. Qui si compirono i giorni del Parto e la Vergine diede alla luce il Suo Unigenito, nella casa dei parenti di Giuseppe, probabilmente ubicata nella frazione di Efrata. Non essendovi posti disponibili nella parte dell’abitazione destinata agli ospiti, la Madre di Dio dovette ridursi a partorire nel locale destinato agli animali domestici, una grotta (46). Avvenne così il Natale del Signore. Il Bambino e la Madre furono ossequiati dall’Adorazione dei Pastori, avvenuta subito dopo, in seguito ad una rivelazione angelica (47). Otto giorni dopo il Bambino ricevette il Nome di Gesù, avvenne la Sua Circoncisione e cominciò a versare il Suo Sangue per l’umanità, alla presenza della Madre (48). In base alle norme di Lv 12 e di Es 13,2.11-15, e su indicazione di Nm 18, 15, avvenne nei tempi prescritti la Presentazione del Signore al Tempio e la Purificazione della Vergine. Figlio e Madre, accompagnati da san Giuseppe, sono così introdotti nel mistero dell’espiazione legale del peccato, l’Uno perché offerto, presentato e riscattato, l’Altra perché purificata per immondezze legali che non le erano toccate in virtù del Parto verginale (49): si profila il connubio tra il Redentore e la Corredentrice. Al Tempio Gesù venne riconosciuto come Messia dal maestro Simeone – che profetizzò la Corredenzione alla Madre e declamò il Nunc Dimittis (50)– e dalla profetessa Anna, rappresentanti la Legge e i Profeti. Rientrati a Betlemme con san Giuseppe, Gesù e Maria SS. ricevettero l’Adorazione dei Magi, sacerdoti astrologi zoroastriani giunti a Gerusalemme seguendo la Stella del Messia (51), che offrirono i segni della regalità, della preghiera e del dolore: l’oro, l’incenso e la mirra. Ciò segnò il riconoscimento dei pagani del Messia, che dunque manifestò loro la Sua Divinità (Epifania del Signore), ma mostrò anche la dignità regale della Madre, che nell’episodio fa da trono al Figlio e riceve con Lui l’ossequio. Tuttavia i Magi, arrivando prima a Gerusalemme, avevano ossequiato anche il re Erode, informandolo delle loro scoperte profetiche e della loro intenzione. Temendo di perdere il trono a causa del Neonato Messia davidico, di cui usurpava il trono, il crudele e astuto sovrano chiese ai Magi di tornare da lui quando avessero trovato il Bambino. Voleva così ucciderlo al più presto. Ma i Magi furono avvertiti in sogno di tornare in patria per un’altra strada. Quando Erode comprese che i saggi orientali erano ormai lontani, sulla base dei tempi di cui essi lo avevano informato e relativi al sorgere della Stella, ordinò di uccidere tutti i bambini del territorio di Betlemme dai due anni in giù, per sopprimere con loro il Neonato divino (Strage degli Innocenti)(52) . Essi furono i primi martiri per Cristo. Ma un Angelo avvisò san Giuseppe del pericolo e questi, presa precipitosamente la fuga, scampò alla morte Madre e Figlio – oltre che se stesso – trovando scampo in Egitto (53). Qui soggiornò sino alla morte di Erode (750 a.C.); avvisato infatti da un Angelo ancora in sogno, ritornò in Palestina per stabilirsi definitivamente a Nazareth. Questa città gli sembrava più sicura, perché governata da Erode Antipa, figlio del re scomparso ma non crudele come lui, mentre Betlemme era toccata ad Archelao, che degli eredi era di sicuro il più malvagio e sospettoso. Iniziò così la Vita nascosta di Gesù, Maria e Giuseppe, la Sacra Famiglia, la Trinità della Terra, accomunata dalla medesima esistenza pia, operosa, umile, obbediente e adorna di straordinarie ma invisibili virtù. In essa molti portenti si compirono, ma nel silenzio. Tale velo di divino nascondimento fu squarciato solo dal pellegrinaggio di Gesù coi Genitori a Gerusalemme per la Pasqua del Suo XII Anno. Egli rimase in città all’insaputa di san Giuseppe e Maria SS. Essi, accortisene, lo cercarono per tre giorni in Sion per poi ritrovarlo nel Tempio, ove sedeva e agiva come la Sapienza di Dio, il Suo Verbo (Ritrovamento di Gesù). Dopo questa manifestazione misteriosa della Sua consapevolezza divina, il Fanciullo ormai entrato nell’adolescenza (54) tornò, docile, alla Sua esistenza ordinaria. Ma aveva chiaramente dichiarato di essere Figlio di Dio. In questi anni di meditazione e contemplazione, Maria SS. si prese cura del marito e del Figlio, con uno zelo esemplare. In questi anni oscuri morì san Giuseppe e Gesù intraprese il suo stesso lavoro. Quando Gesù iniziò la Sua Vita pubblica, subito dopo quella del cugino Giovanni Battista, la Madre si mantenne probabilmente in disparte, sebbene probabilmente sia stata Lei ad esortare il Figlio a ricevere il Battesimo nel Giordano (55): fu l’ultimo precetto spirituale che diede a Gesù, che lo adempì per i Suoi divini disegni. La presenza della Madre è tuttavia significativamente attestata nel primo dei miracoli, alle Nozze di Cana, dove Lei, con la Sua intercessione, spinge il Figlio a compiere la trasmutazione dell’acqua in vino, sebbene si fosse ripromesso di compiere il Suo segno di esordio un poco più tardi (56). Appare palese la potenza di mediazione della Donna, la Nuova Eva, data anche l’insignificanza del bisogno di cui Gesù si occupa per Sua richiesta. Maria SS. è presente in alcuni momenti della Predicazione del Figlio, anche se spesso la calca le impedisce di stargli accanto (57). Forse visse con Lui a Cafarnao nel periodo in cui Gesù vi risiedette. Certo i rapporti rimasero stretti, dato che molti cugini di Gesù furono Suoi discepoli. Il popolo, nella ammirazione verso Gesù, trovò la prima ragione per onorare anche Sua Madre, altrimenti sconosciuta (Beato il grembo che ti ha portato e le mammelle che ti hanno allattato); Gesù colse l’occasione per mostrare il frutto che tale elezione ha portato nella Madre (Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica). In un altro luogo disse: Chi fa la volontà del Padre Mio Che è nei cieli, questi è per fratello, sorella e Madre, esaltando indirettamente la perfetta conformità della Vergine al volere celeste (58). Negli eventi della Settimana Santa, Maria SS. fu necessariamente presente. Per esempio, nella Cena Pasquale, la Madre compì i riti che la tradizione le attribuiva (59)e si comunicò al Corpo e al Sangue del Figlio. Associata spiritualmente alla Sua agonia, avvisata del Suo arresto, potrebbe aver assistito ai tumultuosi processi notturni con cui Gesù fu sommariamente giudicato; forse fu ammessa alla Flagellazione e alla Coronazione di Spine del Figlio; assistette al rigetto che la piazza fece di Lui preferendogli Barabba; accompagnò Gesù sulla via del Calvario, incontrandolo in uno straziante faccia a faccia, in cui il Sangue di Lui si mescolò alle Lacrime della Madre (60) ; vide l’atroce atto della Crocifissione; fu ammessa ai piedi della Croce e vi stette immobile, senza piangere, partecipando alla Redenzione del mondo; ricevette dal Figlio, che la chiamò ancora Donna, l’apostolo san Giovanni come sua nuova prole simbolica e a questi fu affidata come Madre (61); accolse Gesù morto tra le braccia; lo accompagnò al Sepolcro, che visitò nel Sabato Santo (62). Fu cioè Corredentrice, anche se la pietà popolare preferisce chiamarla Addolorata o, nelle ore della Sepoltura, Desolata. Ciò che provò, nell’intensità di una atroce immolazione spirituale, è noto solo a Lei e a Dio. Il dolore di vedere il Figlio orrendamente torturato, seviziato, sfinito e poi ucciso non può essere concepito, essendo la Vergine Maria la creatura dotata della massima sensibilità dopo quella di Gesù. L’immolazione dell’Anima, sebbene sorretta dalla fede, non le risparmiò una oscura notte di assoluto abbandono, una fitta tenebra di desolazione priva di qualunque conforto. Lo strazio fu talmente tremendo, che la mantenne in vita, piuttosto che liberarla, nella morte, da quelle esperienze terribili. La Madre sopravvisse al Figlio, alla visione delle Sue Carni lacerate da migliaia di Piaghe, ricoperte dal Suo stesso Sangue; sopravvisse all’ascolto dei Suoi gemiti soffocati sotto i colpi dei flagelli, sotto la calotta delle spine, sotto il ruvido legno della Croce nella Salita al Golgota, sotto i colpi rudi dei grossi chiodi, sotto gli strappi inflitti alle Sue membra; sopravvisse alle urla della folla che l’aveva condannato a morte, immemore dei benefici ricevuti, agli insulti sadici dei sacerdoti ebbri della loro infame vittoria, che si accalcavano ai piedi del patibolo dal quale pendeva la loro Vittima, alle risate malvagie dei soldati, ai motteggi del popolaccio; sopravvisse agli spasimi del Figlio, che parlava tra i tormenti dalla Croce, che elemosinava da bere, che pregava, umanamente senza risultato, il Padre Suo; sopravvisse alla Sua Morte, di puro e acerbo dolore, mentre lo stesso creato si ammantava di tenebre; sopravvisse al corpo oltraggiato dalla lancia, al cuore inutilmente spaccato dalla pedante crudeltà degli uomini. E soprattutto sopravvisse a Se stessa, bramosa di unirsi all’opera del Figlio Redentore, nonostante lo sforzo sovrumano compiuto per non lasciarsi andare al naturale, umano e giusto dolore che ogni madre avrebbe provato nella disperazione. Quando il Figlio risorse, Maria SS. – l’unica che aveva continuato a credere in Lui – fu gratificata di una apparizione personale (63); fu senz’altro presente alle apparizioni ai XII Apostoli nel giorno di Pasqua e forse li seguì in Galilea; assistette all’Ascensione del Figlio al Cielo (64); si trattenne nei dieci giorni successivi con gli Apostoli nella preghiera del Cenacolo e in esso ricevette con loro lo Spirito Santo (65). Affidata dal Figlio a san Giovanni, Maria SS. forse lo seguì in una parte dei suoi spostamenti in Asia Minore (66); in stretto contatto con gli Apostoli nel corso della loro missione (67), la Vergine fu poi di nuovo a Gerusalemme. Dopo aver tramandato le Sue memorie che confluirono nel Vangelo di Luca (68), la Madre del Redentore chiuse la Sua Vita terrena in Sion. Ella abitava probabilmente in Magdalia, vicino alla capitale. Forse si divideva tra questa casa e quella dei parenti di san Giovanni, sul Monte degli Ulivi. Il Signore, tramite l’Arcangelo san Gabriele, le preannunziò che si sarebbe addormentata per poi salire al Cielo. Si preparò dunque devotamente all’Incontro. Informati dell’imminente trapasso della Madre di Dio, gli Apostoli si radunarono tutti a Gerusalemme, tranne san Tommaso. Dolcemente, perché priva del Peccato Originale, la Madre di Dio si addormentò (Dormitio). Il Suo Corpo verginale fu composto nella Tomba, ancora oggi esistente, da san Pietro, mentre l’Anima fu presa da Dio stesso, che l’affidò all’Arcangelo san Michele. Passati tre giorni, il Corpo della Madre, incorrotto, fu unito alla Sua Anima e assunto in Cielo per il ministero degli Angeli psicopompoi, trasportatori di anime, san Michele e san Gabriele. Fu san Tommaso, sopraggiunto in ritardo, a voler contemplare le fattezze della Vergine per l’ultima volta, ed entrò nella Tomba, ma la scoprì vuota; alzando gli occhi al Cielo, contemplò Maria SS. Assunta in Anima e Corpo nella Gloria (69). In effetti ancora oggi il Sepolcro di Maria SS., come quello del Figlio, è vuoto. E la Sua Persona è in Cielo. Ma la Vita della Beata Vergine continua anche dopo la Sua Assunzione. Realmente Incoronata dal Figlio, unica ad avere in Cielo un Corpo oltre a Lui, costituita con potenza nello Spirito Santo quale Madre della Chiesa e Mediatrice, ha continuato e continua a prendersi cura dei Suoi figli, spesso con eventi straordinari (come le mariofanie, le apparizioni mariane) che molte volte sono state autenticate anche dalla Chiesa. Questa, sapendo che Maria SS. è unita stabilmente al Verbo Incarnato, ha sempre confessato che, come nella rappresentazione dell’Umanità di Cristo si contempla l’immagine della Sua invisibile Divinità, così in quella della Madre di Dio si mostra autenticamente la Sua Persona con la Grazia che la pervade e che Ella comunica. Perciò le Icone della Vergine possono essere venerate in modo proporzionato alla Sua Santità e producono la Grazia per le Sue preghiere (70). In esse ritroviamo il mirabile ritratto che sant’Epifanio (320-404) fece di Maria SS. con queste parole: “Non era di alta statura, sebbene alcuni dicono che sorpassasse i limiti della media…Il colorito, leggermente dorato dal sole della patria Sua, rifletteva il colore del frumento. Biondi i capelli, vivaci gli occhi, un po’ olivastra la pupilla. Le sopracciglia arcuate e nere; il naso un poco allungato; le labbra rosse e colme di soavità nel parlare. Il viso, né tondeggiante né aguzzo, ma leggermente ovale, le mani e le dita affusolate..” (71). Nel Suo Volto in effigie l’umanità, sfinita dalla sua mortale debolezza, contempla il modello ineffabile della santità di Lei, così come fu in terra: “..una Vergine pura, di animo equilibrato..che amava le opere buone…che non ha mai desiderato essere vista dagli uomini…che ha pregato Dio da Sola a Solo…che non gridava, e stava attenta a non sparlare di alcuno e a non ascoltare altri dir male di altri…Non si inquietava; non invidiava; non si vantava, ma era umilissima; non aveva alcuna cattiveria nel Cuore..Ogni giorno avanzava e progrediva..In luogo di pani visibili, si riforniva delle parole di verità, al posto del vino, teneva gli insegnamenti del Salvatore e in quelli si dilettava…Ecco l’immagine della Verginità! E di fatto Maria fu tale (72).” A Lei volgiamo lo sguardo, dopo duemila anni, con la stessa immutata fiducia nella onnipotenza supplichevole di Chi è la Madre del Bell’Amore, di Chi è la causa di tutta la nostra speranza, la ragione di tutta la nostra gioia. ADNEXUM I ITE AD JOSEPH Elementi di giosefologia di Vito Sibilio Non si può raggiungere
(A.M.Lépicier) Giuseppe ebbe parte a
(San Giovanni Crisostomo) “Andate da Giuseppe ”, disse in profezia il Faraone agli Egiziani in tempo di carestia (Gn 42, 55): il figlio di Giacobbe era infatti diventato primo ministro del paese. In tale versetto del Genesi la Chiesa riconosce l’invito divino alla devozione verso san Giuseppe, il cui ruolo istituzionale nell’economia salvifica impone una riflessione su di lui ed esorta caldamente alla pietà nei suoi riguardi. Non è un Santo come gli altri, è il Primo di tutti i Santi (73), innanzi al quale, proprio come nel sogno del suo antesignano omonimo (Gn 37, 9 ss.), furono reverenti il Sole (Gesù Cristo), la Luna (Maria SS.) e le undici stelle (tutte le tribù del Nuovo Israele). Per questo Egli è oggetto di una riflessione dogmatica e storica, atta a completare quella su Maria e a contribuire all’introduzione al mistero della Chiesa, della quale è Patrono, perché la custodì ai suoi esordi, quando era la sola Sacra Famiglia, cooperando così anche Lui – anche se in modo estrinseco e morale – all’Incarnazione e alla Redenzione (Pio XI). Tale riflessione è propria della giosefologia, la branca della teologia dedicata a san Giuseppe (74). LA RIFLESSIONE DOGMATICA SU SAN GIUSEPPE San Giuseppe entra nella Storia della Salvezza perché è Vero Sposo di Maria SS. (Mt 1, 16). Ma è vero Sposo di Lei perché è Figlio di David (Mt 1, 20; Lc 2, 4), ultimo esponente della Dinastia del Re al quale Dio stesso aveva promesso di dare un erede che sarebbe stato il Messia. Il titolo davidico è adoperato dall’Angelo stesso che Giuseppe sogna quando deve decidere se assumere la Paternità di Gesù. Giuseppe è vero Sposo, né poteva essere altrimenti. Maria SS., sebbene forse collateralmente imparentata col Casato di David, non poteva garantire la discendenza legale al Figlio Suo, perciò doveva andare in sposa ad un discendente del Re (75). Giuseppe, anche lui vergine per voto e partecipe dell’ideale del matrimonio verginale, era lo sposo ideale di Maria SS. Il loro matrimonio fu reale, perché realizzò lo scopo primario di ogni unione, la stabile unità dei coniugi nella vita spirituale, morale e materiale, e non mortificò il mezzo ordinario di tale unione, la vita sessuale, perché entrambi gli sposi decisero di offrire a Dio la loro castità perpetua, proteggendo l’Uno con l’Altra la loro ferma risoluzione. A tale risoluzione, evidentemente privata, Dio concesse anche il suggello di una Prole divina. Il loro connubio fu il più meraviglioso possibile: Maria SS. e san Giuseppe si scelsero prima ancora che Dio irrompesse nelle loro vite con la Nascita di Gesù; si scelsero spontaneamente e per la vocazione più alta, un matrimonio verginale. Condivisero il più alto e difficile ideale, e si amarono con una purezza, con una intensità, con una profondità, con una completezza e con una carità che, tutte insieme, danno l’amore umano, sponsale, spirituale, materiale e soprannaturale più completo e acceso che sia possibile a due esseri umani: un’unione dominata non dal desiderio (eros) ma dall’amore di condivisione gratuito (agape e carità). Per cui tale coppia fu, ad un tempo, modello sponsale e monastico, e per grazia eccezionale, verginale e feconda, nella Prole Divina concessale. I due furono veramente innamorati, e vissero la più grande, straordinaria e ardente storia d’amore di tutti i tempi (76). Tale amore fu figura del mistero della Chiesa, Sposa e Vergine di Cristo, evidentemente simboleggiato in Maria SS. e san Giuseppe, che capovolgono l’amore egoistico e mortifero di Adamo e Eva (77). In ragione di ciò, perché Sposo di Maria SS., san Giuseppe divenne anche Padre putativo di Cristo. Una putatività che non esclude, anzi suppone, la verità della paternità. Infatti Giuseppe fu realmente padre del Cristo in quanto Uomo, anche se in senso morale e non ontologico. In virtù di ciò, Egli entrò pienamente nell’ordine dell’Economia Ipostatica (78)– ossia ha una stabile e reale relazione con il Verbo Incarnato e il Suo Mistero – perché esercitò una funzione ben precisa, che lo mise in relazione diretta con le Tre Auguste Persone Divine. Tale funzione è appunto quella paterna nel senso genitoriale. Lo chiamiamo spesso Nutrizio del Figlio di Dio, Aio di Gesù, Solerte Difensore di Cristo,Custode del Redentore, ma l’antichità non esitava a chiamarlo Padre di Cristo, e la stessa Vergine lo fece, nell’occasione del Ritrovamento di Gesù nel Tempio (Lc 2,48; anche 2, 22-23). Il Signore replicò dicendo che si doveva occupare delle cose del Padre Suo, sottolineando che è dalla Prima Persona Divina che Egli è generato, ma poi, al termine della vicenda, torna a Nazareth e sta sottomesso ai genitori, confermando, con la Sua condotta, la reale paternità di Giuseppe nei Suoi confronti. Questa paternità non è biologica, non essendo compatibile con la Concezione verginale e con la Generazione di Spirito Santo di Gesù nel grembo della Madre Sua, ma è reale, perché è genitoriale, ossia educativa. Nato nel matrimonio casto di Maria e Giuseppe, nato senza alcun elemento sessuale, Gesù è il Nuovo Adamo, sceso dal Cielo, ma è anche la vera Prole di queste nozze verginali, alle quali si addiceva solo un Figlio concepito di Spirito Santo. Era necessario che il Nuovo Adamo, Uomo e Dio, fosse senza padre come uomo e senza madre come Dio. Inoltre una paternità umana, incompatibile con quella divina, non può peraltro mai essere verginale, in quanto la gestazione avviene fuori del corpo del maschio, esigendo la fecondazione, per cui Giuseppe non poteva in nessun modo essere padre biologico di Cristo; ma l’educazione data dal padre al figlio, che è l’essenza della paternità, fu completamente impartita dal nostro Santo a Gesù. In tutto quello in cui era necessario che Gesù Cristo fosse educato e allevato da un padre terreno, perché la Sua Umanità fosse reale e completa, Egli dipese da San Giuseppe. Questi lo curò, lo nutrì, lo protesse, gli insegnò, lo formò moralmente e spiritualmente, lo educò religiosamente, collaborando pienamente alla funzione educativa della Madre. Gesù, in quanto Uomo, ebbe dunque in Giuseppe il Suo vero padre terreno. Ma, siccome si è padre della persona del proprio figlio, anche Giuseppe fu padre della Persona del Verbo, in quanto Uomo. Egli cioè educò la Sapienza di Dio fatta Uomo. Ciò implica una santità talmente eminente, una personalità talmente equilibrata, una umanità talmente perfetta in Giuseppe, da essere inferiore solo a quella di Maria SS. e di Cristo medesimo. Il nostro Santo, sebbene concepito nella colpa originale, liberatone per i meriti del Redentore in virtù della sua fede, condusse una esistenza libera di fatto da ogni menchè minima colpa e adorna di tutti i meriti. Fu lo strumento consapevole di cui Dio Padre si servì per educare il Suo Figlio fatto Uomo. Questi si compiacque di obbedirgli nella Sua crescita umana. Inoltre, siccome lo Spirito Santo, inviato dal Padre, riempiva l’Umanità di Cristo in modo assoluto e provvedeva alla Sua santificazione, secondo il beneplacito della Sua Divinità, Giuseppe fu lo strumento di cui si servì la Terza Persona della Santissima Trinità per formare pedagogicamente l’Uomo Gesù, in tutte le cose in cui gli uomini sono formati dai propri padri. Si configura così un plesso di relazioni tra Giuseppe e le Tre Ipostasi Divine: l’Eterno Padre gli conferisce la potestà vicaria sul Figlio, Che è Suo anche in quanto Uomo, e sul Quale nessuno può comandare o esercitare influsso senza il Suo beneplacito; l’Eterno Figlio lo costituisce Suo padre genitoriale riguardo all’Umanità e vuole che il mondo lo reputi tale anche biologicamente fino alla piena rivelazione del mistero della Sua Incarnazione; l’Eterno Spirito Santo lo sceglie per istruire e santificare in modo vicario Gesù, in quanto Uomo, agendo dall’esterno dell’Ipostasi del Figlio stesso. In ragione di ciò, Giuseppe, inferiore in potestà e come modello educativo per Gesù solo alla Madre, è realmente Vicario in terra del Padre Eterno, Padre putativo dell’Eterno Figlio, Vicario in terra dell’Eterno Spirito Santo. Queste relazioni con la SS. Trinità nascono per la paternità che Giuseppe assume in quanto Sposo di Maria, ma sussistono indipendentemente da tale matrimonio, una volta avviate, e hanno come tramite immediato proprio la paternità che il Santo esercita nei confronti del Figlio di Dio, che in un certo senso parziale è anche Figlio suo. La relazione speciale di san Giuseppe con lo Spirito Santo si estende anche a Maria SS. Costei è il Tempio vivo del Paraclito, inferiore per santità solo all’Umanità di Gesù. Giuseppe, Sposo di Maria, La custodisce e La sposa in vece dello Spirito: le nozze verginali sono un segno dell’unione strettissima tra la Madre di Dio e la Terza Persona della SS. Trinità. Perciò san Giuseppe è Vicario dello Spirito Santo anche in relazione alla potestà maritale verso Maria SS. Anzi, essendo Cristo e Maria templi vivi del Paraclito, Giuseppe è custode, è levita di entrambi: a lui sono affidati i tesori più preziosi di Dio. Egli realmente lo ha costituito Amministratore di tutti i Suoi beni. Egli è colui che nella Casa di Dio occupa il posto maggiore (79), il Maggiordomo della SS. Trinità. In tale ottica, egli fu il vero e naturale Capo della Sacra Famiglia, segno, simbolo e germe dell’Umanità rinnovata, della Chiesa. La sua potestà non è solo naturale, ma soprannaturale, sia perché comandò al Figlio di Dio e a Sua Madre, sia perché esercitò un influsso reale su di loro. In ragione di ciò, egli è autentico Patriarca e Patrono della Chiesa. Patriarca, perché capo dell’Umanità nuova e del Nuovo Israele, da lui scampato dalla distruzione di Erode e condotto in Egitto: fu perciò compimento profetico di Adamo, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe e dello stesso Giuseppe del Genesi. Patrono, perché continua a proteggere la Chiesa Universale come protesse Gesù e Maria, che di Essa sono il fondamento ontologico. Tale patronato si estende anche alla Chiesa espiante in Purgatorio e a quella Celeste, che gli fa corona. La santità di Giuseppe, come ho detto, è particolarmente eminente, in ragione del compito a cui è chiamato: egli è chiamato icasticamente giusto (Mt 1, 19). E’ questo il più alto complimento che la Bibbia può fare: il Giusto per eccellenza è Cristo; i giusti dell’AT – da Abele in poi – sono Sue figure profetiche. Giuseppe diventa così figura e antecedente immediato del Figlio, il vero Giusto. Le virtù del Santo sono attestate direttamente dalla Bibbia: fede, speranza, carità, obbedienza, fortezza, castità, prudenza, laboriosità, umiltà, sapienza. Egli è modello di ogni virtù. Nell’ombra di questa virtù – che incute un sommo terrore ai demoni, inferiore solo a quello incusso da Maria SS. – visse Gesù Cristo fino al momento della Sua manifestazione. Allora Giuseppe era appena morto, né poteva sopravviverle. Infatti Giuseppe era il Figlio di David, l’erede al trono di Giuda e Israele; solo quando lui morì tale titolo potè passare pienamente a Gesù, Che coonestò il prestigio di tale dignità con la Maestà Sua propria di Figlio di Dio, portando la famiglia del biblico Re a un fastigio che nessun uomo poteva ottenere. Il glorioso Patriarca è sepolto – secondo la Tradizione – accanto alla Vergine. La mancata identificazione delle sue spoglie potrebbe dare adito ad una teoria teologica sulla sua fine: qualcuno ha parlato di una assunzione del patriarca, ma forse il suo corpo è stato portato in regioni sconosciute, come quello di Enoc o di Mosè. In un certo senso, Giuseppe, come Melchisedec, non è mai morto, perché la Scrittura non attesta in nessun luogo il suo decesso. Anche in questo è come gli antichi eroi dei cicli patriarcali, uomini famosi, che vedevano Dio faccia a faccia. LA VITA DI GIUSEPPE NEL MISTERO DELLA SALVEZZA Giuseppe nacque a Betlemme, dalla stirpe di David, dove c’è la sua casa paterna (80). Era senz’altro più anziano della Vergine, ma non era quel vecchio che certa agiografia, sulla scorta degli apocrifi, ha voluto dipingere, per tutelare l’integrità di Maria SS. In effetti, se fosse stato un vegliardo, non avrebbe potuto garantire l’onore della Madre di Dio, per quel tempo in cui la Sua maternità divina fu avvolta nel silenzio (81). Era perciò un uomo giovane e anche bello (82). Probabilmente nacque una decina di anni prima di Maria SS. La sua genealogia naturale è data in Luca, quella legale in Matteo. La notizia apocrifa del suo matrimonio precedente, data per giustificare la nascita dei fratelli e delle sorelle di Gesù, è fasulla (83)e inutile, poiché il Vangelo dà i nomi dei padri di tali fratelli – Cleofa e Alfeo – oltre che delle madri. Anche Giuseppe fece voto di verginità – altrimenti non avrebbe senso che la Madonna lo facesse e contraesse matrimonio (84)– e fu scelto come sposo di Maria SS. dai suoi educatori, come ho spiegato a proposito della mariologia. Probabilmente fece parte dei collegi maschili che servivano il Tempio (85), per cui dopo nacque la leggenda del suo sacerdozio. Gli apocrifi tramandano pittoreschi episodi sulle circostanze miracolose in cui egli fu scelto (il bastone fiorito) entrati poi nella sua iconografia (86). Trasferitosi a Nazareth probabilmente per ragioni di lavoro – la Galilea era al centro della politica delle grandi opere di Erode e il Santo era carpentiere ad alto livello di specializzazione – Giuseppe entra nella storia sacra dopo l’Annunciazione. Quando essa avvenne, il matrimonio era stato già celebrato ma la coppia ancora non coabitava, e ognuno dei coniugi viveva nella sua casa (87). Era indispensabile che Maria SS. concepisse nel matrimonio, perché la genitorialità della coppia, anche se verginale, fosse legale e morale. Ciò inoltre dava l’onore necessario alla Maternità Divina di Maria SS (88). Fu Lei stessa a informare lo Sposo di quello che Dio aveva operato (89). Iniziò così per Giuseppe la cosiddetta “tempesta del dubbio”, immortalata anche nell’arte. Doveva Giuseppe prendere con sé Maria SS. con Suo Figlio? E qual è la ragione del Suo dubbio? Il testo evangelico si presta a diverse interpretazioni, ma l’unica fondata è quella che ci presenta il Santo preso dal timore reverenziale per il Figlio di Dio, del Quale non crede di aver diritto di assumere la paternità, oltre che per Maria SS., della Cui Santità sa che è destinata solo a Dio (90). Infatti Giuseppe, uomo giusto, decise (91) non di ripudiare la Moglie ma di licenziarla (92), in segreto (93), cosa che sarebbe stata contro la Legge mosaica, se egli avesse saputo o creduto – com’era ragionevole fare – di essere stato tradito (94). Perciò la rivelazione angelica è chiara: Giuseppe figlio di David non temere di prendere con te Maria tua sposa, per il fatto che Ciò Che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo. Lei infatti partorirà un Figlio, al Quale tu metterai nome Gesù. Infatti Egli salverà il popolo dai suoi peccati (95). Giuseppe inserisce Gesù nella dinastia davidica e svolge la funzione eponima, propria del vero padre. Dio Padre affida Suo Figlio al Figlio di David. Da quel momento, il destino di Gesù è segnato da quello di Giuseppe. E’ lui che, residente a Betlemme, vi sale per il censimento, facendo nascere il Redentore nel luogo profetizzato. E’ lui che condivide la povertà della Nascita e testimonia il Parto verginale. E’ lui che riceve, con Moglie e Figlio, l’ossequio dei Pastori, che riconoscono nel Messia il Re. E’ lui che circoncide il Bambino e gli impone il Nome già comunicato a Maria SS. e poi ripetutogli. E’ lui che, con la Moglie, presenta Gesù al Tempio e ascolta le profezie che lo riguardano. E’ ancora lui che trattiene la Famiglia in Betlemme e riceve i Magi nella sua casa, anche se l’ossequio di adorazione del Bambino, se lambisce la Madre, non lo riguarda. E’ infine sempre lui che, improvvisamente avvisato dall’Angelo della minaccia di Erode, senza battere ciglio per questa prova senza ragionevole preavviso, confidando solo in Dio, fugge a rotta di collo in Egitto, lungo la strada battuta dai Figli di Giacobbe durante la discesa del Genesi. In tutte queste circostanze Giuseppe è il Capo, il sostegno, l’uomo autorevole a cui ogni donna e ogni figlio vorrebbero affidarsi. E’ ancora a Giuseppe che l’Angelo, in sogno, comunica la morte di Erode, per cui deve tornare dall’Esilio, come il Popolo con Mosè. Ed è, infine, sempre Giuseppe che decide, da solo, di andare a vivere nella casa di Nazareth, più sicura, adempiendo alle profezie. Inizia così la Vita Nascosta della Sacra Famiglia, segnata dalla ferma e amorevole autorità di Giuseppe sulle primizie della Chiesa, Cristo Capo e Maria Madre. Il nascondimento è svelato solo dal Ritrovamento nel Tempio di Gesù: è Giuseppe che lo conduce a Sion, è lui che lo cerca , è lui che lo riporta a casa, sempre in unione con Maria SS. Egli sostiene la Sacra Famiglia col proprio lavoro (96) e lo insegna a Gesù. Vi condivide gli immensi tesori spirituali che il Figlio e la Madre vi portano (97). Li ama e ne è riamato. Li cura e ne è curato. Li rispetta e ne è rispettato. La loro relazione è più intima e profonda di qualunque altra relazione terrena, più nobile, forte, intensa, stabile, soave e potente di ogni altra umana e soprannaturale. Quale santità ornasse la sua anima, quale equilibrio la sua mente, quale stabilità la sua psiche, quale forza il suo corpo per adempiere i suoi compiti con gioia e amore, nessuno può capire. E’ l’uomo migliore, l’anima più eletta, il Santo più grande, dopo Gesù e Maria. E cosa dire dei suoi specifici rapporti con Gesù? Come potè amarlo, educarlo, seguirlo, guidarlo, formarlo da tenero e autorevole padre, e nel contempo adorarlo quale suo Dio? Come potè istruirlo nella fede e nel compito messianico, tramandandogli la tradizione davidica? E che tipo di tenerezza gli usò o ne ricevette? Le risposte a queste domande vengono più dalla ricchissima tradizione iconografica che dalla teologia speculativa, ma mai nessuno scandaglierà quest’ennesimo mistero di incantevole bellezza che avvenne a Nazareth. In grembo a Giuseppe, Gesù stava come il Re d’Israele sul Trono di David, il Germoglio sul Tronco di Iesse. La maestà di Giuseppe realizzava la profezia di Isaia: ci è stato dato un Figlio…(con) sulle spalle il segno della sovranità. Si scioglie il senso profetico del suo Nome: Dio aggiunga altri figli. Il vergine dà ad Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuda e David il Figlio dell’Uomo, la Benedizione di tutti i popoli. In quest’ottica si coglie il mistero della morte di Giuseppe. Solo quando egli morì Gesù divenne a tutti gli effetti il solo Figlio ed erede di David, il vero Messia Re. Allora, completamente emancipato, potè annunciare il Regno di Dio e mostrare anche la Sua Regalità divina e il Suo Messianismo redentore. Così si compì la missione del Patriarca, che aveva cooperato alla Incarnazione e alla Redenzione, contribuendo ad allevare, nutrire e formare la Vittima e Sacerdote, accettandone il destino e uniformandosi ai Voleri Divini (98). Confortato da Gesù e da Maria SS. il Santo si spense dolcemente, per cui – a parte il dibattito sulle modalità della sua fine, a cui ho fatto cenno – esercita il suo potentissimo patrocinio anche sui morenti.
1. Egli è infatti la prima Concezione Immacolata, è il Tutto Santo, è il Sempre Vergine, è il Figlio di Dio secondo la Natura Divina e Umana e secondo la Persona, è il Redentore, è il Risorto, è il Nuovo Adamo il Cui Corpo è la Chiesa e di Cui ognuno di noi è un membro vivo, è il Re dell’Universo, è il Mediatore Universale. Su questi misteri cristologici si innestano i corrispettivi mariani che andremo ad esaminare, spesso definiti con i medesimi termini: Immacolata Concezione, Perfetta Santità, Perpetua Verginità, Maternità Divina, Corredenzione, Maternità ecclesiale e spirituale, Assunzione, Regalità, Mediazione. Sul tipo dei misteri mariani e attraverso essi si realizzano gli equivalenti misteri della Chiesa: Immacolata perché liberata dal Peccato originale; Santa perché chiamata a tale perfezione, già raggiunta in Maria e nei Beati; Madre perché generatrice di una umanità nuova; Vergine perché genera di Spirito Santo; Nuova Eva perché nata dal costato del Nuovo Adamo addormentato sulla Croce; Assunta nella gloria già in Cristo e Maria e poi in tutti i suoi membri alla Fine del mondo; Regina perché regna e regnerà con Cristo; Mediatrice perché strumento universale di salvezza. Molti nessi saranno esplicitati nel testo. 2. Infatti, nel culto cristiano, se a Dio spetta l’adorazione o latria, alla Vergine Madre spetta la venerazione superiore, o iperdulia, di gran lunga più elevata di quella dovuta a tutti gli altri Santi, ed è di per sé obbligatoria. In effetti, essa scaturisce spontaneamente nel cuore dei fedeli, che non possono non amare e venerare la loro Gran Madre. 3. In ragione di ciò, la devozione al Nome SS. di Maria, sul modello di quella al Nome di Gesù, altro non è che la devozione al mistero della Persona della Vergine Madre, e va caldeggiata e praticata. Allo stesso modo, la devozione ai vari Nomi di Maria – Immacolata, Assunta, Incoronata, Addolorata ecc.- è verso la Persona della Vergine che in ognuno dei misteri corrispondenti viene autenticamente proposto alla venerazione dei fedeli. 4. I Libri Sapienziali usano spesso l’artificio retorico di far parlare la Sapienza divina; altre volte essa è concepita come una creatura sussistente, inferiore solo a Dio. La Tradizione della Chiesa, illuminata dallo Spirito Santo, ha riconosciuto in questa creatura magnifica una figura della Vergine, e ha attribuito a Lei le parole pronunziate in profezia. In effetti, se la Sapienza veterotestamentaria prepara la Rivelazione di quella del NT, ossia il Verbo, sebbene la prima sia creata e il secondo sia generato dal Padre, a maggior ragione la Chiesa riconosce in essa la Madre del Verbo. Anche Lei infatti è la Sapienza, solo che – più conformemente all’AT – Ella è creata, mentre la Sapienza Divina è increata, anche se poi si incarnò in Lei. Sotto certi aspetti, la letteratura sapienziale del VT si realizza più in Maria SS. che in Gesù, del Quale non preconizza la Divinità, né l’Incarnazione. 5. Andando a ritroso nella storia dei dogmi, vediamo che l'Immacolata Concezione, definita dal b. Pio IX nel 1854, ebbe una gestazione lunga e difficile. In effetti, nell'ambiente giudaico-cristiano esso era stato sempre affermato, e aveva trovato un'espressione mitica nel racconto della concezione verginale di S. Anna nel Protovangelo di Giacomo. La patristica la riaffermò indirettamente, calcando la mano sulla santità di Maria e sulla sua libertà dal diavolo; i pelagiani la proclamarono esplicitamente, e così facendo consegnarono la dottrina ad una polemica plurisecolare. Infatti, nonostante il sensus fìdei dei credenti non accettasse l'idea che Maria avesse avuto il Peccato Originale, la teologia alta ebbe difficoltà ad argomentare in favore di questo privilegio, per la pregiudiziale antipelagiana: infatti proprio il traducianesimo di Agostino si oppose all'Immacolata Concezione come noi la concepiamo. Tuttavia la fede popolare nella dottrina immacolista rimase intatta, e ciò apparve come argomento probante del fatto che facesse parte della Rivelazione divina ad Eadmero (†1134 ca.), da cui prese le mosse una corrente teologica basata sul concetto di redenzione anticipata, ossia usufruita dalla Vergine prima di contrarre la colpa. Ma le concezioni antropologiche dell'epoca rendevano più difficile una costruzione teologica più precisa, e Alessandro di Hales, sant’Alberto Magno, san Tommaso d'Aquino, san Bonaventura e persino sant’Anselmo di Aosta e san Bemardo di Chiaravalle furono sostanzialmente macolisti. Assai ostile all'Immacolata Concezione fu Giovanni XXII (1316-1334), anche se espresse quest'opinione come parere personale in alcune omelie. Nonostante una così agguerrita opposizione, il b. Giovanni Duns Scoto (†1308) riprese da Pietro di Giovanni Olivi la tesi della redenzione preservativa, che perfezionava quella di Eadmero: la Madonna era stata preservata dal peccato originale, in vista della funzione che avrebbe dovuto svolgere. Questa tesi non era stata presa in considerazione perché Pietro di Giovanni Olivi era un eretico, ma grazie al magistero di Duns Scoto, essa ora riacquistava una credibilità e veniva formulata in modo impeccabile. Il dottore, peraltro, con tatto e prudenza, definì l'Immacolata Concezione probabile nelle sue lezioni oxfordiane, dove l'empirismo rendeva più accettabile la sua riflessione teologica, e possibile a Parigi, dove più forte era la tradizione teologica precedente. Da Duns Scoto prende le mosse una corrente immacolista nuova, tipicamente francescana, a cui aderirono presto tutte le università, compresa la Sorbona, e che fece proseliti persino tra i tomisti. Sisto IV (1471-1484) vietò poi ai macolisti e agli immacolisti di accusarsi reciprocamente di eresia ed estese la festa liturgica dell'Immacolata a tutta la Chiesa. In questo modo si formarono i cardini della definibilità dogmatica dell'Immacolata Concezione: il sensus fidei dei fedeli, come elemento probante espresso attraverso la lex orandi, e la dottrina della redenzione preservativa. Su questa scia, il Concilio di Trento (1546) escluse Maria SS. dal novero di coloro che avevano contratto il Peccato d’Origine; Alessandro VII (1655-1667), nel quadro delle polemiche sulla giustificazione sollevate dal Giansenismo, nella bolla Sollicitudo (1661), si dichiarò favorevole alla dottrina immacolista vietando di denigrarla; Clemente XI (1700-1721) estese la festa liturgica dell’Immacolata a tutta la Chiesa (1708). I maggiori teologi difesero il privilegio mariano lungo tutta l’età moderna (san Pier Canisio; san Roberto Bellarmino; sant’Alfonso Maria de’Liguori; san Leonardo da Porto Maurizio). La teologia mistica, dalle Rivelazioni di santa Brigida nel ‘300 alle apparizioni di Rue du Bac (1830) e di Sant’Andrea delle Fratte a Roma (1846), ha sempre puntellato la fede nell’Immacolata Concezione, supportata anche dalle pratiche di pietà e dalle espressioni artistiche. Perciò, quando ogni polemica era oramai sopita, Papa Mastai potè interpellare l’Episcopato con l’enciclica Ubi Primum (1849), ne ottenne un consenso plebiscitario e definì il dogma con la bolla Ineffabilis Deus. Le apparizioni della Vergine a Lourdes nel 1858 diedero un ulteriore e autorevolissimo suggello alla dottrina, essendosi Maria SS. presentata come Immacolata Concezione. 6. A tale Cuore, a cui è consacrato il mondo per richiesta della Vergine stessa apparsa a Fatima nel 1917 e per opera del ven. Giovanni Paolo II (1985), è dovuta una sincera devozione, speculare anche se inferiore a quella del Sacro Cuore di Gesù. 7. Costantemente salutata come Tutta Santa, Santa o Santissima, Beata o Beatissima, Augusta nella liturgia, nel magistero e nella pietà, la Vergine non è stata ancora onorata di una definizione dogmatica in tal senso, sebbene la dottrina sia rivelata e definita tale dal supremo magistero ordinario. Così infatti il Concilio di Trento che, il 13 gennaio 1547, nella sua VI sessione, dichiarò che Maria era immune da ogni colpa, anche minima. Auspico una definizione solenne del Dogma della Perfetta Santità di Maria. 8. Il dogma della Perpetua Verginità di Maria è altomedievale: il Concilio generale del Laterano, convocato da s. Martino I m. nel 649, definì questo dogma, in polemica con ogni interpretazione docetistica della dottrina tradizionale, mettendo in evidenza che la verginità di Maria rimase intatta in modo tanto reale quanto lo fu il suo parto. Riprendeva così un insegnamento di papa sant’Ormisda (514-523), e apriva un dibattito sulla possibilità di conciliare, in modo razionale, la virginitas in partu e il parto stesso. In effetti, già sant’lldefonso di Toledo (†667) scrisse un trattato sulla verginità perpetua di Maria. Ratramno di Corbie (†875 ca) prese la penna contro il neo-docetismo tedesco, come del resto anche Pascasio Radberto (†865), per difendere questa dottrina. Ma la questione era sempre la stessa: come aveva conservato Maria la verginità fisica, se aveva partorito normalmente? Non potendosi accettare le posizioni docetistiche sulla nascita di Gesù, che la volevano accaduta in modo anche solo parzialmente incorporeo, i teologi esploravano ogni possibilità, dalla compenetrazione dei corpi a quant'altro, ma senza mai trovare qualcosa di soddisfacente. Fu san Tommaso d'Aquino a tagliar corto, attribuendo all'onnipotenza divina un fatto assolutamente inspiegabile per qualsiasi filosofìa. 9. Lo stesso pieno significato di Is 7,1 si svela solo nel NT, nonostante circolassero già spiegazioni di tipo miracolistico della profezia, ma nessuna che rimandasse ad una Incarnazione di Dio stesso, fatta di Spirito Santo. In effetti, la tradizione rabbinica non si era fermata su tale interpretazione. Inoltre, spesso si attribuisce il racconto della Concezione verginale ad un influsso esterno, per cui sarebbe la trasposizione evangelica di miti giudaici o addirittura pagani (così Strauss e Harnack, per la prima tesi; Hilmann e Gunkel per la seconda). Giova ricordare che nel paganesimo esistevano fecondazioni straordinarie, ma mai per partenogenesi; a volte gli dei fecondavano sotto forme non umane, ma sempre per piacere sessuale; altre volte generavano in modo non sessuato da parti non genitali (come Zeus con Atena, nata dalla sua testa). Ma queste forme non sono riscontrabili nel racconto biblico e in genere mai il politeismo greco-romano o siro-fenicio ha influenzato la stesura del NT. In quanto alla cultura giudaica, non ha concezioni verginali ma solo miracolose. L’unica partenogenesi della cultura ebraica, extrabiblica, è quella di Melchisedec, che però esce dal grembo della Madre morta, senza parto, ed è già in grado di parlare; inoltre egli è considerato sempre figlio di suo padre; infine, la sua nascita è in un luogo e in un’epoca mitica, anteriore al Diluvio. Perciò non può essere un modello storico del racconto evangelico e tantomeno teologico, essendo la partenogenesi di Cristo funzionale alla Sua Divinità, mai affermata di Melchisedec. Il racconto della Concezione Verginale è inoltre storico, non solo per l’attendibilità dei testi, in ordine alla datazione, agli autori, alla tradizione, ma per i riscontri ambientali (archeologici), per la precisione del quadro cronologico e spaziale, per i dati di rincalzo connessi al riconoscimento dell’evento miracoloso da parte di Giuseppe, dei parenti di Maria e degli stessi primi cristiani, compresi, ovviamente, gli evangelisti. Tutti elementi non presenti nella nascita di Melchisedec. Concludendo, non vi era niente che obbligasse i cristiani a forgiare il mito della partenogenesi (come invece suggeriva il Dibelius), e tutto permetteva loro (e a noi) di crederci come ad un fatto storico. E tale fu. 10. Giova elencare questi pensatori eterodossi, per guardarsi dalla loro velenosa dottrina: tra il 1962 e il 1980 Niewalda, van Kilsdonk, Halbfas dubitano del concepimento verginale, lo rigettano, lo svuotano del suo contenuto fisico; Malet, Evely, Dolto lo rigettano come un mito, lo considerano un teologumeno (ossia un racconto teologico e non una dottrina), considerano possibile che Gesù sia generato in modo umano (cadendo nel nestorianesimo); Ruether e Brown lo considerano un’alternativa possibile e più recente del concepimento umano di Gesù da Giuseppe; Spinetoli lo mette in dubbio; Pikaza riprende le dottrine di Brown; Scheifler anche ne dubita; Salas propone di separarlo dalla verginità biologica; alcuni autori, come Mitterer nel 1960 o Küng nel 1979, sono stati condannati per le loro opinioni sull’argomento (impossibilità del parto verginale, interpretazione mitica della partenogenesi). Anche le doglie del parto di Gesù di Nazareth di Zeffirelli sono teologicamente inesatte. Non eterodossa in sé, ma foriera di inevitabili interpretazioni ereticali, è l’idea che il racconto della concezione verginale sia un teologumeno che però esprime in modo narrativo un fatto vero e una verità di fede. 11. Insegnato già dal Concilio Costantinopolitano I del 381 con la formula Incarnatus est de Spiritu Sancto et Maria Virgine, aggiunta al Credo Niceno, il dogma della Maternità divina è stato poi ripreso dal Concilio di Calcedonia (451) ed è stato ed è continuamente ed unanimemente professato dalla Chiesa e dai cristiani separati. 12. L’appellativo Nuova Eva spetta anche alla Chiesa, ma siccome Maria è il modello della Chiesa, allora va bene anche per Lei. La Chiesa ha la funzione della Nuova Eva, e in tale funzione è parte integrante Maria SS. Questa ha sia la funzione, in relazione alla Chiesa, sia l’identità, che la Chiesa non può avere perché non è una persona. 13. In particolare per il culto dell’Addolorata, accreditato peraltro dal Magistero ecclesiastico e dai Dottori della Chiesa pressoché da sempre. 14. Il tema biblico più probante è la presenza di Maria SS., la Donna del Protovangelo che schiaccia il capo del serpente, sul Calvario. Da ciò uno sviluppo dell’equazione Maria = Nuova Eva, sulla base del tema paolino di Gesù Nuovo Adamo. Ma non mancano altri luoghi, anche veterotestamentari, come per esempio i riti sacrificali di animali di sesso femminile nel Levitico, a partire dalla giovenca rossa, che sono figure del sacrificio associato di Maria SS. Profezie fondamentali sulle sofferenze di Maria SS. sono le prime tre Lamentazioni di Geremia. 15. San Giustino (†165) fu il primo a sviluppare la contrapposizione parallela tra Maria e Eva, l’una Madre e obbediente, l’altra moglie e ribelle, l’una causa di salvezza, l’altra di dannazione, entrambe vergini al momento del loro agire carico di conseguenze per il futuro. Sant’Ireneo (†202) proseguì la comparazione, considerando opportuno che Dio rimettesse in circolo la Grazia mediante un comportamento uguale e opposto a quello di Eva, tenuto da una Donna simile e opposta. Ancora sant’Epifanio nel 377 considera Maria SS. la vera Madre dei Viventi al posto di Eva; lo Pseudo-Alberto nel XIII sec. fa di Maria l’adiutorium simile sibi di Cristo stesso, citando Gn 2,18. Così in Oriente Cabasilas (†1396). Il tema fu originalmente ripreso dai cardinali A. Billot e J. H. Newman in tempi recenti e, con un suggello del supremo magistero ordinario, dal Concilio Ecumenico Vaticano II (LG 56). 16. Manca solo la definizione dogmatica, a suo tempo richiesta a papa Benedetto XV (1914-1922), autore dell’Enciclica Inter Socialicia (1918), la prima, breve e densa espressione della dottrina della Corredenzione nella storia del magistero papale, che si era pronunziato favorevolmente in merito con Leone XIII (1878-1903) e san Pio X (1903-1914). La dottrina fu ampiamente ripresa da Pio XI (1922-1939), dal ven. Pio XII (1939-1958) e, come dicevo, dal Vaticano II; l’ultimo ad insegnarla è stato Giovanni Paolo II nella Enc. Redemptoris Mater del 1984. Auspico che il Santo Padre, magari assieme all’Episcopato in un Sinodo straordinario deliberante, definisca quanto prima questa verità come rivelata, suggellando così la crescita della sua comprensione nella fede da parte del Popolo di Dio. 17. In mancanza di decisioni magisteriali, il consenso dei teologi è criterio orientativo. 18. Se è vero, come diceva sant’Ambrogio, che Gesù non aveva bisogno di aiuto per redimerci, è altrettanto vero che nessuno poteva impedirgli di associarsi qualcuno a tale impresa, attribuendogli un ruolo subordinato, così da far risaltare l’efficacia del Suo Sacrificio, capace di redimere tanto profondamente da rendere i redenti causa di salvezza. 19. In quest’ottica, Maria è piena di grazia non solo per Sé, ma per tutti. Contiene in germe tutta la grazia da trasmettere agli altri uomini. 20. Fu Paolo VI nel 1964 a proclamare Maria Madre della Chiesa davanti al Concilio Vaticano II, che nella Lumen Gentium nn. 53.54.61.62.63.65.67 aveva enunciato la dottrina corrispondente, senza usare il titolo. La proclamazione è stata ripetuta ancor più solennemente da papa Giovanni Paolo II nell’Enc. Redemptoris Mater. La dottrina è in effetti antichissima, essendo stata sostenuta per esempio da Clemente di Alessandria, da Sant’Epifanio, da Severiano di Gabala, da Teodoro di Ancira, da Proclo di Costantinopoli, da Isacco della Stella. In tempi recenti, la dottrina è stata costantemente affermata dai Papi, da Gregorio XVI (1831-1846) in poi, tra cui san Pio X ha dato delle indicazioni dogmatiche precise, chiarendo il nesso tra Cristo, Maria e la Chiesa. Purtroppo, la proclamazione montiniana fu oggetto di polemiche, ora sopite. Un giorno anche questo titolo meriterà una ancora più solenne attribuzione, con dei canoni dogmatici. Una menzione particolare merita la funzione materna di Maria verso il Papa, Vicario in terra del Suo Figlio: il titolo di Madre del Papa fu adoperato da Giovanni XXIII (1958-1963). 21. Ancora sant’Ireneo, riprendendo da san Giustino, è il primo a dare a Maria la funzione materna verso di noi. Sant’Epifanio, sant’Ambrogio, sant’Agostino, san Pier Crisologo le attribuiscono tale maternità. Testimonianze in tal senso si rintracciano anche in Leandro di Siviglia, Ambrogio Autperto, san Germano di Costantinopoli, Giorgio di Nicomedia, Giovanni il Geometra, Goffredo di Vendôme, in tutti gli Scolastici da sant’Anselmo in poi, in san Bernardo, oltre che nella Liturgia di tutte le epoche. Il magistero ha enunciato con sicurezza tale dottrina, da Pio IX a Giovanni Paolo II, che l’ha espressa nell’Enc. Redemptoris Mater. 22. Una menzione speciale merita il rapporto tra Maria SS. e l’Eucarestia, che rende sempre attuale il Sacrificio di Cristo. La Vergine è chiamata Nostra Signora del SS. Sacramento. Storicamente presente all’Ultima Cena, Maria vi è legata da una ricca teologia biblica. La Tradizione patristica attesta il legame tra la Madre di Dio e l’Eucarestia (Abercio, Efrem, Proclo). San Bonaventura afferma che come il Corpo fisico di Cristo ci venne da Maria, così quello sacramentale viene dalle Sue mani. In genere, si sosteneva che la Vergine ha un concorso remoto e prossimo nel Sacramento eucaristico: il primo perché il Verbo si incarnò in Lei e perché accettando tale Incarnazione Ella acconsentì almeno implicitamente all’Eucarestia in cui lo stesso Verbo sarebbe stato sostanzialmente presente; il secondo perché la Madre di Dio è nell’ordine delle cause finali dell’Eucarestia (in quanto anche Lei ne fu santificata) e perché il Suo merito di Corredentrice è congruente con il merito di Cristo, comunicato dal Sacramento e contenente in sé, come sua fonte, anche quello materno. Oggi si sottolinea la presenza di Maria nell’economia salvifica ricapitolata dall’Eucarestia, il Suo essere modello di comunione allo stesso Sacramento, il legame di questo con la Maternità Verginale. Papa Giovanni Paolo II nell’Enc. Redemptoris Mater evidenzia come Maria SS. guidi i fedeli all’Eucarestia. 23. In ragione di ciò, la Madre SS. si prende cura delle Anime Purganti, pregando per loro e procacciando suffragi. Tradizionalmente legata alla memoria dei defunti è il culto della Madonna del Carmine. 24. Anch’esse in numero di sette, sono perciò degne di venerazione come sempre la Tradizione ha affermato. 25. E’ il dogma più recente, la cui formulazione si deve al ven. Pio XII, nel 1950, con la bolla Munifìcentissimus Deus. Professata dalla Chiesa giudeo-cristiana dal II sec., di questa dottrina abbiamo le attestazioni più antiche nella Grande Chiesa tra il IV e il V secolo. Sant’Efrem afferma che il corpo di Maria, in quanto verginale, non ha subito corruzione dopo la morte. Evidentemente, nella mente del dottore appariva strano immaginare che Dio preservasse Sua Madre dalla unione carnale e non dalla corruzione del sepolcro, tanto più che la prima era nell'ordine delle cose anche anteriore al Peccato Originale, mentre la seconda no; in ogni caso, per Efrem l'illibatezza era segno e preludio di una intangibilità più radicale, ontologica: quella della corporeità, espressa in modo assoluto dall'assenza di decomposizione. Tale teologia è, ovviamente, una di tutte quelle che inesorabilmente hanno portato alla definizione dogmatica. Timoteo di Gerusalemme, invece, in modo meno sottile ma più radicale, afferma che la Madonna è rimasta immortale ed è stata assunta in Cielo. La sua teologia è identica a quella del dogma. Il fatto poi che il dottore neghi la Dormitio non tocca un punto dottrinale definito, in quanto non è di fede che la Madonna sia morta, anche se ciò appare logico. Sant’Epifanio di Salamina afferma invece che la Madonna quasi certamente possiede già il Regno celeste con la carne. Egli, quindi, più che dare una definizione teologica, comunica una notizia. L'Anonimo degli Obsequia B. Virginis, il cui originale è in siriaco, ribadisce lo stesso concetto, affermando che il corpo di Maria si è riunito all'anima subito dopo la morte. A queste testimonianze patristiche vanno aggiunte quelle degli apocrifi che, descrivendo la fine della vita di Maria, accreditano la versione della glorificazione postuma della Vergine. Non a caso i più antichi apocrifi assunzionisti risalgono addirittura a tempi precedenti: i documenti più antichi (II - III sec.), ebioniti, fanno morire Maria a Magdalìa, presso Gerusalemme, e la danno sepolta nel Gethsemani. Tale tradizione sepolcrale è confermata dai testi giovanniti del IV-V sec. e da quelli bizantini del V, che invece discordano sul fatto - secondario - del luogo della morte. 26. Nel VI sec., la diffusione della festa dell'Assunta tra greci, copti, abissini favorì la crescita della fede in questo privilegio mariano, e anche questo è un momento fondamentale per la formazione del dogma: lex orandi, lex credendi, si dice, e infatti la festa non avrebbe avuto ragione di essere se non avesse rispecchiato un sentire profondo del popolo devoto. A livello di teologia culta, le opposizioni non scomparvero del tutto, ma in Oriente i nomi più illustri, sino al X sec., sono favorevoli all'Assunzione. In Occidente, invece, professarono agnosticismo in materia sant’Isidoro di Siviglia e Beda il Venerabile: le invasioni barbariche infatti causarono un regresso teologico e una difformità cultuale, che si ripercossero sulla riflessione dogmatica mariana. A Roma, infatti, dove la festa si celebrava dal VII sec., non vi fu alcuna voce di dissenso o di perplessità. Da lì, l'uso liturgico, col codazzo teologico, passò in Francia ed Inghilterra. Sullo scorcio dell'età carolingia, fu il Liber de Assumptione dello Pseudo-Agostino che fece da battistrada a una più universale forma di consenso. Coprendo col nome dell'Ipponense la dottrina assunzionista, l'anonimo autore attesta indirettamente che essa era ormai assai condivisa. Da allora, fu un consenso ininterrotto tra i grandi teologi: Tommaso d'Aquino, Alberto Magno, Bonaventura. Anche l'Oriente bizantino, dopo il 1000, è ancora più unanime nella fede assunzionista. Questo consenso teologico fu incrinato, in Occidente, dalla Riforma, ma non fermò il processo di approfondimento in campo cattolico, passato attraverso la teologia controversista della Controriforma, proseguito tra XVIII e XIX sec. con numerose petizioni per la definizione dogmatica, e culminato col dogma pacelliano. Il Papa preparò la definizione con una consultazione dell’Episcopato, con l’enciclica Deiparae Virginis del 1946, e ottenendo un consenso unanime alla sua iniziativa. 27. Negare questa precedenza mariana, come fanno alcuni oggi parlando di una resurrezione immediata di tutti i morti, significa sconvolgere tutta l’escatologia cattolica. Tali teorie sono dunque da respingere. 28. Cfr. 2 Re 5,3; Is 24, 2; Sal 123, 2; Prov 30,23, 1 Re 2,12-20; Ger 13,18. La Regina aveva potere d’intercessione, come Maria SS. a Cana. Nel NT Maria SS. appare come Regina Madre in Mt 2,11, dove è strettamente associata al Messia Re adorato dai Magi, anzi è il Suo trono. 29. Con i rispettivi retroterra veterotestamentari. Importanti sono anche le figure regali femminili dell’AT che trovano compimento in Maria SS: Eva, Sara, Rebecca, Lia, Ester. 30. Fu il ven. Pio XII a farlo in modo più solenne, nell’enc. Ad Caeli Reginam, del 1954. Tale dottrina, dice Pio XII, è contenuta nei documenti antichi della Chiesa e nei libri della Sacra Liturgia, che interpretano i luoghi biblici corrispettivi; essa è sempre esistita col titolo corrispondente, attestato almeno dal IV sec. Anche essa dovrebbe essere, a coronamento del processo di appropriazione fattone dalla Chiesa, definita dogmaticamente in modo solenne. La dottrina è stata riproposta dalla Redemptoris Mater di Giovanni Paolo II. 31. Dal III sec. Maria è invocata come interceditrice qualificata nella preghiera liturgica; i Padri esprimono lo stesso concetto e dal VI sec. usano il termine Mediatrice, che diviene comune dal XII sec. e passa ad esprimere una precisa posizione teologica dal XVIII sec. Essa si configura nel modo attuale a partire dal XX sec., sotto l’impulso del magistero di Leone XIII, che chiama la Vergine “Avvocata, Ausiliatrice, Soccorritrice, Mediatrice”, forte della devozione dei fedeli e dell’insegnamento di tanti Santi. San Pio X proseguì con questo magistero. La tematica mediazionista all’epoca racchiudeva in sé anche quella della Corredenzione, e per chiedere una definizione dogmatica in tal senso si mosse la Chiesa Belga nel 1921, che promosse un approfondimento sistematico dell’argomento. A richiesta della stessa Chiesa locale, Benedetto XV le concesse la celebrazione della Messa e dell’Ufficio della Mediatrice, si disse pronto a concedere altrettanto a qualunque diocesi ne avesse fatto richiesta, ma non si pronunciò sulla definizione dogmatica (che avrebbe riguardato anche la Corredenzione). Fu il Concilio Vaticano II a dare una dottrina organica sull’argomento, anche se non usò il titolo di Mediatrice né quello di Corredentrice, preferendo quelli di Serva del Signore, Madre del Salvatore, Socia del Redentore, Figlia di Sion, tutti di profondissimo contenuto biblico e spesso attestati nella stessa Scrittura. Il Concilio insegna la funzione materna verso gli uomini di Maria SS. e la Sua funzione salvifica subordinata. Non dichiara però che la Vergine sia necessaria nell’intercessione e nella distribuzione di tutte le grazie, anche se non lo esclude. La prudenza è dettata sia dal dibattito teologico in corso che dalla preoccupazione ecumenica. La sua dottrina è stata riproposta con vigore da Giovanni Paolo II nella enc. Redemptoris Mater, nella quale tutto, a partire dal titolo, evidenzia l’unione della Madre alla Redenzione, e in cui si parla esplicitamente di Mediazione Materna di Maria SS.: in tale tematica sono reinserito anche le dottrine della Cooperazione alla Redenzione, della Regalità e della Maternità spirituale di Maria, così come suggerito dal movimento mediazionista mariano degli Anni ’20-’30 del XX sec. Perciò la sintesi dottrinale del Papa travalica i termini della questione come è qui impostata e sussume tutte le posizioni dottrinali certe sul tema delicato del rapporto tra Cristo e Maria nella Redenzione compiuta dal Figlio. Noi, per motivi di chiarezza separiamo la trattazione della Mediazione propriamente detta dalla Corredenzione, a cui rimane strettamente ed intimamente connessa nell’economia salvifica. 32. Parliamo soprattutto dei Vangeli. Dedicati a Maria SS. sono i capitoli iniziali, sotto forma di midrashim (ossia commenti ai testi sacri veterotestamentari), di Matteo e Luca, che costituiscono la struttura dei cosiddetti Vangeli dell’Infanzia di Gesù. Non va però trascurato l’apporto del Vangelo di Giovanni. 33. Le fonti storiche extrabibliche – su quelle evangeliche si veda quanto scritto nel capitolo su Gesù Cristo – sono essenzialmente apocrifi, ispirati da una teologia ortodossa, ma in cui il vaglio del fatto certo va ripetuto ogni volta. In particolare il Protovangelo di Giacomo (II sec.) e il Transito della Beata Vergine Maria (IV sec.). Essi infatti non hanno sempre un intento biografico e utilizzano anche il mito o la leggenda. Tuttavia i fatti attestati in essi che poi hanno alimentato la devozione, la teologia e il culto liturgico hanno ricevuto in questo modo una conferma dogmatica della loro storicità, ossia essi sono da ritenersi autentici per l’apporto dato all’esplicitazione del mistero della Madre, anche a livello storico. Non mancano poi fatti autenticamente storici e una ricca teologia ad essi connessa. Il Protovangelo è in ogni caso una fonte privilegiata che ci restituisce la tradizione della famiglia di Maria SS. Non vanno poi tralasciate le fonti patristiche. In ogni caso i fatti recepiti come storici possono e devono essere sottoposti al vaglio della critica moderna, dalla quale escono sempre corroborati. Questo perché nessuna mitologia gnostica ha mai contaminato le fonti extrabibliche su Maria SS.: mai questa proteiforme eresia ha lambito la dottrina mariana. In effetti la Chiesa confessa, rivolta a Maria SS.: Per Te tutte le eresie sono vinte nel mondo. 34. La casa paterna di Maria SS. sorgeva nei pressi della Piscina a cinque portici di Betzeatà o Bet Hesda (Casa della Misericordia, al plurale Bet Hesdatain), presso la Porta Probatica, dove Gesù avrebbe poi guarito il Paralitico (Gv 5,3). Frequentata da una folla di sofferenti, la Piscina era legata al culto iatrico degli Angeli, di Salomone e del Cavaliere che trafigge la diavolessa Lilit. Accanto al suo stabilimento terapeutico vi era una abitazione con grotte, del I sec., che già da allora fu trasformata in una domus – ecclesia dedicata alla Nascita di Maria. Questa chiesa giudeo-cristiana e la famiglia di Anna, madre della Madonna, ereditarono il culto iatrico della Piscina, sacralizzato dal miracolo di Cristo, e lo legarono alla devozione verso di Lui, verso Sua Madre e verso gli Angeli. Il rituale giudaico fu cristianizzato nell’apocrifo Testamento di Salomone del III sec. e convisse con quello ebraico essenico, fino a quando Adriano non profanò il luogo con un Serapeîon nel 135, per estirpare i culti giudaici e cristiani, basato sulla triade Iside/Igea-Esculapio/Serapide-Arpocrate/Telesforo. Costantino represse il culto pagano ma consentì quello giudaico-cristiano, fino a che Teodosio non smantellò il tempio adrianeo e i suoi successori quello giudaico-cristiano, per cui nel primo quarto del V sec. presero forma definitiva la Basilica del Paralitico – che inglobò la Piscina- e quella di Santa Maria. Sulle loro rovine i crociati costruirono la Chiesa di Sant’Anna, sotto la cui abside ci sono le grotte della Casa della Vergine. Gli altri luoghi che si contendono l’onore di aver dato i natali alla Vergine, Betlemme e Nazareth, non hanno riscontri archeologici. 35. Ciò è attestato dai cc. 1-2 di Luca. Tale parentela si ricollega all’attesa dei sacerdoti esseni di ben due Messia: uno di Aronne o sacerdotale e uno di Israele o politico. Il primo sarebbe stato maestro e interprete della Legge, rinnovatore del culto, stella di Giacobbe; il secondo principe e detentore dello scettro di David. Maria SS., con la Sua parentela davidica e levitica, potè generare un Messia che fosse Re e Sacerdote. La dottrina dei due Messia è contenuta negli scritti qumranici e nel Testamento dei XII Patriarchi (ca. 150 a.C.). Non meravigli l’influsso essenico: esso non era ghettizzato come si pensa talvolta, ma parte integrante della tradizione viva di Israele. 36. San Giustino afferma che la Madonna era della stirpe di Davide. Probabilmente si trattava di una parentela collaterale, che giustifica sia il matrimonio con Giuseppe, piuttosto che con un sacerdote (endogamia), sia la profezia di Isaia sull’Emmanuele, rivolta al re Acaz, in cui la vergine è legata alla Casa reale. Ma per Maria SS. il matrimonio con Giuseppe giustifica di per sé la parentela richiesta per l’adempimento profetico. Va inoltre rilevato che nell’apocrifo Storia di Giuseppe del VI sec. e nella Historia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea del IV sec. sia san Giuseppe che san Giacomo e san Simeone furono annoverati tra i sacerdoti. Ciò attesta lo stretto legame tra la Casa di David e la Casta sacerdotale all’inizio della nostra era. 37. La Vergine, secondo il Protovangelo, appartenne al collegio delle Vergini Tessitrici, attestato dall’Apocalisse di Baruc (II sec.), dalla baraita di rabbì Simon ben Segun del I sec., dal Pesiqta Rabbati. La Chiesa Giudaico-Cristiana conservò la memoria dell’evento, perché le Tessitrici filavano il velo del Santo dei Santi - considerato un corpo umano- che doveva rivestire l’Angelo – Ruah suo custode, identificato con il Messia, a sua volta riconosciuta nel Figlio di Maria stessa. La prassi di consacrare i bambini maschi e femmine al Signore è confacente a Lv 27; un corpo speciale maschile e femminile per il servizio al Tabernacolo e al Tempio è attestato in Es 38, 1 Sam 11-12 e Lc 11, 37; le donne del collegio abitavano nelle adiacenze, secondo 2 Re 28,11 e 1 Cr 9,26-27.33. La mancata citazione di questi corpi ausiliari nelle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio non è sufficiente a smontare questa tradizione. Sul luogo dell’educazione di Maria SS. Giustiniano edificò la Basilica Nuova, oggi distrutta. La Presentazione avvenne quando la Vergine aveva solo tre anni. La notizia della Presentazione e il suo valore dottrinale è attestato dalla Patristica dal IV sec. in poi (san Gregorio di Nissa, san Gregorio di Nazianzo, san Giovanni Crisostomo, sant’Epifanio sono i primi a menzionarla). 38. Tale matrimonio verginale è più che attestato nella cultura giudaica e cristiana. Esso è il cosiddetto matrimonio putativo o anche lo hieròs gámos attestati dal II e dal III sec. I rabbini – con un uso certamente più antico – permettevano di maritare vergini betulôt che non erano ancora fertili o vergini vecchie che non lo erano più. Le une e le altre rimanevano intactae. Tra cristiani – specie di origine giudaica ma non solo – c’erano usanze analoghe, che riprendevano le tradizioni ebraiche: le nozze verginali dei profeti con “sorelle”, per emulare la casta unione tra Cristo e la Chiesa, difese da Tertulliano e sant’Ireneo; le “comunioni” verginali e matrimoniali degli Ebioniti, tra vergini e vegliardi, tra fanciulle e presbiteri, tra giovanette impuberi e maestri, per garantire la castità e dare la pace e la sicurezza. Queste tradizioni sono l’irrigidirsi di usi più ampi, che permettevano a uomini e donne di unirsi in matrimoni verginali in onore del servizio di Dio, senza neanche renderlo noto. In questi ambienti circolava una interpretazione particolare della profezia dell’Emmanuele: Dio avrebbe potuto far sposare una Regina Madre illibata ad un essere celeste, per generarvi il nuovo Re d’Israele. Questa interpretazione, sebbene non corrisponda al testo letterale di Isaia e alla partenogenesi di Luca, in cui Dio stesso feconda una Vergine col Suo Spirito e vi fa Incarnare Suo Figlio, preparò spiritualmente le Vergini consacrate alla possibile scelta del Signore. In Luca la Madonna non è Regina prima dell’Incarnazione, ma lo diventa in virtù di essa. Ma il contesto culturale conferma la possibilità storica di una Incarnazione divina, la maggiore di tutte. 39. San Giuseppe, del quale abbiamo due genealogie in Mt e Lc (una legale e una naturale), non era certo il vecchio che il Protovangelo ipotizza, per garantire la Verginità di Maria. Questo non sarebbe congruente con il testo biblico, in cui il Santo appare nel pieno della virilità, come era del resto necessario per garantire la paternità legale di Gesù e l’onore di Maria SS.; le sue nozze con Maria sono verginali, perché lui molto probabilmente faceva parte dei collegi dei servitori del Tempio di cui sopra – cosa che ha poi generato la leggenda del suo sacerdozio – ma furono ignote ai più – segno che non dovevano essere pubbliche necessariamente – perché comunemente si riteneva Gesù figlio di Giuseppe. 40. Il piano di lavori pubblici di Erode il Grande in Galilea ben si addiceva all’opera di un carpentiere specializzato come Giuseppe. L’ambiente della Galilea, grecizzante, fece sì che molte scelte private dei coniugi (come appunto le nozze verginali) fossero tenute avvolte nella discrezione. La Casa di Giuseppe a Nazareth, dove poi visse la Sacra Famiglia, è attestata da sant’Epifanio di Salamina, fu custodita dai parenti del Patriarca che, giudeo-cristiani gelosi delle loro prerogative, per secoli impedirono ai cristiani di ceppo gentile di entrare nel sito. Solo dal 670 risulta accessibile. Risalente al I sec., l’ambiente fu già da quell’epoca trasformato in una domus –ecclesia, con tanto di locali battesimali. Essi passarono poi ai monaci bizantini e ai crociati, furono devastati dai Turchi e poi passarono ai francescani della Custodia di Terra Santa. 41. La Casa di Maria SS. a Nazareth, la cui storia fu tramandata dai parenti di Lei, si trasformò subito in una domus ecclesia, che nel II sec. fu ampliata in un ambiente battesimale, nel III sec. fu trasformata in una sinagoga giudeo-cristiana, nel 430 fu ricoperta da una basilica bizantina, in età crociata distrutta e ricostruita come chiesa romanica, poi abbattuta dai Turchi e infine ricostruita e ampliata in età moderna. In quanto al matrimonio, era stato già celebrato, sebbene nelle nostre Bibbie si traduca come se Maria SS. fosse ancora la “promessa sposa”, e non come “colei che si era promessa come sposa”, ossia che aveva già compiuto il rito. 42. Per la datazione rimando alle note del capitolo sulla cristologia, nella parte relativa alla Vita di Gesù. L’evento cadde nel sesto mese dell’anno precedente alla Nascita di Gesù. 43. Cfr. Lc 1, 26-38. La concezione verginale di Spirito Santo è attestata da Gv 1,13. 44. Cfr. Mt 1. La notizia della Verginità perpetua è attestata anche dal midrash dell’apocrifo dell’Ascensione di Isaia 11, 2-17, della prima metà del II sec. 45. Gli ‘anawhim sono coloro che, privi di ogni appoggio terreno, si rifugiano volontariamente solo in Dio. 46. Cfr. Lc 1,39-56. I fatti sono descritti anche nel Protovangelo. I luoghi sono quelli di Ain Karim, presso Gerusalemme. Vi sono la Casa di Elisabetta – dove lei si ritirò durante i primi mesi della gravidanza- la Grotta dove si rifugiò con Giovanni il Battista per sfuggire alla strage degli Innocenti e la Casa di Zaccaria dove ricevette Maria SS. Questi luoghi furono subito adibiti a memorie cultuali dei giudeo-cristiani e la Casa di Zaccaria divenne una domus ecclesia, sin dal I sec. Adriano, a ulteriore riscontro della loro sacralità, li profanò con misteri pagani legati alla triade Venere, Adone e Smirna, che dovevano soppiantare Maria SS., Giovanni e Elisabetta: la Casa di quest’ultima fu trasformata con la piantagione dei boschi sacri a Venere e Proserpina, mentre quella di Zaccaria con un Tempio di Adone e un boschetto in suo onore. Costantino abbattè questi obbrobri e la Casa di Elisabetta fu restaurata e abbellita con una chiesa, che era prospiciente alla Grotta, mentre quella di Zaccaria fu abbellita da due cappelle. I luoghi di culto subirono altre trasformazioni e oggi sulla prima Casa c’è la Basilica della Visitazione, che ingloba anche i resti della chiesa crociata, mentre sulla seconda c’è la Chiesa di San Giovanni. In quanto all’episodio dell’Annunciazione di San Giovanni Battista a Zaccaria, di sei mesi anteriore all’Annunciazione del Signore, è descritto in Lc 1, 5-25. 47. La struttura delle case palestinesi (quattro vani divisi da un corridoio centrale, che separa la parte degli ospiti da quella del padrone; in questa vi era il talamo familiare e i magazzini, nella prima una camera d’ingresso con il ricovero degli ospiti, con un forno e una grotta, adibita a stalla per gli animali) si addice a quanto descritto nei Vangeli. San Giustino e Origene già armonizzano la mangiatoia di Luca con la Grotta del Protovangelo entrata nella Tradizione. Eusebio di Cesarea armonizza Betlemme con Efrata, indicata sempre nel Protovangelo come località distinta da Betlemme e corrispondente alla profezia del Sal 132. La Casa divenne anch’essa, nel I sec., una domus ecclesia; Adriano tentò di soffocare il culto cristiano sostituendo ai vagiti di Cristo le lamentazioni di Venere e alla Sua nascita l’apoteosi di Tammuz-Adone. I nuovi edifici durarono centottanta anni, quando Costantino li abbattè e costruì un santuario ottagonale, poi trasformato da Giustiniano in una splendida Basilica. Profanata da una moschea islamica, essa fu restaurata dai crociati come Basilica della Natività, conglobante tuttora la Grotta della Nascita, ricoperta di marmi e ori. Il tema della Grotta ha un valore simbolico, legato alla consapevolezza che con l’Incarnazione la Verità è entrata nel mondo, per cui lo illumina, capovolgendo il mito platonico della caverna. Per questo questa Grotta, quella di Ain Karin del rifugio di Giovanni Battista e sua madre, quella del Calvario e quella dell’Uliveto dove Gesù agonizzò sono dette Grotte lucidissime, e la stessa Nascita è descritta miticamente per condensazione di luce. Il Protovangelo attesta la Verginità di Maria SS. prima del Parto, nel Parto e dopo il Parto. La Nascita dimessa del Salvatore nella stessa Casa di Giuseppe attesta incredulità, ossia quello che san Giovanni dice nel suo Prologo: Venne tra i Suoi, ma i Suoi non Lo riconobbero. 47. Nel sito di Bet Sahur, dove ancora le chiese locali commemorano i fatti. 48. Lc 2,1-21. 49. Presentare al Tempio il Bambino non era obbligatorio ma appunto consigliabile. Il riscatto del Primogenito fu fatto con l’offerta dei poveri; nella prassi del I sec. la Purificazione della Puerpera dall’impurità era unita all’altro rito. Il racconto in Lc 1, 22-38. 50. Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, fu padre del gran rabbino Gamaliele, membro del Sinedrio ai tempi della Morte e Resurrezione di Cristo. Questi fu a sua volta maestro di San Paolo. 51. Oltre ai dati astronomici con conseguente datazione del fenomeno, da me già forniti nel capitolo sulla cristologia, aggiungo il suo valore simbolico. Gli zoroastriani aspettavano la Stella della Beatitudine. Essa corrispondeva alle profezie di Nm 24, 17 e Mic 5,2, circolanti in libretti qumranici già dall’epoca asmonea, che associavano il Profeta promesso a Mosè (Dt 18,18) al Messia, ne facevano un interprete della Legge e un guerriero, legandolo alla luce stellare e allo scettro fracassatore di Nm 24,15-17. Ciò dovette dare un gran valore all’evento della congiunzione astrale del 7 a.C. che guidò i Magi, tradizionalmente chiamati Gaspare, Melchorre e Baldassare, le cui spoglie riposano nel Duomo di Colonia. Cfr. Mt 2, 1-12. 52. L’evento accadde nei pressi della Tomba di Rachele. Cfr. Mt 2,16-18. 53. Cfr. Mt 2, 13-15. In Egitto molti luoghi si contendono l’onore di aver ospitato Gesù: Eliopoli, la vicina Matarieh, Pelusio, Bubaste, Bilbeis (tutte nel Basso Egitto) e Koskam (nel Medio Egitto). Vi sono sempre alberi sacri, sorgenti, chiese antichissime. L’Egitto è chiamato perciò seconda Terra Santa e il culto mariano è assai fiorente da sempre. Le fonti apocrife sono il Vangelo dello Pseudo-Matteo (VI sec.) e il Vangelo arabo dell’Infanzia (VI-VII sec.); il primo va però depurato dallo gnosticismo e il secondo ha un’ispirazione eclettica che non esclude quell’eresia. 54. Cfr. Lc 2,41-50. Non è un caso che Gesù sia salito a Gerusalemme a quell’età per la prima volta consapevolmente. Era infatti l’età in cui si diventava “figli della Legge”: i rabbini insegnavano che allora si doveva frequentare la “Tenda di Mosè”, accettare la Legge stessa, aderire a Dio come figli. Nel Tempio vi erano poi scuole simili a quelle che Gesù imbastì in quei pochi giorni. Per la vita nascosta cfr. Lc 2,51-52. 55. Secondo la testimonianza di San Girolamo. 56. Cfr. Gv 2,1-12. Dei tre siti che si contendono l’onore di essere la Cana neotestamentaria quello che fornisce riscontri archeologici è Kefr Kenna. Attestata dall’Età del Bronzo e fiorente nel I sec., nel III sec. aveva una sinagoga giudeo-cristiana strettamente legata a quella di Nazareth dell’Annunciazione; essa fu visibile fino al XVII sec. Fino al medioevo si celebrarono i riti giudaico-cristiani. E’ lecito supporre che nel I sec. già nacque una domus ecclesia, trasformata in impianto battesimale nel II sec. Oggi nei pressi della zona in scavo sorge, oltre che la città moderna, una chiesa di “stile” contemporaneo. 57. Cfr. Mt 12,46 -50. 58. Citazioni bibliche in Lc 11, 27-28; Mt 12, 50. 59. A parte la casa paterna, che rendeva possibile la Sua presenza autonoma in città, la Madre di Dio è esplicitamente attestata il giorno dopo sul Calvario da Gv 19,27. Inoltre spettava alla Madre della famiglia accendere le luci nella Cena pasquale. 60. Il luogo tradizionale dell’Incontro, commemorato da sempre - si pensi alla IV stazione della Via Crucis – è individuato dalla cappella di Nostra Signora dello Spasmo lungo la Via Dolorosa di Gerusalemme. 61. Gv 19, 27. Si adempì così la profezia di Simeone, che parlava di una spada che avrebbe trafitto il Cuore Immacolato e Maria divenne la Mater Dolorosa. Il ciclo del dolore è descritto negli apocrifi Vangelo di Nicodemo e di Gamaliele (I sec). Fino ad Origene nessun Padre della Chiesa mise mai in dubbio che Maria avesse partecipato all’opera redentrice di Cristo (Ez 14,17; Zc 12,8-14). Questi attutì tale dottrina. Ma ciò contraddisse le testimonianze più antiche (Giustino, Melitone di Sardi, Ireneo, Tertulliano). La corrente origeniana fu smentita dalla tradizione patristica successiva, alla quale vanno ascritti Efrem, Ambrogio, Agostino. 62. I luoghi del Calvario hanno una connotazione mariana antica e significativa. Nella parte est del colle originario vi è una Grotta naturale, rivestita da pietre appena squadrate e divisa in due da un muro, con un forno sotto il livello. E’ l’ambiente “post-crucem” dei testi antichi, del I sec., con la “Grotta dei tesori” del ciclo di Adamo, contenente il sepolcro tradizionale del primo uomo e legata alla Discesa agli Inferi di Gesù, perché porta dello Sheol. Lo ricorda il testo di Luciano di Antiochia nella sua Passione. Fu anche legata al pianto della Nuova Eva, che aspettò la Resurrezione dai Morti del Figlio per tre giorni, come attesta la Dormitio Mariae. Il forno serviva a bruciare legni odorosi durante le cerimonie funebri. Questo sito è a ridosso delle fondamenta del tempietto di Venere costruito da Adriano per commemorare il pianto della dea per risuscitare Adone, allo scopo di soppiantare il Cristianesimo, ma i riti giudeo-cristiani continuarono. Tale tempio è descritto da Eusebio e da Sozomeno. Costantino abbattè le costruzioni sacrileghe e le vecchie tradizioni giudeo-cristiane ripresero ad esser praticate, venerando la roccia spaccata dal terremoto del Venerdì Santo, il sepolcro di Adamo, l’Ingresso dello Sheol, la Sacra Lancia, la spugna per dissetare Gesù sulla Croce, l’immagine dell’Addolorata. Nel corso del tempo, tali arcaici locali furono coperti dalla Basilica del Santo Sepolcro. 63. Ciò è attestato da una antica tradizione devozionale, che trova confacente alla dignità e al dolore della Madre che ciò sia accaduto. 64. L’iconografia attesta da sempre la presenza della Vergine Orante presso il Figlio Che ascende al Cielo. L’iconografia è importante anche per tramandare il tipo della Vergine stantem non flentem ai piedi della Croce e presente al Battesimo del Signore. Il culto della Vergine è poi legato alle Grotte del Monte degli Ulivi. 65. At 2,1-4. La tradizione attesta che la prima fiamma si fermò su Maria, per poi dividersi in dodici lingue di fuoco sugli Apostoli. 66. Non mancano memorie mariane in Asia Minore e Grecia. 67. Lo attestano cicli agiografici antichissimi. 68. San Luca dialogò a lungo con la Madonna, forse in vista della stesura del Vangelo. Costei, se si addormentò a settantadue anni, come dice la Tradizione, e se quando nacque Gesù aveva una quindicina di anni (7 a.C. al massimo), dovrebbe essere nata nel 22 a. C. circa ed essersi addormentata nel 54/55. Se il Vangelo fu edito intorno al 58, come pensano alcuni critici, allora non è irragionevole pensare che il lavoro preparatorio del Terzo Evangelista potè contemplare anche colloqui con Maria SS. In ogni caso, l’esito di questi colloqui confluì nel Terzo Vangelo. 69. Le notizie ci vengono dalla Dormitio Mariae, un panegirico per l’anniversario dell’Assunzione di Maria SS., il cui contenuto è stato recepito dalla Grande Chiesa solo nel V sec. (sant’Epifanio). Di esso abbiamo tre gruppi di testi: il primo dei “parenti di Maria SS.”, di tendenza ebionito-cattolica, del II-III sec.; il secondo attribuito ai giovanniti di tendenza monofisita, del IV-V sec.; il terzo gerosolimitano, completamente ripensato alla luce della cristologia di Calcedonia, del V-VII sec. Il primo gruppo tramanda fedelmente la tradizione familiare della Assunzione della Vergine, per cui appare quella storicamente più attendibile, fatto salvo il rivestimento teologico. E’ composto di tre documenti interi (Il Libro del Riposo Etiopico, Il Transito Romano, l’Istruzione dello Pseudo-Cirillo) e alcuni frammenti; la ricchezza di elementi ebioniti giudeo-cristiani lascia intendere che si tratta di copie assai vicine agli originali. Lo scrisse nel II sec. Leucio, che voleva polemizzare con gli ebioniti eretici, che consideravano Gesù un semplice uomo diventato Dio per sua virtù e che credevano Maria SS. una “potenza dell’Altissimo”, una emanazione divina, come testimonia sant’Epifanio di Salamina. E’ da questa tradizione che apprendiamo che la Vergine abitava in Magdalia, presso Gerusalemme. Gesù, tramite un Angelo, oltre a informare la Madre della Sua prossima Assunzione, le consegna una palma paradisiaca e il libro dei Misteri. Ella si prepara con abluzioni e preghiere. Nel testo sono professate alcune dottrine teologiche tipicamente giudeo-cristiane (le insidie delle potenze dell’aria, la dottrina delle due vie, la scala cosmica, il regno escatologico del bene e del male). Alla Dormitio sono presenti san Giovanni, arrivato da Sardi e accusato di negligenza nella custodia della Vergine, san Pietro giunto da Roma che fa da portavoce del Collegio apostolico, san Paolo guardato con sospetto – cosa tipica del giudeo-cristianesimo – e tutti gli altri Apostoli, provenienti dai vari luoghi di missione, che pregano. Ci sono anche delle vergini e i funerali sono turbati dai Giudei. L’Anima della SS. Vergine è affidata a San Michele Arcangelo da Dio, il Corpo è seppellito da san Pietro nella Valle del Cedron. Dopo tre giorni gli Angeli psicopompoi lo assumono nel Paradiso Terrestre. Il quadro è storicamente attendibile; l’Eden simboleggia il Paradiso Celeste. Il testo di Leucio, rimaneggiato, confluisce nel secondo gruppo di documenti, legato alle memorie dell’apostolo Giovanni, che lo rilegge alla luce della teologia monofisita “nominale”, in polemica con gli ebioniti e con i monofisiti estremisti. Sono tre documenti greci e latini (Transitus Colbertinus, Il Racconto dello Pseudo-Melitone, Il Racconto di Giovanni di Tessalonica) arricchiti da alcuni sermoni più tardivi (Il Sermone di Teodosio patriarca di Alessandria, Il Sermone di Evodio, L’Istruzione dello Pseudo-Cirillo, Omelie di Cirillo di Gerusalemme e di Ciriaco di Behnesa, VI-VII sec.). Essi sottolineano con forza che Maria SS. è Madre di Dio. Le notizie storiche sono tuttavia le stesse, con due sole differenze: san Giovanni sopravvalutato e san Paolo meno sospettato. L’ambientazione cambia e Maria SS. si addormenta nella Casa dei parenti dell’Apostolo prediletto, dove vive, ubicata al Gethsemani. Ma la notizia più antica credo sia preferibile. La Madonna potrebbe aver benissimo vissuto qui per un periodo, ma poi dovrebbe essersi addormentata a Magdalia. Il terzo gruppo di scritti è di quattro documenti maggiori, di origine siriana, più alcuni minori (Transito Siriaco A B C D, Il Libro dello Pseudo-Giovanni, Il Transito di Giuseppe di Arimatea, Il Racconto della Storia Eutimiaca). Essi sono appunto del V-VII sec. e sono legati alla figura di san Giacomo. Sono testi legati alla tradizione ecclesiastica gerosolimitana, con una cristologia calcedonese che rigetta ogni ebionismo e monofisismo. Da essi la sottolineatura della notizia che san Tommaso apre il sepolcro di Maria SS. e lo trova vuoto. L’ambientazione è ancora cambiata: hanno un ruolo il Golgota, Betlemme e la Santa Sion, dove la Vergine si addormenta. In ogni caso, tutte e tre le tradizioni concordano nel luogo di sepoltura: una tomba nuova, come quella del Figlio, sul Gethsemani. Il luogo, contenuto nella cripta del monastero di Santa Maria di Giosafat, è del I sec. ed è senz’altro un ambiente sepolcrale. La tomba è una spelonca di pietra, un sepolcro intagliato nella roccia, con il banco roccioso sotto l’arcosolio; appartiene a un complesso sepolcrale i cui resti sono al piano superiore, oltre la parete nord della attuale chiesa bizantina, una camera del I sec. a kokhim, a 2,40 m. dal livello della chiesa attuale, un tempo preceduta ad ovest da un vasto atrio, aperto sulla Valle del Cedron, con scale di accesso ai lati, a nord e a sud, con tanto di resti visibili ancora oggi. Il complesso, descritto dai testi siriaci come tre grotte, una esterna ampia, una dentro la prima e una piccola ancor più interna con un banco di argilla a est, corrisponde sia agli scavi descritti che alle altre tombe note del periodo, come quella di Zaccaria o di san Giacomo, e quella di Elena di Adiabene, detta anche dei Re e con caratteristiche monumentali. Il complesso mariano fu modificato da Teodosio che, imitando il Santo Sepolcro, isolò la tomba e la mise al centro della Basilica bizantina, fatta a croce, e la affidò ai giovanniti che scacciarono gli Ebioniti e ambientarono- come dicevo – i riti sepolcrali sull’Oliveto, nella parte detta “Monte Galilea”, dove è stato rinvenuto un pavimento mosaicale di una cappella funeraria nel luogo in cui potrebbe essere apparso l’Angelo che annunziò a Maria SS. la Dormizione e dove sorgeva una chiesa del V sec., sulla Casa dei parenti di Giovanni. Nel 453 il Patriarca Giovenale tolse il complesso ai giovanniti e lo passò ai calcedonesi, istituendo la festa dell’Assunzione e costruendo una seconda splendida basilica bizantina distrutta nel 614. Ricostruita, fu poi trasformata dai crociati in un monastero fortificato, il summenzionato di Santa Maria di Giosafat, raso al suolo da Saladino, che però risparmiò la Cripta, contenente la Tomba della Vergine. Ha un portale esterno, una scalinata larga sei metri e coperta da un soffitto a volta, fatta di quaranta gradini che portano all’ambiente centrale. In quanto alle memorie della Santa Sion, in essa fu costruita, sulle rovine di una chiesa più antica, una basilica bizantina, su cui a loro volta i crociati costruirono Santa Maria del Monte Sion, collegata al Cenacolo e poi andata in rovina; oggi vi sorge la Basilica della Dormizione. Se la Madonna non vi si addormentò, certo vi trascorse momenti importanti del ciclo pasquale. 70. Così insegna il II Concilio di Nicea, nel 787. Secondo la tradizione liturgica, i primi ritratti della Vergine li fece San Luca. Invece di Maria SS. non abbiamo reliquie corporali, essendo tutto il Suo Corpo stato assunto nella Gloria. 71. PG 145, 815. 72. Sant’Atanasio, Sulla Verginità, in CSCO 151, 58-62. 73. Il movimento giosefologico del XIX chiedeva l’inserimento del Nome del Santo nel Canone della Messa (voluto da Giovanni XXIII), il Patronato sulla Chiesa Universale (sancito da Pio IX) e il riconoscimento della Protodulia, che ancora non avviene – ossia il diritto alla prima venerazione per il primo tra i Santi eguali - e che auspichiamo avvenga presto. 74. La trattatistica monografica su san Giuseppe inizia con Pietro d’Ailly (1416); annovera Giovanni Gerson, san Bernardino da Siena, Isidoro de Isolani, Bernardino di Laredo, Girolamo Graciàn, lo Schenk, il Trombelli, san Leonardo da Porto Maurizio, sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il Patrignani, il Bucceroni, Jamar, Lépicier, Davis (che usa il termine giosefologia, nel 1967). Il culto si afferma esplicitamente tra l’VIII-IX sec. con la menzione nel Martirologio Romano e nei calendari orientali. Sisto IV (1471-1484), il beato Pio IX, Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, il beato Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno un ricco magistero su san Giuseppe. Va registrata la viva simpatia del mondo protestante per questa figura, nella quale eminenti teologi come Karl Barth hanno riconosciuto un tipo della Chiesa più confacente alla loro sensibilità e alla loro ecclesiologia, assai diversa dalla cattolica. 75. Solo così si adempiva la profezia dell’Emmanuele, in quanto riferita alla Casa di David. Come ho avuto modo di dire, l’aspetto verginale del concepimento non era messo in evidenza dalla tradizione rabbinica, ma contava soprattutto la questione legale della dinastia. 76. Sentenza illustrata tra gli altri da san Tommaso d’Aquino, da san Bernardino da Siena, da Isidoro de Isolani e da Giovanni da Cartagena. 77. Così papa Leone XIII, Isidoro de Isolani, Giovanni Paolo II nella Redemptoris Custos, l’esortazione apostolica del 1989. 78. Come già ipotizzò Francisco Suarez, con qualche tentennamento. Puntualizzazioni e distinguo vennero da Macabiau e Piccirelli. 79. Giovanni Paolo II lo chiama Depositario del Mistero di Dio. 80. Valgano le indicazioni archeologiche e storiche date per il capitolo sulla Madonna. In quanto alle fonti apocrife, che vanno trattate con lo stesso criterio descritto per la biografia della Vergine, si cita la parte giuseppina degli apocrifi mariani (Protovangelo) e la Storia di Giuseppe il Falegname (IV sec.), composta in Egitto, dove il culto privato del Santo fiorì immediamente dopo quello di Maria SS. 81. Ciò è illustrato con maestria da Francisco Suarez. 82. Cfr. lo Pseudo-Massimo di Torino, Sermo 53, in PL 57, 639, e lo Sposalizio di Maria di Raffaello. 83. Come già notava san Girolamo. 84. Sulla concomitanza del voto si è espresso San Tommaso d’Aquino. 85. Ne ho parlato a proposito del matrimonio verginale di Maria SS. 86. Nulla vieta di crederci, in quanto sono perfettamente compatibili col dogma. 87. Il testo greco di Lc non parla di fidanzamento, ma usa un termine (mnesteuo) che può indicare sia un matrimonio promesso sia uno celebrato. Ma, siccome Mt parla della possibilità del ripudio, è per forza di cose che il matrimonio già fosse stato celebrato. 88. L’argomento è ampiamente commentato e illustrato da San Tommaso d’Aquino. 89. Alcuni sostengono sia stata sant’Anna. In effetti un silenzio di Maria SS. sarebbe stato pericoloso, e meno virtuoso delle ragioni anche religiose che potevano spingerla a non parlare con lo Sposo. 90. Tutti i Padri greci sostennero sempre questa tesi, e anche molte voci delle tradizioni patristiche orientali, come sant’Efrem. San Girolamo e San Pier Crisologo sostengono, privi del contatto con le fonti storiche dei greci, che Giuseppe ebbe sempre fede nella Moglie pur ignorando la Concezione verginale fino a quando l’Angelo gliela rivelò. La tesi per cui Giuseppe fosse angosciato dal Concepimento di Maria ignorandone l’origine divina è di san Giustino, sant’Agostino, Eutimio e altri, ma è contraddetta dal testo evangelico e dalle fonti più antiche. 91. Si tratta di decisione e non di incertezza: Mt 1, 20 usa l’aoristo, da tradurre “avendo deciso”. 92. Ossia di non coabitarvi, senza rompere il vincolo coniugale. 93. Avverbio che probabilmente va riferito alla decisione e non al ripudio. Ossia Giuseppe non aveva parlato con nessuno del suo intento. In quanto al ripudio, poteva essere segreto il motivo ma non l’atto. 94. I Padri greci sostengono questa opinione. Quelli latini, prigionieri della tradizione del dubbio, fanno di Giuseppe un marito che non applica la Legge di Mosè ma, nel contempo, espone la Moglie all’abbandono. Egli infatti non chiede la lapidazione, ma lascia una donna incinta, con tutte le difficoltà, i sospetti e i rischi connessi. E’dunque ipotesi da scartare, incompatibile con la giustizia di Giuseppe. 95. Mt 1, 20-21. 96. San Giuseppe Lavoratore è di capitale importanza nella fede: ogni lavoro è strumento di salvezza, espressione d’amore (Giovanni Paolo II) e si addice alla vocazione contemplativa. Il Santo è modello di vita attiva e contemplativa. 97. In ragione di ciò egli esalta, più di ogni Santo, il primato della vita interore (Giovanni Paolo II). 98. La sua missione, già nell’essenziale compresa nei primi tre secoli della Tradizione, è intesa acutamente da Giustino e Origene. Dal IV-V sec. è pienamente esplicitata: sant’Efrem, san Giovanni Crisostomo, san Cirillo d’Alessandria, san Girolamo, sant’Agostino, san Pier Crisologo sono i nomi maggiori. Pur mancando una partecipazione ai dolori della Redenzione, impossibile perché Giuseppe non era immacolato come Maria, i Sette Dolori del Patriarca e – specularmente- le sue Sette Allegrezze sono oggetto di speciale culto, come le sue Lacrime, il suo cuore, il suo Nome. Sono evidenti le triplicazioni devozionali (Gesù-Maria-Giuseppe). Theorèin - Aprile 2010 |