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MYSTERIUM EUCHARISTICUM
“Prendete e mangiatene tutti,
(Nostro Signore Gesù Cristo agli Apostoli) IO SONO il Pane della Vita (Signore Gesù Cristo) Il Mistero Eucaristico è il più grande mistero liturgico e sacramentale, anzi il più grande mistero che Dio abbia mai compiuto sotto il Sole, prosecuzione e completamento di quello cristologico e soteriologico, fondamento e prolessi di quello ecclesiologico. Parlare di questo Sacramento è veramente difficile, anzi arduo, forse impresa superiore all’uomo. Infatti, mentre in tutti gli altri Sacramenti è presente la forza operante di Cristo e delle Altre Persone Divine – magari in modo esclusivo e pregnante, come nella Cresima per lo Spirito Santo- nel Sacramento dell’Eucarestia c’è realmente Gesù Cristo. Per cui questo è il Sacramento per eccellenza, il Mysterion Tou Patrou, il Senso misterioso dell’Azione del Padre, il Typos autentico, la figura vera, del Redentore, che in esso ad un tempo si nasconde e si mostra. In tale Sacramento si compie l’Iniziazione cristiana, perché grazie ad esso il fedele e il suo Dio sono divenuti una cosa sola; conformemente alla magnificenza donatrice del nostro Signore e all’ampiezza del Suo mistero, tale iniziazione definitiva continua all’infinito e ogni giorno, se si vuole, l’anima fedele può essere casa, tempio e comprensorio del Cristo Redentore e Signore dell’Universo. CONVERSIONE, TRANSUSTANZIAZIONE, PRESENZA REALE L’Eucarestia è il Sacramento che, sotto le apparenze del Pane e del Vino, contiene realmente il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, per il nutrimento delle Anime (1). Cosa vuol dire questa espressione, mandata a memoria da generazioni di fedeli al Catechismo?Quando Nostro Signore si avvicinava al Suo doloroso Sacrificio, da Lui preordinato, in quanto Dio, e accettato, in quanto Uomo, per la Salvezza dell’umanità, decise di istituire un segno salvifico che permettesse a quanto stava per accadere di essere comunicato a tutti i suoi seguaci per tutti i secoli futuri, fino al Suo ritorno. Perciò, nella notte dell’Ultima Cena, dopo aver celebrato il rito dell’Antica Alleanza, a cui Egli stesso dopo qualche ora avrebbe dato compimento con la Sua immolazione – essendo Egli il solo Agnello immolato dalla fondazione del mondo- Gesù Cristo prese il Pane, rese grazie, lo spezzò, lo diede ai Suoi discepoli e a Sua Madre (2) e disse: Prendete e mangiatene tutti, questo è il Mio Corpo, offerto in Sacrificio per voi. Allo stesso modo, dopo la Cena, prese il Calice e rese grazie, lo diede agli astanti e disse: Prendete e bevetene tutti; questo è il Calice del Mio Sangue, della Nuova ed Eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei Peccati. Fate questo in memoria di Me (3). Queste parole, che ancora oggi sono la forma del Sacramento, compirono un grandissimo miracolo, secondo solo alla Resurrezione, agendo sul pane e sul vino, che sono la materia del Sacramento stesso. Il loro significato è chiaro e inconfondibile: Gesù trasformò il Pane nel Suo Corpo e il Vino nel Suo Sangue (4). Il Corpo qui è semiticamente la stessa persona umana, in quanto nell’antropologia scritturistica l’uomo non ha un corpo ma è il suo corpo. Perciò quando Cristo dice: Questo è il Mio Corpo, intende dire: Questo è la Mia Persona, offerta in Sacrificio per voi. Ma, siccome la Persona di Cristo è ad un tempo umana e divina, e l’offerta del Sacrificio è possibile nella Natura Umana ma acquista valore per quella Divina, ecco che nel Pane vi è la stessa Persona del Cristo con entrambe le Nature perfette. Non dice: Questo significa o simboleggia o rappresenta il Mio Corpo – ossia la Mia Persona- ma è il Mio Corpo. Non è un semplice pane che in un gioco di ruolo assume una nuova valenza per convenzione, ma è il Corpo di Cristo che si cela in esso. In effetti, il Sacrificio di Cristo è il Cristo stesso sacrificato, per cui la comunicazione a tale Sacrificio non può avvenire per i semplici effetti, quasi fossero avulsi da chi li compie causalmente, ma solo attraverso l’unione con il Sacrificato (5). Perché Cristo stesso è la Giustizia di Dio, il Principio attivo di Salvezza per tutti, ovunque e sempre. Un analogo discorso si fa per il vino. Gesù dice: Questo è il calice del Mio Sangue. Il sangue nell’antropologia biblica è la vita stessa della Persona. Infatti Gesù dice che esso è per la Nuova ed Eterna Alleanza, versato per tutti in remissione dei peccati. Per cui nel vino ora c’è la stessa Vita di Cristo, che è ad un tempo umana e divina, la quale, offerta nell’Umanità, ha valore espiativo e redentivo per la sua Divinità. Il Divino Redentore è come se dicesse dunque: Questa è la Mia Vita, data dolorosamente per voi e per tutti in remissione dei peccati, per l’Alleanza Eterna e Nuova, tra Dio e l’umanità. In questa offerta trovano infatti significato e vengono sostituiti tutti i sacrifici antichi in cui la vita delle vittime era data per lavare le colpe di chi le offriva. Esse erano appunto figura della Vita di Cristo, in quanto solo Lui è la Vittima Perfetta. In questo Sacramento dunque è presente Cristo stesso, come Uomo e Dio, nelle Due Nature e nell’Unica Persona, non solo nella staticità della Sua struttura, ma nella dinamicità storica del Suo Sacrificarsi, e quindi di tutta la Sua esistenza storica e metastorica, che si compie e si dispiega dal Sacrificio stesso (6). E’, nell’Eucarestia, innanzitutto presente il Cristo agonizzante, tradito, abbandonato, processato, rinnegato, oltraggiato, flagellato, coronato di spine, condannato a morte, caricato della Croce, crocifisso, agonizzante e morto sulla Croce, squarciato dalla lancia, deposto nel Sepolcro, disceso agli inferi, risorto e asceso al Cielo. Ma, in vista di ciò, siccome tutta la Vita di Cristo è immolazione, è anche presente il Cristo incarnato, nato e vissuto, sia nella Sua esistenza nascosta che in quella pubblica. E infine è anche lo stesso Cristo che, in virtù della Sua obbedienza perfetta, è assiso alla Destra del Padre, da lì regge il Cosmo quale Mediatore e Pantocratore e che di là verrà a giudicare i vivi e i morti, per poi essere la delizia eterna dei Salvati. Conseguenzialmente è anche il Cristo Capo della Chiesa, che è il Suo Corpo o Persona Mistica; ed è, a maggior titolo, lo stesso Cristo Verbo e Figlio del Padre, eternamente generato dallo stesso Padre e dal Quale, come dal Padre medesimo, procede lo Spirito. Chiamiamo questa presenza unica, eccelsa, meravigliosa, inebriante del Cristo nell’Eucarestia, in cui Egli è pienamente operativo e si relaziona ad ognuno e a tutti in modo unico e irripetibile, Presenza Reale, cioè autentica, piena. Essa avviene per cambiamento di sostanza del pane e del vino. Infatti in ogni ente distinguiamo, metafisicamente, la sostanza e gli accidenti, ossia il modo di essere proprio e quindi immutabile, per cui esso è e rimane sempre la medesima cosa, e i modi accessori e mutevoli che si predicano dell’altro (7). La sostanza, che è appunto ciò che “sta-sotto”, la substantia latina o hypostasis greca – detta anche ousìa- viene modificata e sostituita da un’altra. Essa è la stessa Persona di Cristo. Tale processo è chiamato Transustanziazione. Il cambiamento di sostanza e la conseguente presenza vera del Cristo così come Egli è e così come ha operato per noi fa sì che l’Eucarestia sia l’attualizzazione, in un certo senso la replica applicata, dell’unico Sacrificio del Calvario: l’Eucarestia è dunque il memoriale della Salvezza operata da Gesù per noi. Vanno fatte alcune puntualizzazioni sugli argomenti toccati. Solo Cristo ha istituito l’Eucarestia, perché solo Lui ha imposto di celebrarla in Sua memoria. Anche i Riformatori del XVI lo ammisero, pur negando la Presenza Reale e la Transustanziazione. Furono i Protestanti liberali a dare la stura al movimento modernistico e neomodernistico, di stampo critico- razionalista, che invece afferma, sotto diverse posizioni e sfumature, che ciò non è vero. Secondo tale interpretazione, Gesù avrebbe solo voluto simboleggiare la Sua imminente fine in modo parabolico ai Suoi Apostoli, spezzando il pane e versando il vino. In seguito, tale simbologia sarebbe stata unita ai pasti sacri di matrice ebraica o pagana. Paolo avrebbe ordinato la celebrazione ai fedeli (1 Cor 11, 23-25) e Luca l’avrebbe recepita nel suo Vangelo. Matteo avrebbe esplicato la ragione di tale celebrazione, legandola alla remissione dei peccati. Giovanni avrebbe aggiunto la promessa dell’Eucaristia nei discorsi del cap. VI. Poi i Padri più rustici avrebbero interpretato alla lettera tale capitolo (Ignazio, Ireneo, Giustino), affermando che l’Eucarestia conterrebbe il Corpo di Cristo, mentre altri Padri più dotti (come gli Alessandrini) l’avrebbero intesa come tipo, figura e simbolo del Corpo stesso del Redentore. Tutti avrebbero evidenziato che l’effetto starebbe più nell’atto di mangiare che in ciò che è mangiato. Indi gli scolastici avrebbero applicato la dottrina aristotelica delle quattro cause al Sacramento, così da vedervi un effetto indipendente dall’atto del mangiare, ossia una presenza stabile di Cristo in esso. Per influsso del Papato, il Sacramento sarebbe stato avvicinato ai sacrifici veterotestamentari, per cui esso sarebbe diventato quello che è considerato adesso solo dopo la definizione del Concilio di Trento, che appunto ne fa un memoriale, secondo uno schema teologico sviluppato dai teologi controriformisti della Compagnia di Gesù. In realtà, così come il Concilio di Trento ha definito, il Sacramento dell’Eucarestia è stato istituito ed imposto da Gesù. Tale insegnamento- ribadito da Pio X nella condanna del modernismo e, insieme a tutta la dottrina eucaristica cattolica, dal Concilio Vaticano II, nonché dal papa Paolo VI con l’enc. Mysterium Fidei, dal ven. papa Giovanni Paolo II con la lett. ap. Dominicae Cenae e l’enc. Ecclesia de Eucharestia (2003) e dal Sinodo dei Vescovi del 2007 con la conseguente Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Charitatis di Benedetto XVI - è anche facilmente sostenibile contro le obiezioni del razionalismo critico. Innanzitutto abbiamo la narrazione dell’istituzione nei Vangeli di Matteo (26, 20-30), Marco (14, 17-26), Luca (22, 14-21), nonché in Paolo (1 Cor 11, 23-25); nel Vangelo di Giovanni abbiamo invece i Discorsi con cui Gesù preannunziò l’istituzione del Sacramento (6, 22-71). Tali testi sono databili rispettivamente al 40, al 50, al 60, al 57 e dopo il 70. Ciò già ribalta la cronologia razionalista: la motivazione sacrificale dell’Eucarestia è anteriore di vent’anni alla Prima Lettera ai Corinzi ed già presente nel Vangelo più antico. Inoltre tutte le testimonianze hanno la medesima formula essenziale. Inoltre in essi Cristo non simboleggia solo la Sua Morte, ma anche la partecipazione ad essa da parte dei discepoli, ordinando loro di mangiare pane e vino. Tale gesto non avrebbe senso, se non fosse stato compiuto in vista di tale evento, né gli Apostoli avrebbero potuto compierlo consapevolmente, senza la spiegazione da parte di Gesù. Per cui appare logico che Egli aggiungesse di ripetere tale gesto in Sua memoria. Ciò inquadra pienamente la celebrazione della Cena nel contesto della tradizione sacrificale ebraica e nel suo filone incruento, presente anche a Qumran, della quale l’Eucarestia è l’originale ed autentica versione cristiana. In tale ottica, pane e vino non furono simboli sulla mensa di Cristo, ma realmente il Suo Corpo e il Suo Sangue, perché questo volle trasmettere il Redentore. Lo attestano i toni realistici della Sua consacrazione, che fanno riferimento alla effusione del Sangue e al Sacrificio per i discepoli. Quando Paolo descrisse l’Eucarestia nella Prima Lettera ai Corinzi, non pose dunque un nuovo obbligo, ma lo trovò già presente nella dottrina cattolica, limitandosi a ricordarlo ai destinatari, che ben lo conoscevano ma lo praticavano male (1 Cor 11, 20-21. 23). Altrettanto infondata l’idea che Marco non abbia conservato l’ordine di Cristo di mangiare il pane e bere il vino, ossia che l’Eucarestia dovesse essere replicata: il fatto stesso che i discepoli ne mangiassero e ne bevessero attesta che essa fu data loro come cibo e bevanda. La particolare struttura del Vangelo di Giovanni infine giustifica che esso non parli dell’istituzione dell’Eucarestia, essendo l’autore interessato a completare i sinottici, come dimostra l’ampia sezione di quei Discorsi detti appunto eucaristici che hanno valore proprio in vista dell’Eucarestia, e che gli altri tre Vangeli non avevano tramandato. Tali discorsi, stenografati forse dallo stesso Giovanni, rivelano lo stile tipico di Gesù nelle occasioni più solenni e sono quindi una vera catechesi del Maestro sull’Eucarestia. Non è inoltre accettabile l’idea che l’Eucarestia abbia un’origine negli ambienti cristiani primitivi, non solo alla luce di tali dati, ma anche in considerazione del fatto che essa compare immediatamente nella liturgia primitiva della Chiesa, sin dal 50 dalle fonti paoline; peraltro, appare incomprensibile che la prima generazione cristiana alterasse la dottrina di Gesù mentre gli Apostoli erano finanche in vita! Analogamente va scartata l’idea che l’Eucarestia sia il frutto dell’influsso delle cerimonie giudaiche o dei riti pagani. Una cosa è la contestualizzazione culturale in seno al Giudaismo dell’Eucarestia, un’altra immaginare che essa si sia sviluppata dai riti mosaici automaticamente, a dispetto della volontà di Cristo, e peraltro con il significato unico di un rito che rende presenti il Corpo e il Sangue del Redentore. Tale dottrina è irriducibile a qualsiasi teologia giudaica, sia templare che essenica. In modo simile si può argomentare per l’influsso pagano, che anzi non è neanche utile per la contestualizzazione culturale in quanto non è mai accaduto. Infatti i misteri eleusini o il culto di Mitra, per citare i più gettonati in questa comparazione religiosa, non hanno alcuna presenza reale dei propri dei al loro interno, né commemorano alcuna Passione di un Redentore, né hanno alcunchè di storico – come invece ha l’Eucarestia che si rifà alla Passione sotto Ponzio Pilato – né di redentivo dai peccati. Ancor meno accomuna l’Eucarestia alle Cene pagane, essendo queste banchetti profani prive di qualunque carattere precettivo. Cristo è realmente presente nell’Eucarestia. Tale verità è stata definita dal Concilio Romano del 1076 sotto Gregorio VII, dal IV Concilio Lateranense (1214), dal Concilio di Costanza (1415-1418), dal Concilio di Firenze, dal Concilio di Trento, e ribadita dal Concilio Vaticano II. Infatti sino al IX sec. nessuno negò tale presenza in modo diretto, pur mancando nel primo millennio il culto delle Specie eucaristiche fuori della Messa e limitandosi alla loro conservazione onorata. Fu Scoto Eriugena (†876) a dubitarne per primo, venendo condannato dai Concili di Vercelli, Parigi e Roma (1050) e da quello romano del 1059, tutti sotto papa san Leone IX (1049-1054). Altri eretici che negarono la Presenza furono Pietro di Bruis (1126), John Wycliff (1312) e Jan Hus (1417), condannati a Costanza; Lutero affermò che la Presenza Reale dura solo per il tempo della celebrazione liturgica; Carlostadio e Zuingli ritennero che la presenza fosse simbolica; Calvino affermò invece che la presenza era reale ma non sostanziale, ossia che veri erano gli effetti ma le cause simboliche; gli Anglicani seguono tale posizione. Ma la dottrina cattolica è provata dalla Scrittura. Cristo promise l’Eucarestia, sia in modo simbolico coi miracoli delle moltiplicazioni dei pani e dei pesci e della trasformazione dell’acqua in vino, sia in modo esplicito nel Discorsi sul pane di vita (Gv 6, 26-72). In esso parla di Se’ come pane di vita, pane di Dio che è sceso dal cielo e dà la vita al mondo, cibo che rimane per la vita eterna; dice che tale pane è il Suo Corpo e che il Suo Sangue è vera bevanda, per cui l’uno e l’altro vanno bevuto e mangiato per la vita eterna. Queste parole vanno intese letteralmente (Clemente di Alessandria, Origene, Basilio, Gregorio di Nissa, Cirillo di Alessandria, Cirillo di Gerusalemme, il Concilio di Efeso, Teodoreto, Giovanni Crisostomo, Epifanio, Giovanni Damasceno, Cipriano, Ilario, Ambrogio, Gerolamo, Agostino e altri) o almeno in un senso che non esclude quello letterale (Clemente Alessandrino, Origene, Agostino ecc.), per cui tale testo è una promessa dell’Eucarestia. Esso è indubbiamente autentico in tutte le sue parti. E le sue parole suscitano scandalo nell’uditorio perché esso le intende per quello che realmente significano: una promessa di antropoteofagia fatta da Uno che dice di essere Dio e Uomo. Peraltro, il senso metaforico di “mangiare la carne e bere il sangue” di qualcuno nel linguaggio biblico significa “calunniare, denigrare, perseguitare”, per cui Cristo non poteva usare tali locuzioni se non in senso letterale. Gesù inoltre istituì il Sacramento usando parole che appunto sono da intendersi come significanti la Sua Presenza Reale in esso. Nei quattro brani biblici in cui è descritta l’istituzione dell’Eucarestia già citati (Mt Mc Lc 1 Cor) le divergenze possono facilmente essere appianate. Mt e Mc omettono il mandato di ripetizione (“fate questo in memoria di Me”) perché ovunque noto ed eseguito; in quanto poi alle parole “questo è il Mio Corpo”, “questo è il Mio Sangue”, hanno un senso chiaramente letterale, perché i dimostrativi sono chiaramente riferiti al pane e al vino e perché il verbo essere qui non è simbolico in quanto il contesto non lo permette, perché mai pane e vino furono simboli di corpo e sangue; ragion per cui Cristo, se avesse voluto simboleggiarli semplicemente, avrebbe dovuto usare un altro verbo. Diversamente, Lui stesso avrebbe consegnato ai discepoli una dottrina ambigua! Del resto, dicendo che l’Eucarestia è per la Nuova ed Eterna Alleanza, il Cristo lega per forza di cose il Sangue versato da Lui a tale evento, in quanto solo con spargimento di sangue c’è patto e perdono. Fu così che subito la Chiesa considerò l’Eucarestia come il luogo della Presenza Reale del Redentore. Analogamente la Tradizione patristica fornisce chiare indicazioni in merito. Sebbene manchino trattazioni eucaristiche sistematiche nei primi secoli, sia per il riserbo sulla disciplina arcani, sia per la mancanza di controversie in merito, sia per la cristologia in progressivo sviluppo, i Padri, con un linguaggio spesso simbolico, proclamano la Presenza Reale di Cristo nel Sacramento: esso è Corpo e Sangue di Cristo, Carne del Salvatore immolata per noi e risuscitata dal Padre, Corpo di Cristo nato dalla Vergine Maria e crocifisso, Sangue di Cristo sgorgato dal Suo Costato (Ignazio di Antiochia, Giovanni Crisostomo, Ambrogio); esso non è pane comune né semplicemente benedetto, ma Corpo e Sangue di Cristo (Giustino, Cirillo di Gerusalemme, Ambrogio); esso non è figura e segno del Corpo di Cristo, ma lo stesso Corpo di Cristo (Crisostomo, Giovanni Damasceno, Macario); esso è il pane trasformato nel Corpo di Cristo, il vino trasmutato nel Suo Sangue (Cirillo di Gerusalemme, Cirillo di Alessandria, Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo, Efrem, Ambrogio, Giovanni Damasceno, l’Anonimo del De Sacramentis); esso è lo stesso Corpo di Cristo che siede alla destra del Padre (Gregorio di Nissa, Cesario, Crisostomo, Efrem, Cirillo di Alessandria, Giovanni Damasceno, Leone Magno); esso è il Corpo di Cristo che realmente i fedeli assumono in se stessi (Gregorio di Nissa, Ilario, Cirillo di Alessandria, Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo, Efrem); esso è un mistero inaccessibile ai sensi, perché contiene Cristo (Clemente Alessandrino, Cirillo di Gerusalemme, Ambrogio, Agostino, Giovanni Crisostomo, Efrem); esso è un miracolo simile alla Creazione e all’Incarnazione (Giustino, Macario, Gregorio di Nissa, Cirillo di Gerusalemme, Ambrogio, Giovanni Crisostomo, l’Anonimo del De Sacramentis, Isidoro, Giovanni Damasceno); esso è il Corpo reale di Cristo, difeso dalle eresie dei Docetisti e degli Gnostici da Ignazio e Ireneo, degli Ariani da Ilario, dei Nestoriani da Cirillo di Alessandra e Xenaia di Mabbug, dei Monofisiti da Anastasio il Sinaita e da Teodoreto di Ciro; esso è il compimento della manna, dei pani della proposizione, dell’Agnello pasquale, dell’offerta di Melchisedek (Gerolamo, Crisostomo, Cirillo Alessandrino, Agostino); esso moltiplica in Sé la presenza dell’Umanità di Cristo (Gregorio di Nissa), la mise nelle Sue stesse mani (Efrem), è cibo incorporeo per i corporei uomini (Efrem), rende presente nelle nostre mani e nelle nostre chiese il Dio infinito (Crisostomo); esso ci unisce a Cristo realmente (Crisostomo, Cirillo Alessandrino), trasforma il nostro corpo in quello di Cristo (Gregorio di Nissa); esso merita l’adorazione (Ambrogio), va ricevuto con somma riverenza (Cirillo Alessandrino), perché diversamente è sacrilegio riceverlo in peccato, mentre ha massima efficacia quando è celebrato (Crisostomo). Questo florilegio patristico è assai eloquente e rende giustizia dei termini con cui l’Eucarestia è indicata: Signum, Symbolum, Figura, Imago Corporis Christi o anche Signum tantum. Essa è la vera immagine del Cristo. Analogamente attestano la Presenza Reale tutte le antiche tradizioni liturgiche, in cui si prega Dio di trasformare pane e vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Le antiche raffigurazioni pittoriche attestano la fede nella Presenza Reale. Lo stesso fanno le iscrizioni antiche come quella di Abercio (II sec.). Cristo si rende presente nell’Eucarestia per Transustanziazione. Il termine fu coniato da Ildeberto (†1134). Esso indica la conversione sostanziale del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo, rimanendo gli accidenti dei primi. Tutta la sostanza del pane e del vino passa in quella del Cristo. Essa tuttavia preesiste a quella del pane e del vino che si trasformano. Tutta l’Umanità di Cristo è presente nel Sacramento, perché tutta la Sua Persona lo è. Analogamente, lo è tutta la Divinità. Nell’uno e nell’altro caso tuttavia né l’Umanità diventa onnipresente di per sé, né la Divinità perde la Sua onnipresenza. La conversione sostanziale non modifica gli accidenti. Per cui essi sono il termine comune o intermedio tra quello di partenza (pane e vino) a quello di arrivo (Cristo). La conversione sostanziale è tuttavia totale e non formale (come insegnava Durando di San Porziano e poi Cartesio), in quanto sotto gli accidenti del pane e del vino vi sono la forma e la materia dell’Umanità di Cristo, oltre che la forma della Sua Divinità e la Sua unica Persona. In seguito alla conversione sostanziale, tutta la sostanza precedente scompare, per cui non vi è coabitazione tra Cristo e il pane e il vino, come invece insegnano Nestorio, Lutero e Wycliff (consustanziazione), né nascondimento del Primo nei secondi (impanazione), asserito da Berengario, Ruperto e Giovanni di Parigi. La Transustanziazione è stata negata da Calvino e dagli Anglicani. Errori sull’argomento sono stati anche in Bayma e Rosmini, che hanno affermato che dopo la consacrazione il pane e il vino esistono come l’accidente nella sostanza, pur mancando di sostanza. Essi furono condannati da Pio IX nel 1875. I molti errori dei contestatori del periodo successivo al Concilio Vaticano II, che negarono la Presenza Reale e quindi la durata della Transustanziazione dopo la Messa, furono condannati indirettamente dal Credo del Popolo di Dio di Paolo VI. Così anche le varie imprecisioni terminologiche della nuova sacramentaria sono state stigmatizzate dal Catechismo della Chiesa Cattolica che ha ripreso il lessico tradizionale. La prova della Transustanziazione si evince dalla Scrittura, sebbene la parola non sia biblica. L’espressione “Questo è il Mio Corpo”, come quella “Questo è il Mio Sangue” significa che quel pane e quel vino non sono più tali, e non che convivono con il Cristo in una sola realtà; che non vi sono più colà ne’ la forma ne’ la materia del pane e del vino. Tuttavia la conservazione dell’aspetto del pane e del vino nella Cena mostra che solo la sostanza è cambiata, non gli accidenti. Il dogma della Transustanziazione fu definito dal Concilio Laterano IV (1214) sotto Innocenzo III e precisato dal Concilio di Trento. I Concili precedenti, di Vercelli e Roma, avevano parlato di una conversione che avveniva sostanzialmente. Scegliendo tale termine, transubstantiatio, papa Innocenzo non volle abbracciare alcuna filosofia, chè anzi nessun accidente potrebbe sussistere senza la sostanza sua propria, ma utilizzò il lessico aristotelico piegandolo ad esigenze teologiche. In effetti, la sostanza eucaristica è la Sussistenza del Verbo, con le sue due Sostanze unite ipostaticamente. Una simile concezione è inconcepibile per qualunque metafisica, a cominciare da quella classico- medievale. E’ una creazione originale del dogma cattolico. La Tradizione patristica preparò questa definizione. I Padri dicono che il pane diviene, si trasforma, muta, trasmuta, si trasforma nel Corpo di Cristo (Efrem, Atanasio, Gregorio di Nissa, Ambrogio, l’Anonimo del De Sacramentis, Cirillo di Alessandria, Giovanni Damasceno, Serapione); precisarono che il fedele mangia non solo l’Umanità ma anche la Divinità di Cristo (Cirillo di Alessandria); diedero chiare definizioni della conversione sostanziale (Cirillo, Fausto di Riez). Tali ricchezze passarono nella teologia scolastica (Pietro Lombardo, Aimone di Halberstadt, Guitmondo di Aversa, Ildeberto di Lavardin, Pietro Comestore). Essendo presente così com’è ora, il Cristo nell’Eucarestia ha il Suo Corpo glorioso, in cui pure sussiste tutta la Sua storicità terrena. Gli accidenti o specie del pane e del vino rimangono, ma non sono predicabili del Cristo in quanto soggetto. Esistono quindi, a dispetto della metafisica aristotelica, senza essere attribuiti ad alcuna sostanza propria. Il tema della Transustanziazione è ovviamente cruciale nel rapporto tra fede e cultura moderna. Innanzitutto dagli anni sessanta del XX sec. esso è stato messo un poco in disparte per favorire l’idea del Sacramento eucaristico come realtà dinamica, che si compie essenzialmente nella Messa e non tanto nella semplice adorazione dell’Ostia. D’altro canto va ricordato anche che lo stesso concetto di cambiamento di sostanza sembra difficile da comprendersi oggigiorno, né è facile surrogarlo con un concetto liturgico piuttosto che filosofico. La scoperta della fisica subatomica sembra smentire l’idea che il pane e il vino possano essere trasformati: diversamente, la loro stessa struttura corpuscolare dovrebbe subire modifica, il che verosimilmente non accade. Anzi, è la stessa idea di sostanza che oggi si comprende a fatica: una realtà ultima fissa e basilare, smentita dall’oscillazione tra onda e corpuscolo che è alla base della stessa fisica essenziale. Da ciò una fatica nell’espressione terminologica del dogma eucaristico. In realtà l’equivoco scaturisce dall’uso del concetto cartesiano e tardoscolastico di sostanza a proposito del dogma e nel sentire comune, mentre la dottrina eucaristica fu definita in età altoscolastica. Se per Cartesio la sostanza è l’estensione di una cosa, per cui anche la sostanza aristotelica si identifica con una proprietà fisica, anche se basilare, per Tommaso d’Aquino essa è oltre la stessa estensione e la localizzazione temporale, che sono tecnicamente degli accidenti. Ragion per cui tutto quanto in un ente si configura in uno spazio o in un tempo, o meglio la sua stessa struttura spazio-temporale, afferisce all’ambito fenomenico e accidentale, e non a quello sostanziale o – kantianamente – noumenico. In ragione di ciò l’essenziale dell’ente è una realtà metafisica, che può mutare indipendentemente da qualsiasi elemento esteso o temporale, compresi quelli chimici e fisici. Ed è questa che è oggetto di transustanziazione: dal pane e vino al Cristo Dio. Non meraviglia dunque, alla luce di questa straordinaria Presenza che la inabita, la molteplicità e la mirabilità degli effetti dell’Eucarestia: essendo in essa Cristo stesso, ogni bene morale, spirituale, sacramentale della Chiesa è ordinato ad essa e scaturisce da essa. A quale meta terrestre e ad un tempo celeste potrebbero essere finalizzati gli altri Sacramenti dell’iniziazione cristiana? E quale salute mirerebbero a restituire quelli della guarigione, se non questa? A quale meta sono ordinati i Sacramenti sociali? Per cosa si è ordinati sacerdoti? Da Chi i fedeli, laici religiosi ed ecclesiastici, traggono nutrimento e forza? Chi ispira loro le opere buone? Quel Cristo Che già abbiamo con noi sulla Terra nel Tabernacolo. Si compie la parola del Deuteronomio che dice: Quale popolo ha i suoi dei vicini a sé come tu, Israele, hai il Signore tuo Dio? E veramente, fissando l’altare, possiamo dire con la Scrittura: Il Signore è là. Egli, stando là, anticipa la nostra vita futura e sostanzia di Sé la nostra gioia. Ciò che è conforme a questo Sacramento è regola di fede, mentre esso stesso si conforma ad esso. Comprendiamo anche qui la molteplicità dei nomi di questo Sacramento. Eucarestia, che vuol dire azione di grazie, perché noi ringraziamo per ciò che ci è donato, offrendolo a nostra volta, in quanto incapaci di donare qualcosa di analogo o anche semplicemente di gradito a Dio. Cena del Signore, perché memoriale della sua Cena con gli Apostoli. Frazione del Pane, perché Cristo lo transustanziò spezzandolo e perché noi, pur essendo tanti, mangiamo un solo pane, in quanto siamo in realtà un solo corpo. Assemblea eucaristica, perché il Sacramento è celebrato sempre nell’assemblea dei fedeli, almeno misticamente. Memoriale, perché, come dicemmo, attualizza il ricordo e lo rende operante, mentre anticipa il ritorno e lo prepara – e ci torneremo. Santo Sacrificio, perché ripetizione incruenta del solo Sacrificio, definito anche di lode, spirituale, puro e santo, nonché della Messa. Santa Messa appunto, perché l’offerta è inviata e accettata. Divina e Santa Liturgia, perché esso è l’azione più alta di culto offerta al Padre da Cristo nello Spirito ed è officiato in Cielo e in Terra simultaneamente. Santi Misteri, perché esso è la somma dei misteri del Cristo. Santissimo Sacramento, perché in esso vi è Cristo stesso, anche al termine della funzione sacra. Santa Comunione, perché ad esso ci uniamo e lo riceviamo in noi. Cose Sante o Comunione dei Santi, perché sante per eccellenza e cementatrici dell’unione degli eletti in Cristo, anche oltre questa vita. Pane degli Angeli, per la sua origine celeste, anche se agli Angeli non è concesso cibarsene, godendo essi della visione beatifica. Pane del Cielo, per la stessa ragione. Farmaco di immortalità, perché dà la vita eterna. Viatico, perché accompagna sulla via della vita. MEMORIALE, SACRIFICIO, BANCHETTO Obbedendo al precetto del Signore, Fate questo in memoria di Me, la Chiesa celebra il Memoriale della Sua Passione, Morte e Resurrezione, offrendo al Padre il Suo Figlio, reso presente nel pane e nel vino dal Suo Spirito. E’ Questi lo stesso Figlio Suo già mandato da Lui a salvarci. La Chiesa Lo offre al Padre, e in Lui a tutta la Trinità Santissima. Si noti dunque il circuito trinitario dell’offerta del Memoriale: il Padre manda il Figlio tramite lo Spirito, sia in ordine all’Incarnazione che alla Transustanziazione; il Figlio è offerto al Padre nello Spirito sia nell’Immolazione che nel Memoriale; il Padre riceve l’offerta perfetta dell’Uomo Cristo Che è anche Dio e comunica la sua valenza satisfattoria al Figlio Che genera e allo Spirito Che emana da Sé e dal Figlio stesso. In ragione di ciò il Padre è propizio al mondo, nel Figlio e tramite lo Spirito, per cui si replica e si prolunga il mistero eucaristico come Memoriale del Calvario. E’ dunque il Memoriale che rende Reale la Presenza nella Transustanziazione, che a sua volta è, come vedremo ora, Sacrificio. Infatti perché la Chiesa offre Cristo? Lo offre perché Egli si è offerto per tutti, ovunque e per sempre; offrendosi ha salvato il mondo ed è stato costituito Signore; in ragione di ciò ha ricevuto dal Padre ogni potere, compreso quello di comunicarsi a noi e di rinnovare con noi e per noi la Sua offerta. Tale potere rende appunto possibile questo Memoriale per cui è sempre presente il Cristo immolato, perché nessuno mai e in nessun luogo sia escluso dai benefici della Sua Redenzione. Noi dunque siamo uniti alla Sua offerta non perché immoliamo nuovamente il Cristo o perché offriamo qualcosa di analogo a Lui – in quanto la Sua offerta è unica e irripetibile nella Sua perfezione - ma perché, mediante la Parola da Lui pronunziata, che i nostri Sacerdoti ripetono per Suo mandato, si rende nuovamente presente ciò che Lui ha fatto per noi (8). E’ la logikè latreia di paolina memoria, un culto del Logos e nel Logos e con il Logos, il Verbo – ossia la Parola – del Padre fatta Carne per immolarsi per noi. La Vita – ossia sempre il Verbo – muore consapevolmente, trasformando la morte in vita anch’essa.Questo può avvenire nella Chiesa – e solo in essa - perché questa è la Persona mistica del Cristo, mediante cui Egli opera. La Parola pronunziara dal Verbo, Che è a Sua volta proferito dal Padre, diviene così la nostra non per analogia, ma per la nostra sussistenza in relazione con il Cristo Totale. Cristo trasmette ai Suoi il potere del Memoriale rendendosi presente in essi: nei semplici fedeli per unirsi all’azione – proprio mediante il Battesimo e la Cresima - nei Vescovi e nei Presbiteri per officiarla - mediante l’Ordine (9). Per cui tutta la Chiesa è presente realmente ad ogni Eucarestia ed è unita ad essa (10). E tale opera va dunque a vantaggio di tutta la Chiesa in Colui Che la compie, che ne mette in circolo il frutto come il sangue nelle membra. Tale opera è appunto la Liturgia, in cui Cristo è celebrante, offerente, offerta e ricevente; Egli è autenticamente presente sia nel Sacerdote che nell’assemblea, perché e in vista del fatto che Egli è realmente presente nei Doni, sia naturali che transustanziati. Il Sacerdote offre in Persona Christi, al posto della Persona di Cristo; l’assemblea si unisce cum Corpore Christi, col Corpo di Cristo di cui è parte; i Doni sono offerti in Christo, cum Christo et per Christum, sia prima che dopo la Consacrazione. Non è dunque un rituale ma un’azione pubblica del Cristo stesso, appunto una Liturgia, di portata cosmica, ossia apportatrice di ordine e datrice di fondamento, indispensabile e fonte di salvezza e vita. Essa riporta ordine nel mondo sconvolto dal Peccato e lo riconduce alla piena apocatastasi che accadrà alla Fine dei Tempi, quando Dio tramite Cristo sarà tutto in tutti. In tale Liturgia del Cristo si ricapitolano tutte le cose, come dice l’Apostolo, e noi ne siamo testimoni e fruitori: dall’Incarnazione alla Resurrezione, misticamente ed incruentemente il Grande Mistero si rinnova. Più che dispiegarsi esso su di noi, siamo noi implicati in esso: le pieghe dello spazio e del tempo si ricompongono nella loro unità fontale. Nel Gran Mistero trovano compimento anche tutti i misteri dell’Alleanza Antica e i misteri subordinati, con i meriti della Vergine e dei Santi che da esso scaturiscono e che gli sono congruenti (per cui l’Eucarestia dà gloria agli Eletti e ristoro alle Anime del Purgatorio come suffragio) (11), nonché i nostri stessi meriti, suscitati da quelli di Cristo e uniti ai Suoi in una medesima offerta, doverosa perché compiamo la nostra salvezza ma non autosufficiente, perché ogni bene è ispirato, sostenuto e coronato dalla Grazia che viene dalla Redenzione e quindi è comunicata proprio dall’Eucarestia (Sacrificio della Chiesa) (12). Infine, in esso si anticipano gli eventi futuri, o meglio in essi il futuro escatologico è già presente, nell’attesa kairologica che aveva suscitato l’ammirazione anche di Martin Heidegger. L’Eucarestia è quindi un Sacrificio unico e sempre nuovo, sempre rinnovato a vantaggio di chi lo rioffre e per chi viene riofferto, mediante la Parola. Esso è sacrificio di ringraziamento, da cui il nome Eucarestia, come dicevamo, secondo il racconto dei Vangeli, in cui leggiamo che Egli prese il pane e rese grazie, come pure il calice del vino. Il sacrificio di ringraziamento è per essere stati creati, per essere stati redenti, per essere stati giustificati, predestinati, eletti, chiamati, glorificati; per essere stati perdonati e preservati dal male; per essere oggetto di Provvidenza; è anche un ringraziamento che l’intero universo, ricapitolato nell’uomo sia fisicamente che chimicamente e biologicamente, e che sempre nell’uomo è dotato di razionalità ed è reso partecipe del potere sacrificale del Redentore, può avere un ruolo nella liturgia cosmica e glorificare attivamente il Suo Creatore. Esso è sacrificio pieno di espiazione e riparazione del Peccato, olocausto in cui la Vittima è completamente distrutta in segno di piena obbedienza, oblazione di Corpo e libazione di Sangue (13). L’offerta ripetuta secondo il comando di Cristo fa dunque sì che tale sacrificio sia replicato in tutti questi significati, fondamentalmente interconnessi. Infatti Colui Che si immolò per tutti col Suo Sangue vuole raggiungere ognuno con l’effetto di tale Sacrificio. Tale effetto riservato ai singoli, ai gruppi, ai tempi e ai luoghi si chiama applicazione. Essa avviene sia per le intenzioni generali della Preghiera di Cristo sia per le intenzioni particolari che mette il celebrante e che mettono i singoli (14), a vantaggio di sé e degli assenti, anche non battezzati. Il Sacrificio di Cristo dunque, nell’Eucarestia, edifica la Chiesa. Infatti, come il cibo arricchisce il corpo, così l’Eucarestia accresce la Chiesa. Rende più perfettamente incorporati ad essi coloro che la ricevono, completando l’introduzione agli Arcana Mysterii; custodisce il Deposito della Fede; propizia e impetra per il Papa, i Vescovi, il Clero, il Popolo; concede le grazie per l’evangelizzazione; suscita le vocazioni sacerdotali, religiose, laicali e missionarie, santificandole; rende possibile la santità e la perfezione del culto liturgico e sacramentale; concede la grazia per l’osservanza dei sacri canoni; costituisce l’unità della Chiesa e richiama ad essa le Comunità dissidenti; sostiene e libera i fedeli perseguitati; converte i peccatori; santifica e conferma i giusti; suscita la virtù e dissipa i vizi; previene i peccati; promuove l’azione divina negli ambiti della vita umana cristianamente orientata; suscita le opere di carità, giustizia, solidarietà e pace; sana i malati; aiuta i bisognosi di ogni genere; libera le Anime del Purgatorio; onora i Santi e gli Angeli; effonde lo Spirito dall’Umanità gloriosa del Cristo presente in Sé; serve per lodare, adorare, ringraziare, propiziare, glorificare il Padre; implora il compimento del Regno e il Ritorno di Cristo, con la Resurrezione dei Corpi e la Vita Eterna, facendo giustizia ai fedeli. In tal modo il Sacerdozio di Cristo continua sino alla Fine del Mondo sebbene si offra sempre e solo la stessa Vittima, con un solo e medesimo atto sacerdotale. Essa non si immola nuovamente, ma si offre nuovamente e consapevolmente nell’ambito dell’unica sua azione sacrificale, senza nuovo spargimento di Sangue. In quanto Sacrificio, l’Eucarestia è anche Banchetto. La vittima immolata è sempre stata consumata dall’offerente e dal sacerdote a nome di Dio, nell’Antica Alleanza (15). Anche nella Nuova vi è reale mensa e condivisione tra Dio e l’uomo. Perciò l’Eucarestia è convito, simposio, cena. In essa l’atto del mangiare sacramentalmente indica appunto la recezione del merito del Sacrificio, dell’azione stessa del sacrificarsi da parte del Redentore, dello stesso Redentore che Si sacrifica. Il Sacerdote mangia per sé e per la Chiesa, ma anche perché il Sacrificio è gradito a Dio Padre. Il Cristo, Sacerdote, ha mangiato per il Suo Padre e Dio, sulla Terra; ora il Sacerdote fa lo stesso in Suo Nome. I fedeli mangiano per sé e per coloro per i quali pregano. E’ quella che chiamiamo Comunione, di cui ora diremo più approfonditamente. E’ ovvio che l’Eucarestia è primariamente Sacrificio e non Banchetto, in quanto in essa non si mangia un cibo qualsiasi, ma il Corpo offerto e il Sangue versato del Verbo Incarnato; tuttavia, fissata questa gerarchia di causa ed effetto, entrambi gli aspetti vanno tenuti per capire il mistero del Sacramento, sebbene la parte più ancestrale del Sacrificio del Cristo, quella che fa di Lui un olocausto al Padre, non debba essere riservata ad altri se non alla Prima Persona Divina, in quanto è purissimo atto di offerta, su cui si edifica la valenza espiativa, riparativa e quindi di comunione del Sacrificio stesso: completa obbedienza e soggezione in contrapposizione al peccato di Adamo e ai nostri peccati. LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA Dio disse: Ricordati di santificare le Feste. Si riferiva al Sabato e alle liturgie dell’Antica Alleanza, figure di quella Liturgia eterna che è il Sacrificio del Calvario eternato nell’Eucarestia. Instaurata la Nuova Economia, il precetto verte proprio sul nostro Sacramento, atto essenziale e fontale del nuovo culto, da celebrarsi nel Settimo giorno cristiano, quello della Resurrezione, la Domenica, che ha preso il posto del Sabato. In tale giorno si celebra solo il culto e ogni lavoro, già interdetto nel Sabato, è vietato per consacrare il tempo solo a Dio. Di sette giorni in sette giorni, ci si riallaccia così al Giorno della Resurrezione, creando un eterno ciclo ebdomadario che si riunisce così alla Settimana ebraica, in cui l’attuale Domenica era il primo giorno, in cui era iniziata la Creazione. Sia la Creazione che la Redenzione sono quindi unite in un solo ciclo temporale e il primo giorno è divenuto l’ottavo, in attesa della fine del tempo (16). Esso è anche il Terzo dopo la Morte, per celebrare non solo la Morte ma anche la Resurrezione, che la rende efficace. L’uomo ha bisogno della Grazia, le cui sorgenti Dio ha fissato nel Settimo Giorno. Da qui il precetto positivo, perché l’uomo non tralasci questa sua assoluta necessità. La Chiesa esplicita ulteriormente il precetto stabilendo che bisogna Partecipare alla Messa la Domenica e le altre feste comandate; aggiunge, ai fini della comunione sacramentale, che bisogna Comunicarsi almeno a Pasqua e, in vista di ciò, Confessarsi almeno una volta all’anno. Naturalmente la liturgia, che copre ogni tempo, si celebra ogni giorno, almeno una volta, in ogni luogo cristiano (17). Perciò è vivamente consigliabile che i fedeli vi partecipino ogni volta che possono, anche quotidianamente. La celebrazione avviene in tutti i riti secondo uno schema fondamentale: la convocazione della Chiesa (che appunto significa “assemblea di coloro che sono stati chiamati”) (18)per la celebrazione presieduta dal Vescovo o dal Presbitero, nel corso della quale tutti sono attivi secondo il loro ruolo (19); i riti introduttivi; la Liturgia della Parola, con le letture dell’Antico e del Nuovo Testamento, il Vangelo, l’omelia e la preghiera dei fedeli; la Liturgia eucaristica propriamente detta, con la presentazione delle offerte, la colletta, la preghiera di consacrazione o anafora, la Comunione; i riti di conclusione. Si tratta di uno schema essenziale che risale a Cristo stesso, che nella Sua Cena celebrò l’Eucarestia e tenne i Discorsi ampi riportati da Giovanni. Tale schema è stato conservato e sviluppato dagli Apostoli e dalla Tradizione da essi inaugurata, sotto la guida dello Spirito Santo, conformemente al principio che il Paraclito guida alla verità tutta intera. In ragione di ciò la Liturgia eucaristica, come tutta la Liturgia, non è libera inventività ma fedele conservazione dell’azione di Cristo stesso, che ci ha comandato di fare ciò che ha fatto Lui, e non ciò che piace a noi (20). Vediamo qualche dettaglio nel rito romano (21). I Riti di introduzione introducono la Messa; nelle occasioni solenni il Celebrante entra processionalmente. I ritio sono costituiti dal Segno della Croce fatto in Nome della SS. Trinità e dal saluto del Celebrante, a cui segue la debita risposta dei fedeli. Subito dopo c’è l’Atto penitenziale che, nelle sue tre forme – delle quali la più usata comprende il Confiteor – seguite dall’assoluzione, cancella i peccati veniali e quindi permette di accostarsi all’Eucarestia; se l’Atto penitenziale non è dialogico è completato dalla recita o dal canto del Kyrie Eleison tra Celebrante e assemblea, in tre responsori. Subito dopo il popolo purificato eleva a Dio il canto o la recita del Gloria in excelsis Deo, il cui incipit fu dettato dagli Angeli stessi il giorno di Natale, e che è omesso nelle celebrazioni feriali e in quelle dell’Avvento e della Quaresima (22). A suggello dei riti di introduzione si tiene la prima delle Orazioni della Messa, la Colletta. La Liturgia della Parola è essa stessa una mensa in cui il Logos ci nutre parlandoci, conformemente alla Sua Natura. Prosecuzione della liturgia sinagogale delle letture, un tempo tenuta il Sabato tra i Giudeo- Cristiani, e ispirata dalla serie di Discorsi di Cristo nell’Ultima Cena, la Liturgia della Parola comprende tre letture bibliche nelle celebrazioni solenni e due – la prima e la terza – in quelle feriali. La Prima Lettura è tratta sempre dall’AT, è proclamata da un lettore, laico o ordinato, ed è seguita dal canto o dalla recita del Salmo responsoriale, in cui le strofe di un salmo sono intervallate dal responsorio dei fedeli: in questi riti trovano la loro collocazione le ricchezze della Rivelazione dell’Antica Alleanza. Solo nel Tempo di Pasqua i brani da leggere sono tratti dagli Atti degli Apostoli; in alcune circostanze dall’Apocalisse. La Seconda Lettura è invece tratta sempre dalle Lettere degli Apostoli, specie di San Paolo, e tesaurizza la Rivelazione avvenuta tramite i Dodici. Anch’essa è declamata da un lettore (23). Dopo il canto dell’Alleluia – opportunamente sostituito in Quaresima – e del versetto alleluiatico o dell’inno o della sequenza prevista (24)– o la loro lettura – si legge o, nelle circostanze più solenni, si canta la Terza Lettura, dal brano del Vangelo, opportunamente incensato e, al termine, usato per benedire i fedeli, se il rito lo richiede (25). Letto o dal Celebrante o dal Diacono, il Vangelo è, di solito nelle liturgie festive, opportunamente commentato, in relazione anche alle altre letture, da colui che presiede, nell’Omelia, che simboleggia la parola della Chiesa accanto a quella della Rivelazione (26). Essa ha un compito esplicativo e formativo. Dopo tale commento, che nelle forme più raffinate affidate ai Presuli può diventare discorso o sermone, si fa, nelle solennità, la Professione di Fede recitando il Credo o Simbolo nella sua forma niceno-costantinopolitana o degli Apostoli. Esso sussume tutte le verità rivelate e proposte alla Fede dei credenti dalla Chiesa. A chiusura della Liturgia della Parola, l’assemblea eleva la Preghiera dei Fedeli, rispondendo con una invocazione specifica alle intenzioni proposte; ciò di solito avviene nelle liturgie festive. Essa trasforma la Parola ascoltata in preghiera (27). La Liturgia Eucaristica inizia subito dopo. Si celebra tutta presso l’altare (28). Vi è la Presentazione delle Oblate od Offertorio; essa è fatta processionalmente nelle occasioni maggiori; ordinariamente avviene con due formule di presentazione – per il pane e il vino – recitate dal Celebrante ed accompagnate dall’acclamazione del popolo; il Celebrante recita alcune preci sottovoce, mescola un poco d’acqua al vino da consacrare - in segno della nostra unione alla Vita Divina di Cristo, dal Cui Costato uscì Sangue e appunto acqua (29)- e poi eleva al Signore la seconda Orazione, detta Sulle Offerte (30). In concomitanza di ciò, si raccolgono offerte in denaro tra i fedeli per i bisogni della Chiesa. Subito dopo inizia la Grande Preghiera Eucaristica, il Sacrificio a modo di Parola, l’Eucarestia appunto, detta tecnicamente Anafora o ripetizione, appunto delle Parole del Cristo. Essa è rendimento di grazie e consacrazione; prevede cinque parti. Il Prefazio – ciò che si recita prima – rende grazie al Padre per Cristo nello Spirito, per tutte le Sue opere; diverso da circostanza a circostanza, culmina nella recita o canto del Trisagio o Sanctus, che il profeta Isaia ascoltò dagli Angeli stessi. Seguono l’Epiclesi, il Racconto dell’Istituzione dell’Eucarestia, l’Anamnesi e le Intercessioni, unite in Quattro formulari dopo il Concilio Vaticano II. L’Epiclesi o invocazione prega il Padre di mandare lo Spirito Santo perché pane e vino diventino Corpo e Sangue di Cristo. Il Racconto dell’Istituzione dell’Eucarestia descrive le circostanze dell’Ultima Cena e riporta le esatte parole di Gesù per trasformare pane e vino: queste Parole sono la vera forma del Sacramento che, pronunziata dal ministro in tale momento solennissimo, transustanziano la materia del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo (31). Dopo aver consacrato il pane, esso, che ormai contiene la Presenza Reale, è sottoposto all’Elevazione, perché i fedeli lo adorino; analogamente avviene col Calice del Vino dopo la sua transustanziazione. Nell’Anamnesi o ricordo, la Chiesa poi fa memoria della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo, attende il Suo Ritorno e presenta al Padre l’offerta del Figlio che ci riconcilia. Nelle Intercessioni si vede che l’Eucarestia è celebrata in comunione con tutta la Chiesa, la Vergine SS. e i Santi, con il Cielo, con i Defunti, col Papa, il Vescovo, il Clero e il popolo tutto (32). Tutto termina con la dossologia del Per Ipsum. Terminata la grande preghiera, iniziano i Riti di comunione. Innanzitutto si canta o recita il Padre Nostro, seguito da una breve preghiera suggellata dall’invocazione dei fedeli: è la Preghiera di Cristo recitata alla Sua presenza; poi vi è lo scambio del Segno di Pace, in quanto figli di uno stesso Padre; poi vi è il canto o la recita dell’Agnus Dei, mentre il Celebrante spezza il Pane; indi questo e il Calice sono mostrati ai fedeli come Agnello di Dio, proclamando beati gli invitati alla Cena del Signore; essi proclamano a gran voce la loro indegnità come il Centurione. A quel punto il Celebrante distribuisce la Comunione ai fedeli, generalmente sotto la sola specie del Pane, che – come quella del Vino- contiene tutta la Presenza Reale. Comunicandosi e mangiando il Pane il singolo si accosta al Sacramento, con un atto che quindi si configura come materia prossima dello stesso, mentre le Sacre Specie trasformate sono la materia remota a vantaggio di tutti i fedeli. L’Eucarestia è distribuita ai fedeli o direttamente in bocca (33)– e sotto le due specie intinta nel vino – o sulla mano destra, appoggiata alla sinistra. Dalla mano, di fronte all’altare, con la sinistra il fedele prende l’Ostia e la mette in bocca. Mai l’Ostia dev’essere masticata, ma solo lambita dalla lingua, essendo non lievitata (34). Dopo la Comunione e una pausa di Ringraziamento individuale, viene recitata la terza Orazione, dopo la Comunione. Seguono i Riti di Conclusione, con il Saluto di congedo e la Benedizione. Nelle occasioni solenni, il Celebrante esce processionalmente (35). Meravigliosi sono gli effetti della Santa Messa ben ascoltata per il singolo, alla quale quindi conviene partecipare con le dovute dispozioni di riverenza, umiltà, contrizione, devozione, purità e fede, speranza e carità. Il ricordo delle Sante Messe devotamente ascoltata costituirà la maggiore consolazione sul punto di morte; ognuna di esse perorerà il nostro perdono presso Dio; anzi in ciascuna diminuisce la pena temporale dovuta a noi per i peccati, in base al nostro fervore. Assistendovi devotamente, rendiamo nella Messa all’Umanità di Cristo il massimo onore e il Signore per essa compatisce le nostre negligenze ed omissioni, perdonando inoltre i peccati veniali anche mai confessati di cui siamo pentiti. Viene diminuito su di noi l’impero diabolico. Diamo il massimo suffragio ai Defunti, che nulla soffrono nelle Messe offerte per loro. Guadagniamo di più, ascoltando una sola Messa, di quanto faremo tramite tante Messe sentite da altri dopo la nostra morte per noi. Siamo preservati da pericoli e disgrazie. Diminuiamo il nostro Purgatorio futuro. Aumentiamo il grado della nostra gloria in Cielo. Veniamo benedetti nei nostri affari e interessi personali. Tali sentenze sono confermate dal parere e dall’insegnamento unanime dei Santi. Ad esempio, secondo San Bernardo, meritiamo più con una Messa ben ascoltata che con la distribuzione di tutte le nostre sostanze ai poveri e col continuo peregrinare per il mondo; per San Leonardo essa vale di più del digiuno di un anno a pane e acqua. A giudizio di San Girolamo, il Signore ci accorda nella Messa tutto ciò che gli chiediamo e anche ciò che, pur essendoci necessario, non abbiamo pensato o osato chiedere. La Santa Messa è l’unica che lestamente apre i cancelli del Purgatorio (San Gregorio) ed è più accetta dei meriti di tutti gli Angeli e Santi (San Lorenzo Giustiniani); essa ha tanto pregio, in un certo senso, quanto lo ebbe la Morte di Cristo per le nostre anime (San Giovanni Crisostomo). Essa è medicina che sana, olocausto che riscatta (San Cipriano). Perciò Sant’Agostino diceva che un Angelo segna tutti i passi che noi facciamo per recarci in Chiesa per ascoltare la Messa, riservandoci per essi Dio un premio in Cielo. LA SANTA COMUNIONE L’azione più santa, più meritoria e più salutare di un cristiano è la Santa Comunione al Corpo del Signore. Per secoli la Comunione, presentata come atto tremendo perché unisce l’uomo a Dio, è stata ricevuta raramente dai fedeli, spaventati dal timore del sacrilegio e dell’indegnità. Si mise perciò in luce il potere sacramentale dell’Eucarestia in ragione della semplice partecipazione al Sacrificio celebrato. Quando però il movimento eucaristico, sorto alla fine del XIX sec. e culminato col papato di San Pio X (1903-1914), pose in evidenza le ragioni di una frequenza assidua ai Sacri Misteri, allora, grazie al grande Pontefice, si introdusse la Comunione frequente e addirittura ai bambini, da nove anni. Nostro Signore, in Gv 6, 53, è lapidario: Se non mangiate la Carne del Figlio dell’Uomo e non bevete il Suo Sangue, non avrete in voi la Vita. Ragion per cui è indispensabile fare la Comunione, mangiare e bere il Corpo e il Sangue di Cristo. La prescrizione ecclesiastica annuale è un minimo indispensabile, ma la calda esortazione del magistero ecclesiastico da Pio XII ad oggi è per la Comunione almeno mensile; opportuno è che ad ogni celebrazione di precetto il fedele si comunichi; auspicabile che lo faccia ad ogni Messa a cui partecipa; desiderabile che si comunicasse quotidianamente. Tre sono le condizioni per accostarsi all’Eucarestia:
Essere in Grazia di Dio corrisponde a 1 Cor 11, 27-29. Chi mangia e beve il Corpo e il Sangue di Cristo senza discernere, mangia e beve la sua condanna. Perciò chi è in peccato mortale deve confessarsi per ottenere il perdono di Dio. Diversamente compirebbe il più orrendo sacrilegio. Essere digiuni da un’ora è la sopravvivenza del digiuno eucaristico di un giorno introdotto in seguito agli abusi che nell’antichità spinsero a separare la Cena del Signore dai banchetti profani. Ridotto ad un’ora da Paolo VI, il digiuno non è rotto mai né dall’acqua – anche se minerale preparata con polveri – né dai medicinali. Sapere e pensare Chi si va a ricevere implica una preparazione remota e prossima e un ringraziamento al Sacramento. In vista della Prima Comunione i bambini vengono preparati con una apposita catechesi, che di solito nella Chiesa Occidentale è quella iniziale nella vita del cristiano, essendo l’Eucarestia ricevuta antecedentemente alla Cresima. Si tratta quindi di una preparazione intellettuale e morale (36). Ma anche prima di ogni Comunione il fedele deve prepararsi a ricevere il Suo Signore, spiritualmente. La Messa stessa è di per sé tutta preparazione alla Comunione. Ma è bene che ci sia una preparazione personale, basata sulla preghiera. Essa deve implicare atti espliciti di adorazione, fede, speranza, carità verso Dio e il prossimo col perdono delle offese, umiltà, contrizione e proponimento di non più peccare e di penitenza, nonché di desiderio. A tali atti vanno unite esplicite suppliche al Padre e allo Spirito Santo, nonché la richiesta di intercessione alla Vergine, ai Santi, agli Angeli e ai Defunti. In seguito alla Comunione, tali atti sono da ripetersi, anzi ancor più doverosi, almeno nell’arco del quarto d’ora in cui dura la Presenza Reale in noi. A quegli atti vanno aggiunti, al posto di quello di desiderio, uno di offerta e uno di domanda. L’antica preghiera Anima Christi è assai opportuna, con le sue invocazioni litaniche, come anche la Preghiera al Crocifisso, ornata dall’Indulgenza plenaria per i confessati che pregano per il Papa. Gli atti summenzionati, sia per la preparazione che per il ringraziamento, sono sostituibili con altre preghiere tradizionali, tra le quali spicca il Santo Rosario o le Coroncine della Divina Misericordia o delle Sante Piaghe, o altre preghiere rivolte al Cuore, al Sangue, al Nome, alle Piaghe o all’Infanzia di Cristo. La pia credenza legata alla Corona Angelica fa sì che il fedele che la recita per prepararsi possa accostarsi all’altare scortato da nove spiriti di ciascuno dei rispettivi Cori. La devozione, espulsa da tempo dall’alveo liturgico, deve ritornarvi perché solo in esso assume significato e valore (37). I frutti standard della Comunione, ossia quelli che il Signore dona a chiunque, sono a dir poco magnifici. Anzitutto essa accresce la nostra unione a Cristo, reale, ontologica, fisica e metafisica. In tale unione il fervore individuale accresce la compenetrazione tra Creatore e creatura, tra Redentore e redento, tra Signore e fedele, tra Capo e membro, in una misura che non può essere calcolata e che solo Dio conosce. Infatti tra Cristo e chi Lo riceve deve esserci un colloquio autentico, sincero, spontaneo e una fusione d’amore, senza remore, nutrita di contemplazione, meditazione e preghiera. Inoltre la Comunione ci separa dal peccato, perché la fiamma del Divino Incendio ci infervora maggiormente, l’acqua del Mare Immenso ci purifica, la Perfezione ci innamora, sedando, diminuendo e sconfiggendo le tentazioni del mondo, del nemico e della carne. Conseguenzialmente, donandosi a noi, Cristo con la Sua santità fiammeggiante rimette i peccati veniali, nella colpa e nella pena. Infine, essa preserva dalla ricaduta in quelli mortali, purchè l’uomo collabori, e in genere fortifica la virtù, alle medesime condizioni. In particolare accresce e motiva nella carità verso i poveri, che ne deriva come conseguenza doverosa. Globalmente intesa, la Comunione ci unisce più saldamente alla Chiesa in quanto Corpo di Cristo, disteso tra più dimensioni – celeste, terrestre, purgante – e a coloro per cui preghiamo. In ragione di ciò essa è un mezzo non occasionale ma unico per la realizzazione dell’Unità dei Cristiani, che contiene in Sé come un germe. Non a caso, in circostanze particolari, i cattolici possono comunicarsi nelle Chiese orientali separate, perché esse, avendo conservato il sacerdozio, hanno la vera Eucarestia – cosa invece scomparsa nelle Chiese protestanti. Addirittura i fedeli non cattolici possono, in gravi circostanze, adire ai Sacramenti cristiani, ivi compresa l’Eucarestia, su richiesta. A coronamento di ciò, diciamo che l’Eucarestia è il pegno della gloria del Cielo, comunicata al fedele, che in essa già possiede sostanzialmente il Suo Dio (e tramite Lui la Vergine e i Beati – in onore dei quali nulla di più può fare che comunicarsi) oltre che la Sua Gloria invisibile. In virtù di ciò che si semina nella corruttibilità del corpo, esso risorgerà glorioso. Perciò nell’Eucarestia si fonda il compimento del destino eterno dell’anima e del corpo dell’uomo, si prepara la Resurrezione. Nell’anima del singolo, ovviamente, gli effetti non possono essere ricondotti ad alcuno schema. Basti dire che l’Eucarestia è la maggiore preghiera che l’uomo può elevare a Dio, perché è in Cristo. Perciò l’uomo adora, loda, ringrazia, propizia e chiede in modo perfetto in Lui, con Lui e per Lui, al Padre nello Spirito con tutta la Chiesa, Cristo Totale. La Comunione è dunque sommamente connessa ad ogni forma di pietà, liturgica e paraliturgica, sia verso il Cristo, sia verso il Padre, sia verso lo Spirito, che verso la Vergine e i Santi; condizione indispensabile per ricevere le Indulgenze; suffragio sovraeminente; legata alla promessa della Salvezza in forme cultuali particolari come i Primi Nove Venerdì mensili del Sacro Cuore o i Primi Cinque Sabati della Vergine Maria, autenticate e predicate dalla Chiesa. Essa è il fondamento della vita morale, il centro di quella spirituale, la condizione di quella ascetica, il vertice di quella mistica, il senso di quella terrena, il motore di quella sociale, il fulcro di quella di famiglia, l’ispiratrice di quella intellettuale. Lo scambio personale, intimo, vero, sincero, tra il Creatore e la creatura, tra il Salvatore e il salvato, non può essere quantificato e descritto. L’unione è piena, la volontà appagata, l’intelligenza soddisfatta, il sentimento riempito, l’anima elevata, il corpo in pace quando c’è la totale corrispondenza. Non solo nessuna grazia, ordinaria o straordinaria, in linea di principio, viene negata, ma moltissime sono concesse spontaneamente. Cristo è nel fedele: tutto può esserGli chiesto, confidato, detto, lamentato; Egli è presente più che come fratello, padre, amico, sposo. E’ il momento più intimo, in cui l’amante e l’amato sono nella cella vinaria, nell’amplesso spirituale; in cui il Re è sul trono. Egli effonde nell’anima la pienezza dello Spirito dal Suo Corpo glorioso sacramentalmente presente. Abbandonarsi a questa intimità confidente è lo scopo della vita sulla terra, il suo traguardo, il suo riposo, la meta e il tormento. Specie nei momenti particolari della vita, come l’infanzia o la vecchiaia, la gioia e il dolore, la malattia e l’agonia. In questo caso la Comunione è chiamata Viatico, perché accompagna nell’ultima strada da percorrere. IL CULTO DEL SANTISSIMO SACRAMENTO Sin dall’inizio della Chiesa le Sacre Specie furono conservate per essere distribuite ai malati. Ma solo a partire dal secondo millennio divennero oggetto di culto specifico, perché contenenti il Cristo. Solo allora si esplicitò il significato liturgico della verità dogmatica della trasformazione permanente, alla luce del dibattito teologico per la definizione della modalità di tale trasformazione. In ragione di ciò, conservato nel tabernacolo (38), spesso in una cappella con altare proprio (39), il Santissimo Sacramento è oggetto di un culto liturgico di adorazione in forme non dinamiche, ossia non implicanti nessuna trasformazione sacramentale, ma contemplative e meditative. Queste forme sono altamente santificatorie, elevano la spiritualità, fortificano l’ascesi e la virtù, introducono nella vita mistica in una forma inferiore solo alla Comunione eucaristica. Anche in queste forme l’uomo può sortire effetti analoghi a quelli della Comunione, anche se con una minore efficacia (specie per chi possa adire alla Comunione stessa), mediante atti interiori analoghi. Tutti dovrebbero praticarle, come singoli e come categorie o gruppi, specie ecclesiali, a cominciare dal clero. Le forme di questo culto sono dunque le seguenti, tutte ricche di significato e valore, specificamente cattoliche. Anzitutto l’Adorazione Eucaristica, con il Santissimo esposto nell’Ostensorio, mediante la recita di preghiere particolari – l’Ufficio ordinario o del Santissimo, il Rosario mariano o eucaristico ecc. – e culminante nella Benedizione tracciata a forma di Croce col Corpo stesso di Cristo; in forme particolarmente solenni essa è accompagnata da processioni. La più solenne di essa è l’unica prescritta dalla Chiesa, nella giornata del Corpus Domini, ossia il giovedì dopo la solennità della SS. Trinità. Nel corso di tali adorazioni, in funzioni particolari o luoghi speciali, il Signore spesso compie miracoli di guarigione fisica e morale, nonché esorcismi. Il Primo Venerdì di ogni mese e l’Ultimo l’Adorazione è connessa rispettivamente al culto del Sacro Cuore e del Preziosissimo Sangue, in funzione riparatrice ed espiatrice (40). L’Adorazione Eucaristica è continuata nelle Sacre Quarant’Ore che si celebrano nelle chiese parrocchiali nel Tempo Ordinario dopo Natale e legate alla celebrazione della Messa; in alcune chiese è Perpetua, ossia non si interrompe mai. Quando il Sacramento non è esposto, può essere adorato lo stesso nella forma dell’Ora Santa, fatta da singoli o in gruppo; dinanzi al Sacramento si può anche sostare, magari a turno, recitando le preghiere della Guardia d’Onore. L’ossequio più rapido e frequente è la Visita al Santissimo Sacramento, proficuamente accompagnato da quella a Maria SS., Nostra Signora del SS. Sacramento. Tali pratiche possono essere fatte anche in ispirito, se impossibilitati, o se si vuole ripeterle spesso o ci si vuol rendere presenti in luoghi lontani o non è orario in cui la chiesa è aperta. Analogamente si può ricevere la Comunione spirituale recitando con fervore le apposite formule. Infine, da dopo la Messa In Coena Domini alla Celebrazione dell’Adorazione della Croce, tra Giovedì e Venerdì Santo, si tiene quella forma particolare di adorazione pubblica libera che sono le Visite al Santissimo nell’Altare della Reposizione, in memoria della Passione e la Morte di Cristo. Una menzione particolare meritano i Miracoli eucaristici. In essi, debitamente riconosciuti dalla Chiesa, il Pane e il Vino transustanziati lasciano cadere il velo delle apparenze e mostrano parti del Corpo e gocce del Sangue di Cristo. E’ come se in essi una parte del dolore storico del Cristo si clonasse. Tali reliquie – le uniche del Cristo che abbiamo, essendo ogni parte di Lui, compreso il Sangue versato, riunitosi al Corpo risorto e presenti in Cielo – sono assai preziose: la prova provata della Transustanziazione e della Presenza Reale. E tuttavia esse non sono reliquie come le altre, in quanto non sono autenticamente parte del Corpo e del Sangue glorioso di Cristo che sono in Cielo (41): ne sono come un calco, un’orma, un’istantanea nel mistero della Passione. Non sono un pezzo dell’Uomo Dio, ma come una sua emanazione, che sussiste ora di per sé, degna di venerazione ma non di adorazione come invece l’Ostia consacrata, che contiene sostanzialmente tutta la Persona del Cristo. Alcuni di questi miracoli vertono invece sul movimento autonomo delle Sacre Specie sotto gli occhi dei fedeli. Nel culto eucaristico il Signore sacramentato ci appare così come è descritto nelle Litanie a Lui dedicate. Egli è l’Ostia di Pace, ossia la vittima che ha riconciliato Cielo e Terra; è il Prigioniero d’Amore, Che è nascosto nel pane e nel vino e chiuso nel tabernacolo e poi nel cuore dei fedeli, magari indegni – in cui scende con ripugnanza, così come con ripugnanza soffrì per loro nella Passione e nella Morte – solo per la carità che prova per tutti e ognuno di noi; è il Sole della Chiesa, perché la illumina con la Sua Verità e le dà la Vita; è il Centro dei nostri altari, perché scaturigine e fine del culto, ma a maggior ragione il Centro dei nostri cuori, perché è il punto focale del nostro amore di persone verso Dio e i fratelli, nonché verso di noi stessi. Egli è la Delizia delle Anime pure, a cui è concesso di vedere Dio già da questo mondo, gustandone il sapore; è il Ristoro dei tribolati, perché chiama a Sé tutti coloro che sono affaticati e oppressi; è la Medicina delle Anime peccatrici, perché ne sana le ferite. Egli è la Fonte della Vita, perché ne è il Creatore e il Restauratore come Redentore; essa infatti zampilla sempre da Lui per l’eternità. Egli è il Consolatore dei Cuori, perché ha promesso che lo sarebbe stato con chiunque fosse stato affaticato e oppresso. Egli è il Pane degli Angeli, che nutre questi spiriti non sostanzialmente ma per la gloria con cui li irradia; perché da essi è continuamente adorato nelle nostre Messe e nei nostri altari; perché solo ad essi può appartenere quando ne consideriamo la provenienza e perché da essi spesso è portato alle anime elette. E’ quindi il Cibo soave delle Anime, di meraviglioso gusto, sublime effetto, dolcezza inesprimibile, maggiore della manna. E’ il Cibo dei forti, perché chi se ne nutre combatte e vince la Buona Battaglia. E’ il Sacro Convito, la Cena imbandita sul Monte Sacro con cibi succulenti e vini raffinati. Ancora, rincarando la dose, è lo Sposo delle Anime, perché in questo cibarsi sacramentale del Corpo di Cristo avviene anche un’Unione sponsale mistica ma reale, ben descritta nel Cantico dei Cantici. E’ il Nostro Pane quotidiano, quello che nutre per l’eternità, chiesto e ottenuto nel Padre Nostro, e di cui possiamo mangiare ogni giorno. Questo Sacramento è il Nostro Aiuto e Fortezza, la roccia e il baluardo inespugnabile, in ogni difficoltà. In esso Cristo è Modello di Virtù, perché tutte sono rappresentate nel Sacramento, dalla carità all’umiltà, dalla sapienza alla pazienza, fino alle più minute, esercitate nello starci accanto. E’ la Fonte della Grazia, perché chi crede in Cristo è giustificato, attraverso la fede, che con sublime grandezza ci eleva a riconoscerne le fattezze sotto le Sacre Specie. E’ il Cuore che palpita notte e giorno per noi, ossia l’Amore personale di Cristo verso di noi nella sua forma e nella sua azione più piena, che raggiunge ognuno sempre e ovunque. E’ il Sacramento dell’Amore, come il Battesimo è della Fede, perché è prodotto e produce l’amore. Gesù in esso è la Gioia dei Fanciulli, perché se non si è come bambini non si entra nel Regno dei Cieli; è l’Arma dei Giovani, che con Lui combattono le pulsioni che cominciano ad agitarli e le forze che li assediano; è il Sostegno dei Vecchi, che si avviano all’ultimo lido; è il Conforto dei Morenti, che solo in Lui trovano sostegno per attraversare il gran guado; è il Pegno della Gloria futura. A Lui possono elevare un pieno desiderio solo coloro che hanno un cuore indiviso, perché è il Sospiro dei Vergini; è la Difesa dei Calunniati, perché conosce ogni verità ed è Giudice dei Vivi e dei Morti; è la Costanza dei Martiri, che solo in Lui possono trovare la forza per la grande testimonianza che li fa simili al Maestro. Questo Sacramento è il Paradiso della Chiesa, che già in Lui, il Cristo Capo, è glorificata, anzi è deliziata, perché è il Pegno inesauribile di un Amore infinito che sarà per l’eternità. E’ il Verbo fatto Carne, il Logos incarnato, la Massima espressione dell’Intelligenza Divina che si avvicina a noi, sempre e comunque, superando e sconvolgendo ogni modo umano di ragionare. E’ l’Anima di Cristo, che ci santifica; il Corpo, che ci salva; il Sangue, che ci inebria; la Divinità, che ci ha creati. E’ il Cristo, il Nostro Dio e Signore, che per noi è diventato impotente: infatti nemmeno Lui, che tutto può, potrebbe amare di più. Ma amando infinitamente, ha mostrato tutta la sua immensa potenza, che abbatte ogni barriera. 1.Catechismo di San Pio X. 2. Dato il ruolo che la madre di famiglia svolgeva nella Cena pasquale, non vi è motivo di dubitare della tradizionale presenza di Maria SS. all’Ultima Cena del Figlio. 3. 1 Cor 2, 23-25. 4. La scelta del pane e del vino richiama alcuni simbolismi biblici, dando loro compimento profetico: l’offerta incruenta di Melchisedek; le primizie della terra offerte in oblazione e libagione nel Levitico; i pani azzimi con cui si mangiava la Pasqua; i pani della proposizione sull’altare; la manna nel deserto; il calice dell’alleanza offerto nella Cena di Pasqua. 5. Nessuna azione può essere comunicata senza la presenza dell’agente. 6. Si noti l’armoniosa fondazione del mistero eucaristico sulla cristologia calcedonese. 7. La distinzione ontologica è stata fatta per la prima volta da Aristotele. Tale nozione è stata, come vedremo, interpretata in un modo specifico dagli Scolastici. 8. Chiamiamo quindi questo Sacrificio per mezzo della Parola o Rationabile Obsequium. 9. Ecco perché la celebrazione eucaristica e liurgica non può essere presieduta da chiunque, ma solo da coloro che hanno ricevuto da Cristo quel potere particolare per cui essi offrono attivamente come Lui stesso si offrì. Diversamente, l’Eucarestia non ha alcun valore, come presso le Chiese che hanno perduto la successione apostolica, o non è lecita, come quando è celebrata da sacerdoti sospesi o ridotti allo stato laicale o scomunicati. 10. Infatti ogni Eucarestia è celebrata in comunione col Papa, col Vescovo locale, con tutti i Vescovi e con tutto l’Ordine Sacerdotale, nonché con la totalità dei Fedeli della Chiesa. 11. Se la Vergine e i Santi e gli Angeli si sono santificati per Cristo, offrendo Cristo offriamo anche i loro meriti e onoriamo anche loro per ciò che Dio ha operato in essi mediante Cristo, Che è tutto in tutti. In quanto ai Defunti, se sono stati redenti in Cristo, a maggior ragione possono in Lui trovare anche remissione delle loro pene residue, non attingendo da sé ma attraverso la carità del fratello, che offre Cristo per essi esattamente come Cristo stesso si offrì per tutti. Ragion per cui celebriamo in comunione con la Vergine, con San Giuseppe, San Michele, gli Apostoli, i Martiri e tutti i Santi, non evitando di nominarli nelle circostanze opportune e nei luoghi adatti, secondo la loro dignità e importanza. Lo stesso si fa nella memoria dei Fedeli defunti, sempre presente nella Messa. 12. Dobbiamo dunque dire che l’Eucarestia è il mezzo per il quale Cristo compie ogni opera santa nel mondo; l’uomo, spinto e confermato nel bene da tale Sacramento, si conforma pienamente alla sua azione proprio nell’offerta di sé concomitante al Sacramento stesso. 13. Non vi è un aspetto della liturgia mosaica che non trovi compimento e quindi superamento nel Sacrificio di Cristo. I due tipi teologico-biblici del Sacrificio eucaristico (quello sulla falsariga del rituale mosaico in Mt e Mc e quello che lo supera perché insufficiente in Lc e Paolo) si sintetizzano nell’idea giovannea del compimento definitivo. Cristo infatti è immolato il 14 nisan alle 15, quando si immolavano gli agnelli nel Tempio. 14. In particolare si aggiungono le intenzioni. Ognuno porta le proprie; quelle formulate dal Celebrante hanno ovviamente la preminenza. Nessuna intenzione quindi può essere preclusa dalla Celebrazione della Messa. Non vi è grazia che non possa essere ottenuta in essa, se conforme al divino volere. 15. Esisteva un sacrificio particolare, detto di comunione, che esprimeva meglio degli altri questa esigenza cultuale. 16. Da qui l’assoluta necessità che lo Stato e la società conservino la scansione, naturale e soprannaturale, del tempo basata sulla Settimana e sulla sacralità del Settimo Giorno, sia nell’azione del culto che nella preservazione dal lavoro servile. Qualunque disposizione differente lede il diritto naturale dell’Uomo al riposo e al culto, nonché quello soprannaturale del cristiano e quello sovrano di Dio stesso. 17. Non sarebbe sbagliato imporre la celebrazione di due Messe al giorno, una vespertina e una mattutina, come gli antichi sacrifici templari. 18. Ordinariamente la Messa è per il popolo e con il popolo, ma in linea di principio anche il solo celebrante è anche popolo, per cui è concesso, per esempio ai monaci di clausura, celebrare da soli, o in genere celebrare con poca gente. 19. La partecipazione alla Messa consiste proprio in questo: ognuno nelle proprie mansioni, il Celebrante, i lettori, la schola cantorum, i fedeli. Essi devono rispondere alle invocazioni, pregare, assumere le posizioni corporee (seduti, in piedi e in ginocchio) stabilite. Al Celebrante nulla è dovuto per il rito, altrimenti sarebbe simonia. Ma siccome l’Apostolo ha diritto alla mercede dell’Apostolo, un’offerta stabilita gli è data per ogni Messa per il suo sostentamento, purchè egli non unisca le intenzioni di più offerenti in una sola celebrazione. 20. Gravi abusi si sono spesso commessi nella Storia, e anche ai tempi nostri, nel culto liturgico. Già dall’AT Dio chiese una scrupolosa osservanza dei precetti liturgici dettati da Lui stesso e ora insegnati in Suo Nome dalla Chiesa. La disobbedienza dei celebranti e dei fedeli costituisce sempre una mancanza, che nei casi gravi di alterazione o modifica arbitraria o soppressione di parti della celebrazione, nonché di celebrazione in tempi, modi e luoghi irrituali, o mediante l’aggiunta di elementi spuri, è un autentico sacrilegio. 21. Celebrate nelle lingue volgari, le Messe esigono libri liturgici fedeli agli originali; troppo spesso la reiterazione delle traduzioni ha introdotto spropositi, come nelle odierne traduzioni del Lezionario italiano. 22. Il canto sacro accompagna la celebrazione. I canti volgari spesso sono insignificanti e andrebbero emendati; la grande tradizione gregoriana e polifonica latina andrebbe ripresa. 23. Il Santo Padre Benedetto XVI nella sua produzione teologica anteriore al Pontificato sottolineava l’opportunità di selezionare poche letture riducendo al minimo la possibilità di scelta. Altri orientamenti teologici suggerivano una diversificazione maggiore. Con una o più possibilità di lettura dell’AT al giorno e con una diversificazione delle letture tra Messe mattutine e vespertine, qualora fossero liturgicamente differenziate, una parte maggiore della Bibbia sarebbe liturgicamente utilizzata. 24. Buona parte dell’innografia e dei tropari preconciliari sono stati messi da parte dalla Riforma liturgica; andrebbero ripresi. 25. Le tre letture sono ovviamente prestabilite e divise per giorni, ricorrenze, celebrazioni e tempi. Il Vangelo di Matteo, Marco e Luca si susseguono nella lettura negli Anni A-B-C. In momenti topici si legge il Vangelo di Giovanni. 26. Esiste una branca della teologia detta appunto omiletica, che approfondisce lo statuto epistemologico dell’omelia, evidenzia i rapporti tra nozioni e valori naturali e soprannaturali, sottolinea tecniche dialettiche e retoriche, il tutto in un quadro di carattere pastorale. Alcuni paletti vanno fissati. Innanzitutto l’omelia non è sacramentale e quindi chi predica non è strumento dello Spirito ma causa seconda, responsabile di ciò che dice. A maggior ragione l’omileta deve predicare la Parola di Dio e non la propria. La predicazione ha una finalità etica, dovendo proporre ai fedeli tutto ciò che è necessario credere e fare per la Gloria di Dio e la salvezza degli uomini. La Gloria di Dio, intesa come sintesi dei trascendentali dell’Essere divino – la sua realtà, unità, quiddità, verità, bellezza e bontà – è il fine ultimo della predicazione. Dio infatti non agisce per desiderio del fine ma per suo amore, in quanto agisce non perché ha bisogno di qualcosa, ma perché la ama e vuole comunicarle l’essere e le perfezioni concomitanti. L’omileta allora persegue sia la Gloria estrinseca, perché manifesta e loda e fa lodare Dio, sia quella intrinseca, ossia l’oggetto della Beatitudine che sarà il premio delle buone opere fatte e fatte fare. Passando attraverso la necessaria verbalizzazione umana, l’omiletica persegue in modo concomitante la gloria dell’uomo, in cui e a cui è dato sia la fruizione della Gloria estrinseca sia il godimento della intrinseca, perché egli è l’oggetto della Creazione e della Redenzione. Il fine prossimo della predicazione è invece la persuasione, che obbliga senza costringere. L’insegnamento ne è l’anima e lo scopo, per comunicare una verità che trasforma la vita. In conseguenza di ciò l’omelia non deve essere testuale ma tematica, non commento asettico ma parola che scuote, proposta fattiva, come la Rivelazione che deve diffondere. E’ bene dunque che il predicatore sia teologicamente e filosoficamente ferrato, mentre non basta il solo annunzio del kerygma. In quanto al metodo, l’omiletica deve avvalersi dei mezzi persuasivi: l’autorevolezza del predicatore (sapienza, cultura, padronanza, spontaneità, improvvisazione, originalità, esperienza, familiarità e santità di vita), la sintonizzazione sulle condizioni dell’uditorio (suscitando attenzione, interesse e pathos, affascinandolo con il bene, suscitando perciò il suo affascinamento da quanto si va a dire), argomentando in modo dialettico in un quadro retorico. La struttura retorica dell’omiletica la rende genere letterario e mezzo oratorio. Conviene attenersi allo schema tradizionale: l’inventio, la dispositio, l’elocutio, la pronuntiatio, la memoria, L’inventio ricerca gli argomenti idonei per suffragare la tesi e si divide in esordio, narrazione, argomentazione ed epilogo; la dispositio è l’utile distribuzione degli argomenti in luoghi opportuni; l’elocutio da forma linguistica alle idee, perché sia adatta, corretta, chiara, armoniosa; la pronuntiatio è l’arte declamatoria; la memoria implica la conservazione delle nozioni. 27. Una eccessiva diversificazione delle formule delle Preghiere ha creato confusione. Bisognerebbe tendere all’uniformità. Mai dovrebbero mancare preghiere per l’Unità dei Cristiani, per l’Evangelizzazione dei Popoli, per i Cristiani perseguitati, per le vocazioni, per i Defunti. 28. Un tempo l’altare maggiore era utilizzato assieme agli altari laterali posti alla base delle nicchie con i simulacri dei Santi, ed era attaccato al tabernacolo, per cui si celebrava rivolti verso il Sacramento e il Crocifisso che lo sovrastava con sei candelabri. Oggi non si celebra più agli altari minori, che spesso sono stati sconsacrati, e si celebra rivolti verso il popolo, con altari nuovi. Il Santo Padre ha sottolineato la possibilità di celebrare rivolti verso il Signore sacramentalmente presente e ha posto il tema dell’orientamento verso Est, secondo la tradizione antica e medievale, che all’epoca implicava la costruzione delle Chiese verso quell’orientamento. Bene sarebbe lasciare gli altari minori consacrati, se non tornare, laddove esistono, a celebrarvi in caso di necessità, oltre che costruirne di nuovi sotto le nicchie dei Santi delle Chiese moderne; analogamente bisognerebbe riprendere a celebrare, in casi determinati e momenti specifici dei riti, verso il Sacramento. Orientare le Chiese verso Est sarebbe una regola, anche se da secoli desueta, da ripristinare. 29. Quest’acqua perciò si transustanzia anch’essa. 30. I fedeli si uniscono all’offerta sia presentandola in ispirito anch’essi, sia unendovi l’offerta di sé, sia offrendo anche i meriti degli altri cristiani. 31. Come dicevamo, il pane consacrato nella Chiesa Latina è azzimo, non fermentato, come prescrive l’Esodo per la Pasqua e come lo mangiò Gesù. Nella Chiesa Orientale si adopera il pane fermentato. 32. I fedeli possono qui aggiungere ciascuno le proprie intenzioni interiormente, mentre il Celebrante formula quella per cui la Messa è officiata. 33. In tale caso il fedele di solito è in piedi, ma può anche essere in ginocchio lungo la balaustra. Bene sarebbe ripristinare tale uso. 34. Nella Chiesa Orientale il pane, bagnato nel vino, è distribuito con un cucchiaio. In caso di necessità, il Sacerdote può consacrare anche il pane lievitato e persino in minime quantità, celebrando il rito con le sole parole pronunziate da Gesù. 35. Gli altri riti – il latino romano di San Pio V, il latino ambrosiano, il mozarabico, quello costantinopolitano, l’alessandrino, l’antiochieno, l’armeno, il caldeo e tutti gli altri – hanno uno schema proprio che ricalca quello essenziale descritto all’inizio ed è sostanzialmente simile a questo. 36. La catechesi in vista della Comunione è la prima grande catechesi che il cristiano riceve; generalmente è abbinata – o a volte susseguente – a quella per la prima Confessione. Dopo la catechesi eucaristica di solito si frequenta quella per la Cresima. I giovani possono continuare a frequentare corsi di catechesi e in particolare essi sono richiesti prima del Matrimonio ai nubendi. Tuttavia, essendo l’Eucarestia il cuore dell’iniziazione cristiana, vale la pena di dire qui qualcosa sulla teologia catechetica. Essa ha caratteristiche simili all’omiletica, che ne è una parte: approfondisce lo statuto epistemologico della catechesi, ossia dell’atto dell’insegnamento del contenuto della Fede; evidenzia i rapporti tra nozioni e valori naturali e soprannaturali; sottolinea tecniche dialettiche e retoriche adoperate oralmente e per iscritto, il tutto in un quadro di carattere pastorale. Come l’omelia, la catechesi non è sacramentale e quindi chi catechizza non è strumento dello Spirito ma causa seconda, responsabile di ciò che dice. A maggior ragione il catechista, sia ecclesiastico che laico, deve predicare la Parola di Dio e non la propria; se laico e specialmente se al servizio della comunità dev’essere specificamente formato. La catechesi ha una finalità etica, dovendo proporre ai fedeli tutto ciò che è necessario credere e fare per la Gloria di Dio e la salvezza degli uomini. La Gloria di Dio, intesa come la spiegavamo per l’omelia, è il fine ultimo della catechizzazione. Anche il catechista persegue sia la Gloria estrinseca, perché manifesta e loda e fa lodare Dio, sia quella intrinseca, ossia l’oggetto della Beatitudine che sarà il premio delle buone opere fatte e fatte fare. L’ultima importante sintesi sull’argomento è stata l’esortazione apostolica Catechesi Tradendae (1978), del ven. papa Giovanni Paolo II, promulgata dopo il Sinodo dei Vescovi dedicato a quest’argomento (1977). Innanzitutto essa sottolinea che la catechesi è un dovere della Chiesa che scaturisce dal mandato missionario e magisteriale di Cristo, per cui la prima e vera e sola catechizzatrice è la Chiesa stessa, della cui incombenza in materia partecipano in modo diverso il Papato, l’Episcopato, il Clero, i Religiosi e i Laici. Si evidenzia poi che tutti abbiamo un solo Maestro, Gesù Cristo: per cui per catechizzare bisogna essere in comunione di vita soprannaturale con Lui e insegnare solo la Sua santa dottrina, così che Egli continui ad essere docente tramite le Sue membra mistiche, non dimenticando mai che l’atto dell’insegnare è legato alla santità dell’esempio dato, esattamente come fu per il Signore. La tradizione storica della catechesi è lo sforzo di eseguire questo precetto, dagli Apostoli, ai Padri, ai Concili, all’attività missionaria, per cui essa si configura come diritto e dovere della Chiesa, suo compito prioritario, responsabilità comune e differenziata dei suoi membri, che esige un rinnovamento continuo ed equilibrato. La catechesi ha dunque un posto nell’attività pastorale e missionaria della Chiesa: essa è una tappa dell’evangelizzazione, anzi spesso anche per i bambini è il primo annuncio del Vangelo mancando l’azione previa delle famiglie, e ha come fine specifico di sviluppare, con l'aiuto di Dio, una fede ancora potenziale, di promuovere e nutrire la vita cristiana dei fedeli di tutte le età e condizioni. Si tratta di far crescere il seme della fede deposto dallo Spirito Santo col primo annuncio e trasmesso col Battesimo. La catechesi dev’essere sistematica, non improvvisata, secondo un programma con scopi precisi; deve insistere sull’essenziale senza addentrarsi nella ricerca teologica; dev’essere completa e non solo kerygmatica; dev’essere integrale, aperto a tutte le forme della vita cristiana. E’ espressione della sollecitudine della Chiesa, in ogni componente, verso i catecumeni e in genere verso coloro che sono iniziati alla Fede; è necessaria per l’espressione e la maturazione della Fede. La catechesi attinge tutta la Buona Novella alla fonte: dalla Bibbia e dalla Tradizione; essa insegna il Deposito della Fede; commentando il Credo svolge una esposizione ordinata; accompagna la crescita dei giovani e la vita dell’uomo; spiega loro il mistero sacramentale della Chiesa anche nella sua storia travagliata; mostra la necessità delle rinunzie per la vita celeste; esprime l’integrità del contenuto della dottrina con metodi pedagogici adeguati, senza ignorare la dimensione ecumenica, sia nel confronto che nella collaborazione con le altre Chiese, non escludendo la comparazione culturale con altre religioni. Tutti hanno bisogno di essere catechizzati: bambini, fanciulli, adolescenti e giovani sono oggetto di una cura speciale, in quanto ad essi si dà la fondamentale istruzione che però va adattata alla loro età; particolare dev’essere l’attenzione per i disabili; ai giovani senza sostegno religioso la catechesi va impartita secondo un criterio più diligente e con sollecitudine; gli adulti esigono di essere anch’essi seguiti; coloro che vivono in regioni non cristiane con maggior zelo; gli anziani esigono una specifica catechesi adatta alla loro situazione; vanno catechizzate anche le famiglie, i gruppi ecclesiali, sociali, culturali, politici. In quanto ai mezzi, si devono valorizzare oggi i mass media, accanto ai luoghi, ai momenti e alle riunioni particolari e tradizionali, oltre che l’omelia (molti adulti infatti solo in quell’occasione ascoltano un’istruzione religiosa); fondamentali sono le opere catechetiche – come vorrebbe essere la presente – legate alla vita concreta, con linguaggio comprensibile, con completezza di insegnamento, per promuovere una piena conoscenza di Cristo e la conversione a Lui. Strumento principe sono i Catechismi, ossia i compendi della Fede: i vari testi nazionali e particolari hanno oggi un modello nel Catechismo della Chiesa Cattolica promulgato da Giovanni Paolo II nel 1993, articolato in una sezione dogmatica, una liturgica, una etica e una eucologica. La catechesi può essere fatta con diversità di metodi, con uno sforzo di inculturazione, mediante la memorizzazione delle nozioni (celebre il tradizionale metodo delle domande e delle risposte da ricordare) e valorizzando le devozioni, come occasione di riflessione. La catechesi serve dunque ad affermare con gioia la fede in un mondo secolarizzato, affermandone l’identità e la pedagogia, collegandosi alla Fede teologale e alla teologia stessa, senza invasioni di campo. Fondamentale quindi è anche il ruolo della famiglia, della scuola – sia ecclesiastica che laica, laddove sia riconosciuto il diritto della Chiesa di insegnare agli studenti cattolici i contenuti della propria fede - dei catechisti parrocchiali, nonché la funzione degli Istituti specializzati. Il tutto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo e la materna protezione della Beata Vergine Maria, Madre di tutti noi. 37. E’ consigliabile quindi comunicarsi per i mesi devozionali, per le novene, i tridui e gli altri periodi di preghiera non liturgica o non solamente liturgica. 38. La piccola tenda che contiene la Presenza come nel Deserto del Sinai la Tenda conteneva l’Arca su cui compariva la Gloria di Dio. 39. Perché le vecchie norme liturgiche non obbligavano a conservare il Santissimo sull’altare maggiore. Il Cristo Sacramentato è sempre nella chiesa, tranne nel Sabato Santo, quando è conservato solo in una riserva speciale. Innanzi a Lui arde sempre una lampada come prescritto per l’Arca nell’AT. 40. Pio IX, Leone XIII, Pio X, Pio XI e Pio XII si sono soffermati molto sul nesso tra il culto al Sacro Cuore e quello all’Eucarestia, soprattutto la Comunione. Analogamente fece Giovanni XXIII con quello del Preziosissimo Sangue. 41. Ancora oggi è oggetto di dibattito se siano teologicamente accettabili le molteplici reliquie corporali di Cristo che già dalla Sua vita terrena si staccarono dal Suo Corpo: il prepuzio, il cordone ombelicale, i capelli, i denti da latte. Indipendentemente Theorèin - Marzo 2011 |