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A cura di: Vito Sibilio
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HONORA PATREM TUUM ET MATREM TUAM
Appunti di teologia morale del IV Comandamento

“Honora patrem tuum et matrem tuam
ut sis longevum super terram quam

Dominus Deus tuus dabit tibi”

“Tíma tòn patéra sou kaì tēn mētéra”

“Onora tuo padre e tua madre”

(Il Signore Dio)

“Stava loro sottomesso”

(Lc 2, 51)

I primi tre Comandamenti sono, come dice Gesù stesso, una esplicazione e una puntualizzazione del Primo Comandamento della Carità: Amerai il Signore Dio tuo...I successivi sette vertono invece sui rapporti umani, perciò si riassumono tutti nel Secondo Comandamento della Carità: Ama il tuo prossimo come te stesso. Esso può essere adempiuto per amore di Dio, il Quale è infinitamente amabile e per il Quale possiamo amare anche i nostri fratelli, anzi possiamo amarli come amiamo Dio stesso e addirittura come Lui li ama. Il Quarto Comandamento è l'unico espresso in una forma positiva. Introduce gli altri che inculcano il rispetto dei diritti dei nostri simili. Implica il rispetto di tutte le autorità, che hanno la loro scaturigine in quella parentale, e il loro fondamento in Dio Che le prescrive. Postula che le autorità stesse abbiano il dovuto rispetto per i sottoposti. E' legato ad una promessa: Onora il padre e la madre perchè si prolunghino i tuoi giorni sulla terra. La benedizione è simbolo del merito celeste che è acquisito da chi dà ai genitori l'onore prescritto, è pegno di immortalità; essa include una benedizione particolare anche in terra per chi adempie tale dovere. Vediamo allora più da vicino la sostanza etica del Comandamento.

LE ISTITUZIONI E LE PRESCRIZIONI DEL QUARTO COMANDAMENTO

Il presupposto del IV Comandamento è l'istituto familiare. I coniugi fondano la famiglia con il loro consenso, e sia essa che il matrimonio sono ordinati al bene degli sposi e all'educazione dei figli. L'amore tra i coniugi e la generazione creano tra i membri della famiglia relazioni personali e responsabilità primarie. L'uomo e la donna sono complementari biologicamente e psicologicamente; la loro unione è feconda per necessità; in ragione di ciò è la stessa specie umana ad essere sociale, nella sua articolazione maschio-femmina, con un nesso preesistente anche tra gli animali. Perciò la famiglia è fondata sul diritto naturale, è la prima società umana, precede e causa ogni altra società e non ha bisogno di alcun'altra legittimazione a posteriori giuridica o ideologica, ma piuttosto esige la tutela e la garanzia del suo diritto primordiale, fondato sul matrimonio. Nell'ambito della Nuova Alleanza, esso è restaurato nella sua purezza primordiale, la monogamia, l'unicità e l'indissolubilità. Decadute per il Peccato originale, queste caratteristiche sono nuovamente possibili con la Grazia, elargita da Cristo addirittura in forma sacramentale, avendo Egli deciso che il matrimonio non fosse solo un atto naturale ma la fondazione soprannaturale di ogni socialità, modellata sulle vere e mistiche nozze che Lo legano alla Sua Chiesa in un solo e medesimo Corpo, in cui confluisce e si trasforma ogni forma di convivenza umana. La famiglia diviene dunque Chiesa domestica, basata sulle virtù teologali, dove gli sposi si amano come Cristo ama la Chiesa dando la Sua vita per Lei e dove i genitori non solo danno la vita terrena ai figli, ma li innestano anche in quella soprannaturale attraverso i Sacramenti e li educano nella Fede. La famiglia cristiana è dunque la famiglia perfetta, che costituisce un modello insuperabile per tutta l'umanità e che può e deve essere alla base di ogni forma di convivenza familiare, anche puramente secolare, perchè in essa tornano visibili le qualità naturali di questo istituto. Sul IV Comandamento si innesta infatti chiaro il precetto di Cristo: Ciò che Dio ha unito l'uomo non separi, e il Suo monito, per il quale l'uomo deve lasciare suo padre e sua madre per unirsi alla sua donna ed essere con lei una sola carne, una sola persona. In ragione di ciò, per mandato divino oltre che per legge di ragione, non vi è né può esservi divorzio, adulterio, poligamia o poliandria. Il tipo perfetto della famiglia umana e cristiana è la Sacra Famiglia, di Gesù, Giuseppe e Maria, chiamata significativamente la Trinità della Terra, a dimostrazione del fatto che la stessa famiglia umana è immagine della Famiglia divina tripersonale.

La famiglia, in quanto cellula della società, con la sua stabilità e le sue relazioni fonda la sicurezza e la fraternità della comunità umana; educa gli uomini ai valori morali e religiosi che introducono alla società civile, politica, economica, culturale ed ecclesiastica; si prende cura degli anziani, dei bambini, dei diversamente abili e dei poveri; in ragione di ciò e in queste funzioni la famiglia dev'essere sostenuta ed integrata dalla società sia come complesso di altre famiglie, sia come strutture complementari alla sua azione, sia come Stato, in base al principio di sussidiarietà, la cui definizione è recente ma che è sempre esistito. Per esso, le società derivate e più ampie non devono usurpare le competenze di quelle primordiali e più piccole. In ragione di ciò, ogni aspetto etico e sociale della vita matrimoniale e familiare dev'essere tutelato, in campo politico e giuridico, dal potere civile. Questo stesso potere non deve assolutamente concedere garanzie analoghe a surrogati o caricature dell'istituto familiare, in quanto incapaci di raggiungere gli scopi propri della famiglia e dannosi per essa. Qualsiasi riconoscimento al libero amore, dove non vi è matrimonio, o alle coppie sodomitiche, in cui non vi è complementarietà tra sessi diversi, è un abominio, anche se purtroppo oggi assai diffuso. Ancor più ignobile è il riconoscimento dell'adozione per gli omosessuali, volendo attribuire loro per legge ciò che la natura ha loro negato e istituendo una genitorialità stravolta, in cui non vi sono padre e madre ma due padri e due madri, con piena sovversione del processo formativo del bambino. Minaccia altrettanto fosca è costituita dall'uso della fecondazione assistita nei modi in cui permette o di separare le fasi unite della genitorialità, distinguendo i padri e le madri biologiche da quelli educatori se non addirittura le madri generanti da quelle gestanti, o di generare in vitro a vantaggio delle coppie omosessuali. Le vergognose concessioni fatte da molte legislazioni statali in materia andrebbero abolite perchè contrarie al diritto di natura.

In tempi recenti, attualizzando ed esplicitando i nessi del IV Comandamento e dell'etica cristiana, il Magistero pontificio -con il beato Giovanni Paolo II (1978-2005) nella esortazione apostolica Familiaris Consortio del 1981- ha elencato i diritti naturali concessi da Dio alla famiglia attraverso la natura sua propria, tali che tutti possano conoscerli e debbano rispettarli: la libertà di costituirsi, di procreare ed educare i figli secondo le proprie convinzioni morali e religiose; la tutela della stabilità della famiglia e del matrimonio; la libertà di professare e trasmettere la propria Fede e di avvalersi dei mezzi e delle istituzioni necessarie per educare in essa i figli; il diritto al patrimonio; la libertà di intraprendere una attività, di procurarsi un lavoro, di avere una casa, di spostarsi di sede ed emigrare; il diritto alle cure mediche, all'assistenza per i propri anziani e alle forme di sostegno socio-economico garantite dalle leggi dei vari Paesi; la difesa della sicurezza e della salute, particolarmente relativamente a piaghe come la violenza, la droga, l'alcolismo, la pornografia e simili; la libertà di formare associazioni con altre famiglie e di essere perciò rappresentate presso la comunità civile. Tali diritti naturali dovrebbero essere recepiti in toto dal diritto positivo, ma spesso sono ignorati e conculcati.

In quanto scaturite dalla famiglia, tutte le relazioni sociali si commisurano ai parametri morali che la riguardano, con vincoli tanto più stretti quanto più sono intimi: verso i fratelli e le sorelle, verso i nonni e i nipoti, verso i cugini, gli zii e i nipoti collaterali, verso i cognati, i generi, le nuore; verso i concittadini, come abitanti della patria, ossia della terra dei padri; verso i battezzati, fratelli in Cristo; verso ogni uomo, figlio e immagine di Dio. In ogni relazione predomina il rapporto personale, che viene prima di qualunque appartenenza indistinta a gruppi collettivi. Da qui emerge l'importanza del concetto naturale e cristiano di persona umana, una entità individuale dotata di diritti e doveri, capace di amare, capire, volere, che è tale perchè si mostra e si relaziona con gli altri, con se stessa e con Dio. La qualifica personale è unica dell'uomo in natura, è il marchio di fabbrica impressa in lui dalle Tre Ipostasi divine, Che sono Persone proprio perchè si relazionano e si mostrano l'Una alle Altre, nel senso etimologico della parola latina, che indica la maschera, come ciò che dà forma e rende visibile la natura sostanziale di ogni sussistenza.

In ragione di tali istituzioni, si comprendono le prescrizioni morali del IV Comandamento. I figli devono riconoscere nella paternità umana l'immagine di quella divina, amando e onorando i genitori, come manifestazione della loro riconoscenza per essere stati generati, educati, mantenuti (Sir 7, 27-28) ed introdotti alla Fede (2 Tm 1,5). Tale atteggiamento non deve cessare neanche con l'emancipazione dell'età adulta. Il rispetto filiale implica docilità e vera obbedienza (Prov 6, 20-22), pronta, sincera, cordiale, fatta di condivisione dei precetti imposti e non solo di ossequio formale, a meno che non si tratti di prescrizioni contrarie alla legge divina o che risultino in coscienza moralmente riprovevoli o irragionevoli. Finchè vive in casa, il figlio deve obbedire alle richieste dei genitori finalizzate al bene della famiglia o al loro stesso bene (Col 3, 20). Con l'emancipazione, cessa il dovere dell'obbedienza, ma non quello del rispetto, che implica l'ascolto dei consigli, l'esaudimento e la prevenzione dei desideri, l'ascolto degli ammonimenti parentali, conformemente al Timore di Dio da cui scaturisce lo stesso atteggiamento filiale. I figli adulti hanno la responsabilità dei genitori, con l'aiuto morale e materiale che possono concedere, nella malattia, nella vecchiaia e nell'indigenza, come Cristo stesso prescrive, quale dovere primario (Mc 7,10-12). La Bibbia è in questo chiarissima, chiosando il Comandamento nei libri sapienziali: nel Siracide lo Spirito Santo dice che Dio vuole che il padre sia onorato dai figli e che ha stabilito il diritto materno sulla prole; attesta che onorare il padre espia i peccati e riverire la madre accumula un tesoro di meriti e benedizioni; insegna che il figlio che onora il padre sarà onorato a sua volta e sarà esaudito nella sua preghiera e avrà lunga vita, metafora dell'eternità; attesta altresì che chi obbedisce a Dio consola la madre, legando così l'ossequio ai genitori terreni a quello verso il Creatore con una corrispondenza biunivoca. Ancora nel Siracide, il Paraclito insegna a soccorrere il padre nella vecchiaia, a non contristarlo, a compatirlo se perde il senno e a non disprezzarne le infermità; ammonisce che chi abbandona il padre è come un bestemmiatore e chi insulta la madre è maledetto dal Signore (Sir 3, 2-6. 12-13.16). Il rispetto è da estendersi ai nonni e la comprensione e l'amore ai fratelli e alle sorelle.

Dal canto loro, i genitori hanno il diritto e il dovere dell'educazione dei figli, in campo morale e spirituale; devono riconoscere i propri figli come figli di Dio e come persone, rispettando anzitutto i diritti sovrani del Signore su di essi, esortando la prole ad obbedirGli e poi rispettando i loro diritti naturali. I genitori devono educare alla virtù con parole ed esempi; devono preparare i figli a formare famiglia a loro volta; lo Spirito Santo attesta ai genitori la necessità della disciplina, all'occorrenza anche rigida; insegna che la correzione porta vantaggi; ordina di non inasprire i figli e di non opprimerli inutilmente (Sir 30, 1-2; Ef 6,4). Infine, i genitori devono evangelizzare i figli incessantemente, devono educarli nella Fede dalla più tenera età. Gli stessi figli devono contribuire alla crescita religiosa dei genitori. Madri e padri hanno il diritto di disporre di istituzioni educative – come le scuole – che inculchino nei loro figli i propri valori religiosi e morali; tale diritto naturale diviene soprannaturale nei cristiani, che quindi non devono vedere stravolta la loro educazione nelle scuole o altrove, specie se non possono scegliere presso quali istituti iscrivere i figli. Tale puntualizzazione etica è fondamentale nella odierna società, laica e pluralista, perchè fa da contrappeso alla inevitabile molteplicità di modelli educativi. Purtroppo spesso il diritto all'educazione religiosa è misconosciuto e conculcato, adulterato con il mito dell'educazione laica impartita dallo Stato. I figli adulti hanno poi il diritto e il dovere di scegliere la propria professione e lo stato di vita, sia pure nell'ascolto dei consigli dei genitori. Questi non possono né imporre i coniugi né scegliere i mestieri ai figli, specie nelle odierne condizioni di vita sociale. Vanno altresì ammirati e sostenuti colori che non si sposano per prendersi cura dei genitori, dei fratelli e sorelle, per dedicarsi al proprio lavoro o per altri validi motivi. Infine, vanno sostenuti e incoraggiati quanti, nelle famiglie, scoprono la vocazione sacerdotale o religiosa, se non anche solo del celibato o nubilato virtuoso. Purtroppo spesso i genitori ostacolano le vocazioni straordinarie. Ma la famiglia umana è solo l'anticamera della vera famiglia che tutti siamo in Cristo, per cui ognuno, prima di essere padre, madre, figlio o quant'altro, è discepolo di Gesù. Questi infatti insegna che chi ama la madre o il padre più di Lui non è degno di Lui (Mt 10, 37). La vita stessa, spesa consapevolmente per lui nella castità evangelica e feconda di bene, assurge ad una dignità più alta di quella condotta nel matrimonio, sebbene tale vocazione sia per alcuni soltanto, altrimenti il genere umano si estinguerebbe.

IL IV COMANDAMENTO E L'AUTORITA' CIVILE

Quando Dio diede il Comandamento in questione, lo Stato ebraico non esisteva. La famiglia è anteriore all'ordinamento statale e sociale. E' dalla famiglia adamitica che discende la società umana e i Patriarchi antidiluviani furono capi del genere umano. Dopo il Diluvio, dalla famiglia noachica vennero fuori le stirpi, le nazioni, le tribù, le città, gli Stati. Israele fu dapprima una famiglia, poi un clan, poi un coacervo di tribù e solo dopo un popolo. Si resse prima come anfizionia e solo alla fine come Stato unitario. Perciò la norma etica sulla famiglia e la paternità contiene in sé quella sullo Stato e la società civile. Peraltro, se il potere statale è quello più esteso e importante tra quelli umani, non è assolutamente né la fonte né il coronamento degli altri poteri, che invece deve rispettare nell'ambito loro proprio, così come deve soggiacere esso stesso alla Legge divina e cedere il passo a ciò che essa prescrive, come dice Gesù stesso: Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt 22, 21). Del resto l'Apostolo Paolo è chiarissimo: Non vi è potere se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio (Rm 13, 1 b). Ciò vuol dire che, purchè legittimamente insediata, ogni autorità esige rispetto dai suoi sottoposti, nell'ambito suo proprio, in quanto voluta e costituita da Dio. Infatti nessun uomo può, di suo, comandare ad un suo simile. La potestà di farlo gli viene solo da Dio attraverso l'esplicazione della natura sociale che il Creatore ha concesso alla nostra razza. Inoltre, nella Nuova Alleanza, non solo i singoli ma anche i gruppi sociali che essi formano sono innestati in Cristo e nell'Umanità rinnovata che è il Suo Corpo, ossia la Chiesa, per cui sono sottoposti alla Legge e santificati dalla Grazia, in attesa della Fine, quando il Signore consegnerà il Regno al Padre e Dio sarà tutto in tutti. Rimandando perciò a più avanti una brevissima trattazione su come la Chiesa insegna che debbano essere costituiti l'uno e l'altra, indichiamo i doveri imposti dal IV Comandamento alle autorità civili e ai cittadini.

Anzitutto va detto che l'autorità civile non può mai comandare in discordia con la legge naturale o divina e contro la dignità della persona umana, contro la sua coscienza e contro il bene supremo della salvezza dell'uomo. Essa deve rispettare la gerarchia dei valori, valorizzare la libertà e la responsabilità di tutti, esercitare la giustizia distributiva e commutativa in base ai bisogni di ognuno, sollecitando la collaborazione di tutti, in vista della concordia, della pace, della fraternità, della solidarietà; deve porre norme che non favoriscano l'interesse personale a discapito di quello collettivo. I poteri politici devono rispettare i diritti della persona e gli altri limiti indicati; devono attuare la giustizia nell'umanità con un occhio ai diseredati e alle famiglie; devono conservare i diritti politici connessi alla cittadinanza ad ognuno, stabilendo come concederli in vista delle esigenze comuni, senza sospenderli per motivi illegittimi o sproporzionati, facendo sì che siano esercitati nella prospettiva del bene comune nazionale e dell'umanità. I cittadini devono obbedire lealmente per amore di Dio, anche esercitando il legittimo diritto di critica; devono collaborare con le autorità per il bene collettivo nel rispetto della verità, della libertà, della solidarietà, della giustizia; devono compiere i doveri loro propri nei loro ambiti di azione ed esercitare scrupolosamente i propri compiti politici; devono amare e servire la patria per riconoscenza e carità sovrannaturale; devono pagare le giuste tasse, esercitare il voto, adempiere al dovere della difesa nazionale se necessaria; devono pregare per chi esercita il potere e tenere fisso lo sguardo alla patria celeste, sapendo che la stabilità della comunità umana è orientata solo alla crescita tranquilla della vita spirituale. Le nazioni più ricche devono, per quanto possibile e nelle forme stabilite dal diritto, accogliere ed aiutare i migranti per ragioni umanitarie, tutelati dalla norma naturale dell'ospitalità; il migrante deve assoggettarsi alle leggi e alle tradizioni del Paese che lo ospita. Il rifiuto dell'obbedienza alle autorità è lecito quando esse violano, coi loro comandi, l'ordine morale, i diritti fondamentali dell'uomo e la Volontà di Dio, al Quale sempre bisogna obbedire, piuttosto che agli uomini (At 5, 29). La resistenza all'oppressione del potere politico potrà usare anche le armi quando concorrano queste condizioni tutte insieme: violazioni gravi e certe, nonché prolungate, dei diritti fondamentali; esaurimento di tutte le altre opzioni; ragionevole certezza che non si provochino disordini peggiori; fondata speranza di successo; impossibilità di soluzioni migliori. La resistenza comporta, in ragione di ciò, anche il tirannicidio.

Sul potere politico la Chiesa esercita il suo giudizio morale e dogmatico, perchè l'uomo spirituale giudica tutti ma non è giudicato da nessuno; essa ammaestra gli Stati e i popoli come i singoli e questi sono sottoposti al suo magistero come quelli, se incorporati in Cristo mediante il Battesimo. La Chiesa fa tutto questo per il bene delle anime e per scongiurare o riparare il peccato. Ad essa spetta una potestà temporale, che può essere diretta o indiretta, in base alle circostanze storiche e agli ordinamenti giuridici, per cui o le comunità civili e politiche le sono direttamente soggette nell'ambito suo proprio o essa le pervade e le orienta mediante l'azione dei fedeli battezzati nella vita sociale e politica.

ADNEXUM I

DE CHRISTIANA SOCIETATE

Breve esposizione dei principi dell'etica sociale cattolica

“Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi
e lo ha posto a capo di tutte le cose”

(Ef 2,2)

Strettamente congiunta alla nozione etica di dovere di obbedienza all'autorità è la riflessione su come debba essere costituita una società cristiana e pienamente umana. Esso è un tema qualificante dell'etica e trae le mosse dai principi che sull'argomento sono enunciati nella Rivelazione e sviluppati, in conformità con essi, dal Magistero specie nei tempi recenti. Esso ha impostato anche temi e problemi non presenti nel deposito della Fede, risolvendoli alla luce di essi, specie a partire dalle grandi trasformazioni della società stessa occorsi negli ultimi due secoli. Perciò quanto segue espone un sunto degli insegnamenti sull'argomento, sulla falsariga del documento più impegnativo della Chiesa sull'argomento, il Compendio della Dottrina Sociale, promulgato dal beato papa Giovanni Paolo II nel 2003. Il Compendio tratta di temi sociali, economici, politici, giuridici e morali propriamente detti. In questa sede, per trattare della società cristiana, esporremo quanto concerne i presupposti della dottrina cattolica sulla società umana, i suoi insegnamenti sulla persona umana, i principi della convivenza sociale e l'insegnamento sulla famiglia.

IL PROGETTO DI DIO SULLA SOCIETA' UMANA.

Il punto focale di ogni sociologia teologica è che Dio ha un disegno di amore per l'umanità. Ciò si è manifestato anzitutto nella Sua azione nella storia di Israele, il popolo da Lui scelto e formato, liberato dalle schiavitù morali e materiali e nel quale tutti ormai siamo innestati, perchè ormai sia l'Ebreo che il Pagano sono redenti in Cristo. All'inizio di questa azione liberante vi è la volontà divina di farsi prossima all'uomo in modo gratuito. Questa prossimità è colta intuitivamente da chiunque abbia una qualsiasi autentica esperienza di religiosità e si chiarisce pienamente nella Rivelazione che Dio fa di sé liberamente. In essa si costituisce l'Alleanza che vincola i contraenti e in cui proprio il Decalogo, come legge naturale ripromulgata da Dio stesso, diventa una bussola che indica con certezza il percorso morale, giuridico, sociale e politico, oltre che religioso. Nella Legge vi sono infatti specifiche disposizioni di giustizia distributiva, come quelle sull'Anno Sabbatico e quello Giubilare, che mostrano come Dio abbia a cuore l'equità anche nelle relazioni meramente sociali ed economiche, simbolo di una giustizia ben più alta, e che furono al centro della predicazione profetica. Tale sollecitudine divina ha la sua ragion d'essere nel fatto che il Signore del mondo ne è anche il Creatore, che se ne prende cura e lo sostiene nell'essere, nonostante l'uomo abbia offuscato col Peccato la bellezza del cosmo come realtà ordinata.

Il disegno di amore di Dio viene ricapitolato e portato a compimento in Cristo: Egli è il centro del cosmo e della storia. Egli scende a noi per pura misericordia e ci manifesta l'amore del Padre, quell'amore che unisce tra Loro le stesse Persone divine diventando una vera Spirazione e Processione che si ipostatizza. La piena epifania di questa Carità è la Passione, la Morte e la Resurrezione di Cristo. Ad essa ci conformiamo nell'esercizio del precetto dell'amore fraterno, perchè ci amiamo come Dio ci ama e vuole che ci amiamo. Questo amore è il luogo in cui si colloca la persona umana. Anzitutto perchè l'amore trinitario è l'origine e la meta della persona. Essa è tale perchè è fatta ad immagine di Dio. Da Lui riceve la libertà e la dignità. La Rivelazione ne mostra il significato più intimo e le prospettive soprannaturali. Nel campo sociale già la Genesi mostra la dignità inalienabile della persona e la sua vocazione sociale. In secondo luogo, la persona si colloca nell'amore divino perchè è salvata in Cristo; ciò avviene sia nella sfera individuale che in quella sociale, sia nel corpo che nello spirito, ed esige corresponsione e fattivo impegno al servizio della diffusione degli effetti di questa salvezza, intesa come restaurazione della signoria divina su tutta l'attività umana. In terzo luogo, la persona alberga nell'amore divino perchè, in quanto discepola di Cristo è una nuova creatura. In questa prospettiva lottiamo non solo contro il peccato che è in noi ma anche contro quello che dilaga tra gli altri e nella società stessa, purificandola. Una ulteriore istanza a favore della realizzazione della persona umana nell'amore divino sta nella consapevolezza che la salvezza che esso offre è trascendente e che le realtà terrene sono dotate di una propria autonomia, per cui anche coloro che non conoscono Cristo sono liberate da Lui dagli aspetti deleteri che la convivenza interpersonale ha assunto in seguito alla Colpa originale e ai peccati dell'individuo. Proprio per questo la persona umana non può essere strumentalizzata dalle strutture sociali, economiche e politiche, ma deve realizzarsi in esse, tenendone presente la transitorietà connessa alla loro natura storica e quindi mutevole.

Il disegno che Dio ha si compie nella missione della Chiesa. Essa è segno e tutela della trascendenza della persona umana. E' concretamente al servizio del Regno di Dio evangelizzando. Agisce in una prospettiva destinata ad un pieno compimento solo in età escatologica. Tuttavia la Chiesa, trasformando le nozioni sottese ai rapporti sociali, pone le basi per una incessante e progressiva trasformazione dei rapporti stessi, conformemente ai tempi e ai luoghi, contribuendo alla instaurazione anche tra essi del Regno di Dio, che è Cristo stesso. La trasformazione del mondo intesa come restaurazione dell'ordine della carità in Cristo per tutti è un dovere della Chiesa, che però sarà adempiuto pienamente solo nel secolo futuro. Allora per e in ogni persona tutti i diritti saranno rispettati, tutte le potenzialità espresse, la realizzazione sarà piena e i beni spirituali e materiali pienamente fruiti. Si compirà la speranza dei Poveri di Dio, profetizzata e già da ora vissuta in anima e corpo in cielo da Cristo stesso e da Maria Sua Madre, Che nel Magnificat ha delineato i contorni della perfetta equità del secolo futuro, ora adombrata nei simboli della rinnovata vita dello Spirito.

In quest'ottica si colloca la funzione di quella che chiamiamo onnicomprensivamente la Dottrina Sociale della Chiesa, che nasce come strumento di evangelizzazione perchè feconda e fermenta la società col Vangelo, perchè promuove la dignità umana in vista della sua salvazione e che perciò è un diritto e un dovere della Chiesa. La Dottrina Sociale è una conoscenza illuminata dalla Fede, sia in ordine a quanto ricava dalla Rivelazione sia in ordine a quanto regola in conformità ad essa, in modo definitivo o transeunte; è in costante dialogo con ogni sapere umano; è segno ed espressione del Magistero autentico della Chiesa; ha come scopo la riconciliazione umana nella giustizia e nell'amore; si rivolge ai cristiani e a tutti coloro che hanno buona volontà; cresce in modo costante e serbando fedeltà ai vari insegnamenti che si stratificano in essa per mozione divina. Essa ha avuto uno sviluppo particolare e sistematico a partire dal XIX sec. come risposta alla Questione operaia, poi divenuta Questione sociale in genere, sia come problema della retta concezione dello Stato e della Società, sia come tema delle relazioni internazionali, sia come argomento delle relazioni tra i popoli ricchi e poveri, sia come studio delle implicazioni morali e religiose dello sviluppo incessante delle attività umane. I nomi maggiori di questa riflessione sono i papi Leone XIII (1878-1903), Benedetto XV (1914-1922), Pio XI (1922-1939), il ven. Pio XII (1939-1958), il beato Giovanni XXIII (1958-1963), Paolo VI (1963-1978), il beato Giovanni Paolo II (1978-2005), fino a Benedetto XVI. Ne' va dimenticato l'apporto del Concilio Vaticano II (1962-1965).

PERSONA, FAMIGLIA, SOCIETA'.

Al centro della società c'è la persona umana con i suoi diritti. La Chiesa ha suggellato con il suo insegnamento la validità del principio personalista, considerandolo la forma di pensiero più consona, nella filosofia moderna, ad esprimere la verità sull'uomo e la sua socialità. Ogni uomo è l'immagine vivente di Dio stesso; essa è modellata e si comprende solo in Cristo, Uomo perfetto e nuovo. L'uomo concreto e storico è l'oggetto della Dottrina Sociale.

La persona umana è, appunto, innanzitutto immagine di Dio. Lo è perchè è una creatura capace di relazione, attraverso la sua duplicità di genere, maschile e femminile. Lo è perchè è in relazione con Dio per natura. Lo è perchè i piani della sua relazionalità, trascendente e immanente, interagiscono tra loro. Uomo e donna sono dunque ontologicamente simili e complementari. La persona umana è responsabile moralmente dei suoi simili e ha la reggenza del Creato. E' in intima relazione con sé stessa. Ha come Dio essere, intelligenza, volontà. Ha dunque un'anima immortale. Ad essa è data la somiglianza con Dio nella vita della Grazia. Perduta nel Peccato, è gratuitamente restituita in Cristo, in Cui tutti siamo incorporati. Il Peccato colpisce la socialità umana, perchè pullula mediante la generazione, perchè ferisce la libertà in modo naturalmente irrimediabile, perchè si moltiplica nelle colpe individuali, perchè pervade le relazioni umane e genera le strutture di peccato, ossia le forme di vita associata che spingono alla colpa e che sono esse stesse colpa. Il Peccato è dunque universale. Ma anche la Salvezza lo è, ed anzi essa appare perciò indispensabile in ogni ambito, anche naturale e sociale, foriera di beni maggiori di quelli depauperati dalla Colpa adamitica stoltamente imitata da ognuno di noi.

La persona umana, restaurata in Cristo, mostra pienamente i suoi molti profili. Essa è anzitutto unitaria, come sinolo sostanziale di anima e corpo che s'innalza su tutte le altre realtà create. Inoltre è aperta alla trascendenza ed è, in ragione di ciò, unica e irripetibile. Sintetizzando al massimo, possiamo dire che la partnership tra Dio e l'uomo, che è anche la leadership del Primo sul secondo, assicura da un lato che ogni uomo è capax Dei e dall'altro che non è replicabile, in quanto proprio con ciascuno Dio stesso si relaziona personalmente. In ragione di ciò la dignità umana merita rispetto, in quanto Dio stesso l'ha costituita e la rispetta in ogni persona, e fuori di essa non vi è socialità ma barbarie ed oppressione. La persona è inoltre e conseguenzialmente libera; la sua libertà non è un fine né un valore in sé, ma un mezzo per dare valore o disvalore ai suoi atti, un prerequisito che rende umani i suoi atti, sottraendoli o assoggettandoli alla mera istintualità; liberamente, l'uomo si assoggetta alla legge morale che realizza la sua razionalità elevando ogni altro aspetto della sua natura; ciò avviene grazie a Cristo Redentore, la Cui Grazia permette all'uomo di vivere facendo il bene e fuggendo il male. Infatti, la legge morale è la medesima per tutti ovunque e sempre, nonostante sia offuscata dal Peccato e in parte coperta dalle forme transeunti della cultura umana. In conseguenza, tutte le persone sono uguali per dignità; essa non solo non varia da popolo a popolo né da sesso a sesso né da cultura a cultura, ma non scompare neanche per il Peccato né è assente nelle persone prive di integrità fisica e psichica, perchè si identifica con la sostanza stessa dell'uomo singolo e non con una o più delle sue proprietà accidentali. Infine, la persona umana è sociale. Così l'ha voluta Dio, per cui essa viene da un atto interpersonale, l'unione sessuale, e va verso una serie di atti interpersonali, molteplici ed esigenti di per sé un processo di educazione ed indirizzo continuati.

Suggello di questa dignità sono i diritti umani. Se fondati sull'uomo stesso, essi non possono essere accettati dalla Chiesa – e infatti la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino fu condannata da Pio VI (1775-1799) per il suo impianto razionalista- ma se costituiti sulla volontà legislatrice di Dio che illumina e orienta la retta ragione, sono lo scheletro della stessa concezione cristiana della persona. Non lo Stato né alcuna potestà umana crea o attribuisce i diritti all'uomo, ma Dio stesso. All'uomo medesimo sta solo di riconoscerli, garantirli e tutelarli nell'esercizio fattivo e nel rispetto reciproco con i suoi simili. I diritti dell'uomo sono un corpus unitario che esige di essere garantito ed esercitato nel suo insieme, nella chiara consapevolezza che fattivamente le loro modalità attuative e le stesse forme di concepirli sono soggetti a mutazione storica. Essi sono, nell'epitome fattane da Giovanni Paolo II nella enciclica Centesimus Annus (1991) : il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale; il diritto al concepimento naturale; il diritto alla vita in una famiglia unita e in un ambiente morale sano atto allo sviluppo della propria personalità; il diritto alla ricerca e alla conoscenza della verità mediante l'intelligenza e la verità; il diritto al lavoro e al sostentamento che ne deriva per sé e i propri cari; il diritto di fondare liberamente una famiglia, di avere ed educare i figli; il diritto alla libertà religiosa, come possibilità di vita nella propria Fede e in conformità alla propria trascendente dignità: essa, concepita in funzione della vera Fede, è prerequisito per aderirvi meritoriamente e quindi non scompare anche quando viene usata per aderire ad una religione erronea. Ovviamente, ad ogni diritto corrisponde il dovere del rispetto di esso negli altri e della sua tutela per tutti. Da tali diritti personali discendono quelli dei Popoli (intesi come unità strutturata che si esplica o può esplicarsi nello Stato) e delle Nazioni (intese come entità etnico-culturali). I primi sono alla base del diritto internazionale naturale, così enumerati da papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Nel L Anniversario dello Scoppio della Seconda Guerra Mondiale (1989): rispetto di e tra tutti gli Stati; autodeterminazione dei popoli e loro cooperazione per il bene dell'umanità; il loro frutto è la pace. I secondi sono la trasposizione dei diritti personali su scala collettiva, anch'essi elencati dallo stesso Pontefice nel 1995 nel Discorso all'ONU per il L Anniversario della sua fondazione: diritto all'esistenza, alla lingua e alla cultura proprie; rispetto delle proprie tradizioni; diritto a tramandarle ai propri giovani. La contemperazione dei diritti particolari e universali produce giustizia e pace. La continua violazione dei diritti, personali, dei popoli e delle nazioni, richiede uno sforzo costante di adeguamento della realtà ai principi che Dio le ha dato.

La famiglia è la cellula vitale della società. E' la prima società naturale, con diritti e doveri propri, di cui in parte abbiamo detto. Essa è fondamentale per la formazione e la crescita della persona, della quale è il completamento. Prioritaria rispetto ad ogni altra forma di società, è fondamentale per ciascuna di esse e per la stessa socialità umana; la sua centralità preserva dai mali dell'individualismo e del collettivismo. Il suo fondamento è il matrimonio. Voluto da Dio, insopprimibile, totale, unico, indissolubile, fedele e fecondo, esclude la disparità sessuale della poligamia e della poliandria, è ordinato al completamento dei coniugi e alla procreazione, anche se l'impossibilità generativa non lo annulla di per sé; in Cristo è assurto all'altissima dignità di Sacramento, rinnovando in sé ogni socialità.

Come soggetto sociale, la famiglia nasce dall'amore e si concretizza nella formazione di una comunità di persone. Ciò implica che l'identità di genere non è un prodotto culturale ma un dato ontologico che si manifesta biologicamente, psicologicamente e moralmente; essa può essere maschile e femminile e non è giammai scissa dall'identità sessuale, né dagli atti sessuali, sia fisici che morali, che si compiono per e attraverso essa. I gender non esistono. La duplice identità maschile e femminile mostra la sua verità esclusiva nella complementarietà di genere che unicamente la contraddistingue, com'è evidente per ognuno, ad ogni livello simultaneamente, fisico, psichico, morale. Tale complementarietà è dinamica e si sostanzia in un processo perpetuo che esclude lo scioglimento delle nozze e la rottura della fedeltà, a dispetto del divorzio vigente ormai quasi ovunque e della depenalizzazione dell'adulterio. La natura basilare della socialità del matrimonio esclude l'impostazione privatistica delle relazioni uomo – donna nelle unioni dette di fatto e ancor più il riconoscimento unilaterale e parziale di loro presunti diritti antagonisti di quelli del matrimonio stesso. La complementarietà esclusiva e totale dell'uomo e della donna esclude anche la possibilità di un riconoscimento concomitante di sedicenti coppie omosessuali, prive di qualunque autentica e completa possibilità di completamento tra i suoi membri, che pure come singoli hanno i diritti della persona, tra i quali però non vi è quello di rivendicare una identità di genere differente né di dedurne libertà specifiche di azione e pensiero. La famiglia è altresì santuario e sacrario della vita. I genitori scelgono quanti figli avere e quando averne, ma non possono scindere la propria attività sessuale dalla funzione procreativa in modo artificiale né possono separare la funzione riproduttiva dall'atto sessuale mediante la fecondazione assistita; non è conforme alla funzione genitoriale neanche la ripartizione surrettizia delle varie fasi della maternità attraverso le moderne biotecnologie; infine, la replicazione totale o clonazione della sequenza genetica dell'individuo, essendo contraria alla legge stessa della genetica, è altrettanto e ancor più tassativamente contraria all'essenza stessa della funzione genitoriale. Sempre i genitori esercitano il diritto primario, anche se non esclusivo, all'educazione dei figli, per la quale devono trovare l'ausilio di apposite agenzie educative; nella pedagogia familiare, padre e madre sono complementari e indispensabili; l'educazione sessuale spetta altrettanto primariamente ai genitori; quella religiosa è pure di loro competenza, in armonia, nell'ambito soprannaturale della Fede, coi dettami della Chiesa liberamente e responsabilmente condivisi.

Nella famiglia, una tutela speciale tocca ai bambini e ai loro diritti. La loro dignità è stata elevata soprannaturalmente dall'Infanzia stessa di Cristo e di Maria, nonché dall'ampia schiera di Santi e Martiri di tenera età. Il primo diritto dei bambini è di nascere e crescere in una famiglia da una madre e da un padre attraverso il corpo della donna e per l'atto di amore di entrambi. Seguono il diritti alla salute, all'alimentazione, all'educazione, alla casa; a non essere oggetto di traffico schiavile e assoggettati al lavoro; a non essere sfruttati per l'accattonaggio, la pornografia, la guerra; a non essere precocemente sposate e tantomeno ai maggiorenni; a non subire atti di pedofilia. Ognuno di questi diritti, elencati da papa Giovanni Paolo II, che ha ratificato la Convenzione mondiale per i diritti dell'Infanzia (1990) e che ha dedicato ai bambini una Lettera e un Messaggio della Giornata Mondiale della Pace (1996) deve essere attivamente difeso e le violazioni punite con severità.

La famiglia è la protagonista della vita sociale. In ragione di ciò, si impone una solidarietà tra le famiglie, tra esse e la società, tra esse e lo Stato e tra i membri della stessa famiglia, specie per tutelare i poveri, gli orfani, i disabili fisici e mentali, i malati, gli anziani, chi è in lutto, i dubbiosi, i soli, gli abbandonati, specie attraverso l'accoglienza, l'affido, l'adozione. Le famiglie devono partecipare alla vita sociale e politica ed impegnarsi perchè la legislazione le difenda e favorisca. Esse inoltre sono in una interconnessione fondamentale con il mondo del lavoro e l'economia, che nasce come domestica per diventare sociale. In ragione di ciò, il lavoro dev'essere riconosciuto e garantito come sostegno delle famiglie, che peraltro a loro volta supportano i loro membri che lavorano. Perciò va salvaguardato il salario del lavoratore di famiglia. Va inoltre garantito il lavoro di cura, della cosiddetta casalinga, con un apposito sostegno economico, e in genere la maternità nelle donne lavoratrici. In genere, la società deve riconoscere la primalità della famiglia, i suoi diritti, le sue prerogative, la sua funzione, la sua utilità, la sua precedenza logica, ontologica e giuridica, e deve perciò mettersi al suo servizio, tutelandola e garantendola e, infine, assumendone la prospettiva al posto di quella individualistica o collettivistica nell'azione legislatrice, per promuoverne la valenza culturale e sociale che si riflette in ogni persona umana.

La società deve ispirarsi ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa se vuole facilmente raggiungere la sua compiutezza naturale. Essi nascono dall'incontro tra l'Evangelo e le necessità della vita sociale, specie quella odierna. Tali principi sono da considerarsi come un complesso unitario, la cui organicità esige di essere apprezzata e applicata nel suo insieme; essi sono la primigenia articolazione razionale del problema sociale e quindi sono la sua stessa soluzione; è attraverso tali principi che la vita sociale si relaziona alla Verità assoluta; essi, proprio perchè veri, esigono di essere liberamente accettati, mostrando così la loro valenza etica, per i singoli e i gruppi, e quindi la loro perennità. Il primo principio è quello del bene comune. Esso è l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alla collettività che ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente. Esso è dunque la meta prioritaria della vita sociale. Tutti hanno la responsabilità del bene comune, tutti vi debbono contribuire e tutti devono fruirne. Le sue esigenze sono la pace, la buona organizzazione dei poteri statali, i servizi essenziali che sono essi stessi diritti umani, come l'alimentazione, l'abitazione, il lavoro, l'educazione, la cultura, i trasporti, la salute, la libera informazione e la libertà religiosa (Concilio Vaticano II, cost. Gaudium et Spes). Per esse, le Nazioni possono e devono collaborare, anche in vista dell'interesse delle generazioni future. In tal senso, la comunità politica ha un compito precipuo, perchè il bene comune è lo scopo specifico dello Stato, che deve armonizzare i vari settori nella giustizia. Il bene comune di ogni Stato è poi finalizzato al bene di tutta l'umanità e alla salvezza eterna della persona. Il secondo principio è la destinazione universale dei beni. Dio ha dato a tutti gli uomini la Terra con tutti i suoi beni, che perciò devono essere disponibili in modo equo per tutti gli uomini, in base alla giustizia e alla carità (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes). Essendo i beni destinati universalmente, il loro uso è dunque da considerarsi un diritto universale. Il diritto che ognuno ha a possedere quei beni necessari alla propria realizzazione è originario, perchè anteriore alla Caduta (Quia Vir Reprobus, di Giovanni XXII [1316-1334]), naturale e prioritario rispetto agli ordinamenti giuridici e ai sistemi socio-economici. Ciò non significa che ogni cosa sia di tutti, anzi implica che i modi, i limiti e gli oggetti della destinazione siano specificati in un ordinamento positivo adatto ai tempi e alle culture. In conseguenza di ciò, l'economia deve essere concepita per la realizzazione di tale destinazione universale. Lo sforzo per raggiungerla, che poi è orientato al pieno sviluppo dell'uomo, deve coinvolgere tutti. Il rapporto tra la destinazione universale e la proprietà privata dei beni sta proprio nel fatto che chiunque ha lavorato un bene rendendolo adatto a sé e potenzialmente a tutti ha acquistato con ciò stesso il diritto di possederlo, così come Dio diede ad Adamo ed Eva la Terra in possesso perchè la coltivasse e la soggiogasse. La proprietà privata è l'unica forma di proprietà naturale, che garantisce a ciascuno il completamento della propria libertà umana e il basamento del proprio stato civile, mediante la soddisfazione dei suoi bisogni. Il collettivismo è dunque contrario all'ordine morale, almeno nella sua forma volta a soffocare ogni privatizzazione dei beni stessi. E' bene infatti che ognuno possa essere proprietario, almeno in parte, magari anche nelle forme della partecipazione alla proprietà comunitaria che caratterizza molte culture semplici, ma che però è in disuso in Occidente. Tuttavia la proprietà privata è finalizzata alla destinazione universale dei beni, non il contrario; essa è un mezzo e non un fine; per suo tramite si manifesta la vera e autentica proprietà del cosmo, che è solo di Dio, il Quale così costituisce il diritto del possesso, lo attribuisce, gli pone un obiettivo, essendo Egli il Signore delle cose possedute e di chi le possiede. Perciò ogni proprietà deve avere dei vincoli, in ragione del proprio fine ultimo testè enunciato. Tali criteri si estendono anche ai beni scientifici e tecnologici, oltre che finanziari e imprenditoriali, ed infine culturali ed intellettuali, creati dalla società moderna. Capitale è poi, ovunque, garantire e conservare l'equa distribuzione della terra da coltivare. Se la proprietà garantisce a chi la possiede una migliore condizione sociale, è anche foriera di tentazioni che possono rovinare il padrone nell'anima e danneggiare la società anche per secoli: perciò va sempre tenuta desta la vigilanza morale su questo tema. Per sopperire agli squilibri causati dal peccato di avidità, nella destinazione universale dei beni vanno privilegiati i poveri, mediante una opzione preferenziale. Se la povertà è condizione di crescita spirituale, la miseria è contraria alla dignità umana e può perdere l'uomo. E' a questa povertà che bisogna porre argine. La cura del povero non smentisce ma dà compimento alla Beatitudine: esso viene aiutato proprio perchè benedetto da Dio non per quello che vive, ma per come lo vive. Cristo ha profetizzato che i poveri ci saranno sempre, ma questo vuol dire che essi sono affidati alla nostra cura e su tale impegno saremo giudicati. La lotta alla povertà non è solo a quella materiale, ma anche a quella morale e spirituale. Il terzo principio è quello della sussidiarietà. Per esso non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono realizzare con le proprie capacità e devolverlo alla comunità, così come lo è farlo a società minori a vantaggio di quelle maggiori. In ragione di ciò, lo Stato e le società maggiori devono tutelare e garantire ciò che le società minori e le singole persone sanno fare per sé e gli altri (sussidiarietà positiva) e astenersi da usurparne le prerogative (sussidiarietà negativa). I corpi sociali a cui si fa riferimento sono tutte le aggregazioni spontanee e naturali della vita associata umana, in ambito familiare, sociale, economico, culturale, religioso, sportivo, ricreativo, professionale, politico. Essi costituiscono la società civile e non devono essere riassorbiti nella compagine statale, onde evitare una ingiusta forma di oppressione sociale. Ne deriva una ripulsa della burocratizzazione, dello statalismo, dell'assistenzialismo e di ogni forma di ingerenza indebita dello Stato in tutto ciò che la Società può elargire da sola in quanto servizi. Sono anche rigettati i regimi di monopolio, che mortificano in particolare l'iniziativa libera in campo economico. In ragione di ciò si deve promuovere il primato della persona e della famiglia, la valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie, l'iniziativa privata specie se orientata al bene comune, l'articolazione pluralistica della società, la salvaguardia dei diritti umani e delle minoranze, il decentramento burocratico e amministrativo, l'equilibrio tra pubblico e privato, la responsabilizzazione del cittadino. Laddove invece la società non può, da sola, sovvenire alle sue proprie necessità, interverrà lo Stato stesso, per esempio nello squilibrio e nel deperimento economico, nell'ingiustizia sociale, naturalmente per il tempo necessario e senza ledere i diritti della persona. Il quarto principio è quello della partecipazione, per il quale il singolo, sia direttamente che indirettamente attraverso i propri rappresentanti, da solo o in associazione, contribuisce alla vita culturale, sociale, economica e politica della comunità a cui appartiene. Tale partecipazione non può essere delimitata o ristretta, è un pilastro della vita democratica, dev'essere oggetto di educazione, si esprime in modo significativo nell'esercizio dei diritti politici, taglia in radice qualsiasi legittimità delle dittature e dei totalitarismi. Il quinto principio è quello della solidarietà. Essa è una sorta di carità sociale, per meglio dire una virtù sociale, che ha lo scopo di cementare le relazioni umane esplicandone la piena socialità e di superare le strutture di peccato che generano o conservano le diseguaglianze sociali ingiuste tra persone, gruppi, ceti, popoli e nazioni, per cui è tanto più importante se considerata in relazione ai rapporti tra Stati progrediti e poveri. Essa è strettamente collegata con gli altri principi esposti e crea inoltre il senso della responsabilità tra persone le une verso le altre e tutte verso la collettività e lo Stato stesso. Il modello della solidarietà umana e cristiana è Gesù Cristo stesso, Salvatore del mondo, Che spogliò Se stesso facendosi simile a noi in tutto fuorchè nel peccato.

Così come si adegua ai cinque principi elencati, la società deve perseguire alcuni valori fondamentali, strettamente connessi ad essi, perchè inerenti alla persona umana al cui servizio sono i summenzionati principi. Più di ogni campo, questo della conformità ad un ordine morale da parte della società dev'essere oggetto della valutazione della Chiesa, che non indica strade specifiche ma addita la strada giusta. Il primo di questi valori è quello della verità. Bisogna conoscere e riconoscere ciò che concerne la dignità umana e soprannaturale dell'uomo, della famiglia e della società stessa, seguendo le leggi naturali scoperte dalla ragione e quelle soprannaturali rivelate da Dio. Solo la verità, preservando dal relativismo e dalla menzogna, evita derive di dolore e sofferenza in cui i diritti sono calpestati e i doveri trascurati, conformando la vita di tutti all'ordine etico, ossia all'ordine dell'agire secondo la Ragione, umana e divina. Il secondo valore è la libertà. Essa è la facoltà che permette l'esercizio degli atti umani e deve essere garantita, pur in un esercizio responsabile e legato alla verità, perchè ognuno possa realizzare se stesso, cercare e professare la verità religiosa, professare le proprie idee, esprimere le proprie opinioni, decidere il proprio stato di vita, scegliere per quanto possibile il proprio lavoro, assumere iniziative economiche, sociali e politiche. Naturalmente, la libertà si sostanzia anche del rifiuto netto e doveroso di ogni forma di male, sia come opposizioni a quanto esposto che come immoralità. La giustizia è il terzo valore. Legata alla virtù cardinale corrispondente, esercitata sia sul piano individuale che collettivo, è sia distributiva – dando a ciascuno il suo – sia commutativa, sia legale, orientata nelle sue forme alla propria manifestazione sociale, volta a garantire una redistribuzione di risorse morali e materiali, suggellata da un corrispondente ordinamento giuridico. Essa non è dunque un semplice vincolo contrattualistico, ma una esigenza etica che scaturisce dalla natura umana e dalla Legge divina. Tutti questi valori scaturiscono e culminano dalla e nella carità, la quale, come forma di tutte le virtù, si mostra anche sociale e politica, innervando le relazioni umane di ogni genere, sfuggendo ad ogni determinazione giuridica e ispirandola, mostrando il definitivo ingresso della società umana nell'Era cristiana, caratterizzata dalla condivisione fraterna gratuita e volitiva.

LA CHIESA E IL CRISTIANO NELLA SOCIETA'

Tramite la Dottrina Sociale, la Chiesa svolge un'azione pastorale nel campo sociale stesso. Ciò avviene innanzitutto come inculturazione che, nelle varie epoche, adatta gli eterni insegnamenti di Cristo alle circostanze e le muta nei loro aspetti peccaminosi. Fonda così una autentica antropologia, in cui l'elemento naturale e soprannaturale dell'uomo sono entrambi valorizzati. Poi si compie come pastorale sociale in quanto tale, fornendo criteri, educando i fedeli alla retta azione sociale, analizzando la situazione sociale e prospettandone il cambiamento alla luce del Vangelo, promuovendo la dignità umana, redenta da Cristo. Indi si realizza come formazione, perchè l'istruzione religiosa non è completa senza di essa, ed è capitale per la catechesi del laico battezzato e per la sua preparazione all'azione sociale e politica. Svariate sono le forme ormai consolidate di formazione, tra cui famose sono le Settimane Sociali. Essa è ovviamente da destinarsi anche al clero, perchè possa vegliare sulla sorte della comunità umana. Ulteriormente, l'azione della Chiesa tramite la Dottrina Sociale è volta a promuovere il dialogo e in esso si realizza, come scambio interpersonale, interclassista, interpartitico, interecclesiale e interreligioso.

Tutti i cristiani sono soggetti della pastorale sociale della Dottrina Sociale, ognuno nel suo modo proprio: Vescovi, Presbiteri, Diaconi, religiosi e naturalmente laici. Essi in questa azione sociale vivono una forma importante della loro spiritualità; essa li orienta all'esperienza associativa e li rende attori in vari ambiti, sempre con la capitale virtù della prudenza: nel servizio alla persona umana, nel servizio alla cultura, nel servizio all'economia e in quello alla politica. Lo scopo di questo impegno è la costruzione di una nuova forma di civiltà, la civiltà dell'amore, come aiuto precipuo della Chiesa all'uomo contemporaneo, ripartendo dalla Fede in Cristo, con una salda speranza ed una fervente carità.

ADNEXUM II

DE CHRISTIANA RE PUBLICA

Brevissima esposizione dei principi della teologia politica cattolica

“Date a Cesare quel che è di Cesare
e a Dio quel che è di Dio”

(Nostro Signore Gesù Cristo)

“Qui rem publicam agere volunt
ab episcopo cura illis agetur”

(Concilio di Toledo)

A complemento e coronamento dell'esposizione della teologia sociale, sempre sulla falsariga del IV Comandamento, andiamo a sintetizzare la teologia politica della Chiesa, secondo due direttrici: lo sviluppo storico della teologia politica dai Padri ad oggi e l'epitome dei principi sulla Comunità politica nazionale e internazionale, così come si è costituita specie nei tempi recenti e come è esposta nel Compendio della Dottrina Sociale. Trasversalmente, si esporrà il tema delle relazioni Stato – Chiesa.

LO SVILUPPO DELLA TEOLOGIA POLITICA NELLA DOTTRINA CRISTIANA

E' soprattutto nel NT che troviamo le radici della teologia politica cattolica, specie nei Vangeli e nelle Lettere paoline. Ma gli archetipi dell'ordinamento statuale e del suo rapporto con quello ecclesiastico si desumono dal VT. Il Popolo ebraico era una entità politica composita, tenuta insieme dall'Alleanza e prima ancora dalla Circoncisione, retta essenzialmente in modo teocratico, ossia da Dio stesso, Che chiama Abramo, fa nascere Isacco, sceglie Giacobbe, promuove Giuseppe, conduce il clan in Egitto e lì lo fa diventare Dodici tribù; sceglie poi Mosè e tramite lui libera il popolo dall'Egitto e dà la Legge; poi sceglie Giosuè per conquistare Canaan e manda i Giudici per reggere l'anfizionia tribale; alla fine istituisce la Regalità ma la toglie al Re infedele, Saul, per destinarla a quello secondo il Suo Cuore, ossia David, e alla sua discendenza, non trascurando però di punire quel Casato con lo Scisma del Regno del Nord né di privarlo del potere con l'assoggettamento a Babilonia, alla stessa maniera in cui non risparmiò Samaria e i suoi Re dall'asservimento agli Assiri, che deportarono l'intero popolo nel loro Impero, da cui non tornò praticamente nessuno. E' sempre Dio Che poi libera i Giudei attraverso Ciro il Grande e Che li riconduce in patria, restaura la loro Legge e mantiene la loro autonomia mediante la ierocrazia del Sinedrio; per Sua mozione i Maccabei, sacerdoti ed etnarchi, liberano i Giudei da una dominazione empia, la Seleucide, e addirittura riottengono il titolo regio, anche se da Roma. Quando poi lo scettro è tolto a Giuda i tempi sono prossimi per il Messia Re. Tutte le forme politiche sono dunque sperimentate dagli Ebrei. Il loro popolo non era orientato ad un'azione missionaria ma piuttosto all'assoggettamento e alla distruzione delle nazioni pagane che abitavano laddove esso era stato destinato a stanziarsi uscendo dall'Egitto e da cui non avrebbe mai più spostarsi, o dove fece ritorno dopo l'Esilio babilonese. Solo col profetismo si cominciò a concepire la religione monoteista come qualcosa destinata ad estendersi a tutte le genti. Tale sinecismo religioso avrebbe avuto Israele come suo fulcro e Gerusalemme come suo centro, anche se in una forma nuova, che Sant'Agostino identificherà con la Città di Dio, e che in buona parte del VT è ancora concepita in senso politico e temporale. Il Messianismo, che è il fulcro dell'escatologia israelitica, è infatti prevalentemente concepito in modo politico in relazione alla sua natura regale e davidica. In realtà, la diffusione della Fede poteva accadere solo liberandosi dalla sovrastruttura politica e dalla mentalità specificamente giudaica. Ciò accadde col Cristianesimo, che ovviamente si nutrì dei concetti della filosofia greca e li metabolizzò a suo modo. Il Cristo fonda la Sua Chiesa sulla Fede e sul Battesimo, aprendola a tutte le nazioni e configurandola con una struttura sua propria, epifania visibile della realtà organica che la costituisce e per la quale la chiamiamo Mistico Corpo del Redentore. Gesù è Re senza limiti di tempo e spazio, ma la Sua Regalità si serve essenzialmente di mezzi che, pur operando nel mondo, non sono del mondo. Il Regno Che Lui instaura è Se stesso, come dominio di Dio in Lui e dominio Suo in noi. La nuova assemblea, la Qahal YHWH, l'Ekklesìa, la Ecclesia, la Chiesa, che Lui fonda era differente da ogni altra innanzitutto e soprattutto per queste sue caratteristiche. Il cristiano è membro di questa società in quanto membro del Corpo di Cristo. In ragione di ciò la sua appartenenza alla società umana è solo secondaria, perchè non in essa egli trova la sua realizzazione: nei primi secoli egli, in un mondo ostile e persecutore, è innanzitutto un uranopolita, un cittadino del cielo, in contrapposizione al cosmopolita imperiale. Il distacco tra Impero e Chiesa è attestato nell'Apocalisse e la cittadinanza celeste è descritta nella Lettera a Diogneto, nel II sec. I cristiani temevano Dio e perciò onoravano il sovrano, rispettavano la Legge. Ma vivevano da stranieri in un mondo che li respingeva. Essi, e solo loro, erano la nuova umanità rinnovata, il Nuovo Israele innestato su quello vecchio ed erede delle sue promesse, intese spiritualmente.

Le cose cambiarono quando l'Impero si convertì. La svolta concettuale e politica, che fa di esso la prima forma di comunità politica cristiana, è di Costantino il Grande (306-337). Egli prende iniziative che introducono la comunità politica nel suo complesso nel Corpo Mistico, nelle forme proprie dei tempi suoi e quindi senz'altro conformi ma non essenziali alla Rivelazione in materia di rapporti tra il potere sacerdotale e quello imperiale, tra Chiesa e Impero. I presupposti sono cogenti. L'Impero coincide di fatto con l'ecumene e la Chiesa si estende prevalentemente entro i suoi confini. Le sorti dell'uno e dell'altra sono apparentemente congiunte. La Chiesa è nell'Impero come in un guscio, che la protegge e la sostiene. La religione, che tradizionalmente è parte del diritto pubblico romano, è assoggettata alla legislazione e alla giurisprudenza dell'Imperatore nell'ambito organizzativo mentre i canoni ecclesiastici hanno tenore di legge civile. Vi è una tendenza teocratica imperiale, già di matrice costantiniana, più marcata da Giustiniano (527-565) in poi, che accentua il ruolo consuetudinario di protettore della Chiesa attribuito all'Imperatore, concepito progressivamente come Dominus, Episkopòs tōn ektōs, Nomos empsykos, Gubernans Deo Auctore, ma tale prerogativa, che è innanzitutto relativa al diritto pubblico, è accettata solo in parte nell'ambito ecclesiastico, mai in quello specificamente dogmatico e sempre per diritto consuetudinario, mai divino. Inoltre sopravvive chiara la distinzione ontologica tra Chiesa e Stato. I Vescovi assunsero una posizione privilegiata, ad un certo punto preponderante. L'Imperatore, in quanto cristiano, era sottomesso anch'egli alla Gerarchia, come sant'Ambrogio (339-347) dimostrò assoggettando a penitenza Teodosio il Grande (379-395), che peraltro completò il processo di cristianizzazione dell'Impero facendo della nostra Fede la religione di Stato e, conseguenzialmente per la mentalità dell'epoca, proscrivendo la religione pagana. Per cui la fedeltà alla Chiesa è ora la fedeltà all'Impero stesso, come sentenzia lo stesso Ambrogio: Totius orbis Romani caput Romanam Ecclesiam. Il rischio che essi si confondano è scongiurato dalla drammatica caduta dell'Impero d'Occidente, quando appare evidente a tutti che la semplice cristianizzazione del mondo romano non costituisce un motivo sufficiente per assicurargli l'eternità. Però ancora per secoli il mondo cristiano concepirà il suo ordinamento politico come incentrato attorno all'Impero, ormai solo orientale, cinto da una schiera di Stati romano-barbarici che ricevono la Fede e il Diritto dal mondo romano politico ed ecclesiastico, mantenendo ognuno una propria autonomia sia canonica che giurisdizionale proprio per la loro non piena incorporazione al dominio imperiale. La tendenza ad esercitare una compenetrazione tra le due sfere, sacerdotale ed imperiale, è forte soprattutto nel mondo orientale per il retroterra culturale teocratico asiatico, ma la teologia patristica con sant'Agostino (354-430) ha già chiari i concetti base delle relazioni tra la Chiesa e lo Stato e li esprime nel De Civitate Dei. Esistono due Città, due società, una spirituale e soprannaturale, l'altra terrena e naturale, mescolate, non distinguibili visibilmente ma realmente e radicalmente differenti, destinate ad essere separate alla fine del mondo. Chiaramente la prima è la Città dei veri credenti, che si manifesta nella Chiesa ma che non si esaurisce in essa se considerata solo come società visibile. La seconda invece è la Città degli uomini, che nel paganesimo trova la sua maggiore espressione nell'Impero di Roma e che però è dominata dal Peccato. Nonostante la sua cristianizzazione, l'Impero rimane una istituzione umana, provvidenziale finchè si vuole, ma transeunte, in quanto almeno alla Fine del Mondo dovrà cessare anch'esso. Sebbene la cultura teologica accrediti la nozione politico-profetica, contenuta in Daniele, della successione di quattro Imperi universali a cui Dio ha affidato il dominio del mondo e di cui quello romano è l'ultimo, prima della nascita della Chiesa, lo Stato romano e la sua sovranità sono tutt'altra cosa dal Mistico Corpo di Cristo. In tale senso vanno interpretate le espressioni di Agostino, che chiama la Città di Dio respublica fidelium o Ecclesia Dei, ossia dando loro un senso ecclesiologico squisitamente mistico, che in parte si è perduto nei secoli nell'elaborazione del cosidetto agostinismo politico, in cui si distinguono molte correnti. Una conferma il primato imperiale sulla Chiesa, un'altra fa esattamente il contrario e una terza imposta una gerarchia tra loro a vantaggio della Chiesa distinguendo però le funzioni dell'una da quelle dell'altro. Di esse la più pienamente conforme alla Rivelazione si affermerà in concomitanza alla nascita di una pluralità di Stati cristiani, ossia l'ultima, ma non senza contrasti.

Concretamente, la Chiesa, specie all'interno dell'Impero d'Oriente, deve puntualizzare più volte la distinzione tra l'auctoritas sacrata pontificum e la regalis potestas, con le rispettive competenze, e la superiorità gerarchica della prima, in ragione del suo oggetto e della sua sacramentalita', con una netta precisione a partire da papa Gelasio I (492-496) – in opposizione al primo Enotikon - e specie nei momenti di conflitto con la politica religiosa dei sovrani. La teocrazia imperiale infatti spesso tenta di diventare autocrazia dogmatica, ma la Fede pura riesce sempre, spesso con eroici sacrifici, ad affermarsi sulla convenienza politica, a dimostrazione che è l'Impero ad aver bisogno del suggello del Sacerdozio nelle questioni dogmatiche e non il contrario. Giustiniano il Grande rappresenta l'apogeo della cristianizzazione della giurisprudenza e della politica dell'Impero cristiano; le sue leggi informarono i dodici secoli a venire perchè perfettamente conformi, anche se non necessarie, alla Rivelazione secondo lo spirito dell'epoca. Tuttavia inaugurò un interventismo in campo dogmatico che, se in lui rimase nell'alveo ortodosso, nei suoi successori causò gravi crisi: il monoteletismo, il monoergetismo, il tritelismo, il Typos, l'iconoclastia, senza contare i contrasti giuridici canonici, come quelli del Concilio Trullano.

Tali crisi furono sostanzialmente più pesanti dei vantaggi che l'Impero bizantino diede all'ortodossia, nonostante l'indubbio contributo fornito alla soluzione di queste stesse ed altre crisi ereticali. Anche gli altisonanti titoli imperiali, di XIII Apostolo, Isoapostolo, Vicario di Dio, Vicario di Cristo, Servo di Cristo, tradivano il rischio di una deriva teologica imperiale che rivendicasse prerogative religiose per diritto divino, sovvertendo la stessa costituzione ecclesiastica come Cristo la volle e come poi accadde nei secc. IX e XI.

Ciò causò un progressivo distacco tra la consapevolezza di sé della Chiesa, specie romana, come società in sé compiuta e indipendente, e quella dell'Impero orientale con le sue tendenze teocratizzanti, fino alla rottura che generò lo Stato Pontificio e il Sacro Romano Impero. Il Papato, dinanzi al rischio di essere governato da un Impero eretico o di cadere fuori dei confini dell'ecumene romano-cristiano per la dominazione barbarica, assunse per sé il Potere temporale in Roma e in Italia e patrocinò la rinascita di un Impero Romano Occidentale, veramente universale perchè ortodosso, perchè padrone di Roma e perchè comprendente la maggioranza dei popoli cristiani. L'artefice di questo ricablaggio della teocrazia imperiale, spogliata delle devianze asiatiche, fu Carlo Magno (768-814). Questi mantenne le coordinate ideologiche della teocrazia costantiniana, ma si astenne rigorosamente da qualsiasi incursione in campo dottrinale. Rimase tuttavia l'abbraccio tra Chiesa e Stato, per cui questo protegge quella e ne regola le forme istituzionali, il cosiddetto temporale ecclesiastico, mediante le Chiese private, il patronato, l'avvocatura, il diritto di elezione, presentazione, investitura, ossia mediante figure giuridiche barbariche che in sé non erano contrarie alla Rivelazione ma nemmeno le erano perfettamente congruenti, che si giustificavano per la difficoltà dei tempi e che poi generarono abusi, imponendo alla fine una netta separazione dell'Impero dal Sacerdozio e una sua retrocessione tra le realtà profane o almeno una chiara subordinazione e derivazione della sua sacralità da quella sacerdotale, in piena confacenza con la Rivelazione divina, liberata dai diritti consuetudinari. Ma ciò non accadde subito. Anzi questa teocrazia imperiale romano-germanica, detta carolingia e poi ottoniano-salica, assume i connotati universalistici di quella bizantina. Ottone il Grande (936-973), Ottone II (973-983), Ottone III (983-1002), Enrico II il Santo (1002-1024), Enrico III (1039-1056) la esercitarono assoggettando la Gerarchia ecclesiastica ma contribuendo a sue incisive e decisive riforme. Il caposaldo di questa teocrazia sta nel fatto che il potere imperiale è dato direttamente da Dio e che il sacerdozio lo consacra, ma non lo costituisce, né lo abilita. Ma la confusione ontologica tra Stato e Chiesa fa sì invece che il potere prelatizio venga arbitrariamente concesso da quello imperiale o regio, con un grave abuso pratico e con una consuetudine non apostolica. Perciò l'esercizio concreto di questa supremazia imperiale sarà definitivamente sovvertito con la Riforma Gregoriana dell'XI sec. Ciò non sarebbe accaduto senza la maturazione della nozione di Cristianità, ossia della comunità politico-sociale formata da tutti i cristiani in quanto tali, che vivono nel mondo secondo i principi della loro fede. Tale nozione sorge nell'VIII sec., si ripresenta nel IX e viene a compimento nell'XI sec. Martino I (649-653) la precorre, Adriano I (772-795) la evoca, Niccolò I (858-867) e Giovanni VIII (872-882) la usano, ma è san Gregorio VII (1073-1085) che la sviluppa coerentemente, con i suoi dottori, primo san Pier Damiani (1007-1072).

E' nella Cristianità ovviamente che si colloca l'insieme degli Stati, a cominciare dall'Impero. Infatti nessuno di essi è tanto esteso da radunare in sé tutta la Cristianità né si identifica concettualmente con essa, come nessuno Stato odierno si identifica con l'umanità in quanto tale. Inoltre, mentre dapprima la Chiesa era nell'Impero, virtualmente esteso a tutto il mondo, perchè chiamato da Dio a reggerlo tutto perchè unico potere legittimo, ora appare lo Stato contenuto nella Chiesa stessa, perchè essa comprende tutti i battezzati, che in quanto tali costituiscono la Cristianità, e perchè i confini della Chiesa stessa sono di gran lunga più ampi di quelli della Cristianità, in quanto i fedeli sono presenti anche in luoghi in cui non sorgono Stati cristiani, ma soprattutto perchè è la Chiesa che custodisce la Rivelazione i cui principi informano di sé la Cristianità e quindi l'Impero e i Regni che la compongono. La gerarchia cosmica è ricapitolata in Cristo: la Chiesa Suo Corpo, la Cristianità umanità rinnovata in esso, l'Impero e i Regni che la costituiscono. Il Capo della Chiesa, ossia il Papa, è anche capo della Cristianità o Popolo Cristiano o Res Publica Fidelium. La Civitas Dei ha ora una epifania visibile e legittima. Anzi le due città sono di fatto unite, come già nella concezione precedente, ma con un fondamento teologico esplicito. I temi della Rivelazione su una convivenza politica fatta solo tra cristiani sono tutti giunti a maturazione. Il potere papale è sulle anime ed eccelle su quello imperiale che è sui corpi tanto quanto le prime sui secondi; esso giudica il potere imperiale ma è giudicato solo da Dio perchè gerarchicamente superiore; inoltre costituisce il potere imperiale e regio mediante la consacrazione, elevandolo da un rango meramente naturale ad uno soprannaturale assegnandogli un ruolo, sebbene subordinato, per la salvezza del mondo. Perciò il potere pontificio, l'apice di quello sacerdotale, è l'unico vero universale, può scomunicare e deporre i principi se moralmente indegni di comandare gli altri cristiani, regge il mondo in vista della sua salvezza, operando direttamente nelle cose dello spirito -compreso il temporale ecclesiastico – e indirettamente in quelle del corpo. Gregorio VII e i suoi successori affrancarono la Chiesa dal predominio laicale, ne restaurarono l'indipendenza nei suoi affari temporali e fondano quella che viene chiamata impropriamente teocrazia pontificia, meglio detta ierocrazia. Il potere spirituale domina quello temporale in tutti quegli aspetti in cui è in discussione il bene delle anime o un giudizio morale. Esso inoltre esercita un potere nei confronti di tutto il popolo cristiano, con una funzione temporale diretta sussidiaria alle iniziative spirituali che prende. Ciò avviene con il beato Urbano II (1088-1099) e la Crociata (1095-1099), bandita e organizzata dalla Chiesa a vantaggio dei cristiani d'Oriente. Nella piramide cosmica, sotto il Papato vi sono infatti i due Imperi romani, in pari dignità, almeno quando entrambi sono in comunione con lui.

La vera carenza di questa teologia è quella sulla riflessione dei fini naturali propri dello Stato, considerato solo in relazione alla sua essenza cristiana. Il dibattito successivo, senza più mettere in discussione l'unificazione della sussistenza delle due sfere pur distinte sostanzialmente, temporale e spirituale, nell'unica Chiesa, verterà su chi deve avere la posizione apicale in questo nuovo ordine. Federico Barbarossa (1152-1190), rispolverando il diritto romano e la competenza statale in materia religiosa, darà battaglia per la restaurazione della teocrazia imperiale, forte della soluzione di compromesso del I Concilio Lateranense (1123) alla Lotta per le Investiture (1059-1122), che aveva lasciato aperto il dibattito teologico sulla questione del primato del Sacerdozio sull'Impero. L'Imperatore Svevo voleva porre se stesso al vertice della Cristianità in quanto Vicario di Dio e protettore della Chiesa. Ma Alessandro III (1159-1181), pur senza ancor dirimere le questioni controverse, riuscì a consolidare l'indipendenza della Chiesa, attraverso il diritto canonico, specie nel III Concilio Lateranense (1139) e libera l'elezione papale dall'ingerenza imperiale definitivamente. La piena maturazione di questa concezione dei rapporti tra Impero e Sacerdozio si ha con Innocenzo III (1198-1216). Per costui l'autorità pontificia è rappresentata dal sole, mentre la luna è il simbolo della potestà regia, perchè la prima costituisce con un sacramentale la seconda introducendola nella sfera salvifica; perciò l'abilita al suo esercizio sui battezzati e le fornisce uno scopo sovrannaturale. Il Papa deve intervenire con la sua potestà diretta nelle cose temporali nei casi contemplati in precedenza, e gestisce gli affari temporali complessivi del popolo cristiano, nella lotta contro gli Infedeli, gli Scismatici, gli Eretici, nel supporto dell'espansione missionaria, nella legislazione sugli Ebrei. In quest'ottica infatti, il solo vero cittadino è il battezzato. La teologia politica di Innocenzo è recepita dal IV Concilio Lateranense (1214). Innocenzo esercitò continuamente la sua preminenza sui vari Imperatori e Re, i quali, governando in Nome di Dio, erano sottoposti in modo particolare al Pontefice. Federico II (1215-1250) tenta per l'ultima volta la restaurazione della teocrazia imperiale con una forte venatura laica, teorizzando forme assolutistiche guardate con sospetto dalla Chiesa ed entrando poi in contrasto con essa per la libertà del Sacerdozio. Innocenzo IV (1243-1254), nel corso della lotta con lo Svevo, per giustificare la sua deposizione, rivendicò al Papato la funzione di vertice del potere non solo spirituale ma anche temporale, perché rappresentante in terra di Cristo Sacerdote e Re. Questa nozione aveva l'implicazione di accentrare nel Papa, per diritto soprannaturale, anche il vertice del potere politico di origine naturale; essa non venne però poi più sviluppato sistematicamente, né tantomeno adoperata spesso nelle applicazioni pratiche. Tuttavia con questa concezione giuridica Innocenzo IV potè arrivare, al I Concilio di Lione (1245), alla deposizione dell'Imperatore. Dopo questa data, la ierocrazia si afferma in Occidente. Grazie alla fioritura della Scolastica e alla riscoperta di Aristotele, essa si sostanzia di maggior equilibrio e trova in san Tommaso d'Aquino (1225-1274) una teorizzazione classica ed equilibrata. L'Aquinate afferma che il temporale ha la sua autonomia, ma che è sottoposta allo spirituale, perché esso lo conduce alla vita eterna. Perciò bisogna obbedire al potere spirituale in tutto ciò che implica il bene delle anime e al temporale per ciò che concerne il bene civile. Il Papa poi è il vertice del potere spirituale e di quello temporale, perché è Vicario di Cristo, Sacerdote e Re, ed esercita i due poteri a livello supremo.

Nelle relazioni con i paesi non cristiani, la Cristianità riconosce in genere il loro buon diritto ad esistere in tranquillità. Nei casi in cui però è necessario legittimare una conquista si ricorre all'autorità pontificia, perché essa, rappresentando Cristo, può decidere della sorte di tutte le nazioni. Questa tesi di diritto internazionale era stata elaborata dal canonista Enrico di Susa (1210-1271). Essa sopravviverà anche alla crisi della ierocrazia.

Questa avviene in seguito alla trasformazione della monarchia da feudale in nazionale, cosa che tolse le basi all'applicazione pratica dei principi ierocratici. Così, nel conflitto con la Francia di Filippo il Bello (1285-1314), Bonifacio VIII (1294-1303) ripropone i temi tradizionali della teologia politica cattolica, anzi accentua la necessità della sottomissione al Papa per il bene della propria anima, ma non riesce a prevalere. Dopo di lui la potestà diretta nelle cose temporali e la supremazia sulle potestà secolari spettanti al Sacerdozio non sono sconfessate, ma si applicano sempre meno e con efficacia sempre più diminuita. Clemente V (1305-1314) rivendica ancora la supremazia sull'Impero ma lo identifica con lo Stato imperiale, non con la potestà secolare in genere. Insorgono concezioni naturaliste dello Stato e teorie di separazione delle due sfere o di assoggettamento della Chiesa allo Stato, ma papa Giovanni XXII (1316-1334), impegnato in un'ultima controversia giuridica con l'Impero, le condanna. Di lì a poco l'Impero si libera dall'ingerenza papale nella scelta del sovrano con la Bolla d'Oro del 1354 di Carlo IV di Boemia (1347-1378) chiudendo la secolare disputa con il Sacerdozio per il primato sul mondo cristiano. Con le varie monarchie nazionali la Chiesa conclude sempre più spesso dei Concordati, che riconoscono ai sovrani dei diritti consuetudinari o particolari, che però indeboliscono spesso la posizione ecclesiastica. Oramai la Cristianità è la somma delle monarchie nazionali, e la crisi del Papato con l'Esilio Avignonese (1305-1378), il Grande Scisma (1378-1417) e il Piccolo Scisma (1437-1449) non rafforza la posizione della Chiesa, scossa dalle fondamenta dal Conciliarismo e dalla corruzione.

La Riforma protestante cambia definitivamente le cose. La teoria dei Due Regni di Lutero radicalizza la teologia di Agostino. Il Regno spirituale, fatto dai predestinati, è per sua essenza invisibile. Quello materiale, creato da Dio per reprimere il male, è invece riconoscibile e bisogna prestare obbedienza al principe che è istituito dal Signore. Tocca proprio a lui garantire l'ordine in un mondo in cui il giusto è tale solo nominalmente, perché la natura umana è radicalmente corrotta. Questa teologia influenza anche il mondo cattolico. Dopo che l'unità della Cristianità si è spezzata, dopo che i Papi della Controriforma hanno tentato inutilmente di restaurare la ierocrazia, dopo che nelle Guerre di Religione gli Stati cattolici e quelli protestanti hanno tentato inutilmente di distruggersi a vicenda per restaurare una sola comunità internazionale cristiana, dopo la Pace di Westfalia (1648) l'Europa conosce una rapida diffusione del sistema della Chiesa di Stato anche tra i Paesi cattolici. Peraltro, sia in campo cattolico che protestante fiorisce la riflessione giusnaturalista sullo Stato, considerato come comunità naturale, che è patrocinata anche dalla Scolastica. In quanto ai sovrani assoluti, essi affermano di ricevere il potere solo da Dio e pretendono il controllo totale della vita ecclesiastica dei loro Paesi, eccettuate le questioni dogmatiche. Il Papato fa in parte concessioni e in parte opposizione al giurisdizionalismo, ma non può arginarlo. Il gallicanesimo è condannato dal beato Innocenzo XI (1676-1689); Pio VI (1775-1799) censura il febronianesimo – già anatematizzato da Clemente XIII (1758-1769) - e il giuseppinismo. Fiorisce peraltro in campo giuridico il contrattualismo, che contraddice la dottrina cattolica sull'origine naturale dello Stato, mentre l'Illuminismo elabora la concezione del liberalismo, della democrazia e dei diritti dell'uomo in maniera razionalista e fortemente polemica con la cultura ecclesiastica, così da non poter essere recepita dalla Chiesa. Nel 1738 Clemente XII (1730-1740) condanna la Massoneria, per il suo esoterismo, il suo immanentismo e il suo violento anticristianesimo, strumento fortissimo per la diffusione delle idee illuministe. La condanna è stata reiterata più volte ed è tuttora valida. Ma è la Rivoluzione Francese a cambiare tutti gli schemi mentali.

La Chiesa è dapprima assoggettata alla giurisdizione dello Stato con l'esproprio dei beni del clero e con la Costituzione Civile (1790) censurata l'anno dopo da Pio VI; poi fu proscritta e perseguitata dal Terrore (1793); indi, nel suo espansionismo, la Francia del Direttorio abbatte il Potere Temporale dei Papi e deporta Pio VI. La stessa nozione di Rivoluzione appare diabolica agli occhi della Chiesa per la sua volontà di sovvertire tutto l'ordine tradizionale e di capovolgere i legittimi poteri. In genere tutta la politica fu laicizzata e la concezione contrattualista dello Stato fu ampiamente preferita a quella naturalista. Tuttavia, dopo la restaurazione dello Stato Pontificio e la nascita del Consolato in Francia, la politica concordataria rese possibile un accordo tra Pio VII (1800-1823) e Napoleone I (1799-1815), dimostrando che anche uno Stato laico poteva riconoscere l'indipendenza della Chiesa e venirne riconosciuto, tutelando esplicitamente la religione non sua, ma della maggioranza dei cittadini. Tuttavia il cesarismo napoleonico svela la sua tendenza giurisdizionalista abbattendo nuovamente il Potere Temporale e deportando Pio VII. Perciò con la Restaurazione (1815-1848), rinato il Dominio Temporale dei Papi, la Chiesa e lo Stato assoluto si alleano contro il movimento rivoluzionario, mentre il liberalismo e le società segrete sono ripetutamente condannate da Pio VII, da Leone XII (1823-1829), da Pio VIII (1829-1830), da Gregorio XVI (1831-1846) e dal beato Pio IX (1846-1878), che rivendicò a sé entrambe le potestà, sia diretta che indiretta, nelle questioni temporali. Ma gli anatemi non impedirono al liberalismo di diffondersi, di ibridarsi con certo cattolicesimo – debitamente condannato da Pio IX- e infine di abbattere definitivamente il Potere Temporale (1870), nonostante la solenne condanna della sua contestazione da parte dello stesso Pio. A questi si devono lunghe condanne sugli errori politici dell'epoca, a cominciare dalla prima del Socialismo in tutte le sue forme.

Toccò a papa Leone XIII (1878-1903) realizzare la conciliazione tra Chiesa e cultura politica moderna, fondando la moderna Dottrina Sociale sull'argomento. Egli elaborò una fondazione cristiana dei diritti umani e della democrazia, alternativa al liberalismo. Ripensò i rapporti tra Stato, inteso come naturale, e la Chiesa, intesa come ceto dei fedeli e vera società, compiuta in sé e portatrice di diritti. Sviluppo' la vocazione della Santa Sede alla mediazione diplomatica internazionale. Reiterò la condanna della Massoneria in modo particolarmente solenne denunziandone l'infame volontà di dominio mondiale. Censurò l'anarchismo e il nichilismo con la loro valenza politica. Da lui in poi, la Chiesa fa politica con tre fini: la propria libertà, la difesa e la diffusione del Vangelo, la tutela del diritto naturale; usa tre mezzi: la propria diplomazia, l'alleanza con Potenze amiche, l'azione dei cattolici nella politica stessa; promuove tre forme di partecipazione politica dei cattolici: la militanza in movimenti vicini alla Chiesa, l'organizzazione di partiti e movimenti di ispirazione cattolica, la presenza di cattolici in più movimenti politici. L'esito più rilevante dell'azione diplomatica tra la Chiesa e lo Stato è la stipula di un Concordato o documento equivalente, che tutela l'indipendenza e la sovranità di entrambi i poteri nelle proprie sfere. La riflessione sistematica sulla politica continua con tutti i Papi fino ad oggi. Pio X (1903-1914) – che censurò la legislazione laicista della Francia radicale - Benedetto XV (1914-1922), Pio XI, il ven. Pio XII, il beato Giovanni XXIII, Paolo VI, il beato Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. Pio XI dimostrò comprensione per i regimi corporativi autoritari di ispirazione cattolica, antemurale alla diffusione del marxismo-leninismo, ma condannò solennemente il Comunismo, il Nazismo e molti aspetti del Fascismo, con anatemi ancora validi. Risolse la Questione Romana fondando lo Stato della Città del Vaticano (Patti Lateranensi 1929) restaurando la sovranità e indipendenza della Santa Sede. Pio XII rivendicò la difesa del mondo cristiano dal marxismo leninismo alla Chiesa e il diritto di valutare moralmente le alleanze politiche cattoliche. Tale azione fu svolta con zelo da Paolo VI. Giovanni Paolo II combattè ogni forma di totalitarismo e s'impegnò per la definitiva distruzione del Comunismo. Né si può tralasciare l'apporto magisteriale del Concilio Vaticano II.

Oggi la Chiesa sostiene quanto segue per i suoi rapporti con gli Stati e sulla scena internazionale, sussunto nel Compendio della Dottrina Sociale. Anzitutto pone il principio della differenza strutturale e finalistica tra sé e lo Stato. Tuttavia entrambe le comunità nel loro ambito sono indipendenti e sovrani, per cui lo Stato deve lasciarle campo di azione spirituale sia per diritto naturale alla libertà religiosa sia per diritto soprannaturali concessole da Dio, e la Chiesa si astiene dal sostenere una qualsiasi forma istituzionale o costituzionale, oltre che dall'entrare in merito ai programmi politici, se non per ragioni religiose o morali. Peraltro Stato e Chiesa, pur nella loro differenza, sono complementari e non separate, concorrendo entrambi al bene della persona in ambito naturale e operando solo la Chiesa per quello soprannaturale. Tale complementarietà, che sussiste anche tra Chiesa da un lato e Società civile, Scuola, Famiglia, Forze Armate e in genere con ogni corpo sociale dall'altro, esige il riconoscimento giuridico della Chiesa stessa da parte dello Stato stesso. Esige altresì che la Chiesa sia libera di giudicare le questioni politiche sempre in relazione alla difesa dei diritti naturali della persona e alla salvezza delle anime. Essa perciò chiede il riconoscimento delle prerogative ottenute dal suo Divin Fondatore, come epitomate da Giovanni Paolo II nella Lettera ai Capi di Stato firmatari dell'Atto finale di Helsinki (1980), ossia la libertà di espressione, di insegnamento, di evangelizzazione, di culto pubblico, di organizzazione, di autoregolarsi, di scegliere i propri ministri, di formarli, di nominarli, di trasferirli, di costruire edifici di culto, di acquistare e possedere beni adeguati alle sue esigenze, di associarsi a fini religiosi, culturali, sociali, educativi, sanitari, caritativi. In tale prospettiva sono utili e auspicabili tutti i mezzi per la definizione giuridica delle rispettive competenze, come Concordati, Accordi, Convenzioni ecc., nella ferma condanna della persecuzione anticattolica e nell'impegno a rispettare lealmente l'autorità civile. Importante è il diritto della Chiesa a possedere beni propri e a sovvenzionarsi. Sancito dalla Scrittura e in passato legato non solo all'esenzione di imposta dei beni ecclesiastici ma anche al diritto di tassare i fedeli, esso è stato ferito dalla legislazione degli Stati liberali, che ha rivendicato solo al potere politico il diritto fiscale. Oggi gli accordi bilaterali spesso riconoscono alla Chiesa il diritto di sovvenzionarsi, o con contribuzioni specifiche, o con storno di parte del gettito fiscale, o con la scalcolabilità fiscale delle contribuzioni stesse, o con l'esenzione d'imposta per i suoi beni. In ogni caso, il diritto fiscale ed economico della Chiesa sui suoi fedeli è sancito da Dio stesso.

In quanto alla Santa Sede o Sede Apostolica, essa gode di piena soggettività internazionale, in quanto autorità internazionale che realizza atti giuridicamente propri. Esercita una sovranità esterna e temporale, che riflette e garantisce quella esercitata sulla Chiesa ed è riconosciuta a livello internazionale e caratterizzata da unità e indipendenza, nell'utilizzo di tutti i mezzi specifici degli Stati sovrani. L'attività internazionale della Santa Sede si manifesta attraverso l'esercizio dei diritti suoi propri: la legazione attiva e passiva, lo ius contrahendi per trattati e simili, la partecipazione ad organizzazioni intergovernative, la mediazione in conflitti internazionali. Per tali attività si serve particolarmente del suo corpo diplomatico, che la rappresenta presso gli Stati e nel governo delle Chiese locali.

LA COMUNITA' POLITICA NELL'INSEGNAMENTO CATTOLICO

Si deve partire anzitutto dagli aspetti biblici del problema, in parte già elencati. Dio è il Signore della Storia e in particolare del Suo Popolo. Il Re che Lui stesso istituisce agisce per Suo mandato, trova in David il prototipo e prefigura il Messia, Cristo, Che realmente regna su tutte le cose con un potere divino che non avrà fine. Il Cristo rifiuta l'immagine oppressiva e dispotica del potere, dileggia la sua autorappresentazione menzognera, respinge la tentazione del messianismo politico ma non contesta le autorità terrene a cui anzi volontariamente si sottomette nonostante sia ad esse superiore. Così i primi cristiani sono sottomessi allo Stato in coscienza per rispetto a Dio, ma rifiutano di obbedirgli quando pretendono di proibire la vera Fede, sapendo che solo Cristo è il vero Signore. Alla luce di ciò si comprendono i fondamenti e i fini della Comunità politica. La persona umana è fondamento e fine della Comunità politica nell'ambito naturale, perchè quest'ultima scaturisce dall'indole propria della prima, la cui coscienza le prescrive di osservare la Legge divina che istituisce l'ordine custodito dallo Stato e dal diritto positivo che esso pone in conformità ad esso. Diversamente, la comunità è disumana. Sebbene l'uomo, animale sociale, debba vivere in società e fa società, la società non fagocita, ma valorizza i suoi membri, sia pure secondo i tempi e i costumi. In quanto al popolo, solo in relazione ad esso la Comunità politica trova la sua vera dimensione. Infatti il popolo è tale se condivide il tipo di vita e i valori. Ogni popolo costituisce così una Nazione, anche se spesso vi sono minoranze che hanno il diritto di essere tutelate e che hanno doveri verso lo Stato. E' dunque al servizio dell'identità nazionale, una e molteplice, che la Comunità politica si costituisce e si realizza nella sua specificità. In ogni Comunità politica vanno perciò tutelati e promossi i diritti umani, sia per la persona che per il bene comune, il quale va promosso poi di per sé in compatibilità coi primi. L'uno e gli altri sono dunque oggetto e basamento del diritto positivo posto dalla Comunità politica. La convivenza peraltro si sostanzia, al di là dei diritti e dei doveri sanciti legalmente, dell'amicizia civile, che permette di realizzare la fraternità nell'azione disinteressata che previene e corona l'ambito del diritto. Anzi esso può declinarsi nelle forme della solidarietà solo negli Stati in cui si promuove la persona umana e il bene comune, superando ogni forma di asservimento del potere ad interessi di parte. I cristiani più di tutti, alla luce della carità, comprendono e integrano il senso dell'amicizia civile.

In ordine poi all'autorità politica, essa è necessaria per i compiti suoi propri, per cui è insostituibile nella convivenza civile. Nessuna forma di autorità politica è di per sé perfetta, ma tutte debbono essere orientate al servizio della natura sociale delle persone, spronandole e dirigendole per il bene di tutti e di ognuno. Essa deve garantire la vita ordinata e retta della comunità, senza sostituirsi alla libera attività dei singoli e dei gruppi, ma disciplinandola e orientandola, in vista del bene comune. La fonte di ogni sovranità è Dio. Il popolo detiene essenzialmente la sovranità per Suo mandato. La sovranità di Dio esisteva tanto nella monarchia assoluta, dove il sovrano era scelto da Lui per diritto di nascita, quanto esiste oggi nelle forme statuali basate sulla legittimazione popolare. Infatti, nell'ordinamento naturale esso trasferisce, in varie forme, tale potere a chi lo governa di diritto, mantenendo sempre il diritto di sostituire chi abusa di tale potere. Tale sostituzione è ovviamente più semplice nei regimi rappresentativi, ma è sempre un diritto spettante al popolo in ogni regime. Esso tuttavia non può, con il suo solo consenso, legittimare l'esercizio del potere in modo difforme all'ordine morale. L'autorità infatti si costituisce essenzialmente come forza morale, perché deve lasciarsi guidare dalla legge morale, si compie in essa che a sua volta trova in Dio principio e fine. Per questo è deleterio quando il potere politico, concepito solo come fattore sociologico o storico, si costituisce nell'agnosticismo etico e religioso o addirittura negando l'esistenza di tale ordine: allora è il momento della tirannia, del singolo o della fazione o della massa, e dei crimini contro l'umanità. L'autorità deve riconoscere, rispettare e promuovere i valori umani e morali essenziali, posti dal Decalogo; conseguenzialmente deve emanare leggi giuste, conformi alla dignità della persona umana e ai dettami della retta ragione, a cui va sempre prestata obbedienza, riservandosi il rifiuto di essa alla legge contro la ragione – perché lesive dell'ordine morale naturale e dei diritti della persona - o contro la Volontà divina, rivelata in modo pieno nel Vangelo. Nessuno è tenuto ad obbedire a simili leggi; tutti sono obbligati a disobbedirvi se impongono di compiere attivamente il male, attraverso l'obiezione di coscienza, che in tali casi non può essere discriminata. E' grave dovere di coscienza non collaborare nemmeno formalmente a quelle pratiche che, sia pur legali, sono contro la Legge di Dio. Siccome poi è proprio il diritto naturale a fondare il diritto civile, in caso di ripetuta e grave violazione del primo da parte dell'autorità è lecito invocare il diritto di resistere, anche con la violenza, alle condizioni indicate in precedenza, fino al tirannicidio. Nell'ambito delle leggi conformi alla morale, l'autorità può e deve, all'occorrenza, infliggere le pene, proporzionate alla gravità dei reati. Esse difendono l'ordine, garantiscono la sicurezza, correggono il reo e, se pentito, contribuiscono alla sua espiazione. In tale ottica, la giustizia favorisce il reinserimento sociale dei condannati e promuove la riconciliazione. Negli Stati di diritto, la giustizia commutativa è amministrata da una magistratura apposita, della quale la Chiesa chiede la libertà. Le indagini devono essere condotte altresì senza pregiudizi e alla ricerca della verità, nel rispetto dei diritti umani e sapendo che la responsabilità penale è sempre personale. La tortura, che oggi appare inutile e incongruente con la dignità naturale dell'uomo così come viene concepita in relazione all'integrità fisica dell'uomo, non deve più essere adoperata. Analogamente non si deve abusare della detenzione a scopo coercitivo nelle indagini, né permettere la lungaggine dei processi, mentre la magistratura deve mantenere sulle inchieste un dovuto riserbo a tutela anche degli indagati; in caso di errore giudiziario, l'imputato va adeguatamente rimborsato. Tra le pene, quella di morte è legittima, quando, accertata la piena responsabilità del condannato, essa sia l'unica che garantisca la difesa efficace della vita degli uomini dall'aggressore ingiusto, posta la premessa che la nozione stessa di difesa è suscettibile di estensione e restrizione nell'ambito dei tempi e delle culture. In tale prospettiva, la crescente tendenza all'abrogazione della pena capitale appare un segno positivo della più alta considerazione di cui gode la dignità della persona umana. Il sistema democratico di governo è quello che oggi appare il più idoneo alla partecipazione del popolo al governo, sia in ordine alla scelta che alla sostituzione dei governanti. E' tuttavia indispensabile che la democrazia sia saldamente fondata sui valori, condivisi perché anteriori alle prescrizioni legali, concernenti la dignità della persona, i diritti umani, il bene comune e, nelle nazioni cristiane, i principi del Vangelo. Erroneamente si crede che il relativismo etico rafforzi la democrazia non imponendo visioni del mondo alle coscienze: sovvertendo ogni fondamento razionale della morale, esso elimina in radice la possibilità di elaborare un diritto realmente giusto e di ripararlo dal rischio di modifiche inique a maggioranza o in maniere ancora peggiori. In tal senso, il relativismo etico è una minaccia sociale, giuridica e politica, come instancabilmente ricordato da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Nell'ambito democratico, la Chiesa riconosce valido il principio della separazione dei poteri, che fonda lo Stato di diritto ed è preferibile ad altre forme istituzionali. Gli eletti devono essere sottoposti ad un reale controllo del corpo sociale; devono altresì cercare e attuare leggi orientate al bene comune, senza assecondamenti di comodo delle opinioni e degli interessi errati degli stessi elettori. Chi ha responsabilità politica non deve dimenticare o sottovalutare la dimensione etica della rappresentanza, che spinge a condividere le sorti del popolo e a cercare la soluzione ai problemi sociali, in spirito di servizio. Perciò la corruzione è la deformazione peggiore della democrazia. La pubblica amministrazione è sempre al servizio del cittadino e del bene comune, per cui è assoggettata agli stessi criteri etici e deve evitare di sviluppare un eccesso burocratico, lesivo della dignità personale. E' necessario permettere l'organizzazione di strumenti di partecipazione politica per i cittadini, come i partiti o i movimenti politici, intesi anche come istituzioni giuridiche, come i referendum. E' altresì necessario che i partiti non si identifichino con le istituzioni né le sovrastino, che non fagocitino la società civile, che siano retti democraticamente. Al fine di promuovere la vita democratica, bisogna promuovere la corretta informazione dell'opinione pubblica, mediante obiettività, pluralismo, uguaglianza di diritti nell'accesso ai mezzi di comunicazione, e limitando le concentrazioni editoriali. I mezzi di comunicazione, dal canto loro, devono servire ad edificare e sostenere la comunità umana in ogni campo, favorendo la crescita della persona e garantendo il rispetto alle varie differenze culturali. Per questo vanno seguiti due principi. Il primo pone la persona e la comunità umana come fine e misura dell'uso dei mezzi di comunicazione sociale; il secondo lega inscindibilmente la realizzazione del bene delle persone a quella del bene delle loro comunità. Ciò fa da contravveleno alla nefasta utilizzazione ideologica, politica, di fazione, personale o a fini di lucro dei mezzi di comunicazione sociale.

La Comunità politica è al servizio della società civile, perché ne deriva. La distinzione tra l'una e l'altra scaturisce dalla concezione naturale e cristiana della persona, autonoma, relazionale ed aperta alla trascendenza. Perciò rimane valida la condanna del liberalismo, della sua forma esasperata detta radicalismo, del socialismo e del comunismo, come anche del fascismo. Queste ideologie infatti o risolvono lo Stato e la Società nei diritti dell'individuo, posti peraltro contrattualisticamente, o annichiliscono i diritti della persona in quelli della collettività, la cui volontà generale ne sarebbe il fondamento. Altrettanto valida è la condanna, emblematica, della Massoneria, volta al conseguimento dell'egemonia sociale e politica, nonché alla deformazione della persona umana, intesa in modo naturalistico, razionalistico od esoterico. La professione delle ideologie condannate dalla Chiesa, specie del Comunismo, e l'appartenenza alla Massoneria, è sancita dalla scomunica.

Non è necessario che esistano movimenti politici ispirati a tali ideologie nella Comunità politica, né che esistano le logge massoniche, anzi spesso è consigliabile e a volte opportuno che non esistano, per non minacciare l'ordine sociale, giuridico e morale della comunità e i diritti della persona, oltre che quelli stessi di Dio. Il retto pluralismo infatti realizza il bene comune e la democrazia, nella solidarietà, nella giustizia e nella sussidiarietà. La società civile si sostanzia di relazioni e risorse, culturali e associative, relativamente autonome dalla Comunità politica ed economica; il suo fine perciò è universale, coincidendo col bene comune. Perciò, lo Stato deve fornire una cornice giuridica al libero esercizio delle attività dei soggetti sociali e star pronto ad intervenire tra essi sulla base del principio di sussidiarietà. In particolare vanno valorizzati il volontariato e la cooperazione nell'ambito del terzo settore, il privato-sociale. La cooperazione sembra oggi uno dei contravveleni più forti alla conflittualità interpersonale e interclassista e internazionale dilagante. Essa ricompone l'etica pubblica nella solidarietà, nella collaborazione e nel dialogo.

Infine, per quanto riguarda il rapporto tra Stato e Comunità religiose, fatto salvo quanto già detto sulle relazioni tra lo Stato e la Chiesa Cattolica, va sottolineato che il primo non può costringere alcuno ad agire contro la sua coscienza o a non fare ciò che essa le comanda, favorendo così la libertà religiosa, che tuttavia non è mai licenza di aderire all'errore o diritto di professarlo. La libertà di coscienza, individuale e collettiva, garantita come diritto civile positivo, deve rimanere nei giusti limiti a cui si faceva cenno nelle trattazioni precedenti. A motivo dei suoi legami storici con una Nazione, ad una confessione può essere dato uno specifico riconoscimento giuridico, senza nocumento dei diritti di chi non vi appartiene. Vibrata rimane quindi la condanna di quegli ordinamenti politici e giuridici in cui la professione della Fede cristiana e la sua diffusione e la sua stessa catechesi sono reati capitali, proprio per l'indebita preponderanza data ad altre fedi o addirittura all'ateismo di Stato. In quanto poi alla professione della Fede cristiana, essa è proposta anche alle Comunità politiche nel complesso, per un atto collettivo di adesione ad essa, che è doveroso recepire negli ordinamenti giuridici laddove il popolo è prevalentemente battezzato.

In ordine alla comunità internazionale, anche per essa bisogna prendere le mosse dalla Scrittura. Essa attesta l'unità della famiglia umana sin dai primi passi della Genesi; attesta altresì che dopo il Diluvio l'Alleanza con Noè garantisce la restaurazione del patto naturale con Adamo, valido per tutti gli uomini, volta a garantire la sacralità della vita e la signoria dell'Uomo sul Creato. Tale alleanza è valida ancora oggi per chi non conosce Gesù Cristo. All'Alleanza con Lui accedono tutte le nazioni, benedette nella Discendenza di Abramo, che già conteneva il germe della nuova Umanità, di cui il Cristo è prototipo e fondamento. In Lui Nuovo Adamo tutti gli uomini sono rinnovati e ancor più stabilmente e saldamente uniti; tramite lo Spirito effuso da Cristo tutti noi ora conosciamo il disegno del Padre, per la riunificazione di tutta la razza umana nell'Unica Chiesa, Corpo di Cristo, in compensazione della diaspora babelica, che indica il rifiuto degli uomini di dividersi su tutta la terra e di sfidare Dio con la loro Torre. Il Cristianesimo è dunque la Fede per tutta la razza umana e l'unica forza che la riunificherà, nella libera comunione che ricalca quella delle Persone Divine. L'idea stessa di umanità scaturisce dalla nozione cristiana di Cristianità. La Comunità internazionale ha tuttavia delle sue regole naturali da seguire prima ancora di quelle evangeliche, regole che la Chiesa stessa ricorda e insegna. Anzitutto la centralità della persona umana e la sua attitudine a stringere relazioni tra loro, cosa che caratterizza gli stessi popoli: il riconoscimento del bene comune universale può avvenire solo in questo modo. Verità, giustizia, solidarietà e libertà non fondano quindi solo la comunità nazionale ma anche quella internazionale. Il diritto conseguente si pone come strumento di garanzia dell'ordine che deriva da questi principi. Esso principalmente pone il principio della convivenza tra Stati ognuno dei quali riconosce la sovranità dell'altro, senza subordinazioni che neghino e limitino l'indipendenza di ciascuno di essi. In conseguenza di ciò ogni popolo può esprimere al meglio le proprie caratteristiche. La sovranità nazionale esprime la libertà che regola i rapporti tra Stati, rappresenta la soggettività politica, culturale, sociale, economica e giuridica della nazione stessa. Tuttavia essa non è un assoluto, perché le nazioni possono rinunciare liberamente all'esercizio di alcuni loro diritti in vista di un obiettivo comune. Le relazioni internazionali devono dunque essere fondate sull'armonia tra ordine giuridico e morale. La stessa legge etica naturale che regola i rapporti tra gli uomini deve regolare quelli tra i popoli e gli Stati. Il diritto delle genti scaturisce proprio dalla consapevolezza di una base etica comune alle relazioni tra gli Stati e oggi più che mai l'etica è indispensabile per un ordine internazionale. Non a caso le gravi crisi che hanno afflitto il mondo negli ultimi secoli sono scaturite da gravissime violazioni sia giuridiche che morali. Essenzialmente bisogna sempre avere presenti i principi universali, anteriori e superiori al diritto degli Stati, e dei quali papa Giovanni Paolo II ha fatto questa epitome nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2004: unità del genere umano, uguaglianza in dignità di tutti i popoli, rifiuto della guerra come mezzo per superare le contese, obbligo di cooperazione per il bene comune, esigenza di tener fede ai patti sottoscritti. In quanto alle trattative, che prendono il posto del conflitto per la soluzione delle controversie internazionali, devono essere condotte secondo regole comuni. Bene ha fatto la Carta delle Nazioni Unite a interdire non solo il ricorso alla forza, ma anche alla minaccia di usarla nelle relazioni internazionali. Il principio della fiducia reciproca è il solo che può consolidare il primato del diritto nelle relazioni internazionali, per cui gli strumenti normativi per la composizione pacifica delle controversie vanno ripensati per rafforzarne la portata e l'obbligatorietà. L'organizzazione della Comunità internazionale è guardata con benevolenza dalla Chiesa, da sempre fautrice di un simile ordinamento, e che considera positivamente le Organizzazioni intergovernative operanti in settori specifici, salve restanti le critiche da esprimersi caso per caso e l'obbligo di attenersi alle necessità umane nella vita sociale internazionale. In tale ottica lo stesso Concilio Vaticano II ha messo in evidenza la necessità di costituire un potere pubblico universale riconosciuto da tutti per garantire a tutti sicurezza, giustizia, diritti. Essa deve scaturire dall'accordo e non dall'imposizione. In ogni caso, anche le attuali organizzazioni internazionali sono vincolate, come lo sarebbe il potere universale ipotizzato, al diritto, al bene comune, al principio di sussidiarietà. L'obiettivo della politica internazionale così impostata è la pace con lo sviluppo, mediante l'adozione di misure coordinate. Bisogna promuovere la sensibilità dell'opinione pubblica per le organizzazioni internazionali, alle quali vanno in parte assimilate, nella valutazione positiva, le organizzazioni non governative e i movimenti per i diritti umani. Fondamentale poi è l'intervento delle organizzazioni internazionali nel campo economico, per il raggiungimento di un bene davvero comune. Della posizione della Santa Sede nell'ordinamento internazionale già si è detto. Concludo ricordando i principi sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo. La collaborazione è necessaria per garantire il diritto allo sviluppo, perché il problema ad esso connesso richiede la cooperazione delle singole Comunità politiche. Il sottosviluppo sembra una piaga impossibile da debellare, per le concause complesse e per le strutture di peccato che reggono la società umana. Ma queste difficoltà possono essere affrontate con determinazione ferma e perseverante, perché lo sviluppo è un diritto che implica un obbligo per tutti. La Dottrina Sociale incoraggia forme di cooperazione capaci di incentivare l'accesso al mercato internazionale dei Paesi segnati da povertà e sottosviluppo. Tale accesso deve avvenire in modo equo per tutti. Il neocolonialismo è rigettato con forza dalla Chiesa. Non è però l'unica causa di sottosviluppo. Vi sono anche l'analfabetismo, la fame, l'assenza di strutture e servizi, la mancanza di strutture sanitarie, la sete, la corruzione, la precarietà istituzionale e della stessa politica. La povertà a sua volta ostacola la libertà, l'iniziativa economica, l'efficienza amministrativa, l'educazione e l'informazione. Lo spirito della cooperazione internazionale esige che al di sopra della stretta logica del mercato vi sia consapevolezza di un dovere di solidarietà, di giustizia sociale e di carità universale. La lotta alla povertà, di miliardi di persone, è l'unica vera emergenza della politica internazionale, che impedisce l'umanesimo plenario in cui tutti i popoli siedono nel posto che spetta loro alla mensa delle risorse mondiali, e che è mistificata dal forme di imperialismo guerrafondaio e avido. La Chiesa formula con forza la sua opzione preferenziale per i popoli poveri, in nome della destinazione universale dei beni, della solidarietà, della sussidiarietà – che stimola l'iniziativa dei popoli poveri senza sovrastarla con una sorta di assistenzialismo. In tale ottica, anche l'approccio al problema del debito estero viene modificato. Il debito contratto va onorato, ma non può strangolare la crescita dei popoli poveri né deve servire a coprire speculazioni, fluttuazioni dei cambi, politiche neocoloniali nell'ambito internazionale, o corruzione, cattiva gestione, distorta utilizzazione, nell'ambito delle nazioni povere stesse, che ricadono sulla gente umile, la cui oppressione grida vendetta innanzi a Dio. La richiesta di cancellazione del debito estero dei Paesi poveri è stata avanzata da Giovanni Paolo II.


Theorèin - Gennaio 2012